Italia, l’asilo nido dei migranti
Il tema dei flussi migratori e della loro conseguenza in Italia è stato un leit motiv durante la campagna elettorale ed è uno dei punti cardinali nel “contratto” stilato tra Lega e 5 Stelle.
Giungono a proposito, dunque, le analisi sull'argomento elaborate all'inizio del mese di Maggio da ISPI (Istituto per gli studi di Politica Internazionale) e ISMU (Iniziative e Studi Sulla Multietnicità). I due Enti (privati) non intendono esprimere né giudizi né ricette ma si limitano alla raccolta di dati statistici, utili a chi dovrà (se potrà) decidere sull'argomento.
E' chiaro a tutti che il mondo attuale si trova di fronte a numerose e sempre più frequenti migrazioni di massa, ma è altresì evidente che, proprio a causa dei numeri molto elevati, tali spostamenti di persone hanno un impatto rilevante nei Paesi e tra le popolazioni di arrivo. Nessuno pensa che sia possibile eliminare totalmente il fenomeno ma tutti, di qualunque parte politica, rilevano che in qualche modo vada disciplinato.
Veniamo ai numeri.
Per quanto riguarda l'Italia, è indubbio che gli accordi sottoscritti dal Ministro degli Interni uscente Marco Minnitti con il governo e alcune tribù libiche abbia contribuito a ridurre notevolmente la quantità degli sbarchi. Se nel 2015 i migranti arrivati sulle nostre coste furono 153.842 e nel 2016 ben 181.436, nel 2017 si sono ridotti a 119.369. Anche nel primo trimestre del 2018, pur in costanza di diminuzione, ci sono stati nuovi arrivi e, paragonando solo le cifre dei primi trimestri, ne abbiamo avuti 22.590 nel 2016, 37,915 nel 2017 e 18.916 nel 2018.
Occorre però notare che è invece aumentato il numero dei minori non accompagnati e che la maggior parte di loro ha presentato richiesta di asilo.
Tali domande sono aumentate sia per i maggiorenni sia per i minori (forse per la consapevolezza del sicuro rifiuto alle frontiere di chi intendeva soltanto "passare" per l'Italia) e sono state 83.970 nel 2015, 123.600 nel 2016, e perfino 130.119 nel 2017. Durante i rispettivi anni le richieste esaminate sono state 71.117, 91.102, e 81.527.
In tutta l'Unione Europea, l'Italia è il secondo Paese per numero di domande per protezione internazionale dopo la Germania ma noi abbiamo il primato in Europa tra i minori stranieri non accompagnati che richiedono asilo.
Nei tempi necessari per l'esame delle domande ci sono variazioni significative che sono andate crescendo nel corso degli anni. Mentre nel 2015, probabilmente in ragione di un numero inferiore di richieste, da noi erano necessari mediamente dieci mesi per una decisione di prima istanza, in Svezia ne servivano 13 e in Germania 16 mesi, nel 2017 il tempo necessario per una decisione in Italia è diventato superiore ai 18 mesi, in Germania sono sceso a 15 e in Svezia a 12.
Occorre notare che esiste un'enorme differenza nella nazionalità dei migranti che arrivano in Italia rispetto agli altri Paesi europei: mentre in Germania le prime tre cittadinanze riguardano siriani, afgani e iracheni, in Francia l'ordine è afgani, siriani, sudanesi.
Nel nostro Paese, invece, il maggior numero di migranti richiedenti asilo è costituito da nigeriani, seguiti dai bengalesi e dai pakistani.
Nonostante la diminuzione degli arrivi, è notevolmente aumentato il numero dei migranti ospitati nelle strutture di accoglienza italiane (con relativi costi a carico dei contribuenti): erano meno di 100.000 nel 2015 e sono diventati quasi il doppio nel 2017.
Tra le ragioni del malessere dei cittadini italiani verso il fenomeno migratorio che assedia le nostre coste si evidenziano due aspetti:
- Davanti all'impegno di ricollocamento in altri Paesi UE di circa 35.000 individui (sui 350.00 circa arrivati ufficialmente tra il 2015 e il 2017) assunto da tutti i Paesi dell'Unione, solo 12.614 sono stati realmente accettati prima del 18 aprile 2018. Nel frattempo, le spese italiane per la cosiddetta "emergenza migranti" nel 2017 sono state di 4 miliardi e 363 milioni e gli aiuti arrivati da Bruxelles non hanno superato i 77 milioni. Il costo del loro mantenimento resta quindi pressoché tutto sulle nostre spalle.
- Nell'anno 2016 su 22.832 richieste di asilo esaminate nel primo trimestre, ben 15.266 (cioè il 66,9%) sono state rifiutate. Nel 2017 il diniego ha toccato il 58,3% dei richiedenti e nel 2018 il 61,4%. In questo stesso ultimo periodo in Francia le domande con risposta negativa sono state ben il 72 percento.
