Sentenza Alfie, un segnale inquietante per tutti
Seguire il dibattimento alla Corte d’Appello di Londra sul caso Alfie ha significato partecipare a una specie di teatro dell’assurdo. Uno schieramento di giudici già abbondantemente orientato - e non lo nascondevano affatto – parlava in perfetta sintonia con il legale dell’ospedale, sfidando il minimo buon senso.
Seguire il dibattimento alla Corte d’Appello di Londra sul caso Alfie ha significato partecipare a una specie di teatro dell’assurdo. Uno schieramento di giudici già abbondantemente orientato - e non lo nascondevano affatto – parlava in perfetta sintonia con il legale dell’ospedale, sfidando il minimo buon senso. Come quando il giudice spiegava che un viaggio in aeroambulanza avrebbe aumentato i rischi per la condizione di Alfie,sorvolando sul fatto che l’alternativa ai rischi è la morte certa per soffocamento.
O come quando il giudice ha duramente stigmatizzato gli schiamazzi in ospedale causati dal tentato blitz di giovedì scorso e dalle migliaia di persone radunate all’esterno che in questi giorni hanno cantato e chiesto la liberazione di Alfie. Cattivi comportamenti non tollerati nel tempio della legge, che invece guarda con grande ammirazione il lavoro di sanitari che, dopo aver abbondantemente trascurato la cura di Alfie, oggi sono più che mai decisi a sopprimerlo.
Giudici e legali dell’ospedale hanno continuato a battere sul “migliore interesse” del bambino, da far valere anche nei confronti della volontà dei genitori; “migliore interesse” che era già stato stabilito nelle precedenti sentenze fosse la morte procurata. Ma abbiamo idea di cosa significhi stabilire che in determinati casi il “miglior interesse” di una persona sia di essere messo a morte? Quale concezione della vita si nasconde dietro una affermazione del genere?
Ieri sera Tom, il papà di Alfie, ha fatto una affermazione - «Lo Stato non è proprietario di mio figlio» - che nella sua semplicità esprime perfettamente il dramma del momento attuale. Lo Stato sedicente democratico oggi ha proprio questa pretesa: essere il nostro padrone. Come una volta l’imperatore, lo Stato moderno pretende di avere diritto di vita e di morte su ciascuno dei suoi sudditi, su ciascuno di noi. Per questo giudici e medici – solerti funzionari dello Stato – hanno dichiarato guerra a Tom e Kate. La loro ostinazione di giovani incoscienti rischia di far inceppare una macchina da guerra.
Questa sentenza, che ben difficilmente sarà ribaltata dalla Corte Suprema, sancisce proprio il diritto dello Stato a essere proprietario di ciascuno di noi.
L’avvocato degli Evans non poteva rimettere in discussione la questione del “miglior interesse”: essendo già stata oggetto delle sentenze precedenti rilanciare il tema sarebbe stato oltraggio alla Corte. Ha cercato dunque altre strade e si è appellato alla “libertà di movimento”, un diritto umano fondamentale. Incredibilmente – sebbene in linea con le assurdità precedenti – i giudici hanno negato che Alfie sia in stato di detenzione, tralasciando che la sua stanza da giovedì è piantonata da diversi poliziotti e molti altri bloccano tutte le uscite dell’ospedale.
Con tutti i casi di terrorismo accaduti in Gran Bretagna, è stato comunque una rarità questo spiegamento di forze per non far muovere un bambino di due anni.
Giustamente l’avvocato degli Evans ha ricordato il caso dell’Irlanda, dove le donne possono andare ad abortire all’estero malgrado l’aborto sia vietato in Irlanda. Avrebbe anche potuto aggiungere che la libertà di circolazione nell’Unione Europea è il grimaldello usato dalle organizzazioni Lgbt per poter far riconoscere le unioni gay anche nei paesi (che sono la maggioranza) che non le hanno legalizzate.
La risposta del giudice è stupefacente: negando questo diritto in quanto le condizioni sanitarie di Alfie non possono migliorare, in pratica ha sancito che la libertà di movimento vale soltanto se c’è possibilità di miglioramento della propria situazione. Per Alfie questa prospettiva non c’è per cui deve essere messo subito a morte. È un principio nuovo che oltretutto favorisce l’arbitrarietà delle decisioni.
Tutti questi fattori messi in evidenza dicono comunque dell’immenso potere che si sono presi gli Stati, del totalitarismo in cui ormai siamo abbondantemente scivolati. E non si creda che la questione riguardi soltanto i disabili in Gran Bretagna. Pensiamo a cosa sta accadendo nelle scuole italiane a proposito di ideologia gender e progetti di educazione sessuale.
