NUOVE ERESIE E BESTEMMIE CONTRO IL SANTISSIMO SACRAMENTO: UN DOCENTE DI TEOLOGIA SACRAMENTARIA NEGA LA TRANSUSTANZIAZIONE E PARAGONA LA SS.MA EUCARISTIA AD UN BOTTONE O AD UN BIGLIETTO DELL'AUTOBUS.
Dogma datur christianis,
quod in carnem transit panis,
et vinum in sanguinem.
L'eretico Andrea Grillo, noto per aver già più volte negato il dogma della Transustanziazione (qui), ha pubblicato ieri, suMunera (qui) l'articolo di un non meno eretico Manuel Belli, professore di Teologia Sacramentaria al Seminario di Bergamo, dal titolo Eucaristia: corpo, pasto ed eros. Uno scritto indecente e sacrilego, che vuol esser il primo essay della rubrica Nuova teologia eucaristica curata dallo stesso Grillo.
Il saggio di Belli, che per accidens risulta essere un sacerdote cattolico, è un vergognoso monumento all'ipocrisia ereticale, che farisaicamente afferma di credere nella dottrina sulla Presenza Reale ed al tempo stesso dimostra con le proprie argomentazioni di impugnarla, stravolgendone il significato e giungendo a profferire vere e proprie bestemmie contro il Santissimo Sacramento.
Ciò che scandalizza in questa orrida silloge di spropositi teologici è la superficialità e l'irriverenza con cui l'empio levita tratta una materia che dovrebbe esser proposta con umiltà e sacro timore. Tanta irriverenza, invero, è indice di una non minor mancanza di rispetto verso l'augusto Sacramento, cuore della Chiesa e sua stessa ragion d'essere.
Ho appreso sul blog di Anonimi della Croce (qui) la notizia di questa scandalosa pubblicazione, e con questo mio commento desidero denunciarla, non tanto perché mi aspetti che la Gerarchia prenda provvedimenti, dal momento che essa stessa pare condividerli e farsene promotrice; quanto per metter sull'avviso i fedeli cattolici, quotidianamente scandalizzati da proposizioni non solo temerarie, ma decisamente eretiche ed empie.
Si noterà il costante e deliberato uso, da parte tanto di Grillo quanto di Belli, delle iniziali minuscole per le parole che si riferiscono al Santissimo Sacramento: eucaristia, corpo di Gesù, messa, presenza reale. Questa scelta, peraltro opinabile sotto un profilo meramente ortografico, rivela la faziosità di entrambi, che non ritengono di dover mostrare rispetto verso il Signore sacramentato, sotto l'alibi di una trattazione distaccata e pretestuosamente scientifica, intendendo invece ridurlo a mero simbolo.
Nelle poche righe introduttive, Grillo scrive: “In un post di alcune settimane fa identificavo una serie di limiti nel linguaggio teologico della tradizione cattolica, legato ad una comprensione statica e astratta della presenza del Signore Gesù Cristo, del suo corpo e del suo sangue, nella cena eucaristica”.
Si noti che Grillo parla di cena eucaristica, mentre la Santa Messa non è una cena, come affermano i Protestanti ed i Modernisti, bensì la ripetizione incruenta del Sacrificio del Calvario, di cui l’Ultima Cena fu viceversa mistica anticipazione. Nostro Signore, in quella occasione, disse: “Quod pro vobis tradetur – Qui pro vobis effundetur”, “Che sarà offerto per voi – Che sarà sparso per voi”, usando appunto il futuro, poiché la Passione sarebbe avvenuta l’indomani.
“Dal punto di vista storico il Concilio risponde alle tre contestazioni dei riformatori riproponendo con equilibrio la dottrina tradizionale sull’eucaristia”.
Belli parla degli eretici protestanti chiamandoli riformatori, titolo ch'essi rivendicano arrogantemente per se stessi contro la Chiesa, come se la diffusione dell’errore fosse opera di riforma, e non causa di dannazione per le anime, oltre che di offesa alla divina Maestà. Disquisire della Presenza Reale chiamando riformatori coloro che la negano, rivela sin dall'inizio le vere ed implicite intenzioni dell'estensore del saggio.
“Sacrosanctum Concilium ci ricorda infatti che le categorie di interpretazione teologica non sono l’unico luogo di comprensione dell’eucaristia, la quale essenzialmente può essere considerata "nei suoi riti e nelle sue preghiere"”.
