ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 26 maggio 2018

Il deviator mannaro

RUGGITO DEL CONIGLIO MANNARO


Lo spaventoso ruggito del coniglio mannaro. Quale sovranità?Gli italiani hanno bocciato clamorosamente coloro che li hanno condotto al disastro e che si son girati dall’altra parte mentre le banche si mangiavano i loro risparmi 
di Francesco Lamendola  
  
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Un ruggito spaventoso si è levato in queste ore dai recessi più ombrosi della foresta primeva, la foresta della politica italiana, e proprio da parte di chi dovrebbe fare l’arbitro e portare, semmai, un po’ di rasserenamento nell’agitato momento istituzionale che stiamo vivendo. Ma tant’è: lo sappiamo bene che i cittadini italiani devono far da soli; se aspettassero che a fare i loro interessi si muovessero quanti sono pagati per farlo, e hanno giurato di farlo sulla Costituzione – sulla Costituzione della Repubblica Italiana e non su quella dell’Unione europea, fino a prova contraria – potrebbero rimanere in attesa fino al giorno del Giudizio. E infatti, dopo anni e decenni di pestoni sui calli, perfino gli italiani più miti e remissivi, perfino i più rassegnati e stanchi, paiono essersi alzati in piedi, sia pure un po’ faticosamente, e aver fatto qualche passo in quella direzione: riprendersi la loro effettiva sovranità; e fare in modo che chi va al governo, una volta tanto, faccia i loro interessi e quelli della loro nazione, e non quelli dei poteri finanziari internazionali, non quelli di Bruxelles e della Banca centrale europea. La quale, per chi non lo sapesse, è una banca privata, come lo sono del resto le banche centrali dei singoli Stati, Banca d’Italia compresa, a dispetto del nome che farebbe supporre tutt’altro; e perfino gli italiani più disinteressati alla politica e più ignoranti di economia si sono accorti che l’odor di bruciato si stava facendo davvero troppo forte e che, a continuare a subire in silenzio, si rischiava realmente di finire in mutande, come quei sei milioni di concittadini che già ci sono finiti.

E così, il 4 marzo scorso, un primo passo c’è stato: gli italiani hanno bocciato clamorosamente i partiti che li hanno condotto al disastro e che si son girati dall’altra parte mentre le banche si mangiavano i loro risparmi, e il capitale straniero si comprava l’Italia, un’azienda alla volta, una fetta alla volta. In pratica, otto italiani su dieci hanno votato per quelle che i politologi chiamano le “forze antisistema”: orribili ammucchiate di populisti, xenofobi, estremisti di destra & simili: hanno votato per il Movimento Cinque Stelle e per la Lega, due partiti che, pur nella notevole diversità delle prospettive, dei retroterra culturali, degli stessi programmi elettorali, una cosa in comune sicuramente ce l’hanno: mandare a casa i signori dello sfascio, i generali dell’8 settembre, i Gentiloni e i Renzi, le Boldrini e le Fedeli, i Grasso e le Boschi, tutta gente che brilla per il fatto di venire dal nulla e di poter tornare nel nulla senza lasciare assolutamente nulla dietro a sé; tutta gente che è stata nominata, non votata, e che, dall’alto del pulpito che si è costruita da sola, ha preteso non solo di proseguire il saccheggio dell’Italia ma anche di impartire quotidiane lezioni di progressismo, femminismo, ecologismo, buonismo, immigrazionismo e laicismo a un tanto il chilo, occupandosi assai più dei matrimoni omosessuali che dei seicentomila clandestini liberi di rubare, stuprare e spacciare (e magari fossero davvero “solo” seicentomila), e più di riformare il vocabolario per chiamare la signora Boldrini “signor presidente” che ridare una speranza di lavoro, non precario e non sottopagato, a milioni di italiani disoccupati, specialmente giovani, ormai sempre più massicciamente in fuga verso l’estero, con tutte le loro lauree, le loro specializzazioni e le loro magnifiche, ma ormai inutili, competenze. E non parliamo dei professori che vanno a scuola con la paura di essere picchiati, dei poliziotti che arrestano i delinquenti con la paura di essere denunciati, dei giornalisti che fanno il loro mestiere con la paura di essere licenziati o querelati, dei capitreno, dei conducenti di autobus e corriere e dei bigliettai che fanno il loro lavoro con la paura di essere aggrediti e, pure loro, denunciati per abuso d’ufficio, se pretendono di vedere il biglietto e far valere i regolamenti; e così via. Ma per le Boldrini, Fedeli & Boschi va tutto bene, per Gentiloni, Renzi & Grasso noi viviamo nel migliore dei mondi possibili, anzi, qualcosa da fare ancora ci sarebbe: dare più potere ai magistrati di sinistra, incutere ancora più paura ai tutori dell’ordine, imporre ancora più normative burocratiche ai commercianti, aumentare ulteriormente l’I.V.A. e varare altre grandi opere grazie alle quali possano banchettare col denaro pubblico i soliti noti e se possibile i banchieri amici degli amici, o padri, figli, fratelli e sorelle di ministri, deputati e senatori. Il voto del 4 marzo, dunque, è stato una protesta contro tutto questo e una esortazione a formare un nuovo governo sulla base di forze completamente nuove, giovani (non solo in senso anagrafico), e anche un segnale inviato all’Europa: adesso basta, abbiamo pazientato vent’anni, da quando siamo entrati nell’euro abbiamo subito di tutto, anche perché i nostri governanti erano incapaci o venduti, ma ora la pacchia è finita, da quarta potenza economica mondiale siamo scesi alla venticinquesima, ma ora la musica cambia. Abbiamo visto la Germania diventare sempre più ricca grazie a un marco che ha fatto fuori le nostre esportazioni, che le facevano tanta concorrenza, e una Francia la quale zitta, zitta, si sta mangiando, un boccone dopo l’altro, le nostre migliori aziende pubbliche e private; ci siamo visti bacchettati ogni santo giorno, accusati di essere disonesti e spendaccioni, di non saper tenere i conti in ordine, di essere inaffidabili circa il pagamento del debito (l’accusa più ridicola di tutte, e per molti motivi), siamo stati umiliati in continuazione dalle agenzie di rating, e perfino svillaneggiati da banchieri fraudolenti e ubriaconi come il signor Juncker, una vergogna vivente che ben rappresenta il vero volto dell’Unione europea.
Adesso, però, gli italiani hanno mandato un segnale chiaro e netto, si volta pagina, comincia un altro giro. E questo, naturalmente, non è piaciuto. A nessuno piace veder finire la pacchia; figuriamoci ai banchieri e agli squali della finanza. E subito la campagna anti-italiana è ripartita, come ai “bei” temi del 2011: subito lo spread (toh!, qualcuno se lo ricorda?) è risalito, e subito si sono moltiplicate le voci di ammonimento, di messa in guardia, di richiamo, di vera e propria ingerenza, da parte di tutti quei signori, verso l’Italia e verso il nuovo governo, prima ancora che si sia riusciti a farlo. Per due mesi e mezzo son fioccate le minacce e le lusinghe; poi, quando si è profilato l’impensabile, quando quei signori hanno visto, con autentico raccapriccio, che Salvini e Di Maio, pur avendo contro mezzo mondo, dentro e fuori l’Italia, erano riusciti a mettere insieme un accordo di governo, ecco che qualcuno si è ricordato che c’era ancora un altro modo per mettere i bastoni fra le ruote a quei terribili euroscettici, a quei populisti semi-fascisti, a quei biechi sovranisti (che strano: essere per la sovranità è diventata una parolaccia! e da quando?): il Colle. Ma sì, certo, era l’uovo di Colombo: per fare un governo ci vuole il placet del Colle, ci vuole la firma del Colle. Il Colle per antonomasia: il Quirinale; insomma, il Presidente della Repubblica. Un signor nessuno all’ennesima potenza, del quale nessuno si è mai accorto da quando al signor Renzi è saltato il capriccio di farlo salire al Quirinale, il tutto nel contesto di un Parlamento illegittimo, perché eletto con una legge elettorale dichiarata illegittima dal massimo organo costituzionale dello Stato. Quindi, se la logica non è un opinione, per il principio di non contraddizione, un illegittimo anche lui. Fino a ieri, che ci fosse un inquilino nel Palazzo del Quirinale, non se n’era accorto proprio nessuno. Che Mattarella ci fosse o non ci fosse, non aveva mai fatto alcuna differenza. E avrebbe continuato a  non fare differenza, se le cose, il 4 marzo, fossero andate come finora erano andate (ma in assenza di elezioni), cioè se egli si fosse trovato a dover ratificare un governo del “taglio” di quelli di Monti, Letta, Renzi & Gentiloni. Un governo fatto non per difendere l’Italia e gli italiani, ma per difendere gli interessi del capitale finanziario straniero e per conservare all’Italia lo status di semicolonia degli Stati Uniti d’America e dell’Unione europea. Insomma, se avesse dovuto avallare la nascita dell’ennesimo governo insignificante, incaricato di voltar la testa dall’altra parte mentre il saccheggio dell’Italia continuava. Invece si è trovato davanti a una spaventosa e imprevedibile realtà, al materializzarsi del peggiore di tutti gli incubi: un governo Cinque Stelle più Lega, e senza nemmeno Berlusconi (il quale, dopotutto, avrebbe potuto azzopparlo dall’interno, anche tramando con Renzi, per cui sarebbe stato comunque ben visto dagli “amici” di Bruxelles): orrore degli orrori. E come se non bastasse tanta sciagura, il povero Mattarella si è visto sottoporre, per la firma, il nome di un ministro dell’Economia come Paolo Savona, notoriamente euroscettico, ovvero critico verso le politiche suicide che fin qui hanno consegnato l’economia italiana, legata mani e piedi, ai pescecani tedeschi e francesi.

