Restaurazione contro Rivoluzione? Tradizione contro Innovazione? Antico contro Nuovo? Regresso contro Progresso? L’idea peregrina di salvare Benedetto XVI per dannare Francesco I, o viceversa salvare Francesco I per dannare Benedetto XVI, trova molteplici teorici e interpreti, oltre lo sventurato comunicatore vaticano. Fioriscono anche gazzettieri e romanzieri della discontinuità, dell’interruzione, della sospensione, della frattura, della “rottura” tra i due pontificati. Ma è tutto il contrario, in realtà. E risulta impresa agevole constatare, tra Ratzinger e Bergoglio, una continuità, una coerenza, uno spirito comune, un’identica esperienza e coltura ecclesiale, un medesimo afflato, un’uguale navigazione (sia pure con diverse sensibilità e interpretazioni) sulla stessa rotta. Sono, Benedetto e Francesco, “gemelli diversi”: due lieviti nella stessa pasta, due facce della stessa medaglia, una coppia di pattinatori sul ghiaccio, i cuochi della stessa minestra riscaldata, un duo strumentale sul Titanic.
Riassumiamo in alcuni punti. Entrambi appaiono Papi:
1) del concilio Vaticano II. Ne hanno in comune il substrato. Ne condividono il clima di facile entusiasmo, la visione (sballata e illusoria), le speranze (vane), i temi (datati e sbilenchi), le argomentazioni (trite), le aspirazioni (vecchie), le ansie, i fermenti.
2) del Liberalismo. Nella parte in cui questa dottrina esalta l’individuo e le sue scelte personali a danno dell’autorità esteriore, preferisce la libertà agli obblighi, antepone i diritti ai doveri, si concentra sulla materia più che sullo spirito, sottovaluta i misteri del peccato originale e della redenzione e l’opera della grazia.
3) del Dubbio, del Sospetto, dell’Opinione. Dubbio è non vedere, tra due proposizioni contrarie o contraddittorie, ragioni sufficienti per aderire più all’una che all’altra. Sospetto è inclinare verso una proposizione senza osare aderirvi. Opinione è aderirvi, ma con il timore di sbagliare.
4) dell’Eterna Ricerca. Se fede è aver trovato, aver incontrato, la predilezione va invece a un interrogare, a un questionare, a un cercare continuo che non porta mai a nulla, a un camminare perenne che non conduce da nessuna parte. Si veda in proposito, a pag. 127 del saggio di Enrico Maria Radaelli Al cuore di Ratzinger, al cuore del mondo, il confronto tra il bergogliano “tutti, credenti e non credenti, siamo alla ricerca della verità” e una serie di simili, consonanti affermazioni ratzingeriane.
5) del Dialogo. Inteso come dibattere, discutere, argomentare infiniti, senza premesse considerate sacre e intoccabili né conclusioni ritenute assolutamente affidabili.
6) della Collegialità episcopale. In un senso nuovo, ancora non canonicamente codificato, che indebolisce e incrina il primato del Vescovo di Roma come Pietro e primo degli Apostoli, che mina alle fondamenta la pontificia potestas sull’intera Chiesa universale, quella senza limiti di estensione, “ordinaria” e “primaziale” riguardo a tutte le Chiese particolari e a tutti i loro componenti. Non è mai stata, come si pretenderebbe di far pensare, il potere di un tiranno, né quello di un monarca assoluto attento al bene comune, essendo il Sommo Pontefice obbligato a conformare la propria volontà alla logica del Cristo, al messaggio evangelico, al diritto divino.
7) del Mondialismo. Cioè con uno sguardo ossessivo a politiche, questioni, problematiche planetarie extrareligiose, anche se in principio si è stati tentati di leggere un certo eurocentrismo nel magistero di Benedetto XVI.
8) dell’Ecumenismo. Teoricamente in chiave protestante e vaticanosecondista. Praticamente inseguendo il sogno e la teoria, escogitati dai movimenti interconfessionali, di raggiungere l’unione delle chiese cristiane con una specie di confederazione. Pericolosamente prossimo al sincretismo.
9) delle Aperture. Sia Ratzinger che Bergoglio sono stati e sono, nonostante le apparenze, “aperturisti”. Il primo, certamente, soprattutto verso il passato prossimo; l’altro, indubbiamente, verso un futuro remoto.
10) della Protestantizzazione. C’è ancora qualcuno che nella Chiesa, in tutta onestà – analizzando lo scempio liturgico, la creatività pastorale, la stitichezza dottrinale – ha il coraggio di negarla?
11) del Razionalismo. Insomma, di quel sistema filosofico che mette in disparte la rivelazione divina per mantenere soltanto la ragione (umana) come strumento di conoscenza della verità.
12) del Cristianesimo secondario. Come spiega Romano Amerio (Iota unum §3) “si giudica della religione per i suoi effetti secondari e subordinati in ordine alla civiltà, facendoli primeggiare e sovraordinandoli a quelli ultramondani che le sono propri. Qui batte il concetto medesimo di civiltà e di progresso”.
13) del Riformismo. Il metodo si oppone al concetto di “rivoluzione”, che è una rottura violenta con il sistema precedente. Invece con successive, ben calibrate riforme, orientate alle modificazioni e mutazioni volute, si attua una sorta di persuasione pacifica. Dunque è stato riformista, non restauratore e non reazionario, Benedetto. Dunque è riformista, non rivoluzionario, Francesco.
14) dell’Antropocentrismo. È ormai piuttosto chiaro che la metodologia, l’epistemiologia cristiana, l’indirizzo magisteriale degli ultimi decenni hanno messo al centro l’Uomo (cioè l’essere umano, maschio e femmina) spodestando l’Onnisciente-Onnipotente dal suo trono. L’interesse principale si è concentrato sulla creatura invece che sul Creatore, l’attenzione prioritaria è andata alle situazioni, esigenze, esperienze umane, mondane, terrene.
Su queste linee concettuali, ideologiche, teologiche, Benedetto XVI e Francesco I si mostrano uguali, camminano insieme a braccetto. Se tra loro esistono differenze, sono di provenienza geografica, di corporatura, di temperamento.
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