Quest'ultima questione, quella riguardante la comprovata insussistenza dei motivi per concedere l'asilo, è quello che più suscita preoccupazione nel comune sentire della popolazione italiana. Il problema è che, nonostante si sia appurato il loro nessun diritto a rimanere in Italia, sono pochissimi quelli che realmente lasciano il nostro Paese.
Mentre in Germania su 280.885 ordini di rimpatrio emessi tra il 2013 e il 2017 ben 219.470, sono stati eseguiti, in Italia non si è dimostrata la stessa efficienza. Su un totale di 145.155 ordini di rimpatrio, soltanto 28.600 sono avvenuti.
Gli studi dei due Enti identificano il motivo della discrepanza tra ciò che fanno i tedeschi e ciò che succede da noi nel Paese di provenienza dei respinti: chi ha una domanda rifiutata della Germania appartiene solitamente a Paesi con cui Berlino ha accordi di rimpatrio, mentre i respinti dall'Italia sono per la maggior parte africani e cittadini di Stati con cui tali accordi non esistono o non sono rispettati. Dove finiscono e cosa fanno tutti coloro che non hanno alcun diritto a restare ma continuano a farlo? Qualunque sia il motivo per cui ciò accade, il problema è che aumenta costantemente il numero degli illegali che, di conseguenza, non possono trovare lavoro ed entrano spesso nell'economia nera o in quella criminale. Per finire, occorre notare anche che ogni migrante che arriva in Italia ed è ospitato all'interno del "sistema di accoglienza" costa allo Stato italiano circa 11.000 euro all'anno per ciascun individuo. Basta confrontare tale cifra con l'ammontare mensile di quanto riceve dallo Stato un cittadino italiano che goda (per ragioni d'indigenza o di scarsa quantità di contributi versati) di una "pensione sociale" per capire come tale sistema non possa reggere a lungo senza far nascere malcontento. O peggio.
L'opinione dell'autore può non coincidere con la posizione della redazione.
“Osare il ritorno”, il libro guida per i migranti africani
Quello di Karounga Camara, imprenditore senegalese, è uno sguardo nuovo e originale sull’immigrazione. È facile partire per l’Europa con il sogno di una vita migliore, che non sempre si avvera; tornare nella propria patria richiede coraggio, ma è possibile. “Osare il ritorno”, il libro guida per i migranti africani.
Al contempo del fenomeno migratorio dall'Africa verso l'Europa, spesso segnato da eventi tragici nel Mediterraneo, vi sono migranti che desiderano tornare in patria, ma una simile scelta incute paura. Come essere accettati dalle proprie famiglie senza passare per dei falliti?
Karounga Camara, dopo 7 anni trascorsi in Italia con un lavoro a tempo indeterminato ha capito che la sua vita è in Africa e in Senegal può essere davvero utile. Fondato un business con altri connazionali, Karounga ha deciso di condividere la propria esperienza attraverso un libro guida che spiega praticamente un modo per tornare in Africa.
© FOTO : FORNITA DA KAROUNGA CAMARA
Karounga Camara
Un continente che offre tantissime possibilità, l'Africa è il futuro del mondo secondo Karounga. "Gli africani che tornano e creano un business di successo renderà chiaro ai giovani africani che è possibile realizzarsi stando in Africa, demolendo gradualmente il mito dell'Occidente" ha sottolineato in un'intervista a Sputnik Italia Karounga Camara, imprenditore, coach di imprenditoria, autore del libro "Osare il ritorno" (edito da Celid).
— Karounga Camara, com'è stata la sua esperienza di vita in Italia?
— Mi sono trovato benissimo a dire la verità. Non ho avuto un'immigrazione difficile, sono arrivato in Italia nel 2009 con il visto di un anno, poi ho fatto il permesso di soggiorno e ho trovato un lavoro. Durante i 7 anni che ho trascorso in Italia mi sono formato, ho lavorato e ho ottenuto anche un contratto a tempo indeterminato alla Residenza Buonarroti della Cattolica di Milano. È stata una bella esperienza.
© FOTO : FORNITA DA KAROUNGA CAMARA
Osare il ritorno
— Perché ad un certo punto ha deciso di tornare?
— Vorrei citare due fattori. Durante un incontro sulla metro una signora italiana mi ha consigliato di non diventare un immigrato in Africa, "il futuro sarà più bello in Africa che in Europa", ha proseguito la signora. Da quel momento ho iniziato a rifletterci, poi nel 2011 ho perso mia mamma, sono stati dei giorni durissimi, perché non sono riuscito neanche ad andare al suo funerale. A quel punto ho capito che l'Italia era un mezzo per vivere, avevo imparato molte cose, ma non era la ragione per cui io vivo. La ragione era in Africa, in Senegal. Mi sono fissato così l'obiettivo di tornare in Senegal entro la fine del 2015 e mettere su una mia attività. Ho passato tre anni a prepararmi e ho scoperto tantissime cose, che vi sono tantissime opportunità in Africa. Ho capito che potevo essere molto più utile vivendo in Senegal piuttosto che in Italia.
