(di Cristina Siccardi) Tragedia o farsa? Il Giornale dell’Arte (Umberto Allemandi & C.), il prestigioso periodico d’informazione che seleziona e riferisce i fatti e le opinioni rilevanti dell’arte nel mondo, ha annunciato ufficialmente, lo scorso 26 gennaio, una grande mostra di Andy Warhol nel cuore del Vaticano per l’anno 2019 e l’evento viene illustrato con il manifesto «Papa Pop».
Realtà o buffonata? Certamente è l’autodistruzione della Chiesa, già annunciata 50 anni fa da Paolo VI, il 7 dicembre del “mitico” 1968, un’autodistruzione che si è sviluppata sempre più, fino ad arrivare allo scenario attuale del Pontificato di Francesco. Il suicidio della Chiesa umana viene meticolosamente perpetrata a 360°.
L’arte è da sempre uno dei fattori portanti della trasmissione della Fede ed ecco che il Braccio di Carlo Magno (1.000 metri quadrati in Piazza San Pietro, progettato da Bernini) accoglierà le “opere religiose” del leader della Pop art americana, Andy Warhol, tra cui la serie ispirata all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani, ha dichiarato a Il Giornale dell’Arte: «Per noi è importante dialogare con l’arte contemporanea. Viviamo in un mondo di immagini e la Chiesa deve farne parte».
Il Vangelo parla ben diversamente: «Viviamo nel mondo, ma non siamo del mondo» (Gv 17, 14). Tuttavia, oggi come oggi, Vangelo e dottrina cattolica sono diventati pesi insostenibili per uomini di Chiesa emancipati e Pop. Nel libro di Gnocchi, Palmaro e Ferrara del 2014, Questo Papa piace troppo. Un’appassionata lettura critica (Piemme) un capitolo era intitolato proprio Una storia clerical pop.
La storia dell’arte, anche se in questo caso sarebbe più appropriato parlare di storia della pubblicità, ci aiuta a comprendere la figura e le opere del maggior interprete del movimento della Pop art. Lo statunitense Andy Warhol, pseudonimo di Andrew Warhola Jr. (1928-1987), studiò arte pubblicitaria al Carnegie Institute of Technology, l’attuale Carnegie Mellon University di Pittsburgh, per poi lavorare a New York. Il 3 giugno 1968 l’artista e femminista radicale Valerie Solanas sparò all’omosessuale Warhol e al suo compagno di allora, Mario Amaya. Entrambi sopravvissero, tuttavia la vicenda passò mediaticamente sotto tono a causa dell’assassinio di Bob Kennedy, avvenuto due giorni dopo.
Il pubblicitario morì a 58 anni, in seguito a un intervento chirurgico alla cistifellea, guarda caso subito dopo aver realizzato Last Supper, ispirato all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Nel 1984, infatti, il noto gallerista Alexandre Iolasgli aveva commissionato una “riflessione” sul capolavoro sacro a tempera grassa e altri leganti oleosi su intonaco (460×880 cm) realizzato fra il 1495 e il 1498 nel refettorio della Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, su richiesta di Ludovico il Moro.
Come per la maggior parte dei suoi soggetti, Warhol si avvicinò all’Ultima Cena attraverso delle rielaborazioni dell’originale e non all’originale stesso, fra queste c’erano souvenirs e immagini prodotte per uso commerciale. Da questo materiale il pubblicitario generò quasi 100 variazioni sul tema: dipinti serigrafati, stampe, lavori su carta. Alcune opere si appropriano interamente del progetto pittorico di Leonardo, mentre altre ne esplorano i dettagli riproducendo figure singole o gruppi con variazioni nell’orientamento, nella scala e nel colore.
Guardando questi prodotti ci si accorge subito dell’irriverenza per la commistione fra sacro e profano, fra arte che è vera arte e design commerciale. Siamo di fronte ad un enorme presa in giro: buffonate tecnicamente studiate per rapire l’attenzione del mondo e incanalare tale attenzione nella drammatica conseguenza: irridere e violentare l’Ultima cena non solo realizzata da Leonardo, ma quella vissuta da Cristo e dai suoi Apostoli. Fu così che Warhol trasformò un lavoro profondamente religioso in un cliché d’Arte Contemporanea, quella da marketing, così voluta dalla committenza e dalla critica d’arte delle lobby di potere.