Ormai il valore assoluto della persona – eredità della civiltà cristiana - sta diventando un ricordo del passato, per lasciare il posto a un totalitarismo violento che schiaccia le singole persone, come nel caso di Alfie in Inghilterra e il caso di Vincent in Francia.
Lo aveva ben predetto il Santo Giovanni Paolo II che nella enciclica Veritatis Splendor (1993), dopo aver parlato della caduta del comunismo afferma: «Si profila oggi un rischio non meno grave per la negazione dei fondamentali diritti della persona umana e per il riassorbimento nella politica della stessa domanda religiosa che abita nel cuore di ogni essere umano: è il rischio dell’alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità.
Infatti, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere.
Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia».
È quello che stiamo vivendo; la vicenda del piccolo Alfie ci aiuti almeno a prendere coscienza di quanto sta accadendo per fermare questa barbarie.
Riccardo Cascioli
http://www.lanuovabq.it/it/sentenza-alfie-un-segnale-inquietante-per-tutti
Ecco chi sono i protagonisti della battaglia di Alfie
La vera anima sono i giovani e la gente della classe popolare di Liverpool. È lì che la Provvidenza è andata a pescare per dare le prime scosse alle fondamenta del potere eugenetico e tracotante. Seguendo Thomas e Kate, i genitori di Alfie, si capisce perché.
- RIVIVI LA DIRETTA DELL'UDIENZA E DELLA SENTENZA
- ore 16: UN PRETE ITALIANO NELLA STANZA DI ALFIE, di B. Frigerio
- CASO ALFIE, COSA C'È IN GIOCO, di Riccardo Cascioli (English II Español)
-VINCENT, LA BATTAGLIA LEGALE E L'APPELLO DEI MEDICI di Luisella Scrosati
Già alle dieci di ieri mattina la folla delle persone che da giorni sostengono fuori dall’ospedale la battaglia della famiglia di Alfie Evans, per la difesa della vita in ogni sua condizione e stadio, era presente. La maggioranza sono giovani toccati profondamente dalla testimonianza di Thomas e Kate, ventenni come loro. Guardando la dedizione con cui protestano, cantano, fanno fiaccolate fino a sera tarda, si capisce che quando un giovane trova una proposta all’altezza del suo desiderio sa fare grandi cose. Thomas, il padre di Alfie, con loro ha stretto amicizie fraterne, da loro si fa aiutare e aiuta.
Davvero pare che la provvidenza abbia scelto come vessillo della sua battaglia la gente semplice, unita a due genitori e al loro Alfie per dire “no” ad un sistema sanitario eugenetico e corrotto, che priva il popolo dei propri diritti fondamentali. Thomas sta facendo scuola testimoniando cosa vuol dire essere uomini, mariti, padri. La gente lo guarda, lo segue e ama Alfie come fosse figlio proprio.
Durante l’udienza i manifestanti hanno cantato senza interruzioni per incoraggiare i genitori del piccolo: «Rilasciate Alfie Evans, Ti amiamo Alfie». Thomas fa su e giù dalla stanza del suo piccolo (detenuto da due poliziotti al quinto piano dell’Alder Hey Hospital) per sapere cosa sta succedendo in tribunale. Gli diciamo che il processo è folle, che è palese che i giudici non sono imparziali, anzi sembrano l’accusa. Lui alza le spalle: «Tanto facciamo ricorso, non è finita qui». Kate pare più tranquilla, quando scende a pranzare con le amiche gioca con i bambini nell’hall. È molto materna, protettiva nei confronti di Thomas e di conforto per lui. Si sostengono a vicenda. E se le chiediamo quando è meglio far entrare nella stanza di Alfie don Gabriele, venuto dopo aver letto che nessun sacerdote aveva impartito l’unzione degli infermi, Kate ci risponde che «decide Thomas».
Sorprende vedere la semplicità sana conservata da questo spaccato della classe popolare di Liverpool, fatta di mamme giovanissime con figli e di famiglie numerose. Sostanzialmente gente socievole ma spiccia, incapace di troppi convenevoli. Pensando agli educati “safe space” delle università inglesi (che permette agli studenti di stare a riparo da opinioni diverse dalla propria affinché non restino traumatizzati) viene da credere che chi è poco istruito e non frequenta le chiese, dove alcuni sacerdoti hanno mostrato di agire come funzionari di Stato, conserva una capacità di vivere e di giudicare la realtà di gran lunga superiore a chi ha studiato e magari va in parrocchia ma la pensa come il mondo.
