PADRE NOSTRO. A MILANO C’È CHI RECITA A MESSA LA NUOVA VERSIONE. UN ESPERTO SPIEGA: “TENTAZIONE” È SBAGLIATO, NELLA VECCHIA E NELLA NUOVA.
Stilum Curiae si è occupato qualche giorno fa del Padre Nostro, e delle possibili – saranno discusse dalla Cei in autunno – del fnale della preghiera. Abbiamo ricevuto la testimonianza di un lettore, che ci dice come già in almeno una parrocchia di Milano si precorrano i tempi. Di seguito vi offriamo lo studio di un altro lettore, esperto in greco e latino, che ha insegnato per quarant’anni.
“Egregio Dott. Tosatti,
Di ritorno dalla S. Messa domenicale serale, ho letto sul Suo blog il racconto “La svolta” di Alfonso Indelicato e ciò mi induce a raccontarLe quanto ho vissuto proprio durante la celebrazione della S. Messa di questa sera.
Le scrivo da Milano, dove risiedo da qualche anno dopo aver lasciato la regione nella quale sono nato e cresciuto fino all’età di 23 anni. Milano, si sa, è la locomotiva d’Italia e forse l’unica città davvero europea della nostra nazione. Essa, pertanto, funge spesso da cassa di risonanza di tutte le novità sociali che poi, da qui, si riverberano nel resto del paese. Nulla di particolarmente eccezionale se ciò riguarda abitudini e stili di vita mondani, mentre molto più interessante diventa la cosa se a essere anticipati e amplificati sono i cambiamenti di cui si discuterà nei prossimi mesi in ambito ecclesiale.
Ebbene, proprio questa sera, il sacerdote (vicario e non il parroco) della mia Parrocchia, al momento della preghiera del Padre nostro, ci ha annunciato l’imminente cambiamento della stessa invitandoci, al contempo, a seguirlo già da questa sera stessa nell’utilizzo della nuova espressione “e non abbandonarci alla tentazione” in luogo della vetusta “e non indurci in tentazione”. Da cattolico fedele al depositum fidei ho iniziato a mugugnare tra me e me alle parole del presule, ma fatto sta che questi, dopo aver fatto salire e preso per mano due ministre straordinarie che hanno successivamente partecipato alla distribuzione dell’Eucarestia in una chiesa tutt’altro che gremita, ha pregato il Padre nostro interpolandolo con la nuova traduzione. Dal canto mio sono rimasto fedele al testo insegnatomi fin da quando ero bambino e ho alzato il tono della voce al momento di chiedere a Nostro Signore di non indurmi in tentazione, con la speranza che i miei vicini di banco sentissero la dissonanza rispetto alle parole del celebrante. L’episodio mi ha sorpreso molto perché il sacerdote, che è sempre molto attento ai temi liturgici e che ha spesso pronunciato omelie profonde e toccanti ispirate ai veri valori evangelici, non si era mai presentato a noi fedeli come un presule “d’assalto” della nuova riforma ecclesiastica”….
Ed ecco il parere di un esperto di latino e greco.
“NON ABBANDONARCI ALLA TENTAZIONE”?
(Di Tommaso Guida)
Ho insegnato per quaranta anni Latino e Greco nei licei statali e, di fronte alla traduzione adottata dalla CEI del “non indurci in tentazione” in “non abbandonarci alla tentazione”, sono rimasto fortemente deluso, in quanto – a mio giudizio – la trovo inesatta; oltretutto, condurrebbe ad una interpretazione fuorviante ed evangelicamente insostenibile.
Mi spiego :
1) Il testo greco, che ci è stato trasmesso, è di per sé una traduzione : infatti Gesù non parlava in greco, bensì in ebraico/aramaico. Di conseguenza, Matteo e Luca hanno dovuto operare una trasposizione in lingua greca, e, quindi, è stato necessario scegliere tra i vocaboli a loro disposizione.
Guardiamo per es., a peirasmòs. Tale termine significa ‘prova, esperienza, esperimento’.
2) Lasciando da parte, per ora, S.Gerolamo, il cui ‘in tentationem’ ci porterebbe diritto a ‘tentazione’, consideriamo gli altri termini che in greco hanno il significato di ‘prova’.
Tra essi troviamo, ad es., bàsanos, tekmèrion, réhtra, élenkos, deīgma.