I farneticamenti blasfemi di questo sedicente professore di Teologia Sacramentaria traggono forza da documenti conciliari; ancora una volta si dimostra, per stessa ammissione di questi eretici, che la legittimazione dei loro errori risiede principalmente nei testi del Vaticano II, ed in particolare in quella Costituzione sulla Sacra Liturgia che venne usata come riferimento per la successiva riforma liturgica partorita da Bugnini con l'ausilio di pastori luterani.
Lo stesso Grillo, nel suo saggio Presenza reale e transustanziazione: congetture e precisazioni (qui), ha citato Sacrosanctum Concilium a supporto delle proprie affermazioni: “La concentrazione sulla ‘presenza sostanziale sotto le specie’ ha distratto profondamente dalle altre forme di presenza del Signore, nella Parola, nella preghiera, nella assemblea (cfr. SC 7)”, senza voler considerare che la presenza reale di Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento non è minimamente paragonabile alla presenza spirituale nella proclamazione della Parola di Dio, nella preghiera, né tantomeno nell'assemblea. Ed è significativo che egli non menzioni la presenzaministeriale di Cristo nella persona del sacerdote, col chiaro intento di mettere in ombra il Sacerdozio ordinato per privilegiare il sacerdozio comune dei fedeli teorizzato da Lumen Gentium.
Prosegue Belli: “Non è allora questione di "dire diversamente" o addirittura "contro" rispetto ai contenuti classici sul trattato dell’eucaristia, ma di iniziare a dire "altro"”.
E' evidente che se dire qualcosa diversamente sull'Eucaristia è temerario, dire altro è eretico, allorché questo altro deve mettere in secondo piano - se non addirittura negare - l'aspetto principale ed essenziale del Sacramento Eucaristico e della Messa.
“Non sono riflessioni "contro" alcuna dottrina classica... semmai sono "contro una teologia del contro" che, se prova ad avventurarsi su terreni inediti, legge immediatamente polemica ed eterodossia”.
L’affermazione della Verità cattolica impone per logica e per coerenza anche la formulazione di condanne degli errori che ad essa si oppongono. Questo atteggiamento di don Belli presuppone l’intenzione di non voler considerare come precipuo compito di vera Carità – intesa come Virtù teologale – non solo di istruire l’ignorante, ma anche di ammonire l’errante, mostrando l’errore perché quello non vi cada e questo lo abbandoni. In tal senso, queste argomentazioni contro la teologia del contro - guarda caso sempre ammiccanti agli errori protestanti - suonano come polemiche verso la dottrina insegnata dalla Chiesa e come palesemente eterodosse.
“Vorremmo però attenerci a un livello di constatazione: non è difficile naufragare in considerazioni semi-magiche: «Il prete dice "questo è il mio corpo"; io non vedo e non tocco nessun corpo ma solo del pane e del vino; prendiamola per buona!» Non dobbiamo nascondercelo: spesso nella tradizione abbiamo rischiato di porre talmente tanta enfasi sull’idea che quel pane e quel vino non sono più tali ma corpo e sangue di Gesù e sul fatto che i sensi non devono ingannare anche se vedono solo pane e vino che abbiamo rischiato di pensare in modo un po’ magico alla realtà della presenza del corpo di Cristo”.
Attribuire una valenza magica all’azione del ministro validamente ordinato che consacra con retta intenzione le specie del pane e del vino significa umiliare il più santo Miracolo della Fede cattolica, accettando che l’ineffabile prodigio operato dal sacerdote per ordine di Nostro Signore – “Ogni volta che farete questo, lo farete ricordandovi di Me” – possa esser giudicato con il criterio del miscredente o dell’empio. E quando nel corso della storia lo stesso celebrante o altre persone ebbero a mettere in dubbio la validità della Transustanziazione e della Presenza Reale, si verificarono centinaia di miracoli (qui) volti proprio a confermare la Fede nel dogma santissimo custodito gelosamente dalla Chiesa.
Le affermazioni di Don Belli ricordano in modo inquietante quell’orribile balocco protestante che, durante la persecuzione dei Cattolici in Inghilterra, venne giudicato così offensivo da esser proibito addirittura dal Sovrano, capo della setta anglicana. Quel giocattolo infernale, conosciuto ancor oggi come Jack on the box, consisteva in una scatola da cui usciva un pagliaccio azionato da un congegno a molla, al pronunciare le parole “Hocus pocus” (infame deformazione della formula consacratoria), per schernire la fede dei Cattolici nella Transustanziazione. I Protestanti tramandano fino ai giorni nostri quelle parole blasfeme, come formula magica da stregoni: è sconcertante che Belli riconosca una qualsivoglia serietà ad un'obiezione inconsistente, frutto dell'empietà che caratterizza gli eretici ed i nemici della Chiesa.
