“Oggi è il Venerdì di Quaresima e saremmo dovute andare alla chiesa latina di Bab Touma per partecipare alle funzioni religiose. Purtroppo, però, è scoppiata una rivoluzione contro il governo siriano e alcuni uomini armati hanno sparato per le vie della città. Hanno chiuso tutte le strade e ci hanno impedito di uscire. Per questo motivo abbiamo pregato in casa, con un po’ di terrore e tristezza per quello che sta accadendo in Siria”. Così scrivevano, nella loro Cronaca, le suore del memoriale di san Paolo a Damasco il 25 marzo di sette anni fa. Sette anni in cui la capitale siriana ha vissuto sotto l’incubo dei missili e dei colpi di mortaio dei ribelli lanciati dalla Ghouta orientale.
Oggi, a distanza di sette anni, la situazione è profondamente cambiata e la paura di un attacco dei jihadisti è ormai sparita. Lo scorso 24 marzo, l’esercito di Bashar al Assad è riuscito a prendere il controllo del 90 percento della Ghouta, dopo un mese di battaglia furibonda e di accordi mediati dalla Russia. “È finita, è finita” – ci dice suor Yola – “Adesso non ci attaccheranno più. Siamo pronti a festeggiare la Pasqua. Gli scout sono già usciti per strada con i loro tamburi. Siamo tornati alla vita”.
L’esercito siriano ha annientato la resistenza dei jihadisti. “Lo avevo chiesto ai miei bambini – prosegue la religiosa – Avevo detto loro di pregare affinché non ci lanciassero più i colpi di mortaio. E sai cosa mi hanno detto loro? ‘Ehi, sister: hai visto che la preghiera funziona?’. Certo che funziona, ho risposto io. Per questo non dovete mai andare a letto senza pregare”.
La data della caduta di Ghouta, secondo suor Yola, non è casuale: “Tutto è iniziato un Venerdì di Quaresima e, spero, tutto finirà a Pasqua. Guarda anche quello che è successo ad Aleppo. Quando è stata liberata? Prima di Natale. Per noi è importante. Dio non si dimentica mai della Siria”. Difficile ribattere ad affermazioni così cariche di significato. Quando si parla con i siriani, indipendentemente dalla loro confessione, si scopre che guardano ogni cosa con una prospettiva che va oltre l’umano. Ed è forse questo il segreto conservato gelosamente da questo Paese: questo mondo viene visto con occhi che vanno oltre. Con gli occhi dello spirito.
Padre Amer Kassar, parroco della chiesa Madonna di Fatima di Damasco, è indaffarato nella preparazione dei riti quaresimali: “Finalmente siamo tranquilli. Erano anni che la situazione non era così. Certo, tanti fedeli hanno lasciato Damasco per andare in Libano, a Latakia o a Tartus. Ma ci sono sempre più persone in chiesa. Noi non ci siamo mai fermati. Anche nel 2011 e nel 2012, quando le cose erano ben peggiori, abbiamo continuato a celebrare la Settimana Santa. Cambiavamo gli orari delle funzioni per evitare gli attacchi dei jihadisti, però non ci siamo mai fermati”.
La guerra ha spinto gli abitanti di Damasco a chiedersi: dov’è Dio? Perché permette il male? Perché non ferma il massacro degli innocenti? “Non è facile rispondere a queste domande – ci spiega padre Amer – Per noi è stata un’esperienza fortissima. Ma abbiamo continuato ad annunciare la Parola del Signore e a parlare di Dio”.
La guerra ha spinto gli abitanti di Damasco a chiedersi: dov’è Dio? Perché permette il male? Perché non ferma il massacro degli innocenti? “Non è facile rispondere a queste domande – ci spiega padre Amer – Per noi è stata un’esperienza fortissima. Ma abbiamo continuato ad annunciare la Parola del Signore e a parlare di Dio”.
La Pasqua ci insegna che non c’è morte senza resurrezione. Che l’ultima parola sulla morte ce l’ha sempre la vita: “Con la liberazione di Ghouta, guardiamo tutti con occhi diversi. Dopo aver vissuto la morte e la paura per i missili di Ghouta ora riusciamo a dare un senso a tutto. I damasceni hanno vissuto la morte e le resurrezione in questi sette anni. La vivevano anche quando andavano al lavoro e non sapevano se sarebbero tornati o no. Ogni mattina, quando ci svegliamo, viviamo la risurrezione. Quest’anno la Pasqua sarà la più bella degli ultimi sette anni”. La morte a Damasco è stata sconfitta.
MATTEO CARNIELETTO
A DEIR EZZOR SI RIALZA LA CROCE
A Deir Ezzor vive (o viveva) una forte minoranza cristiana, per lo più armeni discedenti dai sopravvissuti al genocidio 1915-17 perpetrato dalla giunta Dunmeh.Dal luglio 2014 le forze lealiste si sono trovate completamente isolate e circondate assieme al resto della popolazione in area governativa (si stima un numero attorno alle 100.000 unità). I rifornimenti di cibo, acqua e beni di prima necessità venivano effettuati grazie a ponti aerei coordinati dal governo di Damasco. Gli aerei americani hanno spesso bombardato le forze assediate sterminandole, e colpendo anche la popolazione, per aiutare guerriglieri. Il 17 gennaio 2016 i militanti dell’ISIS compiono una strage uccidendo almeno 300 civili, in maggioranza donne, bambini e anziani. 150 di essi sono decapitati. Altri 400 rapiti.[5]
Il 5 settembre 2017, dopo 3 anni, 1 mese e 22 giorni, l’esercito regolare siriano riesce a far breccia nella parte ovest della città, rompendo il lungo assedio e ricongiungendosi con la 137ª Brigata.[6][7][8]
Oggi liberata la città – la Stalingrado siriana – i cristiani tornano ad alzare la croce sulle rovine.
In tuti questi anni, l’Occidente ha pianto solo per i jihadisti.
In tuti questi anni, l’Occidente ha pianto solo per i jihadisti.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.