NEOCHIESA: ORDINARIA FOLLIA
Don Farinella, o l’ordinaria follia della neochiesa. Degno erede di don Andrea Gallo, nella sua autobiografia si definisce, con somma modestia, biblista, scrittore e saggista: "narcisismo ed esibizionismo indecente?"
di Francesco Lamendola
Don Paolo Farinella è un prete della diocesi di Genova, degno erede di don Andrea Gallo, che, da un po’ di tempo, fa molto parlare di sé. Ma siccome le sue sparate in chiesa e i suoi gesti spettacolari e sconcertanti non gli paiono sufficienti ad attirare l’attenzione, ha anche creato un sito informatico nel quale si presenta e parla ampiamente di sé, trasudando narcisismo ed esibizionismo oltre il limite del buon gusto e della decenza. Prendiamo atto che questo prete dei carrugi, cioè questo prete di strada che ”più di strada” non si può, trova sia il tempo che il denaro sufficienti per curare, con molta attenzione e precisione, la sua immagine pubblica; intendiamoci, non che imbastire un sito o un blog costi molto denaro, ma insomma qualche centinaio di euro, come minimo, ci vogliono, senza contare le ore di lavoro, il che è degno di nota, da parte di un sacerdote che dice di avere i poveri e i migranti quale sola ragione di vita e di ministero. Nella sua autobiografia informatica, si definisce, con somma modestia, biblista, scrittore e saggista, anche se le sue doti di intellettuale si possono desumere da frasi come questa: Berlusconi? Gli darei l’estrema unzione fino ad annegarlo, e dalle quali traspariono, oltre alla sua raffinata preparazione culturale, anche la sua misericordia, la sua carità e la sua delicatezza di sacerdote e di uomo. Si definisce un cercatore dell’Assoluto e, vantando di aver soggiornato alcuni anni in Palestina, dichiara senza tanti fronzoli e giri di parole, di essere un convinto assertore della “ebraicità” del cristianesimo, (che) divulga con scritti e conferenze la necessità per i cristiani di attingere alle fonti giudaiche per assaporare il vangelo (lettera minuscola) in tutta la sua sapienza.
In altre parole, si ritiene depositario di una forma di cristianesimo tutta particolare, un cristianesimo giudaizzante, nel quale, a quanto pare, non c’è spazio per il piccolo dettaglio che il giudaismo ha rifiutato Gesù Cristo, lo ha maledetto e lo ha messo in Croce, e continua a maledirlo, con il Talmud, lui e tutti i suoi seguaci. Ora, sapevamo che, dopo il Concilio Vaticano II - di cui don Farinella è un grande ammiratore, ma che, sostiene, deve essere “superato”, mediante un nuovo concilio che realizzi finalmente ciò che esso ha impostato, ma non portato sino in fondo – ogni prete progressista e modernista si sente libero di dire e scrivere tutto quel che gli pare e piace, senza chiedere il permesso a nessuno, tanto la teologia è un’opinione, grazie alla “svolta antropologica” di Karl Rahner & Soci; ma che perfino la concezione generale del cristianesimo fosse soggetta alle interpretazioni individuali dei singoli sacerdoti, questa non la sapevamo ancora, e l’apprendiamo adesso, grazie a lui e a quelli che, sopra di lui – il cardinale Bagnasco, per esempio – lo lasciano libero d’impazzare e straparlare, senza freni né limiti.