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Questo governo non è ancora nato, e non sappiamo neppure se nascerà. In ogni caso, è il governo, più o meno, che gli italiani hanno votato il 4 marzo. Se ne facciano una ragione i trombati 
Eh, via: c’è un limite a tutto! Si può mandar giù qualche rospo, per il bene della Patria, ma non si può chiedere a Mattarella di approvare la nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia. Già è stata dura, durissima, accettare che gli Interni vadano a Salvini, e il Lavoro a Di Maio: ma se all’Economia ci va un Savona, allora non c’è proprio più religione, tanto vale chiamare Attila o Gengis Khan, non ci sarebbe differenza. E così il buon Presidente, che già non ha fatto il suo dovere  evitando di dare un mandato esplorativo alle forze politiche che hanno vinto le elezioni, cioè le forze di centro-destra, ora si vuol togliere tutti i sassolini dalle scarpe e far sentire che, al Colle, un inquilino c’è, dopotutto: anche se finora faceva solo tappezzeria, e nessuno si era accorto della sua esistenza, ora gli italiani hanno saputo che lui c’è, perbacco: e infatti hanno udito l’urlo spaventoso del coniglio mannaro levarsi dai profondi recessi della foresta. Il sangue si è gelato nelle vene a milioni di italiani, e milioni di razzisti, di fascisti, di populisti, di sovranisti e altri tipacci del genere, si son messi addosso una paura da non credere. Hanno capito che ora non si scherza; hanno capito di aver tirato troppo la corda. E ora dovranno pagarne le conseguenze. Questo ministro non s’ha da fare, proprio come vogliono a Bruxelles, e pretendono Juncker, Merkel e Macron: un euroscettico al ministero dell’economia? Mai! Vuoi vedere che i francesi e i tedeschi non potranno seguitare a fare shopping a danno delle nostre migliori aziende, e che l’Italia smetterà di essere la discarica di tutte le ondate migratorie provenienti dall’universo mondo? Perfino l’alcolizzato Junker si è imbufalito su questo delicatissimo tema: i diritti degli africani, e ha fatto sapere, udite, udite, che l’Italia deve stare bene attenta, se, sotto il governo di Salvini e Di Maio, non tratterà gli immigrati africani con tutti i diritti loro riconosciuti dalle leggi internazionali. Lui, il banchiere lussemburghese, dalle cui parti di immigrati africani non è che se ne vedano molti; lui, che non si è mai commosso troppo per i sei milioni di italiani poveri, o meglio ridotti in povertà dalle spoliazioni della Banca centrale europea; lui, che se n’è fregato mentre il popolo greco veniva letteralmente cannibalizzato dal debito pubblico, ad opera dei banchieri tedeschi… Ora lui, proprio lui, fa la voce grossa con l’Italia, e su che cosa? Sul tema dei diritti ai migranti africani. Straordinario; commovente. Meriterebbe il premio Nobel del surrealismo, se ci fosse. Ma si spiega: fino a ieri, avevamo i Gentiloni…
Bene: questa è la situazione. Il grido agghiacciante del coniglio mannaro è echeggiato a lungo nel sottobosco, fra le liane, e ha spaventato perfino i coccodrilli e i pitoni. Ora vedremo che succederà. Se l’inquilino del Colle (ora sappiamo che esiste) rifiuterà di controfirmare la nomina di Paolo Savona all’Economia, in fondo renderà, per la prima volta, un servizio agli italiani: farà cadere loro definitivamente la benda dagli occhi. Farà loro capire come stanno realmente le cose, qualora ci fosse ancora qualcuno che non lo ha ben chiaro. Intanto, lasciamo che Renzi e gli altri sciacalli del Pd starnazzino che l’impennata dello spread è colpa di Salvini e Di Maio: miserabile spettacolo, ma tutt’altro che nuovo, degli italiani che fanno il tifo per il nemico esterno, pur di vedere schiacciato il loro nemico interno. Roba da principati del XV secolo, da Conte di Camagnola e battaglia di Maclodio. Lasciamoli fare: è bene che gli italiani vedano da chi sono stati governati per settanta anni: dai generali alla Badoglio, che hanno regalato la Patria agli stranieri, e l’hanno chiamata Liberazione. Ma siccome al peggio non c’è fine, e neanche al disamore di stessi, ecco che, su un piano intellettualmente un po’ più raffinato, sta venendo avanti un’altra, micidiale accusa al (non ancora nato) governo populista e sovranista: quella di essere lo strumento di un disegno politico-finanziario anglo-americano. Si congettura: dietro Salvini e Di Maio c’è Trump, ci sono Wall Street e la City, che vogliono servirsi di loro per mettere in difficoltà l’Unione europea a tradizione tedesca, e, se possibile, farla saltare. Certo, è possibile che un tale disegno esista; diremo di più, è perfino probabile. Ma il punto non è questo. La politica, specie quella internazionale, è una cosa sporca: bella novità, vero? Solo le anime candide non lo sapevano. Ed è sporca perché tutti cercano di usare tutti, di infiltrarsi ovunque, di manipolare a più non posso. Dunque, se c’è chi manipola Renzi (e Berlusconi) in pro della Germania e della Francia, c’è anche chi vorrebbe manipolare Salvini e Di Maio in pro degli USA e della Gran Bretagna, che ne hanno tutto l’interesse: dollaro e sterlina contro euro. Senza dubbio ci proveranno: non siamo così ingenui, o distratti, da non aver notato qualche strano andirivieni di Di Maio e qualche inusuale uscita dell’ambasciatore americano un Italia. Ma bisognerà vedere se i pesci abboccheranno: i conti si fanno alla fine. Questo governo non è ancora nato, e non sappiamo neppure se nascerà. In ogni caso, è il governo, più o meno, che gli italiani hanno votato il 4 marzo. Se ne facciano una ragione i trombati. Mettiamolo alla prova dei fatti, poi si vedrà. Per una volta, almeno la partenza sembra buona. Proviamo a non tifare contro…

