La notte santa della nascita di Gesù nelle visioni dei Mistici
“Quando comprese di aver partorito, ella adorò il Bambino con gran cortesia e riverenza, con la testa china e le mani unite e disse: Sii benvenuto, mio Dio, Mio Signore, mio Figlio” .
Trattando del mistero dell’Incarnazione, ci faremo condurre dalle parole dei mistici per penetrarne la profondità e grandiosità.
Perché questa scelta? Per il semplice fatto che lo stile dei Vangeli, è risaputo, si mantiene conciso anche quando considera fatti di tal rilevanza.
“Quando la Vergine confidò che si avvicinava l’ora del grande evento, il Consorte accese varie lampade e poi uscì dalla grotta. (…)
Tornato vide la Vergine pregare genuflessa e allora gli parve che tutta la grotta fosse in fiamme. Quando notò che la soave Consorte era come avvolta da un alone di luce soprannaturale, egli, sorpreso e ammirato, si prostrò al suolo in orazione”.
Così inizia la descrizione di ciò che vide durante le sue rivelazioni la beata Caterina Emmerich (1774-1824) riguardo gli istanti che precedettero la nascita di Gesù Cristo.
Prosegue la mistica in un crescendo di meraviglia: “Vidi la luce, che investiva la Vergine, divenir sempre più radiosa, in modo che le lampade accese da Giuseppe erano svanite”.
Più in breve, Santa Faustina Kowalska nel suo Diario riferisce della “Capanna di Betlemme inondata da tanta luce”.
Anche per Maria, la piena di grazia, ciò che stava accadendo era qualcosa di sconvolgente, a tal punto che – aggiunge la Emmerich “a mezzanotte Maria era rapita in estasi, librata per l’aria a una certa altezza dal suolo. Teneva le mani incrociate sul petto. Lo splendore, che La irradiava, diveniva intanto sempre più fulgido”.
La nascita di Gesù non interessò solo Maria e Giuseppe, ma coinvolse ogni realtà. Come la sua morte. L’ingresso nel mondo del Figlio di Dio e la sua dipartita non potevano non avere una dimensione universale.
“Tutta la natura sembrava pervasa di giubilo, comprese le cose inanimate. La rupe pareva animarsi al tocco della luce, che la invadeva. Un fascio luminoso, che aumentava sempre più di chiarezza, irradiava dalla Vergine e saliva fino al più alto dei Cieli.
Lassù ferveva una meravigliosa animazione di gloria paradisiaca, che si avvicinava alla terra”.
Ma andiamo avanti. “Mentre era assorta in preghiera, io – è Santa Brigida di Svezia(XIV sec.) che parla – vidi il Bambino muoversi nel suo grembo, e nello stesso momento, no, proprio in un istante, suo Figlio era nato e da lui scaturiva un tale indicibile sfolgorio, che il sole non poteva reggere il confronto. (…)
E questa nascita fu così rapida ed istantanea, che io non potei osservare e discernere come e da quale parte del corpo della Vergine il Bambino era nato. Tuttavia vidi subito il Bambino nudo e splendente, che giaceva a terra. Il suo corpo era pulito e libero da ogni impurità”.
Nello stesso istante la santa udì “un soave canto angelico di grande bellezza”.
E aggiunge: “Quando comprese di aver partorito, ella adorò il Bambino con gran cortesia e riverenza, con la testa china e le mani unite e disse: «Sii benvenuto, mio Dio, Mio Signore, mio Figlio».
Allora il Bambino cominciò a piangere e tremare per il freddo e la durezza del terreno su cui giaceva, si voltò lentamente, distese le membra e cercò la protezione della Madre…”.
Che altro potremmo aggiungere per comunicare l’insondabile mistero di amore che si manifesta nella divinità e umanità del piccolo Gesù di fronte alla Madre?
Roberto Lanzilli - Il Timone N. 28 – ANNO V – Novembre/Dicembre 2003 – pag. 42
Visioni di Madre Zauli
“Vidi in una squallida, poverissima dimora, la scena del Natale. La Madonna, nel suo aspetto giovanile e amabilissimo, disponeva le sue piccole cose con la sua solita semplicità. Poi la vidi appartarsi ed entrare in un’estasi d’amore, ed ecco, in uno splendore di luce, apparire nel tempo il suo Divin Figlio.
Mi fu dato comprendere il primo istante del Verbo Incarnato, che fu un palpito di soavissimo e ineffabile amore per il suo Divin Padre, il quale su di lui, piccolo bambino, posava tutta la sua paterna compiacenza.
La Madonna prese Gesù sulle sue braccia e con profonda umiltà, con intensa carità lo adorò poi lo porse a San Giuseppe, ed egli pure, profondamente compreso, annientato innanzi a quella grandezza, lo adorò; quindi assieme, la Madonna e San Giuseppe, lo presentarono al Divin Padre.