“Una storia un po’ triste potrebbe aiutarci a comprendere meglio. Un padre era stato deportato in campo di concentramento con la figlia, che però non è sopravvissuta al terribile viaggio. Il padre, prima di separarsi dal corpo della figlia, ha strappato un bottone dal suo cappotto e l’ha portato con sé. Quando si è dovuto a sua volta spogliare e le guardie gli hanno intimato di aprire la mano che stringeva il bottone, egli si è rifiutato e ha pagato con la vita questo rifiuto. La guardia ha preso il bottone dalla sua mano e l’ha gettato via con disprezzo. Ora, cosa era per quel padre quel bottone, se non il corpo della figlia? Forse, senza evocare un caso così drammatico, tutti abbiamo nei nostri cassetti o nei nostri diari quel biglietto di autobus, quell’oggetto, quella lettera che ti ricorda quella tal persona a cui sei affezionato. Non è un po’ il suo corpo, ciò che ti lega a lei nell’attesa di un incontro?”
Queste similitudini sono assolutamente inaccettabili, perché confondono due piani completamente diversi: da una parte vi è l'attribuzione di un valore affettivo e simbolico ad un oggetto, trasferendo su di esso l'attenzione e gli affetti di colui che questo richiama alla memoria dei vivi. Senza ricorrere a discutibili argomenti evocativi dello sterminio nazista - che suonano stucchevoli e non scevri di quella facile captatio benevolentiae verso il popolo ebraico che tutto presume di ammantare di sacro timore reverenziale - si può dire che un analogo sentimento viene riconosciuto dalla Chiesa per le reliquie dei Santi, che sono custodite e venerate perché ci ricordano le virtù di cui essi brillarono in vita, talora fino al martirio. Stranamente l'accenno al culto delle reliquie, non così distante dall'aneddoto citato da Belli, viene scrupolosamente taciuto, dal momento che è in odio agli eretici dei quali egli surrettiziamente cerca di difendere le tesi. Così Belli preferisce paragonare la Ss.ma Eucaristia ad un bottone o ad un biglietto di autobus, bestemmiando Iddio e scandalizzando i semplici.
Ma nel Santissimo Sacramento non veneriamo una reliquia, né un simbolo evocativo. Adoriamo invece la divina presenza di Nostro Signore perpetuantesi nella Messa su questa terra, dopo la Sua Resurrezione ed Ascensione al cielo: una divina presenza che è reale, e non meramente simbolica. Il pane eucaristico non rappresenta il Corpo di Cristo, lo è, mentre Belli adotta la dottrina eretica dellatransignificazione (cambiamento di significato) al posto della Transustanziazione (cambiamento di sostanza). Non stupisce che i seguaci di tale eresia non ritengano di dover genuflettere dinanzi all'augusto Sacramento, né che la riforma conciliare abbia soppresso la genuflessione che precede l'Elevazione, quasi a significare che la presenza di Cristo si realizzi in virtù dell'approvazione dei fedeli, e non per le parole stesse del sacerdote.
Queste similitudini sono assolutamente inaccettabili, perché confondono due piani completamente diversi: da una parte vi è l'attribuzione di un valore affettivo e simbolico ad un oggetto, trasferendo su di esso l'attenzione e gli affetti di colui che questo richiama alla memoria dei vivi. Senza ricorrere a discutibili argomenti evocativi dello sterminio nazista - che suonano stucchevoli e non scevri di quella facile captatio benevolentiae verso il popolo ebraico che tutto presume di ammantare di sacro timore reverenziale - si può dire che un analogo sentimento viene riconosciuto dalla Chiesa per le reliquie dei Santi, che sono custodite e venerate perché ci ricordano le virtù di cui essi brillarono in vita, talora fino al martirio. Stranamente l'accenno al culto delle reliquie, non così distante dall'aneddoto citato da Belli, viene scrupolosamente taciuto, dal momento che è in odio agli eretici dei quali egli surrettiziamente cerca di difendere le tesi. Così Belli preferisce paragonare la Ss.ma Eucaristia ad un bottone o ad un biglietto di autobus, bestemmiando Iddio e scandalizzando i semplici.