Lo spaventoso ruggito del coniglio mannaro

di Francesco Lamendola
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/storia-e-identita/identita-delle-nazioni-sovrane/5903-ruggito-del-coniglio-mannaro


SALVINI HA GIA’ RINNOVATO LA POLITICA.


Comunque vada a finire, una domanda s’impone: come è potuto nascere da questa Italia di ovini, un animale politico della qualità di Salvini? Da quale corpo speciale, scuola ninja o di ju-jitsu  è stato allevato?  Dove ha imparato l’energia, il coraggio, la creatività? Si può rispondere solo in un modo: che la qualità politica non s’insegna.  Populisti si nasce.
Ha inventato un nuovo metodo di comunicazione politica; non dice mai niente ai giornalisti che gli si accalcano attorno come mosche, non si fa intervistare da questi viscidi che falserebbero le sue espressioni. No, sale sul terrazzo di una casa e manda un messaggio video  col suo telefonino. In diretta. Scavalca i giornalisti, falsi mediatori, mettendone in luce l’inutilità, e  parla “dal vivo”,  un video ruspante e non montato. Raggiunge direttamente 2 milioni e 245 mila followers, ciè un 10 volte di più dei lettori di Repubblica o del Corriere. Non è il “suo” elettorato,   è, idealmente, al popolo italiano che spiega come sono andati i colloqui… E’ un discorso senza mediazioni e sempre chiaro e semplice, retto da una convinzione vera.

Ovviamente, anche  col teatrino politico salta  le mediazioni, i rituali malmostosi e vuoti, il rispetto che “si deve” alla “alta carica dello Stato”, che in queste ore e giorni sta  abbassando se stessa a livello stradale in questo sbarramento a un nome autorevole, più autorevole di lui, insigne (più di lui), perfettamente dotato per il ministero che Salvini e Di Maio vogliono per lui.  I capi dello Stato, da Scalfari a Napolitano,  per attuare i loro condizionamenti, lo  hanno fatto in segreto, di nascosto,  solo mesi dopo si è saputo delle loro manovre. Ora, Salvini (e Di Maio) non rispettano questa “segretezza  istituzionale”, svelano le trame; il Quirinale è costretto a rispondere sui mezzi internet minacciando querele a Byoblu…di ora in ora, il rifiuto di Paolo Savona diventa sempre più equivoco, sospetto, immotivato.
Sempre più voci, e sempre più autorevoli, si alzano a chiedere a Mattarella il motivo di tanta opposizione – che evidentemente non può essere confessato.  Anche a sinistra, anche in quello che fu il Pd. Già abbiamo detto di Fassina. Adesso anche Francesco Boccia, ex Pd, oggi nella cosca di Emiliano: “Paolo Savona è una delle migliori personalità del Paese in materia economica” e “da ministro dell’Economia non sarebbe un pericolo, anzi: sarebbe un argine a Salvini”. Lo dice Francesco Boccia del Pd al Corriere della Sera”.  Il  progetto Salvini per l’Italia non po’ non esercitare un’attrazione anche a sinistra, in quei settori non zombificati che non si adattano a ridurre la sinistra alle nozze gay e diritti lgbt.  Questo può avere effetti elettorali di lunga portata.