Questa offerta fu accolta dal Padre con un abbraccio di carità di pieno soddisfacimento che stringeva, col Figlio, tutto il genere umano. Quanta soavità in quel divino, paterno abbraccio!
Mi sentii fortemente attratta da quell’intensa carità divina, ed in questa azione di grazia compresi tutta la grandezza del dono della Redenzione, tutto l’amore di Dio per le sue povere creature in questo divino mistero.
La mia anima ricevette pure molte luci di grazia nel vedere l’adorazione della Madonna e di San Giuseppe. Quali modelli esemplari di adoratori! Per questo ho sempre onorato tanto anche il mio caro San Giuseppe, perché mi fu esemplare di perfetto adoratore del Verbo Incarnato” (Ritiro spirituale, 1946 p. 7).
Molto bella anche la visione dei due santi sposi Maria e Giuseppe uniti nell’offerta:
“Nella luce del Padre ho ammirato le profondità del mistero dell’incarnazione. In lui, tutto è scolpito nell’attualità di un eterno presente, ed è così che si può vedere tutto lo svolgimento del piano della redenzione in tutte le sue fasi.
Sono stata particolarmente orientata a fissarmi nell’atteggiamento caratteristico del Verbo Incarnato, in Gesù Bambino, nelle umiliazioni e abiezioni da lui abbracciate al fine di esprimere al Padre ciò che non avrebbe potuto prima di rivestire la nostra natura; particolarmente la sua adorazione.
Meraviglie degli abbassamenti di un Dio! Meravigliosamente ornata la vergine Madre, ma quello di Lei al seno paterno! Nato, Gesù volle essere deposto nella mangiatoia, perché nei decreti era fissato così, ma non si pensi che Gesù Bambino non sentisse l’umiliazione… La sentiva, ed era pure sentitissima dalla Madonna e da San Giuseppe.
Quanto soffrirono quelle sante ed elette creature in quella circostanza! La Vergine santissima, essendo più ricca di grazia ed elevata ad un grado di altissima unione con Dio, vedeva, in tutto lo svolgersi degli avvenimenti, fin nei minimi particolari, le vie sapientissime del Signore, in ordine al compimento dei suoi disegni, perciò si prestava dolcissima ad assecondarli, anche a costo dei più sanguinosi sacrifici.
Sapeva di dover allevare e preparare la vittima per il sacrificio. Quale martirio! Eppure ella adorava e offriva, accettando amorosamente anche le più crocifiggenti permissioni divine.
Ciò non diminuiva la squisita sensibilità del suo cuore materno, che avrebbe avuto, nei riguardi del Figlio, esigenze più che giuste, e che tanto soffriva pure per lo stato di umiliazione che veniva a pesare sul suo fido custode, che quale capo responsabile della famiglia, sentiva tutta la confusione di vedersi incapace di provvedere anche al solo stretto necessario.
Gesù Bambino, che leggeva a fondo in quell’umile cuore, mostrava tenere predilezione per San Giuseppe, cosa che lo confondeva ancora più, amando di vedersi considerato come una semplice ombra. Quale esemplare per le anime date alla perfezione della vira interiore!
Quale compiacimento prendeva la Santissima Trinità nell’anima di Maria! Specialmente quando innalzava il piccolo Gesù in atto di offerta al padre. Con quanto amore rinnovava quell’offerta e come ringraziava l’Altissimo per il gran dono fatto a lei, minima creatura, del suo diletto Figlio! Gran dono davvero! A noi pure ne viene fatto uno non meno grande.
Non è forse affidato alle nostre cure, alla nostra amorosa custodia il Santissimo Sacramento, che vela lo splendore glorioso di Gesù, realmente presente tale quale si trova in cielo? Personalmente ho rinnovato il proposito di adoperarmi a tutto potere perché venga compiuto nel miglior modo possibile il nostro compito di adoratrici” (26 dicembre 1947).
Madre Zauli poi sottolinea il grande spirito di fede dei genitori di Gesù nelle prove della vita:
“La Madonna, per confortarmi a sostenere le prove di questo momento, mi ha fatto riflettere come, mentre prima della nascita di Gesù, niente era mancato a Giuseppe e a lei del necessario, col venire alla luce del divin Figlio, incominciassero le angustie per le privazioni più crude. Freddo, insufficienza di nutrimento e tante altre privazioni.
“Quanto sentivo questo dolore! Mi sentivo disposta a tutto pur di alleviare e risparmiare al mio Gesù ogni sofferenza. Avrei voluto circondarlo delle cure più delicate e non potevo nutrirlo che del mio dolore.
Vedevo come il mio fedele custode, forse più di me, soffrisse per lo stesso motivo, e mi guardavo bene dal parlarne con lui. La responsabilità di dover provvedere al mantenimento della famiglia ricadeva tutta su Giuseppe, ed era ben comprensibile il suo tormento.
