01_Apocalisse 12, la battaglia escatologica tra la Donna ed il Drago: il retroscena è nella Genesi…
Potrebbe sembrare che questa rubrica esuli dal fine proprio del nostro sito mariano ma, in realtà, non è così perché è dalle indicazioni stesse della Vergine Maria durante le sue apparizioni che si scopre l'importanza della riflessione e della meditazione sulla Sacra Scrittura a cui di frequente Ella si appella e di cui invita alla lettura sapienziale.
Nei messaggi di San Nicolas Maria Immacolata spesso, al termine delle sue parole, invitava a leggere una pericope biblica da Lei indicata che avesse attinenza con il suo messaggio.
Ad Anguera molto spesso presenta figure bibliche come modelli di fede da seguire ed invita a riscoprire i “tesori della Sacra Scrittura”.
I messaggi di Maria sono sempre profondamente biblici, come biblici sono anche i segni che Lei lascia con il suo modo di apparire, con alcune devozioni particolari che richiede, con numerose circostanze (geografiche e temporali) legate al suo manifestarsi.
Il teologo D. Foley, in un suo ottimo libro sulle apparizioni mariane, ha ravvisato in diverse apparizioni moderne un compimento delle figure antiche per cui ha potuto chiamare la Vergine Addolorata di La Salette nuovo Mosè quella di Fatima nuovo Elia, ecc.
Da suor Lucia di Fatima poi scopriamo che il contenuto il significato del Terzo Segreto “è tutto nei Vangeli e nell’Apocalisse” e in particolare nei capitoli VIII e XIII.
Vorrei allora offrire di tanto in tanto riflessioni bibliche, quelle in particolare che abbiano attinenza con i temi trattati nelle apparizioni e nei messaggi della Vergine Santissima e quelle che possono aiutarci meglio a capire il momento peculiare in cui ci troviamo. Per questo prendo come maestro il Servo di Dio don Dolindo Ruotolo.
Non che il suo commentario alla Sacra Scrittura sia il solo affidabile ma penso personalmente che, a motivo della sua notevole santità, abbia raggiunto una penetrazione delle Scritture decisamente maggiore rispetto ad altri pur validi esegeti che tuttavia fanno valere di più il dato scientifico (che di per sé non è sbagliato ma non la ritengo la migliore via da battere) su quello mistico.
I commenti di don Dolindo nutrono l’anima e guidano ad assaporare e penetrare i segreti di quella “Lettera d’amore” (come la definiva san Pio da Pietrelcina) scritta dallo Spirito Santo per la salvezza soprannaturale degli uomini.
Riferimento: Ap 12, 1-18
(L’italiano è un po’ datato scrivendo don Dolindo nel 1943-44 ma si capisce tutto integralmente per cui preferisco lasciare il testo così com’è).
EVA MANGIÒ IL FRUTTO PROIBITO E SATANA CREDÉ DI AVER VINTO; MA LA SENTENZA DI DIO LO SCONVOLSE.
Quando il settimo angelo suonò la tromba, annunciò, come si disse, un nuovo periodo o una nuova epoca della vita della Chiesa, che doveva chiudersi con l’ultima persecuzione, con il Giudizio universale e con il Regno eternamente trionfante del Redentore. Questo periodo doveva avere più fasi, ed il Signore ne traccia il quadro misterioso a san Giovanni, per tracciarlo alla sua Chiesa, affinché i fedeli che sarebbero vissuti in quell’epoca fossero stati fortificati successivamente dalla sua parola.
Il dramma grandioso che si comincerà allora a svolgere avrà qualche analogia con il dramma della lotta di san Michele contro satana, e degli angeli buoni contro i cattivi[1]. La ragione di questa analogia sta in questo. Nell’ultimo periodo della vita della Chiesa, che sarà anche l’ultimo della vita del mondo, il Signore compirà il numero degli eletti che dovranno occupare i seggi gloriosi lasciati vuoti dagli angeli caduti; satana ne avrà sentore dalle stesse grazie singolarissime delle quali sarà come inondata la Chiesa alla fine del suo sesto periodo di vita, e irromperà con tutta l’ira sua contro i fedeli per tentare di rinnovare in essi l’apostasia degli angeli ribelli, e rendere vano il disegno di Dio. Irromperà con particolare furore contro la devozione a Maria Santissima, che in quel tempo sarà grande, e produrrà la salvezza d’innumerevoli anime.