(in fondo, lei ha capito: teme chi ha i c…)

Salvini dice (via tweet): “No Savona, no Governo”.  In queste ore, sembra che abbia ricontattato Berlusconi e convintolo al suo piano: andare ad elezioni anticipate, di nuovo alleati.  Salvini ne uscirebbe capo di una maggioranza molto più vasta di quella attuale.
Insomma, non ha sbagliato un colpo finora. Ha mostrato carattere e  volontà, onestà politica e capacità di unire  gruppi distanti.
I media stanno insinuando che nel M5S si sospetta di Salvini,  che l’intesa scricchiola…  forse è vero,  i grillini sono ovviamente il ventre molle in questa sfida alla UE, e possiamo immaginare le pressioni, lusinghe e minacce che stanno subendo. Ma finora Di Maio tiene botta – anche lui, a sua modo, stupefacente. Animali politici, incredibilmente nati tra noi.






Paolo Savona e Sergio Mattarella: il “golpettino” contro Conte, Di Maio e Salvini


Paolo Becchi

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Liberoquotidiano.it, 25/05/2018
Al Colle cercano fino all’ultimo di bloccare Paolo Savona. Fatto il Comandante, bisogna ora fare i Colonnelli. I tre tasselli più importanti dell’esecutivo sono quelli dell’Economia, degli Interni e del Lavoro. Tre ministri che devono dare la necessaria veste politica ad un governo che voglia realizzare il contenuto ambizioso del “contratto di governo” e che voglia veramente presentarsi come esecutivo politico.
I due leader di partito, Salvini e Di Maio, dovrebbero andare rispettivamente agli Interni e al Lavoro, con accorpamento a quest’ultimo del dicastero dello Sviluppo economico, soluzione che ci sembra ragionevole vista le difficoltà in cui versano – ormai da diversi anni – i settori produttivi del Paese e la forte connotazione politica della persona che ne sarebbe a capo. All’Economia, invece, il patto giallo-verde prevede l’indicazione del prof. Paolo Savona. Mentre il Presidente del Consiglio incaricato stava ricevendo ieri i gruppi parlamentari a Montecitorio per il suo giro di consultazioni verso la formazione del nuovo governo, Salvini “blindava” la proposta della la nomina di Paolo Savona al Ministero dell’Economia, blindatura confermata ufficialmente anche per bocca di Di Maio. E fin qui tutto lecito, tutto legittimo.
L’indicazione di Savona incontrerebbe però l’opposizione da parte del Colle per via della posizione euroscettica del professore, indiscrezione confermata da un intervento a gamba tesa del Quirinale avvenuto nel pomeriggio di ieri, una iniziativa atipica con la quale il Capo dello Stato ha puntualizzato che non ci sono presunti veti bensì diktat nei confronti del Presidente del Consiglio e del Presidente della Repubblica nell’esercizio delle funzioni che la Costituzione attribuisce a entrambi. La preoccupazione del Colle – si legge dal comunicato diramato dall’Ansa nel pomeriggio di ieri – è che si stia cercando di limitare l’autonomia del Presidente del Consiglio incaricato e, di conseguenza, del Presidente della Repubblica nell’esercizio delle loro prerogative.
Questo intervento del Quirinale è inaccettabile, per due motivi. Il primo è che il Presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, non ha mai denunciato alcuna pressione né tanto meno diktat nei suoi confronti, il secondo è che i nomi dei ministri li sceglie il Presidente del Consiglio di concerto coi gruppi parlamentari che poi gli dovranno votare la fiducia in Parlamento, sottoponendo al Capo dello Stato la lista dei ministri per la nomina, esattamente come recita l’art. 92 della Costituzione.
La questione sarebbe presto risolta se si leggesse la Costituzione. Il Presidente del Consiglio si assume tutta la responsabilità politica del Governo di fronte alle Camere, alle quali chiede il voto di fiducia esattamente come recita l’art. 94. Per quale strano motivo il Presidente del Consiglio dovrebbe assumersi la responsabilità politica di un governo da lui presieduto, che non sia composto da ministri indicatigli dai gruppi parlamentari che dovranno votargli la fiducia? Per quale motivo il Presidente del Consiglio dovrebbe chiedere la fiducia alle Camere per un governo sul quale ha posto il cappello il Capo dello Stato? Capo dello Stato che, secondo quanto previsto dall’art. 90 della Costituzione, è estraneo al rapporto di fiducia Camere-Governo per via del fatto che non è responsabile di nessuno degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni.
La Terza Repubblica fa fatica a nascere per il tentativo della Seconda di conservare le posizioni di potere. E in questo gioco al massacro il Colle non è neutrale – come dovrebbe invece essere – ma parte in causa, mettendo il bastone tra le ruote ai partiti che hanno vinto le elezioni e che hanno il diritto – oltre che la responsabilità – di dare risposte concrete al Paese. E per dare risposte ai cittadini è diritto/dovere di chi ha la maggioranza in Parlamento di esprimere sia la figura del Presidente del Consiglio che quella dei ministri. La nomina dei ministri di cui all’art. 92 della Costituzione, prerogativa del Capo dello Stato su proposta del Presidente del Consiglio, è un atto formale col quale il Presidente della Repubblica effettua un controllo di forma e non di sostanza. Mattarella sta facendo di tutto per evitare elementi di euroscetticismo all’interno del nuovo Governo.
Pur tra mille resistenze Mattarella ha accettato Conte, ma ora intende intervenire sulla lista dei ministri, ed in particolare su Savona. Ma se salta Savona, Salvini ne esce sconfitto. Il leader della Lega non può pertanto rinunciare a quel nome, quindi assisteremo ad un vero e proprio braccio di ferro, tanto più che la linea politica del Governo la scelgono i partiti che votano la fiducia all’esecutivo e non il Capo dello Stato. Questo Governo si regge su uno scambio politico tra il nome del Presidente del Consiglio e il nome del Ministro dell’Economia. O passano entrambi o Conte dovrà rinunciare all’incarico, che tra l’altro ha accettato con riserva. La nostra è ancora una Repubblica parlamentare. Per quella presidenziale il Presidente dovrà prima farsi eleggere dal popolo.
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Caro Der Spiegel gli scrocconi siete voi! Vi sfido a pubblicarmi e, se riuscite, a confutare i dati di fatto.