Su ciò non parlavamo, rispettando l’uno il riserbo dell’altro, e con spirito di fede, ci si sollevava insieme fino ad adorare le alte ed oscure permissioni di Dio. In una circostanza il Bambino mi fece capire come quel nostro dolore fosse necessario per preparare la via alle anime che, per libera elezione, avrebbero abbracciato una vita povera, tutta somigliante alla loro e che entrava nei disegni della redenzione per fini di riparazione, dovendo gli uomini venire sanati dal loro smodato attacco ai beni e alle comodità della vita” (1 ottobre 1942)”.
Fonte: Zenit
La Natività nella visione della beata Anna Katharina Emmerick, dal libro La Vita della Madonna
Nella Notte Santa, quando l’Emmanuele si manifestò agli uomini, la Madonna generò in maniera prodigiosa, senza l’aiuto di nessuno, in un’atmosfera di perfetto candore e pudore, come la beata e mistica Anna Katharina Emmerick (1774-1824) vide e descrisse nel libro La vita della Madonna: «Vidi che un insolito movimento regnava nella natura, negli uomini e in molti luoghi del mondo. Dappertutto si manifestava un’eccezionale energia emozionale. I simboli cosmici del Natale della Luce del mondo scesero nella coscienza e nei cuori di molti uomini».
Alla presenza di cori angelici, di luce intensissima, la natura freme, gli animali soavemente saltellano, nascono nuovi fiori, erbe e virgulti dal terreno; gli alberi «rinfrescati» diffondono una dolce fragranza e dal suolo scaturiscono molte nuove sorgenti d’acqua.
Tutto il Creato partecipa al Grande ed Unico Evento. Ed ecco che la «Santa Vergine annunciò al suo sposo che a mezzanotte si sarebbero compiuti i nove mesi dal momento in cui fu concepito il Santo Figlio e l’Angelo l’aveva salutata Madre di Dio. (…).
Inoltre lo esortò ad unirsi a Lei nelle preghiere ardenti per intercedere la misericordia di Dio verso quei duri di cuore che le avevano negato l’ospitalità».
Siccome il momento del prodigioso evento si avvicinava, la Santa Vergine disse quindi a san Giuseppe era ormai prossimo e che desiderava rimanere sola, perciò lo pregò di rinchiudersi nella propria cella.
«Il sant’uomo fu avvolto da una luce celeste soprannaturale». Il Bambino nacque e «Giuseppe contemplò la scena come una volta Mosè aveva fatto con il roveto ardente; poi, entrato con santo timore nella cella, si gettò proteso sul terreno e si immerse nella preghiera più devota. (…).
La Madonna, inginocchiata sulla sua stuoia, teneva il viso rivolto ad oriente. Un’ampia tunica candida priva di ogni legame cadeva in larghe pieghe intorno al suo corpo. Alla dodicesima ora fu rapita dall’estasi della preghiera (…). Vidi allora il suo corpo elevarsi dal suolo.
Frattanto la grotta si illuminava sempre più, fino a che la Beata Vergine fu avvolta tutta, con tutte le cose, in uno splendore d’infinita magnificenza. Questa scena irradiava tanta Grazia Divina che non sono in grado di descriverla.
Vidi Maria Santissima assorta nel rapimento per qualche tempo, poi la vidi ricoprire attentamente con un panno una piccola figura uscita dallo splendore radioso, senza toccarla, né sollevarla».
La sempre Vergine ‒ prima, durante, dopo il parto ‒ in piena salute e senza nessun segno di affaticamento, si avvolse con un velo insieme al Redentore, e lo allattò con il «suo santo latte». A Betlemme, sotto un firmamento che guidava i Magi al luogo benedetto, era nato il Re dell’Universo.
Cristina Siccardi
Fonte: Corrispondenza Romana
“Il Dio-Bambino”.
Meditazione del Servo di Dio don Dolindo Ruotolo (1882-1970)
Era perfettissimo, roseo come un bocciolo spuntato nell’inverno, soffuso di bontà, divino, santificante, inondante gioia.
Egli era Dio.
Era luce a se stesso e la sua splendida corte erano Maria e Giuseppe.
Egli doveva stringere una novella alleanza col popolo suo, e nacque in una grotta di animali, deposto in una mangiatoia, piccolo, ma immenso nella fiamma del suo amore.
… I pastori correvano, l’amore li sospingeva; il desiderio di vedere il Messia li animava… Si soffermarono un poco, proni per terra; esultavano, il cuore balzava loro quasi dal petto. Lo rapiva l’Infante divino…
Maria fece loro un cenno; entrarono. Senza Maria non sarebbero mai entrati, poiché sempre Essa dona il Cristo alle anime.
