Uno scenario suicida, efficacemente descritto in un brano tratto da un documento riservato del governo tedesco, pubblicato su Die Welt, dove si legge:
Secondo il documento dell’Università di Münster il 47% degli intervistati concorda infatti con l’affermazione che «l’osservanza dei comandamenti della mia religione è per me più importante rispetto alle leggi dello Stato in cui vivo», il 32% degli interpellati è favorevole al fatto che «i musulmani dovrebbero battersi per tornare a un ordine societario come ai tempi di Maometto»; il 36% ritiene che «solo l’Islam è in grado di risolvere i problemi dei nostri tempi»; il 20% degli interpellati dichiara che, «la minaccia che l’Occidente pone verso l’islam giustifica la violenza»; il 7% ritiene che «la violenza è giustificata per diffondere l’Islam», e via così con statistiche inequivocabili di tale tenore.
Negli ultimi tempi, la latitanza o leggerezza del governo nell’affrontare tale processo di islamizzazione ha favorito la nascita di gruppi di vigilanti anti-musulmani, che hanno portato la Bundesamt für Verfassungsschutz (BfV), l’intelligence interna tedesca, a mettere in guardia, nella sua ultima relazione annuale, circa i concreti rischi di un innesco di una pericolosa spirale di incontrollabili reazioni che potrebbero portare ad una guerra aperta tra bande contrapposte per le strade della Germania.
Il BfV ha quindi avvertito riguardo i rischi di possibili disordini civili derivanti da tale contesto di sempre più accesa contrapposizione ideologica:
La nascita di bande armate islamiche nel cuore dell’Europa e la crescente preoccupazione delle intelligence europee rispetto al possibile insorgere di conflitti etnici tra bande ideologicamente contrapposte conferma quella che è la strategia promossa e diffusa dall’ISIS on-line, da tempo, attraverso i suoi diversi network. In particolare, lo Stato Islamico ha messo a punto una studiata e sofisticata campagna di propaganda sul web fatta di video, audio, immagini e testi che vengono divulgati attraverso i principali canali di comunicazione della rete con il fine di renderli virali per reclutare combattenti, diffondere il più possibile il suo messaggio di lotta ed ottenere finanziamenti.
L’autore del testo mette inoltre in luce come il fenomeno della “bande musulmane”, seppur differenziato in base alle etnie di immigrati presenti sul territorio, sia diffuso capillarmente in tutta Europa:
Un formidabile ed inaspettato alleato, in tale processo di conquista dell’Europa, è, secondo l’autore dell’e-book, l’Europa stessa, fragile e disorientata ed in preda ad una profonda crisi economica e di identità:
Lo scenario prospettato dall’autore è quello, come abbiamo visto, condiviso oggi da alcuni rappresentanti della nostra intelligence, di una situazione di crescente conflitto sociale che inevitabilmente porterà ad uno scontro frontale tra le due fazioni, islamici ed anti-islamici:
L’Islam avanza dunque in Europa secondo due direttrici strategiche chiave, rappresentate dai suoi due bracci di azione sopra descritti «braccio di propaganda e braccio militare».
Il primo braccio rappresenta la linea “dolce”, attuata silenziosamente, grazie anche alla suicida connivenza europea, con le armi demografiche, migratorie e di propaganda; il secondo braccio militare è invece la linea “dura”, messa in pratica attraverso attentati e bande armate, finalizzate a creare una situazione di incontrollabile caos e conflitto sociale. Bisogna sperare quindi che conoscere il piano di conquista possa aiutare l’Europa e l’Occidente a prendere atto della realtà e favorire una maggiore consapevolezza del pericolo che incombe su di noi. (Lupo Glori)
https://www.corrispondenzaromana.it/cresce-in-europa-il-fenomeno-della-bande-armate-islamiche/
L’Europa si è spenta con la civiltà cristiana. La nostra civiltà è la civiltà cristiana ed ha cominciato a morire alla fine del Medioevo grazie alla Riforma luterana e alla sua sostituzione con la cultura del profitto economico di Francesco Lamendola
Che cosa è stata la civiltà europea? L’incontro fra il cristianesimo latino e lo spirito guerriero e avventuroso germanico. Da questi due elementi è nata la cavalleria, come istituzione del mondo feudale e come Weltanschauung propria dell’uomo medievale. L’Impero carolingio prima, quello ottoniano poi, traggono origine da qui; da qui traggono origine il monachesimo cluniacense e le Crociate, le cattedrali gotiche e la Divina Commedia, quanto di meglio ha saputo produrre la cultura medievale, le sue istituzioni, il suo diritto, la sua spiritualità, la sua fierezza, la sua tenacia, il suo senso del limite, la sua capacità di conservarsi e di espandersi, superando innumerevoli tempeste e risorgendo ogni volta, dopo le rinnovate invasioni barbariche - dei Vichinghi, degli Ungari, dei Saraceni -, dopo le carestie, le pestilenze, le guerre intestine, perfino i mutamenti climatici: sempre conscia di sé perché conscia dei suoi valori, del senso della vita, del legame con il trascendente, il sacro, il divino, e ingentilita dal messaggio di amore del Vangelo, che rimase sempre il termine di paragone, anche quando era disatteso, edulcorato, perfino tradito.