Ma nel Santissimo Sacramento non veneriamo una reliquia, né un simbolo evocativo. Adoriamo invece la divina presenza di Nostro Signore perpetuantesi nella Messa su questa terra, dopo la Sua Resurrezione ed Ascensione al cielo: una divina presenza che è reale, e non meramente simbolica. Il pane eucaristico non rappresenta il Corpo di Cristo, lo è, mentre Belli adotta la dottrina eretica dellatransignificazione (cambiamento di significato) al posto della Transustanziazione (cambiamento di sostanza). Non stupisce che i seguaci di tale eresia non ritengano di dover genuflettere dinanzi all'augusto Sacramento, né che la riforma conciliare abbia soppresso la genuflessione che precede l'Elevazione, quasi a significare che la presenza di Cristo si realizzi in virtù dell'approvazione dei fedeli, e non per le parole stesse del sacerdote.
“Con l’occhio dell’amore può succedere almeno quello che è successo per quel padre e il bottone della figlia. È tutto ciò che abbiamo del corpo di Gesù, e non è poco. Solo un vuoto intellettualismo potrebbe pensare che un simbolo è soltanto una realtà di serie B”.
Se fosse in virtù dell'occhio dell'amore che si verifica la prodigiosa conversione della sostanza del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, si dovrebbe inferire che l'assenza di esso renda inefficaci le parole del sacerdote: questa sì che sarebbe magia e superstizione, a meno che questa presenza di Cristo non sia intesa in senso meramente simbolico, così che può succedere almeno quello che è successo per quel padre e il bottone della figlia. Non è chi non veda che questa aberrazione dottrinale sottintende uno stravolgimento radicale della dottrina, secondo il procédé tipico della neo-chiesa, che sconfessa nella prassi pastorale ciò cheobtorto collo non è ancora riuscita ufficialmente a negare nella teoria.
L'affermazione di don Belli rende inutile ed insensata l’adorazione del Santissimo Sacramento che è dovuta non in virtù di un sentimento opinabile e personale del fedele, ma per la realtà della Presenza sostanziale intera, in Corpo, Sangue, Anima e Divinità del nostro Dio e Signore Gesù Cristo. Ripeto: non è l’atteggiamento soggettivo del fedele a creare una realtà simbolica, bensì la potenza del Sacramento istituito da Dio che, per mezzo del sacerdote, muta realmente il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo, mantenendone tuttavia le apparenze sensibili. D'altra parte, che atto di fede compirebbe il fedele, se esso fosse mosso non dall'umile sottomissione dell'intelletto e della volontà all'autorità di Dio, ma dalla prova dei sensi? Se vedessimo l'ostia tramutarsi in un pezzo di carne, e il vino in sangue, la nostra fede sarebbe comunque mossa dal miracolo, ma non avrebbe la purezza che invece ha quando riconosce la fallibilità dei sensi e si affida interamente a ciò che il Signore ci ha insegnato e ci ha comandato di credere. Ovviamente, laddove la fede sia intesa in senso modernista come vago sentimento religioso, tutto questo non avrebbe senso, e sarebbe necessariodemitizzare le invenzioni e le sovrastrutture medievali della Chiesa, riportandole ad una presunta purezza originaria.
Se fosse in virtù dell'occhio dell'amore che si verifica la prodigiosa conversione della sostanza del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, si dovrebbe inferire che l'assenza di esso renda inefficaci le parole del sacerdote: questa sì che sarebbe magia e superstizione, a meno che questa presenza di Cristo non sia intesa in senso meramente simbolico, così che può succedere almeno quello che è successo per quel padre e il bottone della figlia. Non è chi non veda che questa aberrazione dottrinale sottintende uno stravolgimento radicale della dottrina, secondo il procédé tipico della neo-chiesa, che sconfessa nella prassi pastorale ciò cheobtorto collo non è ancora riuscita ufficialmente a negare nella teoria.