Si prostrarono, adorarono.
Egli era la Verità, Maria la Sede della Sapienza, Giuseppe ne era il Custode fedele.
… Videro il Bambino: era piccolino, roseo, bellissimo. Aveva la piccola chioma d’oro, gli occhi brillanti di bontà, le labbra sorridenti di amore. Si moriva d’amore innanzi a Lui, si inteneriva l’anima, si piangeva…
Che pace da quella mangiatoia! Quale bellezza delicata e potente, dolcissima e maestosa, piccolina e più grande dei cieli!…
Respiravano la grazia, l’anima si dilatava. Che amore! Non potevano staccarsi da quella grotta. Nessuna reggia era più bella.
… Sollevarono gli occhi alla Mamma: era la misericordia dolcissima; a San Giuseppe, era la bontà vivente. Piansero, e sparsero lacrime fluenti sul volto del Bimbo; erano come la fusione dell’uomo peccatore col Redentore.
… Albeggiava, dovettero partire. I pastori si sparsero per quella terra arrecando la lieta novella…
Dio sceglie sempre gli umili per i grandi annunzi del suo amore.
“O Deus-Menino.”
Meditação do Servo de Deus Pe. Dolindo Ruotolo
(1882-1970)
Meditação do Servo de Deus Pe. Dolindo Ruotolo
(1882-1970)
Fonte: Roberto Bonaventura
DIO È DIVENUTO UOMO PERCHÉ L’UOMO DIVENISSE DIO, PER GRAZIA
da «La deificazione: scopo della vita umana» dell'archimandrita Giorgio, abate del sacro monastero di San Gregorio nel Monte Athos
La questione del destino della nostra vita è di primaria importanza e riguarda il tema più importante dell’uomo: lo scopo della sua esistenza sulla terra. Se l’uomo si orienta correttamente su questo problema, se comprende la sua vera destinazione, allora è capace di affrontare correttamente gli affari quotidiani della sua vita, le relazioni con gli altri uomini, gli studi, la professione, il matrimonio, il mantenimento e l’educazione della prole. Se non si appoggia su questa base, allora fallirà negli altri scopi della vita. Che significato può avere il prossimo quando la vita umana, nel suo complesso, non ha senso?
Il primo capitolo della Sacra Scrittura rivela subito lo scopo della nostra vita quando l’agiografo scrive che Dio ha creato l’uomo “a sua immagine e somiglianza”. Constatiamo subito il grande amore del Dio Triunico verso l’uomo. Egli non vuole che l’uomo sia semplicemente una creatura con determinati doni (charismata) e determinate qualità, con una certa superiorità sul resto della creazione: Egli vuole che sia un dio per Grazia. L’uomo esteriormente sembra solo un essere biologico, proprio come qualsiasi altra creatura vivente, come gli animali. Naturalmente l’uomo è un animale ma, come dice particolarmente san Gregorio il Teologo: “L’uomo è la sola creatura che si eleva al di sopra di tutta la creazione, la sola che può divenire dio’’ (Omelia sull’epifania MPG 36, 324, 13).
“Secondo la sua immagine”. La frase si riferisce ai doni che Dio ha concesso unicamente all’uomo tra tutte le altre sue creature cosicché egli è l’immagine di Dio. Questi doni sono: una mente razionale, una coscienza, una libera volontà (la libertà), la creatività, l’eros ed un ardente desiderio per l’assoluto e per Dio. Inoltre, l’uomo ha una consapevolezza personale di sé e di tutto quello che compie la quale si impone sul resto della creazione e delle creature viventi in modo unico e personale. In altre parole, qualunque cosa la persona umana faccia, riflette i doni “secondo la sua immagine”.
Dotato dell’“immagine”, l’uomo è chiamato ad acquisire “la somiglianza” raggiungendo la deificazione. Il Creatore, Dio, per natura chiama l’uomo a divenire dio per Grazia. Dio ha dotato l’uomo di doni molto alti perché possa acquisire, attraverso di essi, una somiglianza con il suo Dio e Creatore, non per avere una relazione esterna o morale con Lui, ma per un’ unione personale. Forse è molto audace dire e pensare che lo scopo della nostra vita è divenire dei per Grazia, ma dobbiamo farlo perché la Sacra Scrittura ed i Padri della Chiesa non ci hanno nascosto tale fine.