La carta stampata italiana è alle corde ma è riuscita in un intento: non potendo modificare il significato degli articoli della Costituzione, in quanto scritti, ne ha alterato il senso, ha distorto la percezione di essi in una fetta consistente di cittadini ripetendo, ripetendo (Goebbels) una sola versione (quella sbagliata), quella secondo cui Mattarella può e anzi deve scegliere il Governo, porre veti e imporre diktat su questo o quel nome nei Ministeri chiave.
In pedagogia, come nelle Scienze della Comunicazione, il senso è quindi qualcosa di più vasto del significato, va oltre la definizione nei vocabolari, è perfino intimo, perciò le tecniche finalizzate all’impossessarsi del “sentire comune” (delle nostre emozioni) sanno di potervi incidere.
E’ di una evidenza sconcertante che i diktat siano tutti presidenziali, lo dimostrano i fatti riportati, eppure sui giornali viene raccontato il tutto a tinte opposte: al cospetto dell’ennesimo stravolgimento della Costituzione, nata dalla Resistenza, Di Maio e Salvini vengono fatti apparire, mediante un codice comunicativo estremamente sottile, come “caciaroni” (sì anche dal FQ cosa credevate?) ed in quanto italiani, irrispettosi perfino rispetto alle proprie Istituzioni.