Ma, fra tutti gli altri elementi, quello cavalleresco resta, probabilmente, il più importante, non tanto per ciò che fu effettivamente, quanto per ciò che seppe ispirare nell’immaginario collettivo, per i sentimenti che seppe accendere, per l’energia che seppe alimentare, e del quale le opere dei romanzieri e dei poeti conservano un riflesso, ma col quale la società materiale non s’identifica assolutamente, non più di quanto il Don Chisciotte s’identifichi con il vero spirito della cavalleria. Perché l’uomo medievale fu dotato di vivissima immaginazione e seppe vedere nel mondo che lo circondava, come accade a tutti i popoli nella loro infanzia, ciò che l’uomo moderno non sa più vedere: una foresta di simboli; un linguaggio misterioso di cui egli aveva, e sia pure parzialmente, la chiave; e la chiara consapevolezza che la realtà visibile è solo una piccola parte del reale, paragonata a ciò che non appartiene alla dimensione fisica e materiale. Senza tenere costantemente presente lo spirito di cavalleria, senza ricordare l’importanza e il valore del Sacro Graal, o meglio, della ricerca del Sacro Graal (perché, per l’uomo medievale, l’impegno è più importante del risultato), non si capiscono né Carlo Magno, né san Tommaso d’Aquino, né Federico II, né Innocenzo III, né Dante, né i trovatori, né le eresie medievali, né l’arte medievale e nemmeno il pensiero del Medioevo. Al cuore dello spirito di cavalleria vi è un sentimento eroico della vita e una concezione di essa proporzionata a tale sentimento: la vita, pertanto, è vista come una prova, come una guerra, come una missione, nella quale è necessario mettere in gioco tutte le proprie risorse, fisiche, intellettuali, spirituali, morali, per combattere la buona battaglia a servizio del bene e per debellare il male, con l’aiuto di Dio; ma è, prima di tutto, una guerra che si combatte nell’interiorità dell’anima, e un uomo degno di questo nome, che sia un monaco o un guerriero, deve aver prima affrontato e vinto i propri demoni, le proprie tentazioni, le proprie debolezze, se vuol diventare degno di affrontare, a viso aperto, i nemici esterni, che poi sono i nemici dei suoi simili, della sua civiltà, della sua fede religiosa. L’ideale eroico della cavalleria sposa, infatti, il massimo della tensione individualistica, che esalta le qualità del singolo, quelle che lo distinguono e lo fanno emergere dalla folla anonima (il Medioevo non conosce il concetto di “massa”, perché non è malato, come la modernità, di egualitarismo velleitario), con il massimo del comunitarismo, nel senso che tutte le azioni e tutte le intenzioni hanno come orizzonte spirituale non la realtà dell’io, ma quella della comunità; non i bisogni dell’io, non le brame dell’io, ma i bisogni e le necessità vere e profonde della comunità, sia essa la corte del signore, o il villaggio, o il regno, o l’Impero, o la cristianità tutta, concetto molto ampio che abbraccia l’intera Europa, non solo in senso geografico, ma soprattutto in senso culturale, spirituale, religioso. Il pellegrino che va a piedi, partendo dalla Scandinavia, a Santiago di Compostela, o quello che, partendo dall’Inghilterra, si reca al santuario di San Michele Arcangelo, sul Monte Gargano, non pensa di attraversare dei Paesi stranieri, ma un’unica patria ideale. L’Europa, pertanto, comincia a tramontare quando si offusca lo spirito di cavalleria; quando il mercante e il banchiere cominciano a imporre la loro logica, la loro concezione del reale; e quando la Chiesa, che, fino ad allora, aveva sostanzialmente inglobato in sé l’ideale cavalleresco, ovviamente cristianizzandolo, viene a patti con questa nuova mentalità borghese e si predispone a quel lunghissimo processo di auto-svalutazione e di auto-liquidazione cui oggi siamo assistendo nella sua fase più clamorosa, ma che parte, in effetti, da molto lontano: precisamente, da quando essa lasciò cadere la condanna dell’usura e si adattò a un compromesso con il sistema delle banche, cercando di strappare per sé qualche vantaggio.