Sfortunatamente molte persone al di fuori della Chiesa come pure molte all’interno di essa, sono ignoranti. Esse credono che lo scopo della nostra vita è, al più, esclusivamente un perfezionamento morale, divenire ‘‘brava gente”. Tuttavia, secondo il Vangelo, la Tradizione della Chiesa e i santi Padri, questo non è lo scopo della nostra vita. L’uomo non deve solo divenire migliore, più morale, più giusto, più casto e diligente. Queste qualità devono essere assunte, ma non sono lo scopo più importante, lo scopo finale per il quale il nostro Fattore e Creatore ci ha fatto vivere. Qual’è questo scopo? La deificazione ossia l’unione dell’uomo con Dio, non un’unione esterna o sentimentale ma intima e vera. L’antropologia ortodossa pone l’uomo molto in alto al punto che se la paragoniamo con le antropologie di tutti gli altri sistemi filosofici, sociali e psicologici, comprenderemo facilmente quanto poco profonde esse siano e quanto poco corrispondano al grande e ardente desiderio dell’uomo in cerca di qualcosa d’infinito e di vero per la sua vita. Dal momento in cui l’uomo è chiamato ad essere a “somiglianza di Dio” egli è stato creato per divenire dio, per cui se non è nel cammino verso la deificazione, sente in se stesso un vuoto, sente di sbagliare qualche cosa. Allora non si rasserena e non è felice neppure quando cerca di riempire questo vuoto con altre attività. Egli si può inebetire immergendosi in un mondo fantastico il quale è, contemporaneamente, poco profondo, piccolo e limitato. Nonostante ciò egli vi aderisce schiavizzandosi ed imprigionandosi in esso. Organizza la sua vita in modo tale da non essere quasi mai in pace, nemmeno quando è solo con se stesso. Tra rumori, nervosismo, televisione, radio e informazioni su qualsiasi avvenimento, egli prova, come fanno alcuni, a dimenticare attraverso l’uso di medicinali, a non pensare, a non preoccuparsi, a non ricordarsi che è sulla via sbagliata, lontano dal suo scopo. Alla fine, comunque, il misero uomo contemporaneo non è soddisfatto, fino a che non trova qualcos’altro di meglio, di più grande, qualcosa che esiste nella sua vita, qualche cosa di veramente bello e creativo. L’uomo può unirsi a Dio? Può essere in comunione con Lui? Può divenire dio per Grazia?
IL MOTIVO DELL’ INCARNAZIONE DI DIO: LA DEIFICAZIONE DELL’UOMO
I Padri della Chiesa affermano che Dio è divenuto uomo perché l’uomo divenisse dio. L’uomo non avrebbe raggiunto la deificazione se Dio non si fosse incarnato.
Prima di Cristo esistevano molti uomini saggi e virtuosi. Gli antichi greci, ad esempio, avevano raggiunto alti livelli di consapevolezza filosofica riguardo le virtù e Dio. Di fatto, la loro filosofia contiene elementi di verità, il cosiddetto logos spermatikos. Dopo tutto, essi erano uomini particolarmente religiosi, certamente non atei, come li vorrebbero vedere alcuni dei nostri dotti e malati uomini contemporanei. Essi non conoscevano il vero Dio. Tuttavia, benché pagani, erano pii e timorati verso la divinità. Per questa ragione tutti quei pedagoghi, insegnanti, capi politici e civili che, a differenza dell’antica tradizione greca, hanno tentato di sradicare la fede in Dio dall’anima della nostra devota gente senza alcun suo consenso, hanno commesso hybris nel significato antico del termine. Essi, di fatto, hanno cercato di privare la nazione del suo carattere greco, della tradizione dei greci, della nostra storia antica, medioevale e recente nella quale è sempre esistita una tradizione di venerazione e di rispetto per Dio. Questa tradizione si è universalmente diffusa attraverso il contributo culturale dell’ellenismo ed è rinvenibile ancor oggi. Nella filosofia degli antichi greci può essere riscontrato un ardente desiderio per il Dio ignoto e per l’esperienza di Dio. Essi erano fedeli e devoti ma senza un diritto e una piena conoscenza su Dio. Ad essi mancava la comunione con Lui. La deificazione non era possibile.
Pure nell’Antico Testamento, troviamo uomini giusti e virtuosi. Tuttavia, l’unione assoluta con Dio, la deificazione, divenne possibile e realizzabile solo con l’incarnazione di Dio, il Verbo (Logos) di Dio. Questo è lo scopo dell’incarnazione di Dio.
Se lo scopo della vita umana fosse solo divenire moralmente migliori, non ci sarebbe stato alcun bisogno della presenza di Cristo nel mondo. Non ci sarebbe stato alcun bisogno dell’economia divina, dell’incarnazione di Dio, della sua croce, morte e risurrezione i cui eventi hanno al loro centro Cristo stesso, se all’umanità fosse bastato migliorarsi moralmente, attraverso l’insegnamento dei Profeti, dei filosofi e degli uomini giusti di allora. Sappiamo che Adamo ed Eva sono stati fuorviati dal diavolo ed hanno desiderato divenire dei senza la cooperazione divina, senza l’umiltà, l’obbedienza e l’amore, ma contando solo sulla propria volontà egoisticamente ed autonomamente. È proprio questa l’essenza della caduta: l’egoismo. Per assumere l’egoismo e l’autosufficienza, i nostri progenitori si sono separati da Dio ed invece di raggiungere la deificazione, sono arrivati alla meta opposta: la morte spirituale.