Sixty Last Suppers è il prodotto che, nel progetto complessivo, maggiormente si avvicina in scala all’originale leonardesco. Warhol, con la stessa tecnica utilizzata per la lunga sequenza di icone ripetute in serie con l’ausilio dell’impianto serigrafico (fra le quali Mao Zedong, Che Guevara, Jackie Kennedy, Marilyn Monroe, Elvis Presley), ripeté 60 volte, in bianco e nero, l’immagine de L’Ultima Cena in modo che, a distanza, la tela serigrafata apparisse come un edificio modernista con la sua griglia di unità di identiche dimensioni. Sixty Last Suppers fu esposta nella leggendaria retrospettiva postuma «Andy Warhol: A Retrospective» al Museum of Modern Art a New York nel 1989.
L’improvvisa e inaspettata morte dell’autore incrementò enormemente l’interesse del mercato dell’arte, così, nella primavera del 1988, 10.000 oggetti di sua proprietà furono venduti all’asta da Sotheby’s per finanziare la «Andy Warhol Foundation for the Visual Arts». Andy Warhol era divenuto una macchina da soldi: la fama e la quotazione dei suoi lavori crebbero al punto da renderlo il secondo artista più comprato e venduto al mondo dopo Pablo Picasso.
La ripetizione fece il suo successo: su grosse tele riprodusse molte volte la stessa immagine alterandone i colori e utilizzando tinte forti e vivaci. Prendeva immagini pubblicitarie di grandi marchi commerciali (famose le sue bottiglie di Coca-Cola) o immagini d’impatto come incidenti stradali o sedie elettriche, catturando l’attenzione con scosse violente visive. Trentanove anni dopo aver incontrato Giovanni Paolo II a Roma, il geniale (dal solo punto di vista commerciale) Andy Warhol verrà dunque onorato con una mostra vaticana che includerà i quadri delle serie l’Ultima Cena(1986), le tele sul memento mori, le serigrafie di teschi, film e materiali d’archivio.
Il gesuita Henri-Marie de Lubac (accusato prima di modernismo, poi nominato da Giovanni XXIII consultore della Commissione Teologica preparatoria al Concilio Vaticano II, per divenire riferimento teologico di Paolo VI ed essere creato Cardinale da Giovanni Paolo II) affermò che l’autodistruzione della Chiesa venne portata avanti da non pochi membri della Compagnia di Gesù (cfr. F. Bertoldi, De Lubac. Cristianesimo e modernità, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1994, p. 58).
Che cosa dovremo ancora vedere da qui all’apertura della mostra di Wahrol in Vaticano? La macchina di demolizione non conosce, per il momento, alcuna tregua. E mentre la fiorentina Galleria Poggiali ha inaugurato da poco la sua nuova sede di Milano con la mostra «Lucky Ehi» di Fabio Viale, dove compare una replica della Pietà vaticana di Michelangelo, nello stesso formato, ma con un nigeriano al posto di Cristo, mille altri “artisti”, con il compiacimento del clero Pop, copiano le meraviglie della civiltà cristiana, ribaltando, beffando e sporcando gli autentici e sacri significati.
Là, sul palco di Copacabana della Gmg del 2013, decine di presuli aspettavano Francesco cantando e ballando dissennati con il rapper brasiliano Fly in un flash mob a ritmo di rock, ma il Papa Pop, che ignora il ruolo che occupa («Chi sono io per giudicare?») non ha avuto nulla da ridire. Grazie ad una Chiesa di Roma che non difende più il deposito della Fede, il mondo si fa beffe di Lei (nessun’altra religione al mondo, ad esclusione del Cattolicesimo, permette di essere oltraggiata e bestemmiata), usandola a proprio piacimento, proprio come ha fatto, nel Natale lasciato da poco alle spalle, la catena di supermercati Conad che ha regalato uno spot tragicomico, girato e prodotto da Pupi Avati e da suo fratello, che ha messo in scena un presepe dei nostri tempi, degno della migliore Pop art, allestito in un supermercato Conad, dove «ci sono le persone oltre le cose» e dove il Sommo Giudice può essere ancora schernito come duemila anni fa. (Cristina Siccardi)
https://www.corrispondenzaromana.it/mostra-clerical-pop-vaticano/
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