Vale la pena di rileggersi il bel saggio La nascita dell’Europa di Christopher Dawson (Hay Castle, Galles, 12 ottobre 1889-Budleigh Salterton, Devon, 25 maggio 1970), uno dei migliori medievisti britannici ed europei, forse non abbastanza conosciuto e apprezzato perché cattolico (si era convertito nel 1914 dall’anglo-cattolicesimo e insegnò anche Religione cattolica all’Università di Harvard, negli Stati Uniti) e perché convinto dell’importanza, per la società europea odierna, di conoscere le proprie radici, un concetto oggi sempre meno apprezzato dalla cultura dominante, relativista, internazionalista, immigrazionista, che fa di tutto per nascondere ai popoli d’Europa le loro radici appunto per poterne distruggere l’identità e, quindi, la speranza nel futuro. Dawson era uno che diceva, senza tanti giri di parole: Solo studiando la cultura cristiana noi possiamo capire com’è nata la cultura occidentale e quali sono i valori essenziali sui quali è fondata. Perciò, se vogliamo che tale tradizione sopravviva, ritengo che lo studio della cultura cristiana sia indispensabile. Riportiamo, dunque, la conclusione de La nascita dell’Europa (titolo originale: The Making of Europe: An Introduction to the History of the European Unity, London, Sheed and Ward, 1932, ripubblicato dalla Catholic University of America Press, 2003; traduzione dall’inglese di Cesare Pavese, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1959, 1969, pp. 330-333):
Questo territorio mediano [tra la Francia settentrionale e la Germania occidentale], che si estendeva dalla Loira al Reno, fu la vera patria della cultura medievale e la fonte delle sue creazioni più caratteristiche. Esso fu la culla dell’architettura gotica, delle grandi scuole medievali, del movimento di riforma monastica ed ecclesiastica e dell’ideale delle crociate. Fu il centro del tipico sviluppo dello stato feudale, del movimento comunale nord-europeo e dell’istituto della cavalleria. Fu qui che venne finalmente raggiunta una completa sintesi del Nord germanico e dell’ordine spirituale della chiesa e delle tradizioni della cultura latina. L’età delle crociate vide apparire un nuovo ideale etico e religioso, che rappresenta la trasposizione in forme cristiane dell’antico ideale eroico della cultura guerresca nordica. Nella “Chanson de Roland” troviamo gli stesi sentimenti che ispiravano l’antica epica pagana: la fedeltà del guerriero al suo signore, la gioia della guerra per la guerra, e soprattutto la glorificazione della sconfitta onorevole. Ma ora tutto ciò è subordinato al dovere di servire la cristianità e messo a contatto con gli ideali cristiani. Il caparbio rifiuto di Rolando di suonare il corno è interamente nella tradizione della vecchia poesia, ma nella scena della morte al posto dello sdegnoso fatalismo degli eroi nordici come Hogni e Hamdis c’è l’atteggiamento cristiano della sottomissione e del pentimento. “Verso la terra di Spagna egli volse la faccia, sicché Carlo e tutto il suo esercito potessero scorgere ch’era morto da valoroso vassallo con la faccia rivolta al nemico. Poi si confessò, pieno di santo zelo, e levò il suo guanto al cielo in pegno dei suoi peccati” (“Chanson de Roland”, vv. 2360-65; anche 2366-96).
