Dobbiamo tornare a parlare della virtù. La Chiesa dovrebbe essere la più interessata a custodirla, come un bene prezioso da tramandare alle giovani generazioni, ma anche agli adulti: perchè oggi ha praticamente smesso di farlo?
di Francesco Lamendola
La virtù: questa parente povera, un tempo così onorata e corteggiata, e oggi, come direbbe Dante, così dispetta e scura. Che cosa è successo? Perché la famiglia, la scuola, la società, hanno smesso di parlarne? Perché abbiamo smesso di considerarla un valore? Perché, soprattutto, abbiamo smesso di praticarla? Le parole tendono a scomparire quando scompaiono i concetti che esse designano: se non si parla più della virtù, è perché la nostra società ha smesso di crederci. Si tratta perciò di vedere se essa sia qualcosa di cui la società può prendersi il lusso di fare a meno, oppure se, al contrario, è una cosa essenziale, indispensabile per il buon funzionamento della vita sociale e anche per il bene delle singole persone.
La cosa che suscita maggiore perplessità è il fatto che la Chiesa, che dovrebbe essere la più interessata a custodire la virtù come un bene prezioso, da tramandare ed insegnare alle giovani generazioni, ma anche agli adulti, ha praticamente smesso di farlo. Non ne parla più. Parla degli stranieri e dei migranti, in primissimo luogo; poi delle persone “ferite”; paragona se stessa a un ospedale da campo, invita i sacerdoti ad "accompagnare" le persone nel loro percorso di vita, senza guardar tanto per il sottile alla meta verso cui tale percorso è diretto; ma della virtù, basta, non si dice più nulla.
Il Catechismo di san Pio X, sul quale si sono formate le generazioni che oggi hanno dai sessant'anni in su, dava questa definizione della virtù: una disposizione costante dell'anima a fare il bene. Si noti la concretezza di tale definizione: non è una disposizione dell’anima a desiderare il bene, né, semplicemente, ad amare il bene, ma a fare il bene, senza "se" e senza "ma". Perché tutti son capaci di dire che desiderano il bene e che vorrebbero farlo e vederlo realizzato, ma farlo davvero, questo significa uscire dal limbo delle buone intenzioni e impegnarsi seriamente, con tutto se stessi, verso lo scopo desiderato.
La Chiesa, oggi, o forse dovremmo dire la neochiesa, la contro-chiesa massonica e apostatica che si spaccia per la vera Chiesa di Gesù Cristo, non parla più della virtù, allo stesso modo che ha quasi smesso di parlare del peccato. Sembra che peccare sia un diritto, e che il peccatore meriti sempre e comunque la massima comprensione, tutto il rispetto possibile e una misericordia pressoché illimitata. Attenzione: è vero che, come persona, chiunque, perciò anche il peccatore, merita comprensione, rispetto e misericordia; ma il peccatore è una persona che ha deliberatamente e pervicacemente rifiutato l'amore di Dio e disprezzato la sua giustizia, e, con ciò stesso, ha anche rotto il patto di solidarietà con gli altri uomini: ha compiuto un atto di superbia e di ribellione contro il Creatore, dunque un atto illegittimo, perché ha fatto un pessimo uso del dono della libertà. Pertanto, quell'atto non merita né comprensione, né rispetto, e meno ancora misericordia: sarebbe una falsa misericordia e darebbe l'impressione, a lui e a tutti quanti, che la religione cattolica sia una cosa poco seria, dove si predica bene e si razzola male impunemente, e dove chiunque può fare tutto quel che vuole, senza poi neanche prendersi il disturbo di pentirsi dei propri peccati, e passare tranquillamente a riscuotere la misericordia e il perdono di Dio. Non è così. Il figlio prodigo, tanto volentieri citato da codesti buonisti a tempo pieno, quando torna alla casa del padre, che aveva offeso e abbandonato, si getta ai suoi piedi ed esclama, con sincero pentimento: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te! Non sono più degno di essere chiamato tuo figli. Trattami come l'ultimo dei tuoi servi.
Così come il peccato non è un diritto, previsto e garantito per statuto, ma una rottura dell'ordine voluto da Dio e mirabilmente assicurato tramite la sua infinita e sapiente Provvidenza, allo stesso modo la virtù non è un di più che viene riservato alle anime sante o agli uomini eccezionali; al contrario: la virtù è il normale comportamento che gli esseri umani dovrebbero tenere, per vivere la vita buona davanti a se stessi, al loro prossimo e davanti a Dio. Non è un lusso essere virtuosi, ma un dovere; e non è un merito eccezionale praticare il bene, bensì un dovere ordinario, cui nessuno può pretendere di sottrarsi, né in via di principio, né in via di fatto. Naturalmente, sappiamo che la natura umana è fragile e che le cadute sono sempre possibili, anzi, che sono frequenti; nondimeno, il credente sa che la forza e la perseveranza necessarie per vivere la vita buona sono un dono di Dio; che è possibile chiederlo e ottenerlo, con l’umiltà e la penitenza; e che, con l'aiuto della grazia, non vi è tentazione che non possa essere sconfitta, non vi è peccato che non possa essere evitato. L'uomo, infatti, da solo, non è niente e non può fare niente (cfr. la similitudine evangelica della vite e i tralci,Giovanni, 15, 1-8); ma, se resta unito al suo Creatore, diviene capace di far grandi cose. Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente, e santo è il suo Nome (Luca, 1, 49) dice la creatura che più di tutte si è innalzata al di sopra della fragilità umana, la Madonna, non per suo merito, ma come premio della sua immensa fede.
