Mons. Antonio Livi risponde ai nostri lettori sulle ultime polemiche
L’unico modo per uscire dalla crisi è tornare alla metafisica tomista
Cari Amici, essendoci arrivate molte richieste a riguardo del testo di mons. Antonio Livi intitolato “L’eresia al potere”, pubblicato da Sandro Magister nel suo sito, e a seguito delle polemiche avanzate da chi non solo non conosce i fatti, ma neppure si sforza di capire la situazione, abbiamo scritto direttamente a mons. Livi di aiutarci a darvi una risposta più diretta e verace. Ringraziando mons. Livi (al quale assicuriamo sempre la nostra Preghiera e affetto filiale) per l’umiltà dimostrata nell’aver risposto immediatamente alle nostre richieste, vi lasciamo leggere direttamente la sua risposta, che preghiamo tutti di riflettere attentamente e con tutta onestà intellettuale e di coscienza.
Dopo l’articolo di mons. Livi, “L’eresia al potere”, i laudatores di papa Bergoglio e delle sue “aperture” cantano vittoria: sostenendo che il magistero del pontefice regnante sia nel giusto, perché viene attaccato anche quello dei suoi predecessori. Le cose, in realtà, non stanno così. Ciò che mons. Livi denuncia è che un magistero non dottrinale ma squisitamente pastorale come quello di papa Francesco è l’effetto, non la causa, del fatto che la Gerarchia della Chiesa, dal Vaticano II in poi, ha voluto abbandonare la metafisica tomista, lasciando campo libero all’ambiguità… Mons. Livi, il più grande tomista italiano, spiega che (come già fece in tempi non sospetti in questo libro) il magistero di Benedetto XVI, come quello di Giovanni Paolo II, sono assolutamente ortodossi, in quanto non contraddicono il dogma; tuttavia, non avendo potuto — o voluto — tornare alla prassi pastorale di condannare le espressioni della falsa teologia, che rifiuta le premesse razionali della fede e la legge morale naturale, è stato facile per i modernisti impossessarsi dei posti di potere nella Chiesa e da queste posizioni diffondere l’eresia in tutte le sue forme.
Care direttrici,
vi ringrazio della cortese missiva con la quale mi date l’occasione di chiarire la mia posizione.


1) La santità di un papa (presunta o riconosciuta canonicamente) non implica l’esaltazione acritica di ogni sua azione pastorale, soprattutto se una data azione pastorale di un papa è contraria a quella di altri papi altrettanto santi: ad esempio, san Giovanni XXIII, nel celebre discorso di inaugurazione dei lavori del Vaticano II (Gaudet Mater Ecclesia) dice il contrario di quello che diceva san Pio X riguardo alla condanna degli errori moderni in materia di fede e di morale. Ragioniamo: se san Pio X viene da oltre un secolo criticato e vituperato dai teologi progressisti (che lo dipingono come un despota ottuso che non ha capito le istanze della modernità), perché non si può formulare qualche rispettosa critica nei confronti di chi ora, da Papa, apre invece le porte al modernismo e non condanna, anzi esalta i suoi rappresentanti (Rahner, Kasper, Gutiérrez, Ravasi, Forte et ceteros quosdam)? So che a questa mia domanda retorica viene di solito opposta una risposta sfuggente, in chiave di mero storicismo dialettico, la quale però non regge alla critica storico-dogmatica, quella che io faccio servendomi della mia competenza in materia di logica aletica.
2) La dottrina sulla fede nella Rivelazione è il punto in cui ci si gioca l’ortodossia o l’eterodossia. L’errore sul modo di intendere la fede, sia come ciò che bisogna credere per la salvezza («fides quae creditur») sia come l’atto di assenso dell’intelletto alla verità rivelata («fides quae creditur»), è l’errore di fondo, è all’origine di tutte le eresie. Il modernismo è la più grave minaccia alla fede cattolica proprio per questo errore iniziale. L’interpretazione modernistica della fede non è innocente e innocua, perché stravolge il senso della rivelazione divina e la verità del del dogma proposto dalla Chiesa, che non può essere interpretato con categorie logiche contrarie a quelle utilizzate dal Magistero fino al Vaticano I (1870). In questo senso, non è logico esaltare san Giovanni Paolo II quando favorisce l’indifferentismo religioso (dottrina già più volte condannata) con la riunione ecumenica di Assisi, e poi denigrarlo quando riporta all’attenzione dei teologi la dottrina sulla fede del Vaticano I, come fece con l’enciclica Fides et ratio (14 settembre 1998), enciclica che la Santa Sede, all’epoca di Benedetto XVI, considerò come un infortunio, una specie di “passo indietro” nel progressivo allontanamento dal dogma del Vaticano I. Per questo specifico motivo, l’autorità accademica della mia Università, la Lateranense (che ha il titolo di “Università del Papa”), decise di relegare nel dimenticatoio la Fides et ratio, impedendomi di illustrarla sistematicamente attraverso una cattedra apposita, al servizio degli studi di Filosofia e di Teologia.

4) Questo è infatti il senso delle mie osservazioni critiche sul modo con il quale i papi del Concilio e del post-concilio hanno gestito la marea montante del modernismo, con le sue eresie e il suo programma di riforme: eresie e riforme che oggi, dopo un secolo di progressiva conquista del potere, si configurano sempre più chiaramente come una “luteranizzazione” della Chiesa cattolica. Anche se l’eresia al potere mi accusa di “attaccare il papa” o di “negare l’autorità del Concilio”, nessuno può documentare queste accuse citando i miei discorsi e i miei scritti. Io dico pubblicamente e scrivo tutto i contrario: dico che nessun Papa è finora incorso in eresia, e nessun documento conciliare contiene dottrine formalmente eretiche. Negli atti del Vaticano II e dei papi che si sono susseguito dal 1965 ad oggi ci sono molti insegnamenti di carattere dogmatico, anche se di intonazione pastorale: non sono nuovi dogmi ma sviluppano in modo omogeneo i dogmi del tempo pre-conciliare. Così anche nelle encicliche di Paolo VI e di Giovanni Paolo II. Ma tutto ciò non toglie che l’eresia dilagante non abbia trovato nei documenti del Concilio e negli atti pontifici successivi una sanzione esplicita e una condanna formale, ma anzi abbia trovato molta accondiscendenza nelle idee e nelle persone. Questo è indubbiamente vero, è documentato già abbondante mente e può esserlo ancora di più, e farlo umilmente notare a chi potrebbe fare qualcosa di più e di meglio non è offensivo né eversivo dell’ordine costituito nella Chiesa.
ANTONIO LIVI (4 gennaio 2018)
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