È vero che l’ideale eroico aveva già trovata un’espressione nella letteratura dei popoli cristiani, soprattutto nel nobile “Lamento di Maldon” con quei grandi versi: “La mente sarà più risoluta, il cuore più indomito, il coraggio più grande, via via che perderemo la forza”. Ma qui per ora troviamo ben poca traccia di sentimento cristiano. Sopravvive intatta l’antica tradizione. Invero, per tutta l’”età oscura” la società occidentale fu caratterizzata da un dualismo etico che corrispondeva a un dualismo culturale. C’era un ideale per il guerriero e un altro ideale per il cristiano, e il primo apparteneva ancora in spirito al mondo barbarico del paganesimo nordico. Solo nel secolo XI la società militare venne incorporata nell’organismo spirituale del mondo cristiano sotto l’influsso ideale delle crociate. L’istituto della cavalleria è il simbolo della fusione delle tradizioni nordiche e cristiane nell’unità medievale, ed essa rimarrà tipica della società occidentale dal tempo della “Chanson de Roland” sino al giorno in cui, durante il passaggio della Sesia, nei tempi di Lutero e di Machiavelli, il suo ultimo rappresentante, Baiardo, “il buon cavaliere”, morirà come Rolando col viso rivolto verso gli Spagnoli. Il medioevo è infatti l’epoca del cattolicesimo nordico, e durò solamente finché durò l’alleanza tra il papato e il Nord: un’alleanza che era stata inaugurata da Bonifacio e Pipino, e rassodata dall’opera del moto settentrionale di riforma ecclesiastica nel secolo XI, moto ch’ebbe la sua origine nella Lorena e nella Borgogna. Quest’alleanza fu spezzata per la prima volta da un altro Bonifacio e da un altro re dei Franchi, alla fine del secolo XIII, ma, sebbene dopo di allora non si ricostituisse mai più interamente, tuttavia rimase la pietra angolare: dell’unità occidentale, sino a quando il papato non divenne una potenza del tutto italiana e i popoli del Nord cessarono di essere cattolici.
Ma, sebbene la cultura medievale fosse la cultura del Settentrione cristiano la sua faccia, come quella di Rolando, era rivolta verso il Sud islamico, e non c’era terra dal Tago all’Eufrate dove i guerrieri nordici non avessero versato il loro sangue. Principi normanni regnavano in Sicilia e ad Antiochia, principi lorenesi a Gerusalemme e a Edessa, principi borgognoni nel Portogallo e ad Atene, principi fiamminghi a Costantinopoli; e i ruderi dei loro castelli nel Peloponneso, a Cipro e in Siria, testimoniano ancor della potenza e dell’iniziativa dei baroni franchi.
Questo contatto con la superiore civiltà del mondo islamico e bizantino ebbe un influsso decisivo sull’Europa occidentale, e fu tra i più importanti elementi che contribuirono allo sviluppo della cultura medievale. Esso si rivelò, da una parte, nella formazione della nuova cultura aristocratica cortigiana e della nuova letteratura dialettale, e, dall’altra, nell’assimilazione della tradizione scientifica greco-araba e nella formazione di una nuova cultura intellettuale d’Occidente. Questi influssi rimasero vivi finché non li arrestò la rinascita della tradizione classica, che coincise con la conquista turca dell’Oriente e la separazione dell’Europa occidentale dal mondo islamico. Con la fine del medioevo, p’Europa volse la schiena all’Oriente e cominciò a guardare all’Atlantico.
Così l’unità medievale non era duratura, perché fondata sull’unione della chiesa e dei popoli nordici con un lievito d’influssi orientali. Tuttavia, il suo tramonto non significò la fine dell’unità europea. Al contrario, la cultura occidentale divenne più autonoma, più autosufficiente e più “occidentale” che mai. La perdita dell’unità spirituale non implicò la separazione dell’Occidente in due unità culturali esclusive e nemiche, come sarebbe certamente accaduto se essa fosse successa quattro o cinque secoli prima. A dispetto della separazione religiosa, l’Europa conservò la sua unità culturale, ma stavolta fondata più su una tradizione intellettuale comune e una comune fedeltà alla tradizione classica che non su una fede comune.