Non credo serva scomodare il Presidente del Comitato Direttivo della Scuola Superiore della Magistratura ed ex Presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida (e la sua recente intervista) per chiarire che Mattarella non possa scegliere il Governo ma “lo nomini su proposta” del Presidente del Consiglio incaricato. E’ il “premier” quindi (e ci mancherebbe altro) a dover scegliere il proprio Governo in quanto rappresentante e sintesi del voto cittadino.
Il Presidente della Repubblica, è vero, può esprimere osservazioni contrarie, ma alla fine non si può impuntare, non può rifiutare un Ministro impedendone la nomina, non gli è consentito sostituirsi alla Democrazia (che alcuni giornalisti hanno definito in modo scandaloso addirittura “unguento” www.ilsecoloxix.it/p/italia/2018/05/25/ACGtUb1D-irritazione_mattarella_presidente.shtml) espressa il 4 marzo.
Dopo il dettato imposto (pare) da Mattarella a Conte qualche giorno fa (e dettato significa proprio dicktat!), è del tutto comprensibile che si generi sfiducia in Salvini e Di Maio: la Costituzione vieta al PdR in quanto super partes, l’indicazione di indirizzi politici (geopolitici e politico economici in primis).
Bene ha fatto Di Battista a farsi sentire, male fa Fico a rielaborare i fatti restituendoli alla vulgata in altra forma, magari per ambizione personale o per aprirsi spazi verso l’Ancien Regime.
Il ferro è stato scaldato ed in perfetto orario, profittando del caos e dello smarrimento dei cittadini elettori, giunge il soccorso interessato della stampa estera, in primis tedesca, la quale, come un retrovirus, cerca di inserire nella mente, magari degli italiani più anziani ma anche dei teutonici, il messaggio virale “italiani colpevoli e scrocconi”.
Uno degli strumenti più noti di colonizzazione è l’agire sul substrato preventivamente, a livello ideologico, scalfire il senso patriottico (che è inclusivo e non va confuso col nazionalismo); per questo mentre la Germania fa esclusivamente i propri interessi noi italiani risultiamo disorientati.
Ciò avviene senza che la nostra principale Istituzione abbia un moto di orgoglio (Senso dello Stato) e rispedisca al mittente offese tipo “siete peggio degli accattoni”.
Forse servirebbe un Giorgio Gaber al posto di Mattarella (mi sia consentito e nel massimo rispetto).
L’Istituzione invece è impegnata a fare l’opposto, affiancata dalla fanfara di un PD (ma anche LeU e simili) che 40 anni fa era composto da compagni come mio nonno mentre adesso da “Bank-ompagni” liberal-chic.
Prima veniva raccontato che Mattarella avesse fretta (di piazzare un altro Monti come Cottarelli, o come Salvatore Rossi o come Pajino?), adesso pare gli sia stranamente passata e sia “irritato”: non siamo una Repubblica Presidenziale se ne faccia una ragione (peraltro lì si dovrebbe far votare per essere eletto).
In realtà sono solo barzellette proiettate nella mente delle persone, stereotipi da inculcare a scopo propagandistico.
Non è mai accaduto nella storia della Repubblica che esponenti politici italiani cercassero di decidere i Ministri in Germania eppure chi ci dovrebbe difendere, davanti agli occhi di tutto il mondo, permette l’opposto (perfino offese cariche di cieco odio) ed impedisce che si formi un Governo democraticamente eletto.
Tutta questa situazione dimostra una volta per tutte che se tra i paesi europei non c’è stata una guerra militare lo si deve alla NATO, l’eurocrazia ha invece generato ed acuito diverse tensioni.
Non mi stupirei se in nostro soccorso (questa volta finanziario…) giungessero paesi quali gli USA di Trump ed Israele notoriamente più vicine a noi di quanto si creda (soprattutto rispetto ai “parenti” franco-tedeschi) e perfino la Russia.
Questo atteggiamento della stampa tedesca, legata a doppio filo con il potere politico teutonico, oltre ad avere il sapore di una dichiarazione di guerra, ha un contenuto estremamente falso.
Sfido Der Spiegel a pubblicarmi e confutare i miei dati di fatto.
L’Italia ha un debito estero (cioè verso il mondo) inferiore a quello tedesco e più o meno pari se rapportato al PIL (http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-05-13/perche-debito-italiano-e-sostenibile).
Prima della moneta unica era ancor più trascurabile (15%) ed è proprio a causa dei vantaggi pro Germania, insiti nella moneta unica (di cui abbiamo già detto, vedasi il rapporto di ingresso a 990), se questo trend si è invertito.
(La Grecia, citata a spropostio da Der Spiegel, aveva un debito estero monstre rispetto al PIL e partite correnti drammatiche).
Der Spiegel quindi quando chiama in causa l’evasione fiscale nostrana mente a dichiarare “paghiamo noi” perché chi paga l’evasione in Italia sono gli stessi italiani; tale criticità è peraltro causata dalle grosse corporation, solo l’8% è dovuta alle PMI (spesso di sopravvivenza) che la Germania mira a polverizzare sul nostro suolo.
L’Italia per il resto è indebitata verso se stessa e quindi (ovviamente) è anche accreditata verso se stessa e la sommatoria fa zero.
Per quanto riguarda la “stabilità” siamo l’unico paese in avanzo primario da anni e anni, abbiamo spesa pubblica in beni e servizi perfettamente allineata alla UE ed una bilancia commerciale (coi suoi difetti) in attivo, la migliore garanzia economica che ci possa essere.
La Germania in questo campo, da quando c’è l’euro, non la batte nessuno ed infatti viola costantemente il TFUE esportando oltre i limiti del consentito ed in tal modo munge non solo l’Italia ma anche Cina e Usa (per non citare di nuovo la questione del rapporto di ingresso Marco/Lira a 990).
Una vera e propria guerra commerciale quella tedesca motivo per cui Der Spiegel prima ci offende ma in modo estremamente ridicolo, lavora sotto traccia perché restiamo dentro… “italiani brutti brutti, ma rendono!”.
“Germania scroccona!” verrebbe da dire.
Il QE che per i tedeschi è un regalo di Draghi all’Italia, in realtà è stato attuato (pure quello) secondo dei criteri “merkeliani” cioè proporzionalmente alla dimensione economica di Germania, Italia, Francia ecc, quindi in valore assoluto sostiene di più i tedeschi e in termini relativi non avvantaggia nessuno.
I tedeschi ed i bankompagni italici, quando viene sollevato questo tema, enfatizzano lo “spread” e lo spauracchio dei Titoli di Stato; ricordo loro che se non avessimo messo la nostra Banca Centrale praticamente in mano germanica, questo problema (puramente finanziario e speculativo), non si porrebbe unitamente al fatto che abbiamo partite correnti invidiabili e conti pubblici a posto.
Fuest è arrivato a minacciare di bloccare il QE per l’Italia (per la gravissima colpa di voler esser libera di decidere il proprio Ministro dell’Economia) ma gli ricordo che la Germania non dispone di questo potere a meno che non scelga di gettare la maschera rivelando il segreto di Pulcinella e cioè che tutta l’UE-M è una loro creatura spacciata per “Europa”.
Quando i media da “cani da guardia della Democrazia” risultano veri e propri “Dobermann del sistema” significa che la posta in gioco è alta, che ci sono molti quattrini di mezzo, che siamo in presenza di una colossale corruzione internazionale pari ad una enorme discarica in cui siamo stati gettati dai nostri governanti; quando insistono in comportamenti di questo tipo i media, notoriamente, preparano il terreno ad azioni contrarie alla legge al fine di renderle assimilabili per la popolazione.
Nessuno dimentichi l’assassinio di Falcone, non ci scordiamo di come la carta stampata lo avesse deriso ed oltraggiato per mesi, arrivando perfino ad insinuare che si creasse gli attentati da solo. Una volta isolato è stato comodamente assassinato; immediatamente i media sono corsi al “riparo” con proverbiale e tipica sfrontatezza.
Falcone aveva scoperto, pare con l’aiuto degli USA, qualcosa di così grosso da esser diventato scomodo: “Segui i soldi” (Cit).
Concludo quindi denunciando la presenza in questo paese di una casta Establishment-Stampa sprezzante della Costituzione, sempre abile a citarla ipocritamente ai convegni, per poi forzarla all’occorrenza e quando ci sono soldi in ballo: JP Morgan, la mega banca multinazionale, sentenziò “le Costituzioni socialiste devono essere eliminate” in nome della finanza globale (fui il primo in assoluto in Italia a far notare l’immediata obbedienza di PD e Forza Italia a questi poteri inviando email perfino ai Parlamentari pentastellati), motivo per cui quando c’è da combattere i massimi sistemi molte “penne” sono in prima linea ma quando poi viene individuato il nucleo principale del cancro da estirpare “muoiono democristiani”.
ps: Beppe Grillo batti un colpo.
DI MARCO GIANNINI comedonchisciotte.org