I Padri della Chiesa dicono che Dio è vita. Quindi chiunque si allontana da Dio si allontana dalla vita. È perciò che in Adamo ed Eva la morte e l’inattività spirituale (la morte fisica e quella spirituale) furono la conseguenza della loro disubbidienza. Tutti noi comprendiamo le conseguenze della loro caduta. La separazione da Dio ha portato l’uomo ad una vita carnale, bestiale e demoniaca. La magnificenza della creazione di Dio è stata seriamente danneggiata subendo una ferita quasi mortale. La “sua immagine” è stata distorta. Dopo la caduta l’uomo non ha i requisiti per muoversi verso la deificazione, come nella situazione precedente al peccato. In questo stato di malattia quasi mortale, l’uomo non può più orientarsi verso Dio. È perciò che l’umanità ha avuto bisogno di un nuovo capostipite. È stato necessario un uomo nuovo, sano, capace di orientare la libertà umana verso Dio. Questo nuovo capostipite . l’uomo nuovo . è l’Uomo. Dio (il Theanthropo), Gesù Cristo, il Figlio e il Verbo (Logos) di Dio. Egli dal momento in cui si è incarnato costituisce il nuovo capostipite, il nuovo inizio, la nuova umanità e il nuovo lievito.
Un grande teologo della nostra Chiesa, san Giovanni di Damasco, afferma che con l’incarnazione del Verbo è comparsa una seconda comunione tra Dio e l’uomo. La prima comunione, quella nel Paradiso, è stata rotta dal momento in cui l’uomo si è separato da Dio. Allora, il nostro Dio, pieno di compassione, ha provveduto per un’altra, una seconda comunione, cioè un’unione con gli uomini che non potesse più essere infranta. Egli ha ottenuto questo scopo realizzando la sua unione con l’ umanità nella persona di Cristo. Cristo, l’Uomo-Dio, il Figlio e il Verbo del Padre, ha due nature perfette: la divina e l’umana. Secondo la famosa definizione del quarto santo concilio ecumenico di Calcedonia, queste due nature perfette sono unificate “senza confusione, senza cambiamento, indivisibilmente e inseparabilmente” in una persona di Dio, nel Verbo, in Cristo. I pronunciamenti di questo concilio costituiscono per sempre una guida ed un’arma sicura nello Spirito Santo per la nostra Chiesa ortodossa contro ogni genere di eresia cristologica. In tal modo sappiamo che Cristo ha due nature: la divina e l’umana. La conseguenza è chiara: la natura umana, attraverso l’unione ipostatica delle due nature nella persona di Cristo, è irrevocabilmente unita con quella divina perché Cristo è, d’ora in poi, eternamente Uomo-Dio. Come Uomo-Dio è asceso in cielo, come Uomo-Dio si è seduto alla destra del Padre, come Uomo-Dio verrà a giudicare il mondo nella sua seconda venuta. Perciò la natura umana è ora intronizzata nella Santa Trinità, nel cuore della Trinità stessa. Nulla può separare la natura umana da Dio. Questo è il motivo per cui, ora, dopo l’incarnazione, pure se commettiamo dei peccati o ci allontaniamo da Dio, pentendoci è possibile rinsaldare nuovamente quell’ unione per la quale diveniamo dei per Grazia. [...]
Il primo capitolo della Sacra Scrittura rivela subito lo scopo della nostra vita quando l’agiografo scrive che Dio ha creato l’uomo “a sua immagine e somiglianza”. Constatiamo subito il grande amore del Dio Triunico verso l’uomo. Egli non vuole che l’uomo sia semplicemente una creatura con determinati doni (charismata) e determinate qualità, con una certa superiorità sul resto della creazione: Egli vuole che sia un dio per Grazia. L’uomo esteriormente sembra solo un essere biologico, proprio come qualsiasi altra creatura vivente, come gli animali. Naturalmente l’uomo è un animale ma, come dice particolarmente san Gregorio il Teologo: “L’uomo è la sola creatura che si eleva al di sopra di tutta la creazione, la sola che può divenire dio’’ (Omelia sull’epifania MPG 36, 324, 13).
“Secondo la sua immagine”. La frase si riferisce ai doni che Dio ha concesso unicamente all’uomo tra tutte le altre sue creature cosicché egli è l’immagine di Dio. Questi doni sono: una mente razionale, una coscienza, una libera volontà (la libertà), la creatività, l’eros ed un ardente desiderio per l’assoluto e per Dio. Inoltre, l’uomo ha una consapevolezza personale di sé e di tutto quello che compie la quale si impone sul resto della creazione e delle creature viventi in modo unico e personale. In altre parole, qualunque cosa la persona umana faccia, riflette i doni “secondo la sua immagine”.