Ma torniamo a quel “vangelo” con la lettera minuscola, la cui “sapienza”, sempre con la minuscola, si può assaporare pienamente solo se si attinge alle fonti giudaiche (strano, però, perché a noi risultava che tutti e quattro i Vangeli sono scritti in greco, e così pure tutti gli altri libri del Nuovo Testamento; si vede che ad altri risulta diversamente). Già il fatto di ridurre il santo Vangelo a una fonte di “sapienza”, cioè ad una sapienza umana, equivale a snaturarlo completamente, visto che, per i cristiani, il Vangelo non è un libro umano, ma divinamente ispirato, e quel che contiene non è sapienza umana, ma Verità divina. Semmai, potemmo definirlo una fonte di Sapienza, però con la maiuscola, per far capire che ciò che esso rivela agli uomini viene da Dio e non da loro. Ma c’è un'altra cosa degna di nota, nell’uso che don Farinella fa delle minuscole e delle maiuscole. Infatti, se scrive sia “vangelo” che “sapienza” (parlando del Vangelo) con la minuscola, ci si aspetterebbe che un giornale dei nostri giorni, specializzato in cronache politiche, non meriti la maiuscola, più di quanto, a suo giudizio, ne meriti la Parola di Cristo. Invece quando parla de Il Fatto Quotidiano, sulla cui edizione informatica tiene un blog - da cui c’informa, facendo il verso a Cecco Angiolieri, che se fosse papa, abolirebbe il Natale - che Il Fatto è ormai l’unica Parola (maiuscola) che grida nel deserto delle convenienze. Vangelo con la minuscola e blog con la maiuscola: interessante.
Dunque, “per rispetto verso i migranti”, che tanto gli stanno a cuore, evidentemente più dei cattolici e più di Gesù Cristo, quest’anno don Farinella ha deciso di eliminare la santa Messa della vigilia di Natale, e così pure la santa Messa di Capodanno e quella dell’Epifania; in altri termini – sono parole sue – ha deciso di abolire il Natale, così, di sua iniziativa, o meglio, secondo lui, dopo essersi consultato con altri frequentatori della chiesa di San Torpete (la quale non fa parrocchia: si vede che l’avevano messo lì sperando che facesse meno danni; invece…), usi a frequentarla appunto per ascoltare i suoi meravigliosi sermoni, per quanto lunghi essi siano; è lui stesso ad infornarci che le “sue” Messe durano da un’ora e mezza a due ore. Circostanza che lo accomunerebbe, almeno in apparenza, a san Pio da Pietrelcina, ma non sia mai: Padre Pio è morto e bisogna lasciarlo sotto terra, perché, sono sempre parole testuali del prete genovese, il suo era un cristianesimo “ancestrale e superato”, e quanto alla sua santità e alle stimmate, lui non ci crede, era solo un isterico e le stimmate chissà come se le faceva; del resto, soggiunge il bravo don Farinelli, che ormai ha rotto completamente i freni e abbandonato ogni riserbo, lui non crede nemmeno alle stimmate di san Francesco d’Assisi.
Ad ogni modo, don Farinella, sempre molto loquace e comunicativo in tutto ciò che lo riguarda, ha voluto infornare i fedeli delle sue recenti decisioni “natalizie”, e lo ha fatto per mezzo di un prolisso e farneticante comunicato, in uno stile che ricorda altri deliranti comunicati degli anni passati (chi non ha più vent’anni capisce bene a cosa stiamo alludendo), coi quali ha in comune, del resto, la visione di fondo: marxista, classista, aggressiva, tutta politica e materialista, senza un briciolo di spiritualità, o di senso della trascendenza, e men che meno di amore di carità nel senso cristiano della parola, nei confronti, si capisce, agli egoisti e arroganti abitanti del Nord della terra, sfruttatori spietati e inumani di quelli del Sud; giacché l’amore di don Farinella se ne va tutto ai migranti e ai poveri (in senso esclusivamente economico), beninteso se hanno la pelle scura e se vengono da società islamiche; nel qual caso la sua esortazione alle ragazze africane è quella di lasciarsi infibulare senza fare troppe storie, perché, anche se risiedono in Italia, devono tuttavia rispettare le decisioni dei loro genitori e la loro stessa identità culturale e religiosa; il che la dice lunga su quel che pensa costui della tanto sbandierata “integrazione” dei migranti. E se questo è quel che pensa della infibulazione, preferiamo non indagare su quale sia la sua opinione circa la clitoridectomia, altrettanto volentieri praticata sulle ragazzine di quella provenienza culturale, cioè sull’asportazione drastica e definitiva del clitoride, sempre in omaggio alla tradizione. Perfetto esempio, del resto, di quel neoclero progressista e ultramoderno, e ovviamente anche ultrafemminista, il cui femminismo, però, come del resto quello della signora Boldrini & Soci, si arresta sul confine invalicabile del colore della pelle: perché costoro sono tanto implacabili nel denunciare il maschilismo, gli stupri e le violenze sulle donne, quando provengono da maschi di razza bianca, quanto improvvisamente silenziosi e reticenti se si tratta di stupri e violenze perpetrati da giovani islamici, nella cui cultura di provenienza, come tutti sanno, il rispetto della donna è massimo, e le pari opportunità fra uomo e donna sono una acquisizione universale, pacifica e indiscussa.