Forse, se la neochiesa la smettesse di paragonarsi a un ospedale da campo, se la smettesse di compatire i peccatori e di assecondare il vittimismo delle persone deboli, e ricominciasse a parlare, con spirito di carità, e quindi anche con fermezza, in maniera maschia e inequivocabile, come sempre la vera Chiesa ha fatto, del male, del peccato e della bellezza della virtù; se si rivolgesse con forza alle anime generose, accendendo il desiderio del bene e l'orrore del male nei cuori sensibili; se praticasse la virtù, con l'esempio dei suoi sacerdoti e dei suoi vescovi, e mostrasse che essa è uno stile di vita possibile, realistico, abituale, e niente affatto eccezionale; se si sbarazzasse dei preti lussuriosi e dei cardinali avidi e sodomiti, se buttasse fuori a pedate i ministri indegni, i pedofili, gli affaristi senza scrupoli collusi coi banchieri criminali, farebbe certo qualcosa di buono per le anime, per la società e anche per se stessa: perché una chiesa che non parla più della virtù e del peccato, del bene e del male, del premio e del castigo eterno, è una chiesa morta o moribonda, arrivata al capolinea, che non ha più niente da dire alla mente e al cuore delle persone. E invece che cosa vediamo, praticamente ogni santo giorno? Lo spettacolo indegno di una pseudo chiesa che giustifica e che persino glorifica il peccato; vediamo dei sacerdoti che si vantano di essere fornicatori, omosessuali, increduli, superbi, iracondi; che ostentano comportamenti discutibili, che parlano in modo tale da scandalizzare le anime, che non mostrano nemmeno un briciolo di timor di Dio, anche se si riempiono sempre la bocca con la parola “misericordia”. Ma la vera misericordia è tutt'altra cosa: è richiamare al bene il peccatore, è rappresentargli la gravità del suo peccato, e prospettargli la serietà delle sue conseguenze, per lui stesso e anche per gli altri. Il peccato non è mai solo un fatto privato: è sempre, in qualche misura, un fatto collettivo, perché le sue ripercussioni turbano l'intero ordine della creazione. Perciò il peccato, che è un male morale, diviene anche, automaticamente, una piaga sociale: e le cronache ce ne mostrano esempi innumerevoli. La corruzione politica e amministrativa, per esempio, che inceppa e turba gravemente l’ordine sociale, da che cosa deriva, se non dal fatto che moltissime persone sono corruttibili, perché hanno perso ogni senso morale? Sono diventate avide di denaro, di potere, di sesso, e perciò si lasciano comprare dal primo offerente, come se fossero bestiame al mercato: prese all’amo della loro ingordigia, della loro ambizione e della loro lussuria.
Il momento storico che stiamo vivendo riflette il sempre più grave allontanamento dell’uomo da Dio; e, nello stesso tempo, lascia intravedere un disegno oscuro, diabolico, che di tale distacco si sta avvalendo, e che lo ha largamente favorito e incoraggiato. C’è qualcosa di tenebroso, o piuttosto c’è qualcuno, dietro la decadenza morale del nostro tempo, che non è solo il frutto di uno “spontaneo” processo di secolarizzazione, iniziatosi con l’avvento della modernità, se non prima ancora, ma è anche il regista nascosto della presente decadenza. La lussuria, la superbia e l’avidità dell’uomo moderno sono state fomentate in ogni modo e, alla fine, centuplicate, da una sistematica campagna di contro-educazione mirante a distruggere il senso del bene e a far percepire come legittima la pratica del male. La letteratura, la filosofia, la sociologia, la psicanalisi, il cinema, la televisione, l’arte, il teatro, lo spettacolo, la musica, il fumetto, i giochi elettronici, e mille e mille altre cose, pubbliche e private, sono sempre più dirette, intenzionalmente, a far emergere il fondo oscuro presente nell’anima umana, e a mettere a tacere la voce della sana coscienza, insieme al richiamo di Dio.