© AFP 2018 / ROMAIN LAFABREGUE
— Di solito si pensa che altrove si viva meglio. In Africa evidentemente immaginano che in Europa la vita sia migliore, ma in realtà non è scontato. Che ne pensa?
— Questa mentalità esiste, in realtà non ci poniamo la vera domanda: l'Africa offre opportunità? La risposta è sì, l'Africa offre tantissime opportunità, più di ogni altro continente, perché tutti i settori sono quasi vergini e non sfruttati. Il mito dell'Occidente è ancora molto forte in Africa, quindi ecco perché tornare è più difficile che partire. Vi sono molti africani che vivono una situazione molto precaria in Europa, hanno voglia di tornare però non tornano, perché hanno paura. Quando lasciamo l'Africa non abbiamo questa paura perché per molti l'Occidente è l'Eldorado, partiamo quindi con il coraggio dell'ignoranza. Tornare indietro è difficile, perché quando vai in Europa tutti si aspettano un rientro da vincitore. Io descrivo nel mio libro un metodo e un percorso per riuscire a tornare.
— Ci parli del suo libro "Osare il ritorno". È una sorta di guida per le persone che si decidono a tornare in patria, ma hanno paura?
© AFP 2018 / MAHMUD TURKIA
— Non è un romanzo né una biografia. È una guida, perché mi sono basato sulla mia esperienza e sui miei errori. Ho capito che potevo condividere la mia esperienza con gli altri, perché io conosco tanti africani che mi dicono di voler fare la mia stessa scelta, cioè tornare nel proprio Paese. Loro non sanno però come fare. Ho pensato che scrivere questo libro potesse servire agli immigrati africani in Italia. Il mio libro offre una visione anche più globale: il futuro è l'Africa, gli africani hanno un ruolo da giocare. Le sfide globali di questo secolo a mio avviso si giocano in Africa. Il mondo intero l'ha capito. Tanti occidentali infatti stanno andando ad investire in Africa.
— Dopo la pubblicazione del suo libro degli immigrati si sono rivolti a lei per chiedere consigli su come tornare in patria?
— Sì, mi ha fatto molto piacere. Il giorno dopo della presentazione del libro al salone del libro di Torino ho incontrato la comunità senegalese. È stata una bella esperienza, molte reazioni mi hanno colpito. Tutti hanno comprato il libro dicendo: "anche io voglio tornare". Anche durante la presentazione a Milano gli africani presenti hanno fatto tante domande e hanno preso contatti. Io non ho solo scritto questo libro, in Senegal abbiamo fondato una rete di imprenditori senegalesi con esperienza all'estero. Questo per creare un luogo di scambio per beneficiare delle esperienze di ciascuno. Negli ultimi tempi tanti miei compaesani hanno aderito all'associazione. È una rete che favorisce scambi fra senegalesi espatriati desiderosi di tornare e quelli che sono già tornati fondando un proprio business. Stiamo lavorando anche con imprenditori occidentali che vogliono investire in Africa, che sarà il futuro del mondo.
— Il suo punto di vista e anche il suo libro vanno decisamente contro corrente rispetto alla vulgata della stampa, solitamente si ritiene che l'emigrazione africana verso l'Europa sia un fenomeno normale. Il suo libro non ha ricevuto delle critiche?
— La maggioranza delle critiche sono positive. Molti hanno avuto dei pregiudizi quando hanno visto un libro che dice agli africani di tornare in Africa. Io ho spiegato più volte che il mio libro non dice politicamente di tornare a casa, come fanno alcuni partiti di estrema destra. Secondo me restare, partire, tornare è una scelta. Ognuno ha la scelta di vivere dove vuole: ci sono tanti italiani, francesi, russi che vivono in Africa. Deve essere una scelta e non una situazione obbligata.
Io parlo di africani che vivono in Italia, ma si sentono infelici e che non tornano in patria. Io voglio solo dire loro che ci sono le possibilità di ripartire da zero, gli espatriati africani sono un patrimonio di cui non si immagina il vero valore. Nonostante i mass media continuino a parlare di crisi migratoria, tantissimi africani stanno tornando dopo lunghi anni all'estero. Credo che accompagnarli seriamente nel realizzare i propri progetti nella direzione opposta potrebbe ridurre l'immigrazione clandestina. Gli africani che tornano e creano un business di successo renderà chiaro ai giovani africani che è possibile realizzarsi stando in Africa e demolendo gradualmente il mito dell'Occidente.
L'opinione dell'autore può non coincidere con la posizione della redazione.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.