L'affermazione di don Belli rende inutile ed insensata l’adorazione del Santissimo Sacramento che è dovuta non in virtù di un sentimento opinabile e personale del fedele, ma per la realtà della Presenza sostanziale intera, in Corpo, Sangue, Anima e Divinità del nostro Dio e Signore Gesù Cristo. Ripeto: non è l’atteggiamento soggettivo del fedele a creare una realtà simbolica, bensì la potenza del Sacramento istituito da Dio che, per mezzo del sacerdote, muta realmente il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo, mantenendone tuttavia le apparenze sensibili. D'altra parte, che atto di fede compirebbe il fedele, se esso fosse mosso non dall'umile sottomissione dell'intelletto e della volontà all'autorità di Dio, ma dalla prova dei sensi? Se vedessimo l'ostia tramutarsi in un pezzo di carne, e il vino in sangue, la nostra fede sarebbe comunque mossa dal miracolo, ma non avrebbe la purezza che invece ha quando riconosce la fallibilità dei sensi e si affida interamente a ciò che il Signore ci ha insegnato e ci ha comandato di credere. Ovviamente, laddove la fede sia intesa in senso modernista come vago sentimento religioso, tutto questo non avrebbe senso, e sarebbe necessariodemitizzare le invenzioni e le sovrastrutture medievali della Chiesa, riportandole ad una presunta purezza originaria.
“È difficile immaginare cosa vedremo quando potremo veramente contemplare il corpo del Signore, ma forse non vedremo qualcosa di molto diverso rispetto a un pane spezzato e a un buon calice di vino”.
Qui siamo alla bestemmia, specialmente con quella indecente espressione “un buon calice di vino”, come se si trattasse di una degustazione o di un brindisi da osteria. E questa visione vergognosamente orizzontale e sacrilega del Santissimo Sacramento è frutto diretto del concetto di “cena” che nasce dall’eretico art. 7 della Institutio Generalis Missalis Romani promulgato da Paolo VI, e poi modificato senza cambiare però il rito che da quella concezione eretica era informato e plasmato:
“La cena del Signore, o messa, è la sacra sinassi o assemblea del popolo di Dio, presieduta dal sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore. Vale perciò eminentemente per questa assemblea locale della Santa Chiesa, la promessa del Cristo: "Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt. XVIII, 20)”.
Giova ricordare che esso fu poi corretto come segue, proprio a causa della sua erronea formulazione del concetto stesso della Messa:
“Alla messa, o cena del Signore, il popolo di Dio si raduna sotto la presidenza del sacerdote che rappresenta il Cristo, per celebrare il memoriale del Signore o sacrificio eucaristico. Per conseguenza per questa assemblea locale della Santa Chiesa vale la promessa del Cristo: "Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt. XVIII 20). In effetti, alla celebrazione della messa, nella quale si perpetua il sacrificio della Croce, il Cristo è realmente presente nell'assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola sostanzialmente e in maniera ininterrotta sotto le specie eucaristiche”.
Rimane, come si vede, la definizione della Messa come cena del Signore, e quell'infelice riferimento alla presenza di Cristo nell'assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola, ma almeno è precisato che in essa si perpetua il sacrificio della Croce.
Qui siamo alla bestemmia, specialmente con quella indecente espressione “un buon calice di vino”, come se si trattasse di una degustazione o di un brindisi da osteria. E questa visione vergognosamente orizzontale e sacrilega del Santissimo Sacramento è frutto diretto del concetto di “cena” che nasce dall’eretico art. 7 della Institutio Generalis Missalis Romani promulgato da Paolo VI, e poi modificato senza cambiare però il rito che da quella concezione eretica era informato e plasmato:
“La cena del Signore, o messa, è la sacra sinassi o assemblea del popolo di Dio, presieduta dal sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore. Vale perciò eminentemente per questa assemblea locale della Santa Chiesa, la promessa del Cristo: "Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt. XVIII, 20)”.
Giova ricordare che esso fu poi corretto come segue, proprio a causa della sua erronea formulazione del concetto stesso della Messa:
“Alla messa, o cena del Signore, il popolo di Dio si raduna sotto la presidenza del sacerdote che rappresenta il Cristo, per celebrare il memoriale del Signore o sacrificio eucaristico. Per conseguenza per questa assemblea locale della Santa Chiesa vale la promessa del Cristo: "Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt. XVIII 20). In effetti, alla celebrazione della messa, nella quale si perpetua il sacrificio della Croce, il Cristo è realmente presente nell'assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola sostanzialmente e in maniera ininterrotta sotto le specie eucaristiche”.
Rimane, come si vede, la definizione della Messa come cena del Signore, e quell'infelice riferimento alla presenza di Cristo nell'assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola, ma almeno è precisato che in essa si perpetua il sacrificio della Croce.
“Uno sguardo come quello di Madre Teresa di Calcutta, di Giovanni Paolo II o di frère Roger di Taizè non sfigurano accanto all’eucaristia”.
Si noti l’accostamento blasfemo tra creature (compreso un eretico come frère Roger Schutz, fondatore di una comunità ecumenica) e Creatore, e l’uso ostinato della minuscola nella parola “eucaristia”.