Dotato dell’“immagine”, l’uomo è chiamato ad acquisire “la somiglianza” raggiungendo la deificazione. Il Creatore, Dio, per natura chiama l’uomo a divenire dio per Grazia. Dio ha dotato l’uomo di doni molto alti perché possa acquisire, attraverso di essi, una somiglianza con il suo Dio e Creatore, non per avere una relazione esterna o morale con Lui, ma per un’ unione personale. Forse è molto audace dire e pensare che lo scopo della nostra vita è divenire dei per Grazia, ma dobbiamo farlo perché la Sacra Scrittura ed i Padri della Chiesa non ci hanno nascosto tale fine.
Sfortunatamente molte persone al di fuori della Chiesa come pure molte all’interno di essa, sono ignoranti. Esse credono che lo scopo della nostra vita è, al più, esclusivamente un perfezionamento morale, divenire ‘‘brava gente”. Tuttavia, secondo il Vangelo, la Tradizione della Chiesa e i santi Padri, questo non è lo scopo della nostra vita. L’uomo non deve solo divenire migliore, più morale, più giusto, più casto e diligente. Queste qualità devono essere assunte, ma non sono lo scopo più importante, lo scopo finale per il quale il nostro Fattore e Creatore ci ha fatto vivere. Qual’è questo scopo? La deificazione ossia l’unione dell’uomo con Dio, non un’unione esterna o sentimentale ma intima e vera. L’antropologia ortodossa pone l’uomo molto in alto al punto che se la paragoniamo con le antropologie di tutti gli altri sistemi filosofici, sociali e psicologici, comprenderemo facilmente quanto poco profonde esse siano e quanto poco corrispondano al grande e ardente desiderio dell’uomo in cerca di qualcosa d’infinito e di vero per la sua vita. Dal momento in cui l’uomo è chiamato ad essere a “somiglianza di Dio” egli è stato creato per divenire dio, per cui se non è nel cammino verso la deificazione, sente in se stesso un vuoto, sente di sbagliare qualche cosa. Allora non si rasserena e non è felice neppure quando cerca di riempire questo vuoto con altre attività. Egli si può inebetire immergendosi in un mondo fantastico il quale è, contemporaneamente, poco profondo, piccolo e limitato. Nonostante ciò egli vi aderisce schiavizzandosi ed imprigionandosi in esso. Organizza la sua vita in modo tale da non essere quasi mai in pace, nemmeno quando è solo con se stesso. Tra rumori, nervosismo, televisione, radio e informazioni su qualsiasi avvenimento, egli prova, come fanno alcuni, a dimenticare attraverso l’uso di medicinali, a non pensare, a non preoccuparsi, a non ricordarsi che è sulla via sbagliata, lontano dal suo scopo. Alla fine, comunque, il misero uomo contemporaneo non è soddisfatto, fino a che non trova qualcos’altro di meglio, di più grande, qualcosa che esiste nella sua vita, qualche cosa di veramente bello e creativo. L’uomo può unirsi a Dio? Può essere in comunione con Lui? Può divenire dio per Grazia?
IL MOTIVO DELL’ INCARNAZIONE DI DIO: LA DEIFICAZIONE DELL’UOMO
I Padri della Chiesa affermano che Dio è divenuto uomo perché l’uomo divenisse dio. L’uomo non avrebbe raggiunto la deificazione se Dio non si fosse incarnato.
Prima di Cristo esistevano molti uomini saggi e virtuosi. Gli antichi greci, ad esempio, avevano raggiunto alti livelli di consapevolezza filosofica riguardo le virtù e Dio. Di fatto, la loro filosofia contiene elementi di verità, il cosiddetto logos spermatikos. Dopo tutto, essi erano uomini particolarmente religiosi, certamente non atei, come li vorrebbero vedere alcuni dei nostri dotti e malati uomini contemporanei. Essi non conoscevano il vero Dio. Tuttavia, benché pagani, erano pii e timorati verso la divinità. Per questa ragione tutti quei pedagoghi, insegnanti, capi politici e civili che, a differenza dell’antica tradizione greca, hanno tentato di sradicare la fede in Dio dall’anima della nostra devota gente senza alcun suo consenso, hanno commesso hybris nel significato antico del termine. Essi, di fatto, hanno cercato di privare la nazione del suo carattere greco, della tradizione dei greci, della nostra storia antica, medioevale e recente nella quale è sempre esistita una tradizione di venerazione e di rispetto per Dio. Questa tradizione si è universalmente diffusa attraverso il contributo culturale dell’ellenismo ed è rinvenibile ancor oggi. Nella filosofia degli antichi greci può essere riscontrato un ardente desiderio per il Dio ignoto e per l’esperienza di Dio. Essi erano fedeli e devoti ma senza un diritto e una piena conoscenza su Dio. Ad essi mancava la comunione con Lui. La deificazione non era possibile.