E tuttavia, pur condividendo quasi tutta l’analisi di Dawson circa la formazione della civiltà europea medievale quale risultato della fusione fra la tradizione guerriera, e poi cavalleresca, dei popoli nordici, e il cristianesimo, organizzato dalla Chiesa, dei popoli latini, il tutto stimolato da proficui contatti con l’Oriente islamico e bizantino (cioè arabo e greco), abbiamo qualche riserva da fare su ciò che egli dice circa la fine della civiltà medievale, laddove sostiene che l’Europa conservò la sua unità culturale anche dopo la perdita dell’unità spirituale e religiosa, provocata dalla cosiddetta Riforma protestante. Perché è vero quel che egli dice, che la grammatica latina, nelle scuole e nelle università, prese il posto della perduta liturgia latina nelle chiese (ovviamente, in quelle del Nord protestante, che adottarono la liturgia nelle lingue volgari fin dal XVI secolo), sicché l’unità culturale permase; ma l’unità culturale non è sufficiente a tenere in piedi una civiltà, a nostro modo di vedere, se non esteriormente e superficialmente. Il vero elemento unificatore di una civiltà, quello che fa di essa ciò che è, ossia una civiltà, una Kultur, e non solamente una cultura, una Bildung, risiede non in un fatto intellettuale, ma in un fatto essenzialmente spirituale e religioso. Per cui, venuta meno l’unità spirituale e religiosa, viene meno anche l’unità complessiva, se non, appunto, esteriormente; anzi, bisogna chiedersi se sia possibile parlare ancora di civiltà. Infatti, se è vero che il professore di latino (e di greco) prese il posto del chierico, da Londra a Palermo e da Berlino a Lisbona, ciò non fu sufficiente a rimpiazzare quel ch’era andato perso, e che era insostituibile: il sentimento della comune idealità spirituale e religiosa. Il mondo protestante incominciò a non sentire alcun legame con il mondo cattolico, perché proprio della rottura dell’unità esso aveva fatto la sua bandiera e la sua nuova ragion d’essere: non avrebbe potuto agire diversamente, senza suicidarsi. Il Nord era costretto, dalla sua stessa dinamica interna, ad andare sempre più lontano; e infatti, anche geograficamente ed economicamente, il suo sguardo si rivolse sempre più oltre l’Atlantico, e sempre di meno verso il Mediterraneo. Ciò lo rese sempre più commerciale e sempre più finanziario – e sempre meno cristiano. Sotto la vernice cristiana, il Nord incominciò a secolarizzarsi; poi, gradualmente, a divenire irreligioso, come lo è diventato, sostanzialmente, oggi. Il Sud, ripiegato su se stesso, arretrato economicamente e socialmente (nel XVII secolo vi fu un vero e proprio processo di rifeudalizzazione) cerò un compenso nel rinnovato slancio missionario e religioso: e buona parte del moto della espansione coloniale portoghese, e soprattutto spagnola, può essere letto in quest’ottica. Dal punto di vista spirituale, lo slancio missionario della Compagnia di Gesù in Paraguay, in Cina, in Giappone, alle Molucche, è certo più significativo dello slancio guerriero dei conquistadores; e anche se le sue “conquiste” furono più labili, o addirittura nulle, contribuì più di questo alla ristrutturazione spirituale del Sud cattolico.
L’Europa si è spenta con la civiltà cristiana
di Francesco Lamendola
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http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/storia-e-identita/identita-delle-nazioni-sovrane/486-europa-e-civilta-cristiana
È possibile scippare un continente? Non è solo possibile ma lo scippo è già in gran parte avvenuto. In meno di una generazione l’Italia si è svegliata in un altro Paese, che è di chi ci vuol venire una terra di facile conquista di Francesco Lamendola