Riportiamo qui il passaggio centrale del comunicato di don Farinella, rispettando anche l’uso del grassetto e invitiamo chi fosse interessato a leggerselo tutto, essendo disponibile su vari siti internet:
Premetto che quest’anno nella mia chiesa, d’accordo con i frequentatori abituali, abbiamo fatto una «scelta pastorale»: non celebriamo la veglia di Natale né la Messa di Capodanno né quella dell’Epifania. In altre parole, di fatto,aboliamo il Natale.
San Torpete in Genova, dal sec. XII è parrocchia riservata alla famiglia dei marchesi Cattaneo-Della Volta, la quale nel 1995 con atto notarile la cedette alla diocesi di Genova. Al termine del primo restauro, durato 10 anni, nel 2005, fui nominato «Amministratore parrocchiale». Mi trovo quindi in una parrocchia aperta al pubblico, ma senza territorio e, di fatto, senza parrocchiani perché i discendenti dei Cattaneo-Della Volta, circa una quarantina di persone, sono sparsi per il mondo. La parrocchia è frequentata da persone che provengono da ogni quartiere di Genova, anche da fuori Genova. Non pochi per partecipare impiegano un’ora e anche un’ora e mezza per venire e altrettante per tornare. La liturgia che si svolge a San Torpete non è «la Messa della mutua» o dei saldi, ma è una scuola della Parola e dura da un’ora e mezza e due ore. Tenendo conto di «questa» realtà, abbiamo deciso di privilegiare «solo la domenica – Dies Domini», tralasciando tutto il resto, Veglia, Capodanno ed Epifania che capitando di sabato si addossano le une alle altre, con ingorgo per noi ingestibile. Motivi di fede. Celebrare il Natale come gli altri anni, come se nulla stesse accadendo, significherebbe compiere un atto d’inciviltà, di mistificazione e di complicità. Oggi Natale è il contrario di quello dovrebbe significare: esattamente l’opposto. Esso è strumento di un sistema economico assassino, che fomenta lo sperpero, alimenta la falsità dei falsi sentimenti d’occasione (a Natale bisogna essere buoni!!!!) e illude perché tutto lo scempio delle ingiustizie, delle immoralità e del buonismo a buon mercato si ritualizza nel contesto di una religiosità blasfema. Si inneggia al presepe col Bambino, Maria e Giuseppe, attorniati da pastori, oche e animali vari, facendo finta di non sapere che quel Bambino è un Profugo, che scappa dalla polizia di Erode, ricercato per essere fatto fuori, emigrante in Egitto in cerca di salvezza e di fortuna, nato fuori dall’abitato perché nessuno lo voleva. Solo i pastori, gli emarginati «impuri» del tempo lo assistono, mentre nel tempio di Gerusalemme splendono le luci e si elevano i canti al Dio dei cieli e compagnia cantando. Nel 2017 Cristo non nasce in Italia, in Europa, negli Usa e non nasce nelle chiese: Egli nasce e resta nei campi profughi della Turchia che sperpera lautamente i tre miliardi della UE perché Gesù Bambino sia tenuto lontano dai Paesi europei, ubriachi di «civiltà cristiana». Egli è in Libia, dove i tanti Gesù Bambini senza pastori, Magi o pecorelle e nenie, sono stuprati, venduti, violentati e anche assassinati. Quest’anno Gesù nasce “dentro il Mediterraneo”, che assume la forma di una tomba. L’arte bizantina ha sempre raffigurato la culla di Gesù nascente a forma di sarcofago/tomba, forse immaginando che un giorno sarebbe successo «alla grande» a centinaia e centinaia di Gesù Bambini colpevoli di cercare la vita. In Italia, in Europa, negli Usa, nel Mondo, rigurgiti pericolosi di fascismo stanno strozzando la fragile Democrazia e sono proprio i fascisti che difendono «la civiltà cristiana» e i valori cristiani, mentre affermano il loro razzismo.