Dobbiamo tornare a parlare della virtù
di Francesco Lamendola
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- CORDES CONTRO MARX
Benedizioni "omoeretiche", stop al cardinale sacrilego
«L’iniziativa del cardinale Marx ignora la chiara rivelazione di Dio», ha detto il cardinale tedesco Josef Cordes, già presidente dell’allora Pontificio consiglio Cor Unum, a proposito della recenti dichiarazioni del suo confratello e presidente della conferenza episcopale di Germania, Reinhard Marx.
Lo scorso 3 febbraio in un’intervista concessa all’emittente radiofonica bavarese B5, Marx aveva aperto alla possibilità di benedire le coppie omosessuali in chiesa, insistendo sulla necessità di inserirle in un processo di discernimento “caso per caso”. Le parole del presule, membro del gruppo di nove cardinali che coadiuvano da vicino Papa Francesco nel governo della chiesa, faceva eco alle parole espresse qualche giorno prima dal suo vice, monsignor Franz-Josef Bode, che si era chiesto «come ci relazioniamo» con tali coppie, magari anche «coinvolte nella vita della Chiesa» e «come li stiamo accompagnando pastoralmente e liturgicamente».
Cordes definisce l’idea di Marx senza mezzi termini: «sacrilega». Forse questo termine sembrerà un po’ vetusto alle orecchie dei moderni ascoltatori, ma il cardinale dice che «la Chiesa nella sua sollecitudine pastorale è legata alla Sacra Scrittura e alla sua interpretazione attraverso il Magistero della Chiesa» e Marx nella sua esternazione, fa notare Cordes, «non dice nemmeno che l'omosessualità contraddice sempre la Volontà di Dio» richiamando l’insegnamento del Catechismo.
Martedì è arrivata anche la reazione di un vescovo degli Stati Uniti, monsignor Charles Chaput, pastore della diocesi di Philadelphia, che è intervento sulle dichiarazioni di Marx, facendo notare che «un simile rito [di benedizione delle coppie gay] minerebbe la testimonianza cattolica sulla natura del matrimonio e della famiglia. Confonderebbe e indurre in errore i fedeli. E ferirebbe l'unità della Chiesa». Inoltre, ha scritto nel suo editoriale sul Catholic Philly, «non c'è verità, nessuna vera misericordia e nessuna compassione autentica, nel benedire una linea di condotta che allontana le persone da Dio».
Anche in Italia c’è stato il recente caso di Torino in cui era stato programmato un ritiro per coppie omosessuali guidato dal sacerdote Gianluca Carrega, responsabile diocesano della «pastorale degli omosessuali». Il ritiro, intitolato “Degni di fedeltà”, aveva come principale luogo di riflessione quello della fedeltà per coppie omosessuali, inteso probabilmente come una sorta di “bene possibile” nell’ambito di queste unioni. Peraltro, lo stesso don Carrega, aveva già espresso in passato dichiarazioni pubbliche sulla necessità di rivedere anche la pastorale dei sacramenti nei confronti delle persone omosessuali, chiedendo una riflessione alle «penitenzierie» in merito all’assoluzione in sede di confessione. Ma a Torino il ritiro è stato cancellato con intervento del vescovo Cesare Nosiglia che, tra l’altro, ha ricordato che «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie neppure remote tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia».
Eppure, il desiderio di una “benedizione” para matrimoniale per coppie gay serpeggia nella chiesa, soprattutto quella del centro nord Europa. Il vescovo di Anversa, monsignor Johan Bonny, nell’ottobre 2016 dava alle stampe un libro (Puis-je? Merci. Désolé) in cui esprimeva la necessità di aprirsi alla «evoluzione in una varietà di rituali in cui si possa riconoscere il rapporto d’amore tra omosessuali, anche dal punto di vista della chiesa e della fede».
La pietra d’inciampo per tutti questi desideri di riconoscimento e benedizione sta innanzitutto nella Bibbia, in cui si legge la condanna chiara degli atti omosessuali, quelli che il Catechismo definisce come «intrinsecamente disordinati». Non mancano però avanguardie, come ad esempio il sacerdote gesuita americano James Martin, il quale parlando recentemente agli studenti della Georgetown University avrebbe detto che le dichiarazioni di condanna presenti nella Bibbia vanno prese nel «contesto».
Il rifiuto di una qualsivoglia benedizione delle coppie omosessuali, ha detto, invece, Chaput rispondendo al cardinale Marx, «non è in alcun modo un rifiuto delle persone che cercano una tale benedizione, ma piuttosto un rifiuto di ignorare ciò che sappiamo essere vero sulla natura del matrimonio, della famiglia e della dignità della sessualità umana». C’è insomma un fatto antropologico di base che viene messo in discussione da questi promotori della “pastorale arcobaleno”, un fatto che se “contestualizzato” (o storicizzato), come vorrebbero i promotori del nuovo paradigma della morale cattolica, più che uno sviluppo pastorale rischia di mascherare una rivoluzione dottrinale.
Lorenzo Bertocchi
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