SCIPPARE: il vocabolario dà la seguente definizione: derubare qualcuno per la strada, passandogli accanto di corsa e strappandogli con violenza la borsa o un altro oggetto che porta addosso, come la collana, l’orologio, eccetera. Ora, la domanda che ci stiamo ponendo, e che si stanno ponendo, probabilmente, alcuni milioni di persone, forse anche alcune decine o centinaia di milioni di persone, è la seguente: è possibile scippare ai suoi legittimi abitanti un intero continente? Il continente, qualora vi fosse bisogno di precisarlo, è il nostro, cioè l’Europa; le vittime dello scippo, i suoi abitanti, cioè gli europei, di razza bianca e di religione, o quantomeno di tradizione, cristiana; gli scippatori, i milioni e milioni di africani, asiatici e altri stranieri, i quali, al ritmo di alcune migliaia al giorno, da alcuni decenni si stanno riversando, in una maniera o nell’altra, legalmente o illegalmente, pacificamente o con un certo grado di violenza, ma più spesso sfruttando la capacità d’impietosire e di presentarsi come “disperati” in fuga da ogni sorta di calamità, nel suo territorio; i mandanti di tutta l’operazione, quei signori dell’alta finanza internazionale, come i Rockefeller, o i Rotschild, o George Soros, aventi quale obiettivo il meticciamento del mondo intero e, nel caso specifico dell’Europa, la sostituzione della sua popolazione originaria, ormai invecchiata e decadente, con una popolazione nuova, tutta extra-europea e tutta non cristiana, per lo più islamica e anticristiana (benché questo dettaglio i capi della Chiesa cattolica non l’abbiano capito e s’illudano di poter assimilare e magari convertire queste masse di stranieri), che saranno schiavi-consumatori più utili ed efficienti; i complici che la rendono possibile, anzi, che la stanno in ogni modo agevolando, sono i nostri uomini politici, i nostri capi di governo e, ripetiamo, i vertici della Chiesa cattolica, nonché un buon numero di preti di strada e di fedeli laici, ovviamente progressisti e “umanitari”. Oltre a loro, i ragazzotti e le ragazzotte delle sedicenti Organizzazioni umanitarie non governative, così preoccupati di “salvare vite” che, per evitare anche solo la possibilità che i barconi dei sedicenti profughi possano incappare in una burrasca, li vanno a prendere fin sotto le coste della Libia, con il mare piatto come l’olio, come un servizio taxi bene organizzato, o, almeno, così hanno fatto per mesi e anni, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, riversando nei porti italiani ogni genere di persone, magari prendendole in consegna direttamente dagli scafisti, mediante segnalazioni concordate, e poi restituendo loro cortesemente i barconi, affinché li possano utilizzare per un secondo e un terzo viaggio: oh, ma guai a parlar male di loro; guai a mettere in dubbio la loro buona fede; guai a dire che, se hanno tanto voglia di fare i generosi sfruttando la generosità e l’accoglienza altrui, e rifiutando, però, le regole stabilite dal governo che si prende in carico tutta questa gente, possono anche volgere la prua verso i loro rispettivi Paesi di provenienza, la Spagna, la Francia, la Germania, l’Olanda, e così via. Gli avversari di tutto questo, o, comunque, coloro che biecamente non vi si prestano, sono i populisti, i razzisti, gli egoisti, i cattivi e tutti quei falsi cristiani che non meritano di essere chiamati seguaci del Vangelo, perché non amano i loro fratelli bisognosi e sono talmente meschini da pensare che i poveri di casa propria, peraltro sempre più numerosi, dovrebbero avere quanto meno la precedenza rispetto a degli stranieri che non si sa chi siano, né da dove provengano, e nemmeno, assai spesso, che nome e quale cittadinanza abbiano, vista la loro propensione a fornire delle generalità false o, addirittura, a rifiutarsi di dichiararle, arrivando fino al punto di presentarsi, sui barconi, con i polpastrelli delle dita abrasi, per evitare di essere identificati mediante le impronte digitali: segno della loro più che probabile provenienza da qualche galera o da qualche violento misfatto rimasto impunito, ma comunque già segnalato alle autorità giudiziarie internazionali.