Don Farinella, o l’ordinaria follia della neochiesa
di Francesco Lamendola
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IL CRISTIANO E' UN SOLDATO
Basta chiacchiere buoniste: il cristiano è un soldato. Essere cristiani significa militare essere dei soldati di Cristo e senza retorica. Un tempo a noi veniva insegnato che la vita è una guerra incessante fra il bene e il male
di Francesco Lamendola
A quelli della nostra generazione, che hanno appreso, da bambini, le verità cristiane attraverso il Catechismo di Pio X, un concetto era ben chiaro: che essere cristiani significa militare; significa essere dei soldati di Cristo. Senza enfasi e senza retorica. Nessuno pensava alle Crociate, nessun ci esortava ad andare in guerra; però ci veniva insegnato che la vita è una guerra, una guerra incessante fra il bene e il male; che non è possibile restar neutrali, come gl’ignavi di dantesca memoria; che bisogna prendere partito e che il cristiano prende partito per Cristo, che è il bene, e, nello stesso tempo, è anche la Verità.
Il carattere militante dell’essere cristiano non era una infiorettatura retorica, uno svolazzo letterario: era la trasmissione di una verità di fatto. Nel Catechismo della Prima Comunione e Cresima (Edizioni Paoline-Centro Catechistico, Roma, 1957) - le quali, allora, si ricevevano a distanza di pochi mesi l‘una dall’altra, e non di qualche anno, come avviene ora con la discutibile motivazione che il ragazzo deve essere maturo per ricevere la Cresima, come se, frattanto, potesse ricevere la Comunione da immaturo – c’era una paginetta dedicata al “carattere”, inteso in senso teologico, cioè come dono della grazia di Dio, e non in senso psicologico. Eccola (p. 32):
IL CARATTERE
Il fiero e splendido giovinetto che vedi nella figura [un bellissimo ragazzo vestito e armato da guerriero medievale, coi capelli rossi e dallo sguardo fiero, la spada sguainata e lo scudo levato, e con la Croce ricamata sulla veste e un’altra impressa sullo scudo stesso] è simbolo dell’anima in grazia, la quale, nel Battesimo e nella Cresima, viene come rivestita d’una splendida divisa, propria dei cristiani e dei soldati di Gesù Cristo. Una terza “speciale divisa” è riservata ai sacerdoti, a coloro cioè che ricevono l’Ordine sacro.
Ecco perché il BATTESIMO, la CRESIMA e l’ORDINE si ricevono una volta sola. Oltre che darci la grazia santificante, questi tre Sacramenti imprimono nell’anima un SEGNO SPECIALE, detto CARATTERE che non si cancella più e che consacra per sempre al servizio di Dio.
- Che cos’è il carattere?
Il carattere è un segno distintivo spirituale che non si cancella mai.
- Quale carattere imprimono nell’anima il battesimo, la cresima e l’ordine?
Il Battesimo imprime nell’anima il carattere di cristiano; la Cresima quello di soldato di Gesù Cristo; l’Ordine quello di suo ministro.
Dunque, negli anni ’50 e ’60 un bambino di otto o nove anni sapeva che cos’è il “carattere” in senso cristiano, cioè uno stato di grazia, l’ingresso della pienezza soprannaturale nella vita dell’anima; sapeva che il carattere si acquista per mezzo dei Sacramenti e si conserva, quando esso va perduto a causa del peccato, mediante il sacramento della Confessione; e sapeva che esistono tre Sacramenti, il Battesimo, la Cresima e l’Ordine, che sono come i gradini successivi di una sala che conduce l’anima verso una possesso sempre più saldo della vita di grazia. Sapeva, infine, che tutto ciò non è facile e scontato; che richiede impegno e lotte; che passa attraverso sacrifico e penitenza. Sì: perché la Chiesa, allora, insegnava il valore profondo, irrinunciabile della penitenza; predicava la penitenza e vi insisteva affinché fosse chiaro che, senza di essa, l’anima non potrebbe mai trovarsi nelle condizioni giuste per aprirsi al mistero e al dono della grazia. Pertanto, un bambino di otto anni sapeva quel che la maggior parte dei cristiani al giorno d’oggi – vorremmo sbagliarci, ma temiamo di non sbagliare affatto – ignora quasi completamente: che avere la fede cattolica è un dono e, nello stesso tempo, un impegno per tutta la vita; che quell’impegno è indelebile e inestinguibile; e che, a un dato momento, potrebbe richiedere anche il cimento supremo, ossia il martirio.