Pure nell’Antico Testamento, troviamo uomini giusti e virtuosi. Tuttavia, l’unione assoluta con Dio, la deificazione, divenne possibile e realizzabile solo con l’incarnazione di Dio, il Verbo (Logos) di Dio. Questo è lo scopo dell’incarnazione di Dio.
Se lo scopo della vita umana fosse solo divenire moralmente migliori, non ci sarebbe stato alcun bisogno della presenza di Cristo nel mondo. Non ci sarebbe stato alcun bisogno dell’economia divina, dell’incarnazione di Dio, della sua croce, morte e risurrezione i cui eventi hanno al loro centro Cristo stesso, se all’umanità fosse bastato migliorarsi moralmente, attraverso l’insegnamento dei Profeti, dei filosofi e degli uomini giusti di allora. Sappiamo che Adamo ed Eva sono stati fuorviati dal diavolo ed hanno desiderato divenire dei senza la cooperazione divina, senza l’umiltà, l’obbedienza e l’amore, ma contando solo sulla propria volontà egoisticamente ed autonomamente. È proprio questa l’essenza della caduta: l’egoismo. Per assumere l’egoismo e l’autosufficienza, i nostri progenitori si sono separati da Dio ed invece di raggiungere la deificazione, sono arrivati alla meta opposta: la morte spirituale.
I Padri della Chiesa dicono che Dio è vita. Quindi chiunque si allontana da Dio si allontana dalla vita. È perciò che in Adamo ed Eva la morte e l’inattività spirituale (la morte fisica e quella spirituale) furono la conseguenza della loro disubbidienza. Tutti noi comprendiamo le conseguenze della loro caduta. La separazione da Dio ha portato l’uomo ad una vita carnale, bestiale e demoniaca. La magnificenza della creazione di Dio è stata seriamente danneggiata subendo una ferita quasi mortale. La “sua immagine” è stata distorta. Dopo la caduta l’uomo non ha i requisiti per muoversi verso la deificazione, come nella situazione precedente al peccato. In questo stato di malattia quasi mortale, l’uomo non può più orientarsi verso Dio. È perciò che l’umanità ha avuto bisogno di un nuovo capostipite. È stato necessario un uomo nuovo, sano, capace di orientare la libertà umana verso Dio. Questo nuovo capostipite . l’uomo nuovo . è l’Uomo. Dio (il Theanthropo), Gesù Cristo, il Figlio e il Verbo (Logos) di Dio. Egli dal momento in cui si è incarnato costituisce il nuovo capostipite, il nuovo inizio, la nuova umanità e il nuovo lievito.
Un grande teologo della nostra Chiesa, san Giovanni di Damasco, afferma che con l’incarnazione del Verbo è comparsa una seconda comunione tra Dio e l’uomo. La prima comunione, quella nel Paradiso, è stata rotta dal momento in cui l’uomo si è separato da Dio. Allora, il nostro Dio, pieno di compassione, ha provveduto per un’altra, una seconda comunione, cioè un’unione con gli uomini che non potesse più essere infranta. Egli ha ottenuto questo scopo realizzando la sua unione con l’ umanità nella persona di Cristo. Cristo, l’Uomo-Dio, il Figlio e il Verbo del Padre, ha due nature perfette: la divina e l’umana. Secondo la famosa definizione del quarto santo concilio ecumenico di Calcedonia, queste due nature perfette sono unificate “senza confusione, senza cambiamento, indivisibilmente e inseparabilmente” in una persona di Dio, nel Verbo, in Cristo. I pronunciamenti di questo concilio costituiscono per sempre una guida ed un’arma sicura nello Spirito Santo per la nostra Chiesa ortodossa contro ogni genere di eresia cristologica. In tal modo sappiamo che Cristo ha due nature: la divina e l’umana. La conseguenza è chiara: la natura umana, attraverso l’unione ipostatica delle due nature nella persona di Cristo, è irrevocabilmente unita con quella divina perché Cristo è, d’ora in poi, eternamente Uomo-Dio. Come Uomo-Dio è asceso in cielo, come Uomo-Dio si è seduto alla destra del Padre, come Uomo-Dio verrà a giudicare il mondo nella sua seconda venuta. Perciò la natura umana è ora intronizzata nella Santa Trinità, nel cuore della Trinità stessa. Nulla può separare la natura umana da Dio. Questo è il motivo per cui, ora, dopo l’incarnazione, pure se commettiamo dei peccati o ci allontaniamo da Dio, pentendoci è possibile rinsaldare nuovamente quell’ unione per la quale diveniamo dei per Grazia. [...]
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