Eliminiamo subito réhtra, che significa “prova di gara”; eliminiamo élenkos = fornire una prova, mezzo di contestazione ; eliminiamo altresì deīgma = confermare con prove; eliminiamo ancora tekmèrion = da un indizio ricavo una prova. Escludiamo anche bàsanos = proviamo l’oro.
Resta peirasmòs: l’espressione, ad es., peîran dìdomi significa “dar prova di fedeltà, di amicizia”, ecc.
Ecco perché peirasmòs non può essere tradotto in italiano con “tentazione”.
3) Il rapporto tentationem/ peirasmòs viene spiegato chiaramente, ad es., con la prova – che è una vera e propria sfida – che il diavolo propone a Gesù nel deserto : se tu sei il Figlio di Dio, dammi prova, dimostrami, di esserlo trasformando queste pietre in pane, ecc. “Tunc Iesus ductus est in desertum a Spiritu, ut tentaretur / (peirastènai) a diabolo (Mt 4,1) ; et tentabatur / peirazòmenos (Mc 1,13) a satana”.
4) Anche Gesù può essere peiràzon: lo troviamo esplicitamente in Gv 6,6 ss. (moltiplicazione dei pani), lì dove Gesù intende verificare la fede degli apostoli nei Suoi confronti : ‘Unde ememus panes, ut manducent hi? Hoc dicebat autem tentans eum (sc. Filippo) : touto de élegen peiràzon autòn.
5) Consideriamo adesso l’ “in tentationem” usato da S.Gerolamo: risulta, a questo punto, che egli ha rispettato pienamente il termine greco, in quanto temptatio significa – oltre che ‘tentazione’ – prova. Es : temptavi quid in eo genere possem; ossia : verificai, misi alla prova, le mie capacità (Cic. Tusc. 1,7).
Gerolamo, osserviamo, conosceva bene non solo il latino e il greco, ma anche l’ebraico.
6) Ci domandiamo, a questo punto, per quale motivo “in tentationem” è stato tradotto, in italiano, “in tentazione”, lasciandoci nell’equivoco, quasi che il Signore potesse/possa indurci in tentazione.
La realtà è che la Chiesa, una volta abbandonato il greco, e utilizzando esclusivamente il latino, ha seguito, nel corso dei secoli, soltanto la Vulgata geronimiana, sicché ha tradotto in italiano, diremmo noi pari pari, quasi come un calco, tale parola, più per il suono che per il senso e il significato, non considerando più il testo greco, ormai in disuso.
7) Me eisenénkes hemàs eis peirasmòn. Si tratta di un congiuntivo aoristo, che ha una sfumatura tra l’imperativo negativo e l’ottativo. E’, cioè, una sorta di preghiera rivolta al Padre, come per dire: per favore, ti prego, non….S.Gerolamo – osserviamo – ha tradotto letteralmente il me eisénenkes in “ne nos inducas”: eis = in, me eisénkes = ne in-ducas.
Quindi: non “non intro-durci nella prova”, bensì non farci entrare.
Si chiede al Padre di non metterci alla prova, in quanto ci rendiamo conto di essere deboli se messi alla prova. Infatti Gesù ha detto: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione (=prova)”: ina me eiséltete eis peirasmòn (Mc 14,38); e spiega: to men pnéuma pròtumon, é de sarx astenés.
8) Per concludere : che peirasmòs significhi prova ce lo spiega lo stesso Gesù: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove (Lc 22,28)”: en tois peirasmõis / in tentationibus.
Da considerare, inoltre, che lo stesso Sommo Poeta, Dante Alighieri, nell’XI canto del Purgatorio, il canto dei superbi, nella parafrasi del Padre Nostro, usa l’espressione “Nostra virtù che di leggier s’adona, / non spermentar cò l’antico avversaro” (vv. 19-20), che i commentatori spiegano : “Non mettere alla prova la nostra virtù” (v. Bosco-Reggio ; T. Di Salvo ; G. De Rienzo, ecc.).
Pertanto, nel passaggio traduzione > interpretazione > resa in italiano, il testo – a nostro giudizio – risulta: “Non ci esporre alla prova, ma liberaci dal Maligno”.
Sì, perché noi, nella nostra sicumera, siamo sempre pronti a dire, come Pietro, “Signore, anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò mai”. Ma poi…
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