Si noti l’accostamento blasfemo tra creature (compreso un eretico come frère Roger Schutz, fondatore di una comunità ecumenica) e Creatore, e l’uso ostinato della minuscola nella parola “eucaristia”.
“La messa è un pasto ritualizzato. Vero: possiamo fare molto meglio nella celebrazione perché questa dimensione divenga particolarmente evidente” […] “A messa prima di tutto si mangia”.
La Messa (con la maiuscola!) è un sacrificio ritualizzato, non un pasto. Il sacrum convivium si ha quando il sacerdote ed il fedele si nutrono del Pane degli Angeli. E si noti che, per la dottrina cattolica, la consumazione del Sacrificio è operata dal solo celebrante, mentre la comunione dei fedeli è accessoria (ancorché lodevole), ma non essenziale alla Messa. Significativamente il Concilio ha di fatto abolito la pratica della comunione fuori dalla Messa, perché considerando la Messa una cena, essa non ha senso se i convitati non mangiano. Ma la Messa non è una cena, e chi lo afferma è eretico. La comunione fuori dalla Messa, inoltre, sottolinea il permanere della Presenza Reale nel Ss.mo Sacramento anche dopo la fine del rito, cosa che i Protestanti negano assieme ai Modernisti: per questo i templi luterani non hanno il tabernacolo; per questo nelle chiese moderne esso non si trova più in posizione centrale, sull’altare, sotto la Croce, ma viene confinato in un angolo.
Vorrei enfatizzare anche la portata eversiva delle parole “possiamo fare molto meglio nella celebrazione perché questa dimensione divenga particolarmente evidente”: esse rivelano l'intenzione di procedere, ancor più di quanto non abbia fatto il Novus Ordo, in direzione della concezione conviviale del Sacrificio Eucaristico, premessa necessaria alla promulgazione del rito ecumenico ormai annunciata ufficialmente. Se infatti la Messa dovesse mantenere la propria valenza sacrificale, essa non potrebbe essere accettata dai Protestanti; viceversa, sostituendo o indebolendo questo aspetto a vantaggio della concezione luterana, non vi sarebbero ostacoli alla sua condivisione con gli acattolici. Anche la dottrina che la Messa si applichi a suffragio dei defunti ripugna agli eretici: una cena non può certo sfamare le anime purganti, né servir loro per espiare le colpe commesse in vita. Come si vede, la manomissione delle verità sulla Messa e l'Eucaristia mina dalle fondamenta l'intero edificio cattolico.
La Messa (con la maiuscola!) è un sacrificio ritualizzato, non un pasto. Il sacrum convivium si ha quando il sacerdote ed il fedele si nutrono del Pane degli Angeli. E si noti che, per la dottrina cattolica, la consumazione del Sacrificio è operata dal solo celebrante, mentre la comunione dei fedeli è accessoria (ancorché lodevole), ma non essenziale alla Messa. Significativamente il Concilio ha di fatto abolito la pratica della comunione fuori dalla Messa, perché considerando la Messa una cena, essa non ha senso se i convitati non mangiano. Ma la Messa non è una cena, e chi lo afferma è eretico. La comunione fuori dalla Messa, inoltre, sottolinea il permanere della Presenza Reale nel Ss.mo Sacramento anche dopo la fine del rito, cosa che i Protestanti negano assieme ai Modernisti: per questo i templi luterani non hanno il tabernacolo; per questo nelle chiese moderne esso non si trova più in posizione centrale, sull’altare, sotto la Croce, ma viene confinato in un angolo.
Vorrei enfatizzare anche la portata eversiva delle parole “possiamo fare molto meglio nella celebrazione perché questa dimensione divenga particolarmente evidente”: esse rivelano l'intenzione di procedere, ancor più di quanto non abbia fatto il Novus Ordo, in direzione della concezione conviviale del Sacrificio Eucaristico, premessa necessaria alla promulgazione del rito ecumenico ormai annunciata ufficialmente. Se infatti la Messa dovesse mantenere la propria valenza sacrificale, essa non potrebbe essere accettata dai Protestanti; viceversa, sostituendo o indebolendo questo aspetto a vantaggio della concezione luterana, non vi sarebbero ostacoli alla sua condivisione con gli acattolici. Anche la dottrina che la Messa si applichi a suffragio dei defunti ripugna agli eretici: una cena non può certo sfamare le anime purganti, né servir loro per espiare le colpe commesse in vita. Come si vede, la manomissione delle verità sulla Messa e l'Eucaristia mina dalle fondamenta l'intero edificio cattolico.