Scippare un continente! Ma come è possibile? Si tratta forse di fantascienza, oppure si deve intendere questa espressione come una battuta ad effetto, una semplice boutade? Via, lo sappiamo tutti che una cosa del genere non può avvenire: un continente non è mica una borsetta che si porta a tracolla, o una medaglietta che si porta intorno al collo! È semplicemente impossibile: è una cosa che non può accadere. Però, un momento: oppure lo può? Prima di rispondere, lasciamo scorrere lo sguardo sulle nostre città, sui nostri quartieri, lungo le vie e le piazze che abbiamo sempre conosciuto; poi fermiamoci a guardare le insegne dei negozi, le vetrine, entriamo nei bar, nelle trattorie, nei ristoranti, nei supermercati, nei bazar; indi saliamo a bordo degli autobus urbani, delle corriere locali, dei vagoni della metropolitana o delle ferrovie dello Stato, dei vaporetti: e osserviamo la gente che va a lavorare, la folla che si muove dalle periferie verso il centro, dalle zone rurali verso quelle urbane, e poi di nuovo, alla sera, la stessa folla che ritorna verso casa, che defluisce dalle fabbriche e dagli altri luoghi di lavoro; sostiamo davanti ai centri commerciali, nei pressi delle discoteche, attorno agli impianti sportivi, nei mercati rionali e settimanali, fra le bancarelle del pesce e quelle dei vestiti. Ebbene: saremo costretti a concludere, se abbiamo conservato sana la capacità di vedere, di capire e di ragionare, è che questi non sono più i nostri quartieri, non sono più le nostre città, non sono più i nostri negozi, le nostre corriere, le nostre stazioni ferroviarie, i nostri ristoranti; non sono nemmeno le nostre scuole, le nostre palestre, le nostre squadre dei calcio, o di pallavolo, o di pallacanestro; e questi non sono più i nostri campioni di atletica, i nostri negozianti, i nostri ristoratori, le nostre miss di questo o quel concorso di bellezza. In breve, ci accorgeremo – saremo costretti ad accorgerci - che niente è più nostro, e che noi, noi italiani, noi bianchi e noi cristiani, se per caso siamo battezzati e andiamo in chiesa, non siamo più che una variabile secondaria, e tutto sommato sacrificabile, nel quadro ormai estremamente variegato della popolazione che occupa lo spazio fisico della Repubblica italiana. Scopriamo che non è più nemmeno necessario essere italiani per avere la cittadinanza italiana, e che, con la prossima approvazione della legge sullo ius soli, un bambino straniero non dovrà più neanche fare domanda – i suoi genitori non dovranno neanche fare domanda – affinché abbia la cittadinanza italiana: gli verrà data automaticamente, per il solo fatto di essere nato entro i confini del nostro Paese. Confini che, di fatto, non esistono più, perché, di fatto, entra ed esce chi vuole, quando vuole e in qualsiasi quantità; ma dei quali ci si ricorda allorché si tratta di premiare, con la cittadinanza appunto, delle persone che non c’entrano niente, assolutamente niente, con la nostra civiltà, con la nostra cultura, con la nostra storia, con la nostra arte, con la nostra lingua, con la nostra religione, con le nostre tradizioni, con la nostra mentalità, con le nostre leggi. Persone che non c’entrano niente e che niente vogliono entrarci: per il semplice fatto che le nostre cose non interessano loro, anzi, sovente le disprezzano, mentre la sola ed unica cosa che gl’importa è di trovare una sistemazione, di avere una sicurezza economica, per quanto precaria (almeno all’inizio), insomma di avere il frigorifero pieno e qualche cosa da mandare a casa, in attesa di essere raggiunti dalle mogli (che metteranno incinte almeno quattro o cinque volte, al preciso scopo di soverchiare la nostra popolazione), dai figli, dai genitori, dai cugini e chissà da quanti altri parenti, amici e conoscenti. Tutto, da pare nostra, in nome dell’ospitalità, dell’accoglienza, della solidarietà e di altri nobili sentimenti, zuccherosi e a senso unico, perché nessuno si prende la briga di vedere se realmente si tratta di persone bisognose, cioè se realmente fuggono da situazioni insostenibili, o se, invece, vengono qui semplicemente perché si è sparsa la voce che l’Italia è accogliente, che l’Europa è generosa, che i cristiani sono abbastanza fessi da ospitare tutti, e da non capire che una tale generosità all’ingrosso viene accetta, sì, del resto come cosa pressoché dovuta, forse in riparazione dei crimini del colonialismo, e quindi senza neanche perder tempo a ringraziare, anzi, gettando in terra con disprezzo il patto della pastasciutta, se il menu dei centri di accoglienza non risulta soddisfacente; ma, nello stesso tempo, viene letta come una prova della loro debolezza, della loro paura, della loro volontà di arrendersi, di alzare bandiera bianca, di sottomettersi al primo che voglia prendersi il loro vecchio e stanco continente.