La caduta di satana cominciò da un atto terribile di orgoglio: egli si considerò nella sua bellezza angelica, e pretese di bastare a se stesso, anzi di stabilire egli un proprio regno. Voleva ascendere più in alto ed essere simile all’Altissimo. Sapeva di non poterlo essere per natura, perché creatura, e poiché fu presentato all’adorazione sua e di tutti gli angeli come prova e merito della loro fedeltà il futuro Verbo Incarnato, l’Uomo che per l’unione ipostatica sarebbe stato vero Dio, pretese per sé quell’ammirabile unione che sola avrebbe potuto renderlo come Dio; stimò nel suo orgoglio un’ingiustizia che dovesse realizzarsi in una natura inferiore alla sua, fu roso dall’invidia, si rifiutò di adorare nel fulgore della eterna luce di Dio quello che doveva compiersi nell’umiltà del giorno terreno, si concentrò tutto in se stesso e cadde, precipitò, s’inabissò come un astro spento per sempre, perché fuori dell’orbita dell’eterno Sole.
Da allora cominciò il suo odio contro quella natura inferiore, da lui contemplata nei disegni di Dio, nella quale doveva realizzarsi l’unione ipostatica; spiò il momento della sua comparsa nell’ordine del creato, la vide nell’Eden innocente e santa, l’aggredì insinuandole per dispettoso orgoglio la sua stessa ambizione, e la fece cadere per rendere vana ed impossibile l’unione ipostatica gloriosa nell’uomo.
Il suo stesso orgoglio, tremendamente smisurato come era la sua traviata natura angelica, non gli fece considerare che l’unione ipostatica si sarebbe realizzata come riparazione alla caduta dell’uomo, lusingato da lui di poter essere simile a Dio, ribellandosi, com’egli aveva fatto, alla volontà divina. Stimò che, caduto l’uomo e privato dell’elevazione soprannaturale della grazia, sarebbe stata impossibile in lui, l’unione ipostatica, ed avvicinandosi alla donna come alla creatura che gli sembrava più debole, la tentò. Accurato osservatore di quanto si svolgeva nell’Eden, non gli sfuggì il grande compiacimento che Adamo ebbe per Eva quando se la vide vicino, e pensò che quella creatura era la più adatta a sviarlo.
Satana, per il suo intelletto angelico, che non aveva perduto nella sua caduta, sapeva leggere nella creazione immensamente di più di qualunque scienziato della nostra terra; l’annebbiamento caliginoso prodottogli dal peccato gli aveva fatto perdere la capacità di scrutare i disegni di Dio nella loro luce meravigliosa, ma egli capiva ancora che le opere divine erano armonizzate da una mirabile unità che le concatenava, e le illuminava di quell’arcana semplicità che in Dio è la suprema ed infinita bellezza.
Intravide nell’uomo e nella donna dell’Eden qualcosa di più grande che due semplici creature; vide in essi i riflessi di immensi disegni e di grandiose manifestazioni della divina gloria; intravide nel medesimo caduto Adamo la figura lontana proprio di quell’Uomo Dio che egli avversò nella prova che subì, e in Eva intravide la figura di quella creatura che avrebbe dovuto vincerlo. Sentì, o presentì, che quella donna rappresentava una donna più grande e figurava un popolo, un’umanità quasi deificata dalla grazia;, non giungeva ancora a capire chi fosse, ma nel pensare al Verbo Incarnato non poté non pensare ad una donna purissima, quasi a talamo purissimo dal quale doveva venire.
Forse intravide anche la Chiesa, la donna ammirabile che doveva essere tratta dal Cuore del Verbo Incarnato, come Eva dalla costola di Adamo dormiente, e dargli nella generazione dei giusti il Corpo mistico; perciò credé di sconvolgere tutto il piano di Dio insidiando quella donna, quasi come se avesse voluto troncare l’albero nella radice, e la rese perdizione dell’uomo, pensando che una misera perduta non potesse più rappresentare un’immacolata, e una perduta nella più stolta delle ambizioni non potesse più figurare la sposa senza rughe né macchie, tutta per la gloria del suo Sposo divino.