Nessun masochismo in ciò, nessun autolesionismo, nessuna mania suicida, conscia o inconscia: psicanalisti, tranquillizzatevi; freudiani e junghiani di tutto il mondo, rilassatevi: semplicemente, seguire Gesù Cristo significa prendere la Croce, e la Croce può voler dire anche il martirio, se non in senso fisico, in senso morale. Quello che stanno subendo, oggi, i Francescani e le Francescane dell’Immacolata, è l’equivalente di un martirio morale: e il bello, anzi il brutto, il bruttissimo, è che lo stanno subendo ad opera della loro stessa Chiesa, ad opera del papa; e che lo stanno subendo in un silenzio assordante e nell’indifferenza di tutto il mondo cattolico. Nessun intellettuale di grido, nessun cattolico di peso si è rivolto al papa, per chiedergli: Ma che cosa hanno fatto? Di che cosa sono colpevoli, infine? Anche ammesso che il loro fondatore abbia delle responsabilità, perché tanto accanimento contro tutti quei giovani e quelle giovani, pieni di zelo e di fervore religioso? I Grillo, i Melloni, i Cardini, gli amici ed ammiratori del papa, coloro che ne intonano le lodi ad ogni pie’ sospinto, perché non gli hanno mai chiesto: Santo padre, qual è la ragione per cui i Francescani e le Francescane dell’Immacolata subiscono un trattamento così duro? Preferiscono volare più in alto, quegli illustri personaggi, e non amano immischiarsi nelle basse faccende di alcune centinaia di religiosi e religiose, probabilmente dalla cultura assai modesta rispetto alla loro, e, per giunta, guardati con sospetto perché, si dice, troppo attaccati all’Immacolata e al carisma di san Francesco e di padre Kolbe. Ah, sì, san Francesco: stavamo quasi per dimenticare: nessuno deve oscurare il carisma francescano di papa Francesco; nessuno può esser e più francescano di lui: che sia questa, la ragione recondita della loro persecuzione?
Questa vicenda ci ricorda che il cristiano è un soldato impegnato in una guerra su tre fronti: perché gli attacchi possono venire dall’esterno, cioè dai nemici della Chiesa che stanno fuori di essa; da dentro la Chiesa, perché le mele marce ci sono anche fra il clero, e, anzi, vi sono dei casi illustri, e più frequenti che non si creda, come quello della pluridecennale persecuzione che subì padre Pio da Pietrelcina, i quali attestano che i peggiori nemici della vita cristiana e della santità possono essere proprio dei consacrati indegni; e infine gli attacchi vengono, e vengono quotidianamente, da dentro ciascuno di noi. Nessuno è immune dalla tentazione, nessun uomo e nessun cristiano; neppure i Santi lo sono. La vera differenza fra i Santi e tutti gli altri è che essi, davanti agli attacchi delle tentazioni, non cedono, resistono e vincono: ma non vincono con le loro povere armi umane, bensì con le armi invincibili che dà loro la grazia, perché essi confidano in Dio e in Dio soltanto, mentre gli altri confidano in se stessi, ed è così che cadono miseramente, proprio quando si ritengono più forti. Nessun uomo è forte, davanti alla tentazione; nessun uomo o donna è così forte da poter resistere e vincere il peccato, fino a quando conta unicamente su se stesso. La natura umana è debole, è fragile, è incostante: fondare su di essa le speranze di condurre una vita immune dal peccato, è come voler costruire una casa sul fango di una palude. I Santi sono coloro i quali sanno umiliarsi, sanno spogliarsi del loro io, delle loro passioni egoistiche, dei loro appetiti disordinati, per donarsi interamente a Dio; e Dio li ama e li ricompensa offrendo loro la vita di grazia, che contiene tutti gli strumenti necessari per resistere alla tentazione e per essere d’aiuto e di conforto anche al prossimo. Il santo è colui che si è fatto ultimo per amare e per servire Dio e il prossimo: è l’uomo nuovo di cui parla san Paolo, che si è spogliato della sua dura scorza di egoismo per rinascere all’amore gratuito di Cristo.