Tutto questo è accaduto in tempi molto brevi: meno di una generazione. In meno di una generazione, l’Italia degli italiani si è svegliata in un altro Paese, un Paese che è di chi ci vuol venire, una terra di facile conquista, dove la gente gira per la strada ostentando il massimo disprezzo per le nostre consuetudini e anche per le nostre leggi: donne velate e irriconoscibili, con il burqa che nasconde interamente i viso e il corpo, se ne vanno tranquillamente in giro per la strada, spingendo la carrozzina con l’ultimo nato, e portandosi dietro gli altri due, tre o quattro bambini più grandicelli; e uomini che le seguono a distanza, con lo sguardo truce, di sfida, pronti ad attaccar lite con il primo che osi, non diciamo chiedere perché non rispettino la legge, che vieta, in teoria, persino di girare in strada con il casco da motociclista, ma anche solo di guardare con aria interrogativa. I nostri vigili, i nostri poliziotti, i nostri carabinieri, si guardano bene dal fermare queste persone che girano in maniera illegale, e domandar loro i documenti; proprio come i controllori dell’autobus o del treno si guardano bene dal domandare il biglietto ai viaggiatori stranieri. Oltre al fatto che rischiano di farsi staccare un braccio a colpi di machete, come è avvenuto e non una sola volta, la loro preoccupazione è quella di beccarsi anche un’accusa, aperta o velata, di razzismo e d’intolleranza; di vedersi sconfessati dai loro superiori, o dai politici di turno; e di assistere alla beffa del solito magistrato di sinistra che rimette in libertà le persone da loro arrestate, magari in flagranza di reato – spaccio di droga, prostituzione, furto o rapina – e di trovarsi davanti gli stessi personaggi, per la strada, pronti a rider loro in faccia, o a denunciarli a loro volta, per maltrattamenti immaginari. Analogamente, maestre e professori, nelle scuole, subiscono quotidiane umiliazioni davanti a gesti e parole di sfida dei figli di stranieri, i quali, sentendosi spalleggiati dai loro genitori, e anche, paradossalmente, dai loro stessi colleghi progressisti, o dagli stessi presidi, tutti presi dalla grande ubriacatura buonista e tutti accecati dalla loro ideologia internazionalista e immigrazionista, davanti al minimo contrasto che insorga fra un alunno straniero e un insegnante italiano, non perdono neanche tempo a far domande, a cercar di capire cosa sia successo, ma passano direttamente a fare le scuse al povero ragazzino e ai suoi familiari, e a sanzionare quell’insegnante così palesemente inadeguato, per il quale non di rado, oltre a infliggergli una ritenuta sullo stipendio e una nota di biasimo professionale, arrivano a domandare una visita psichiatrica, per appurare se costui, per caso, non sia diventato pazzo. E tutto questo mentre si fanno sparire dalle aule i crocifissi, si sopprime l’usanza del presepio, si rinuncia alle canzoni di Natale, per non parlare della santa Messa, in quelle scuole che avevano l’abitudine di osservare tutte queste tradizioni, o anche alcune solamente: non sia mai che gli arroganti italiani si permettano d’imporre ad altri i loro modi di pensare e di vivere; non sia mai che manchino di rispetto e di tatto verso i musulmani, o i sikh, o gli indù, o i giudei, o ai buddisti, o magari, cosa più grave di tutti, verso gli atei inveterati e anticlericali. Siamo un Paese moderno e civile, cioè laico e liberale: facciamolo dunque vedere, censurando tutto ciò che ci appartiene, tutto ciò che fa parte della nostra identità, delle nostre radici, dei nostri cromosomi culturali (e anche biologici; ma specialmente questo, per carità, guai a dirlo, anche solo sottovoce!), e accogliendo invece a braccia aperte e con grandissimi sorrisi di benvenuto tutto ciò che è straniero, e che, per il solo fatto di provenire dall’Asia o specialmente dall’Africa, continenti infinitamente più civili del nostro, sarà certamente assai migliore, tanto che dovremmo solo ringraziare tutte queste brave persone che vengono finalmente a portarci un po’ di civiltà, a noi barbari, a noi cattivi, figli dell’oscurantismo e dell’Inquisizione, dell’intolleranza e delle Crociate, dei campi di concentramento e delle camere a gas.
E ora proviamo a rispondere alla domanda che ci eravamo fatta, se sia possibile scippare un intero continente ai suoi legittimi abitanti; e proviamo a rispondere, se davvero ne abbiamo il coraggio, che no, non è possibile, che si tratta di una cosa assurda e inverosimile soltanto a pensarla. Ma sì che è possibile, invece; e non solo possibile, ma reale ed attuale; e non solo attuale, ma già in gran parte compiuta; non solo compiuta, ma ormai pressoché impossibile da modificare, da rimediare, da correggere. Chi fermerà il flusso incessante alle frontiere? Chi rimanderà indietro tutti quanti non hanno alcun titolo, alcun diritto di rimanere? Chi indurrà quelli già presenti a tornare nei rispettivi Paesi di provenienza, e sia pure sovvenzionandoli, cioè pagando migliaia di euro, purché facciano le valigie? Chi proteggerà i nostri pensionati che vivono nei quartieri degradati, i nostri ragazzi che escono la sera per un po’ di legittimo svago, i nostri bambini che frequentano le scuole ove fra poco saranno in minoranza? Chi aiuterà i nostri piccoli commercianti, i nostri artigiani, i nostri piccoli imprenditori a reggere la concorrenza implacabile di questi stranieri che tengono aperti i locali notte e giorno, ma che non investono un euro nella nostra economia? È così: ci hanno scippato l’Europa...
È possibile scippare un continente?
di Francesco Lamendola