Per crederci basta paragonare le affermazioni di Thomas alla sentenza dei giudici che ieri hanno respinto le argomentazioni della difesa: «Trasferire nostro figlio che è stabile è un rischio, ma rimuovere un supporto vitale e farlo soffocare no? Dov’è la logica? Mi dicono che devo affrontare la realtà. Lo sto facendo da 15 mesi. Non è vero che non accettiamo la morte, ma non vogliamo decidere noi quando deve venire».
Ma di questa gente colpisce anche la fede, pare ne abbiano più loro dei sacerdoti che si sono rifiutati di venire quantomeno a confortare la famiglia. Thomas invece ha portato padre Gabriele nella stanza di Alfie, contento perché «questa è più potente di una benedizione, vero padre?». Il sacerdote gli ricorda che il sacramento è la presenza reale di Cristo che può guarire, ma che «la salvezza che reca sempre è quella eterna». Thomas alza le braccia è risponde: «È vero, non ho mai potuto portare Alfie in chiesa. Beh ho portato la Chiesa da Alfie». Padre Gabriele ci racconta che nella stanza di Alfie Thomas gli ha mostrato le preghiere che recita quando veglia su di lui e che «se Thomas si avvicina il bimbo reagisce (in una delle foto scattate il piccolo ha gli occhi aperti). Poi lo bacia ovunque, si vede che lo ama molto».
Più tardi lo zio di Thomas ci mostra un video appena girato: Alfie alza il braccio da solo, si muove, sbadiglia. In un secondo apre gli occhi. È bellissimo, vive, cresce, lotta. È un’evidenza che solo l’ideologia può oscurare. Thomas commenta: «Lo vedi come è forte?». Ma proprio in quel momento arriva la sentenza definitiva: «Il giudice riassume i motivi per cui la Corte Suprema ha rigettato gli argomenti dei genitori di Alfie riguardo al diritto di spostare Alfie in un ospedale di Roma».
L’ospedale si riempie di polizia più del solito. Thomas è pallido, stanchissimo. Ci abbraccia. La hall si riempie di amici. Circa un’ora più tardi prende la forza, suo padre abbraccia l’ottavo dei suoi nove figli e lo incoraggia mentre sta andando a fare quello che ama poco, parlare alla stampa. Thomas ringrazia chi ha manifestato per suo figlio fuori dall’ospedale. Poi, tremante, si arrabbia per la bugia detta dall'Alder Hey alla polizia per fermare il trasferimento di Alfie giovedì sera. L'ospedale aveva detto che «il bambino era stato posto sotto la tutela della corte». E denuncia «le visite controllate dalla polizia…la sua dignità è stata lesa, è stato separato da sua mamma e suo papà...rubandoci dei momenti preziosi».
Poi spiega che dopo l’ordine ricevuto dall'ospedale di non dormire più nella stanza del bambino «abbiamo visto le infermiere addormentarsi nella sua stanza», con filmati che lo dimostrano. Il ragazzo sottolinea anche l’assurdità di chi sostiene di fare “il miglior interesse di Alfie”, quando abbiamo diverse evidenze del fatto che l’Alder Hey ha agito al contrario», ad esempio, «lasciandolo con i tubi della ventilazione pieni di muffa». Vogliono «eliminarlo perché hanno fallito nella diagnosi», continua.
Infine, asciugandosi le lacrime, la sfida: «Vogliamo che sappiano che non possono distruggerci, non ci arrenderemo mai. Alfie, la sua famiglia e tutti i nostri sostenitori sono più forti che mai, non ti moleremo mai Alfie». Boato. Non si sa come andrà a finire, ma una cosa si vede già, la quantità di giovani smossi dal sacrificio di questo indomabile “Spartaco” e della sua Kate che sostenuti dalla forza di migliaia di preghiere e aiuti affrontano da mesi ogni giorno avvocati, giornalisti, pressioni senza mai retrocedere. Non solo qui in Gran Bretagna ma anche in Italia, dove ragazzi e famiglie si sono radunati per pregare o vegliare nelle piazze. Questa battaglia nasce da una preferenza di Dio per Alfie, ma non è solo per lui. È per tutti quelli che sono o diventeranno padri e madri e per tutti i loro figli.
Benedetta Frigerio
http://www.lanuovabq.it/it/ecco-chi-sono-i-protagonisti-della-battaglia-di-alfie
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