“Nel Medioevo sono stati codificati i precetti fondamentali della Chiesa, tra cui l’andare a messa almeno la domenica. L’idea dei precetti era quella di segnalare un minimo sotto il quale la fede era seriamente in pericolo. Il rischio è che nella storia sono divenuti "quello che bisogna fare" per dire di avere la fede, addirittura un qualcosa da offrire a Dio. L’inversione sarebbe consumata: dall’invito a sedere alla mensa dove Dio si offre, l’eucaristia diverrebbe ciò che dobbiamo a Dio”.
Non si comprende per quale motivo Belli consideri negativamente il dovere del fedele di rendere culto a Dio: l’obbligo di santificare le feste discende direttamente dal Comandamento di Dio, ed è un atto della virtù di Religione cui l’uomo è tenuto nei Suoi confronti.
Se da un lato don Belli sostiene che non ha senso sedersi a tavola per non mangiare (e che conseguentemente non abbia senso celebrare una Messa se non vi sono fedeli), dall'altro il Cattolico crede che alla Messa ci si inginocchia a contemplare Cristo che, a nome della Chiesa di cui Egli è Capo, si offre in sacrificio a Dio Padre per glorificarLo, per redimerci dai nostri peccati e far discendere sulle anime dei vivi e dei defunti la Grazia. La Messa è atto sacerdotale, atto di Cristo, al quale il fedele si unisce ad laudem et gloriam nominis sui, ad utilitatem quoque nostram, totiusque Ecclesiae suae sanctae.
Non si comprende per quale motivo Belli consideri negativamente il dovere del fedele di rendere culto a Dio: l’obbligo di santificare le feste discende direttamente dal Comandamento di Dio, ed è un atto della virtù di Religione cui l’uomo è tenuto nei Suoi confronti.
Se da un lato don Belli sostiene che non ha senso sedersi a tavola per non mangiare (e che conseguentemente non abbia senso celebrare una Messa se non vi sono fedeli), dall'altro il Cattolico crede che alla Messa ci si inginocchia a contemplare Cristo che, a nome della Chiesa di cui Egli è Capo, si offre in sacrificio a Dio Padre per glorificarLo, per redimerci dai nostri peccati e far discendere sulle anime dei vivi e dei defunti la Grazia. La Messa è atto sacerdotale, atto di Cristo, al quale il fedele si unisce ad laudem et gloriam nominis sui, ad utilitatem quoque nostram, totiusque Ecclesiae suae sanctae.
“La prima cosa che accade partecipando all’eucaristia è che ci si ritrova: la celebrazione inizia proprio con l’atto di radunarsi”.
Ecco un’altra eresia. La Messa è un sacrificio offerto dal solo sacerdote a nome della Chiesa: essa è valida anche se nessuno vi assiste fisicamente, perché tutta la Chiesa, quella trionfante in cielo e quella sofferente in Purgatorio, si inchina sull'altare, dinanzi al celebrante che offre in persona Christi la Vittima immacolata a Dio Padre. La dimensione comunitaria della Messa è un’eresia protestante fatta propria dal Concilio (anche se era già in incubazione con il cosiddetto rinnovamento liturgico sin dagli anni Trenta) e che nulla ha a che vedere con la dottrina cattolica. Coerentemente con questa impostazione, il Novus Ordo prevede che vi sia, a fianco del rito cum populo, un rito sine populo, come se l'assenza di fedeli davanti all'altare esaurisse il ruolo sociale del sacrificio, riducendolo ad una mera devozione personale del celebrante che rende superfluo - quasi ridicolo, verrebbe da pensare - anche il Dominus vobiscum cui nessuno risponde.
Anche le Messe private sono andate scomparendo, preferendo ad esse la concelebrazione, così come sono proibite dal Concilio le Messe celebrate agli altari laterali durante la celebrazione della Messa all’altar maggiore. E la Messa coram Sanctissimo, perfetta sintesi della dottrina cattolica sull'Augustissimo Sacramento dell'Altare, è stata vietata dai novatori sulla base dello stesso principio.
A conferma di questo legame intrinseco tra gli errori sulla Messa e l'Eucaristia e la formulazione nei documenti conciliari, non si dimentichi il cambiamento di simbolismo dell'altare, che con la riforma liturgica ha assunto l'aspetto di una tavola rivolta al popolo. Questo spiega anche le ragioni dell'opposizione dei novatori al ritorno della celebrazione verso l'oriente liturgico, dal momento che questa ripropone la rappresentazione sacrificale del Golgota negata da quanti le preferiscono l'aspetto conviviale di una cena.