La situazione che si è creata ai nostri giorni è, per certi aspetti, inedita. Gli attacchi esterni contro la Chiesa e contro i cristiani non sono diminuiti, anzi, in certe zone del mondo, e specialmente nell’area a maggioranza islamica, hanno raggiunto il culmine dell’intensità; in Europa, invece, e in genere nell’Occidente post-cristiano e secolarizzato, non si tratta più di attacchi, né, tanto meno, di persecuzioni, ma di sottile ironia, di velato disprezzo, di carriere che non procedono, di meriti che non vengono riconosciuti, di gesti e parole che devono essere repressi (un predicatore cristiano che leggeva per strada la Lettera ai Romani di san Paolo, a Londra, è stato arrestato, portato in prigione e ammonito a non offenderle mai più le persone omosessuali); inoltre, della sofferenza morale di dover vivere in una società che celebra ogni giorno un peccato mortale, come l’aborto, chiamandolo “conquista di civiltà” e praticandolo in perfetta tranquillità e quasi con indifferenza, senza che più nessuno ne parli, o sollevi il problema.
Il secondo fronte, quello della Chiesa, si è fatto più che mai minaccioso; ora non si tratta solo di singoli pastori sviati, di singoli sacerdoti che hanno perso la vocazione, e che rendono la vita dura a qualche loro sottoposto, o, magari, a qualche parrocchiano; no: si tratta di qualcosa di infinitamente peggiore: si tratta di una apostasia generalizzata che parte dai vertici della Chiesa stessa, culminata nell’esplicita eresia del (falso) papa Bergoglio, che minaccia di trascinare milioni e milioni di anime verso la perdizione, avendo completamente sovvertito l’ordine del bene e del male, giustificato il peccato senza pentimento, e praticamente ignorato il ruolo insostituibile della grazia divina. Parla ancora della grazia santificante, la neochiesa dei nostri giorni? No, per la semplice ragione che non parla nemmeno del peccato, o, se ne parla, ne parla solo per dire che la misericordia di Dio è così grande, che qualunque peccato può essere perdonato. Il che è vero, ma solo a condizione che il peccato sia seguito dal pentimento e dalla penitenza del peccatore; altrimenti, è vero il contrario: che il peccato ostinato e consapevole è l’autostrada per l’inferno. Ma anche dell’inferno, la neochiesa non parla più; e alcuni suoi esponenti hanno spinto la loro audacia fino ad asserire che nemmeno il diavolo esiste. Il che è come dare dei matti o degli imbecilli a centinaia di sacerdoti esorcisti; e, al tempo stesso, è come svuotare di significato l’Incarnazione e la Passione di Gesù: se il peccato non c’è, o se non è poi così pericoloso nelle sue conseguenze, e se non c’è l’inferno, cosa mai è venuto a fare, sulla terra, Gesù Cristo? Perché è stato crocifisso, perché è morto e poi risorto? Se si tolgono il peccato, il diavolo e l’inferno, tutto ciò non ha più alcun senso, e il cristianesimo si riduce a una bella favola in cui evapora la cosa essenziale: che Gesù Cristo si è fatto uomo per poterci redimere, caricandosi del peso dei nostri peccati.
Il terzo fronte, quello interno, è, se possibile, ancora più minaccioso del secondo. Perché la tentazione è antica quanto è antico l’uomo, basti pensare al Peccato originale dei nostri progenitori; mai come oggi, però, gli uomini sembrano aver smarrito la nozione stessa del bene e de del male, e, di conseguenza, mai come oggi hanno abbassato le difese nei confronti della tentazione stessa, e anche di quel nemico che per padre Sosa Abascal non esiste, cioè il diavolo, ma che san Pietro, nella prima delle lettere apostoliche che portano il suo nome, descrive come un leone ruggente che si aggira in cerca di anime da divorare.
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