UE: Un Nazismo Senza Militarismo


DI PAOLO SAVONA
sollevazione.blogspot.it
«L’Italia è in una nuova condizione coloniale…. siamo in presenza di un fascismo senza dittatura e, in economia, di un nazismo senza militarismo».
(Paolo Savona)
Presentiamo ai lettori alcuni significativi stralci del libro di Paolo Savona “Come un incubo come un sogno” (Rubbettino) in libreria nei prossimi giorni. Sarà chiaro perché gli euroinomani lo detestano e Mattarella non vuole nominarlo ministro.
Risultati immagini per "Come un incubo come un sogno"
COME CI FICCAMMO NEI GUAI…
«Il mancato perseguimento degli obiettivi conduce a uno stato permanente di tensione all’interno dell’Europa per le ingiustizie che implica: i cittadini non sono tutti uguali nei diritti, ma solo nei doveri. L’esprit d’Europe si attenua e vengono meno le componenti sociali della pace, la vera forza che ha
trainato all’inizio l’idea di Europa. I motivi di questa situazione sono due: l’unione non era ancora maturata nella coscienza dei popoli europei finendo con il peggiorarla per le cattive performance registrate nei momenti di crisi e perché le istituzioni create confliggevano con gli obiettivi. La scelta fu decisa da un’élite che procedette illudendo il popolo con le promesse contenute nell’articolo 3 riportato. Per l’euro, invece, la volontà delle élite divergeva e fu necessario un compromesso che assegnò compiti limitati all’eurosistema e condusse a una sua nascita prematura rispetto all’indispensabile unione politica. Le preoccupazioni erano dovute al fatto che l’assegnazione di poteri più ampi alla Banca centrale europea non avrebbe garantito un’inflazione contenuta e poteva condurre a una mutualizzazione dei debiti pubblici, entrambi aspetti che la Germania non intendeva accettare. Fu un atto di debolezza dovuto alla fretta».
ITALIA COLONIA (TEDESCA)…
«Al di là dei difetti in materia “economica”, i modi in cui l’Ue è nata, con poca preparazione dei cittadini europei e in assenza di un referendum in molti dei paesi firmatari, sono la manifestazione più chiara della filosofia politica più ingiusta e pericolosa per l’affermarsi della democrazia: quella che gli elettori non sanno scegliere, mentre sarebbero capaci di farlo per loro conto solo gruppi dirigenti “illuminati” che, guarda caso, coincidono con quelli al potere. Tra questi Paesi vi è l’Italia, dove la Costituzione decisa dai padri della Repubblica contiene la più chiara violazione del principio democratico, quello che i trattati internazionali non possono essere oggetto di referendum. Conosciamo le origini di questa grave
limitazione, ma esse non valgono più dalla caduta del comunismo sovietico; torna comodo tenersi la proibizione per imporre la volontà dei gruppi dirigenti economici e politici. Posso testimoniare personalmente che i sostenitori del Trattato di Maastricht, in particolare per quanto riguarda la cessione della sovranità monetaria, erano coscienti dei difetti insiti negli accordi firmati, ma la sfiducia che essi avevano maturato sulla possibilità di collocare l’Italia nel nuovo contesto geopolitico hanno indotto il Parlamento a seguire i loro consigli, compiendo un atto che sarebbe potuto essere favorevole al Paese se l’assetto istituzionale dell’Ue avesse condotto a un’unione politica vera e propria e non avesse i gravi difetti di architettura istituzione e di politeia indicati…Poiché l’unione commerciale e monetaria non ha condotto all’unione politica come sperato, questi gruppi dirigenti ci hanno lasciato un’eredità negativa che, sommandosi ai difetti culturali e politici del Paese, fa scivolare l’Italia in una nuova condizione coloniale, quella stessa sperimentata dalla Grecia».
FASCISMO SENZA DITTATURA…
«L’Italia era impreparata nel 1992 ed è ancor più impreparata oggi, per le difficoltà che si sono accumulate e perché ha capito con quali compagni di strada si è messa. Non accuso la sola dirigenza italiana della scelta errata, ma anche quella europea, che era ben conscia, anche spingendosi oltre la realtà fattuale, che l’Italia non fosse preparata per stare nella moneta unica così come era stata concepita. Nella riunione del 24 marzo 1997, tenutasi a Francoforte, l’Italia era fuori dall’euro, nonostante Ciampi, ministro del Tesoro del governo Prodi, avesse varato il 30 dicembre precedente una manovra fiscale di 4.300 miliardi di lire, imponendo quella che è ricordata come “eurotassa” per rientrare nei parametri fiscali concordati. L’Italia aveva chiesto inutilmente di prorogare l’avvio dell’euro, ma la Germania si oppose. Un anno dopo, il 28 marzo, l’Italia venne accettata nel gruppo di testa dei Paesi aderenti all’euro. Non si conosce che cosa sia esattamente successo nel corso di quell’anno; forse ha contato l’impegno della diplomazia monetaria, dove la Banca d’Italia svolgeva un ruolo importante, o forse il fatto che, fatti bene i calcoli, i Paesi-membri hanno compreso che, tenendoci fuori, avrebbero patito la nostra concorrenza sul cambio e, accettandoci, avrebbero bardato il nostro sviluppo. Ora la nuova sovranità da espugnare è quella fiscale con le stesse modalità che hanno ispirato la cessione della sovranità monetaria, ossia secondo una visione di parte, pregiudiziale, del suo funzionamento, accompagnata dalla solita dichiarazione che servirebbe a migliorare il benessere generale. Essa non sarebbe un passo verso un’unione dove i cittadini godono degli stessi diritti ma per consentire una buona performance dell’euro e del mercato unico che causa una divisione tra essi. L’uomo al servizio delle istituzioni e non viceversa, una concezione sovietica dietro il paravento della liberaldemocrazia. Semmai si decidesse di farlo — e i gruppi dirigenti italiani, la stessa cultura accademica prevalente sono pronti ad accettarlo — si rafforzerebbero ancor più le forme di coordinamento obbligatorio, di tipo burocratico, diminuendo quello spontaneo garantito dal mercato unico creato con gli Accordi di Roma del 1957. Il problema dell’Ue non è l’autonomia delle sovranità fiscali nazionali, peraltro già vincolate dai parametri di Maastricht e rafforzate con il fiscal compact, ma l’assenza di un’unione politica in una delle forme conosciute di Stato. Spiace doverlo evidenziare, ma, cavalcando l’ideale elevato di porre fine alle guerre tra Paesi europei, non potendo procedere per via politica, i gruppi dirigenti hanno deciso di seguire una soluzione dove i principi democratici non hanno accoglienza. La conseguenza di questa scelta ha i contenuti di un fascismo senza dittatura e, in economia, di un nazismo senza militarismo».
SE QUALCOSA NON FUNZIONA SI CAMBIA…
I gruppi dirigenti apprezzano l’inversione dei rapporti di forza favorevole che l’Ue stabilisce tra loro e il popolo, in particolare i lavoratori, con i media che esaltano quasi quotidianamente “le magnifiche e progressive sorti” dell’Unione europea per il Paese, anche se esse non emergono dalla realtà. L’enigma (peraltro di facile soluzione) è a quale parte del Paese si riferiscono? Purtroppo la risposta è quella parte che già sta bene e sa difendersi, essendo in larga maggioranza. Siamo tornati indietro di secoli nelle conquiste raggiunte nella convivenza civile democratica. Poiché una politica monetaria comune non si adatta a tutte le esigenze o condizioni di fatto dei Paesi che aderiscono alla moneta unica, l’aggiustamento dovrebbe essere attuato con adeguate politiche fiscali, le quali, come si è ricordato, sono restate nelle mani dei singoli Paesi, ma sono vincolate da limiti ben precisi posti ai deficit del bilancio pubblico e al livello del debito sovrano sul Pil. Soprattutto per i Paesi, come l’Italia, che fin dall’inizio avevano una posizione squilibrata rispetto a questi due parametri fiscali (oltre il 7% nel deficit di bilancio e oltre il 100% nel rapporto debito pubblico/Pil), gli spazi per queste politiche sono di fatto attribuiti in modo asimmetrico, positivi per chi rientra nei parametri concordati, negativi per gli altri. L’ingiustizia è innata negli accordi (…) Non c’è verso di convincere i leader dell’Unione europea di seguire il principio di Franklin Delano Roosevelt che se qualcosa non funziona, si cambia. Ma il cambiamento richiede preparazione scientifica, fantasia creatrice e coraggio per intraprenderlo. Nell’Ue le forze della conservazione prevalgono. La storia economica brevemente percorsa suggerisce che è necessario mutare le politiche riguardanti gli investimenti, soprattutto pubblici, e la tutela del risparmio operando sui tassi dell’interesse e sul rischio, nonché il funzionamento del sistema monetario internazionale ed europeo, affrontando con adeguate politiche i divari di produttività tra aree geografiche, settori produttivi e dimensioni di impresa. Se non lo fa, la società prima o dopo si vendicherà, seguendo i movimenti di protesta non perché siano preparati ad affrontare il problema, ma solo perché insoddisfatti delle politiche seguite dai partiti tradizionali».
IL RISCHIO CHE ARRIVI LA TROIKA…
«Non ho mai chiesto di uscire dall’euro, ma di essere preparati a farlo se, per una qualsiasi ragione, fossimo costretti volenti o nolenti (il piano B da me invocato). Ritengo che uscire dall’euro comporti difficoltà altrettanto gravi di quelle che abbiamo sperimentato e sperimenteremo per restare. Il problema consiste nel fatto che non abbiamo né piano A, né B. Il piano A dell’Italia è quello della Ue con le conseguenze indicate. Ho il timore che il piano B sia quello di consegnare la sovranità fiscale alla “triade” (Fmi-Bce-Commissione) se le cose peggiorano, infilandoci nella soluzione greca. Il Paese è in un vicolo cieco. Le autorità hanno il dovere di approntare e attuare due diversi piani, quello necessario per restare nell’Ue e nell’euro, e quello per uscire se gli accordi non cambiano e i danni crescono. Invece si insiste nella loro inutilità essendo l’euro irreversibile e si è disposti a pagare qualsiasi costo pur di stare nell’eurosistema. La prima dichiarazione viene fatta a voce alta, la seconda raramente, ma viene comunque pensata dagli ideologi dell’Ue e dell’euro, ben sapendo che questo costo non verrebbe pagato da loro, ma da una minoranza, sia pure di dimensione significativa».
Paolo Savona
Fonte: http://sollevazione.blogspot.it
Link: http://sollevazione.blogspot.it/2018/05/un-nazismo-senza-militarismo-di-paolo.html
26.05.2018