Ecco un’altra eresia. La Messa è un sacrificio offerto dal solo sacerdote a nome della Chiesa: essa è valida anche se nessuno vi assiste fisicamente, perché tutta la Chiesa, quella trionfante in cielo e quella sofferente in Purgatorio, si inchina sull'altare, dinanzi al celebrante che offre in persona Christi la Vittima immacolata a Dio Padre. La dimensione comunitaria della Messa è un’eresia protestante fatta propria dal Concilio (anche se era già in incubazione con il cosiddetto rinnovamento liturgico sin dagli anni Trenta) e che nulla ha a che vedere con la dottrina cattolica. Coerentemente con questa impostazione, il Novus Ordo prevede che vi sia, a fianco del rito cum populo, un rito sine populo, come se l'assenza di fedeli davanti all'altare esaurisse il ruolo sociale del sacrificio, riducendolo ad una mera devozione personale del celebrante che rende superfluo - quasi ridicolo, verrebbe da pensare - anche il Dominus vobiscum cui nessuno risponde.
Anche le Messe private sono andate scomparendo, preferendo ad esse la concelebrazione, così come sono proibite dal Concilio le Messe celebrate agli altari laterali durante la celebrazione della Messa all’altar maggiore. E la Messa coram Sanctissimo, perfetta sintesi della dottrina cattolica sull'Augustissimo Sacramento dell'Altare, è stata vietata dai novatori sulla base dello stesso principio.
A conferma di questo legame intrinseco tra gli errori sulla Messa e l'Eucaristia e la formulazione nei documenti conciliari, non si dimentichi il cambiamento di simbolismo dell'altare, che con la riforma liturgica ha assunto l'aspetto di una tavola rivolta al popolo. Questo spiega anche le ragioni dell'opposizione dei novatori al ritorno della celebrazione verso l'oriente liturgico, dal momento che questa ripropone la rappresentazione sacrificale del Golgota negata da quanti le preferiscono l'aspetto conviviale di una cena.
Sconcerta che le parole vergognose di questo indegno sacerdote, riportate con malcelato compiacimento dal vituperando Grillo, si accompagnino ad insinuazioni sessuali, rivelatrici di un’indole perversa e viziosa, quasi il Signore volesse concedersi ad un turpe amplesso, anziché farsi celeste nutrimento dell’anima. Queste oscenità sull’eros dell’Eucaristia, in altri tempi, avrebbero meritato di esser punite esemplarmente dal braccio secolare. E si pensi che Belli, al pari di Grillo, ha la gravissima responsabilità, conferitagli dall'Autorità Ecclesiastica, di formare futuri sacerdoti: quale sarà l'intenzione ch'essi avranno, quando saranno sull'altare e dovranno ripetere, magari modificandole, le parole della Consacrazione?
I disgustosi seguaci di questa setta, che rivaleggiano in oscenità con i peggiori epigoni dell’eresia luterana, hanno d'altra parte in Bergoglio il loro degno vessillifero: il quale, proprio ieri, ha dimostrato simile irriverenza verso il Santissimo Sacramento con una battuta quantomeno irriguardosa sull’ubiquità di Nostro Signore nel tabernacolo (qui):
In un comunicato diffuso dall’arcidiocesi di Santiago del Cile, padre Julio racconta la conversazione avuta con papa Francesco: “’Dobbiamo fare chiasso’, ho detto al Papa – racconta il parroco – e il papa ha detto: ‘Dobbiamo fare chiasso noi perché gli altri non lo fanno’. Poi l’ho invitato ad entrare in chiesa, e lui ha detto di no, perché poi sarebbe andato a pregare nella cappella della Nunziatura ‘perché – ha detto – il Signore ha il dono dell’ubiquità’. Tutti abbiamo riso con lui.
E non è un mistero che Bergoglio non genufletta mai dinanzi al Santissimo, né alla Messa né quanto esso è esposto nell'ostensorio.
Se il fuoco della santa ira di Dio nell’abbattersi sulla Terra per ridurre in cenere i Suoi bestemmiatori dovesse bruciare anche i giusti, sarebbe mille volte preferibile ad assistere a questo vomitevole stillicidio di empietà da parte del clero rinnegato della neo-chiesa, nel silenzio complice della Gerarchia.
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