Credé di avere raggiunto lo scopo quando vide Eva mangiare il frutto proibito e porgerlo all’uomo; ma la sentenza di Dio lo sconvolse, e si sentì preconizzare la sconfitta per la Donna immacolata che doveva sostituire Eva come Madre vera dei viventi alla grazia, e per la Sposa del Verbo Incarnato, che doveva essere Madre del suo Corpo mistico. Da allora satana si accanì contro qualunque creatura che rappresentasse la Donna fatale per lui, e cercò d’inquinare in ogni modo i rami dai quali doveva spuntare il fiore di Iesse. Forse così si spiega perché tante figure dell’Antico Testamento portano in loro i tristi riflessi di colpe dovute ad insidie diaboliche, pur non cessando di essere figure del futuro.
Contro l’Immacolata non poté nulla.
Nella pienezza dei tempi la vide come sorgere dalla bocca dell’Altissimo, primogenita di grazie prima di ogni creatura rigenerata dalla redenzione. Le si avventò contro, sperando di coglierla al varco nell’attimo nel quale quell’anima grande stava per unirsi al Corpo concepito che doveva informare, ma si sentì come schiacciare sotto i piedi di Lei, e fremette impotente. Si ricordò della parola dell’Eden e s’inabissò attendendo il momento di rivolgersi contro il Figlio di Lei, e poiché questi lo sconfisse sull’albero della croce, volse tutta la sua ira contro la Chiesa che doveva generare le anime elette, perché avessero occupato i posti lasciati vuoti dagli angeli ribelli.
L’ira tremenda di satana fu tutta contro Maria, pura creatura che doveva generare il Verbo Incarnato, e doveva essere la prima come membro purissimo del suo Corpo mistico, anzi somma e sintesi di tutto il suo Corpo mistico. Siccome però nulla poté contro Maria, perché ne fu schiacciato, la sua ira si rivolse contro la Chiesa, perché in essa credeva di poter rendere vana l’opera del Redentore e inutile la grandezza immensa dell’Immacolata.
È questo un concetto altissimo e fondamentale per farci intendere la grande visione della donna vestita di sole contemplata da san Giovanni, visione che sta al principio dell’ultimo dramma della lotta di satana contro Dio, e ne determina il motivo. San Giovanni infatti, subito dopo quella visione, vide il dragone rosso, il demonio, che insorgeva contro la donna e contro il figlio che essa stava per partorire.
Le due visioni sono una sintesi meravigliosa, degna della penna dello Spirito Santo; come il dramma che cominciava a svolgersi era una sintesi e un riepilogo del dramma angelico e di quello umano, dei tempi primissimi dei secoli terreni e degli ultimi anni del mondo.
Il settimo angelo suonò la tromba dopo la testimonianza dei due personaggi che glorificarono Dio alla fine della sesta epoca della vita della Chiesa, e dopo che le loro pene, il loro trionfo e il flagello che lo accompagnò, ebbe terminato la conversione degli uomini che sopravvissero al flagello. La purificazione della terra attraverso la grande guerra, e la purificazione della Chiesa attraverso la persecuzione rese il Corpo mistico del Redentore di un’ammirabile bellezza.
Non era ancora la bellezza dell’eterna glorificazione, la Chiesa non era ancora la Gerusalemme trionfante, della quale san Giovanni ci farà la descrizione al capitolo XXIo, ma era la smagliante bellezza della sposa del Re d’Amore, che ancora doveva generarlo nelle anime e generargli dei figli per completare il numero degli eletti.
Era la Chiesa peregrinante, tutta rifulgente della luce di Maria Immacolata, che ne fu tipo, modello e Madre quando il Redentore combatté contro satana sul Calvario, in quel mirando duello della vita contro la morte.
Note
[1] La lotta definitiva ed ultima del male contro il bene al tempo dell’anticristo, infatti, sarà lotta diabolica contro la gloria di Dio e lotta dell’orgoglio di uomini assatanati che vorranno per sempre ripudiare il Redentore.
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