Il fuorionda di D'Alema: "Se torniamo alle elezioni per il veto a Savona, Salvini piglia l'80%"

D'Alema pizzicato a chiacchierare con Grasso: "Se torniamo alle elezioni per il veto a Savona, Salvini piglia l'80%". Il video del fuorionda

"Speriamo bene...". Le parole "rubate" a Massimo D'Alema dall'agenzia Vista dicono davvero tutto (guarda il video).
Parlando con Pietro Grasso durante l'assemblea nazionale di Liberi e Uguali a Roma, l'ex premier ha manifestato la propria preoccupazione per lo stallo che è venuto a crearsi nelle ultime ore dopo il veto di Sergio Mattarella su Paolo Savona, l'economista che Matteo Salvini vuole al ministero dell'Economia. Un veto che potrebbe anche far saltare il tavolo. "Se torniamo alle elezioni per il veto su Savona - ha detto D'Alema - quelli (la Lega, ndr) prendono l'80% (dei voti, ndr)".
La Lega e il Movimento 5 Stelle insistono sul nome di Savona al ministero dell'Economia. Sono disposti ad andare fino in fondo anche a costo di ingaggiare un duro scontro con il Quirinale, che, a sua volta, mantiene il parere contrario alla nomina dell'economista, da sempre scettico nei confronti dei parametri di Maastricht. "Giornali e politici tedeschi insultano: italiani mendicanti, fannulloni, evasori fiscali, scrocconi e ingrati - ha sbottato Salvini - e noi dovremmo scegliere un ministro dell'Economia che vada bene a loro? No, grazie". Stando a quanto si apprende sarebbero costanti i contatti con Di Maio, che appoggia la battaglia su Savona. "Il presidente della Repubblica ha tutto il diritto di voler concordare alcuni ministri con il presidente del Consiglio incaricato - ha scritto su Facebook Alessandro Di Battista - ma porre veti sul ministro dell'Economia, malgrado il curriculum eccellente che vanta il dottor Savona lo trovo, da cittadino, assolutamente inaccettabile".

Lo scontro tra Mattarella e Salvini rischia di rafforzare ulteriormente il leader leghista. Durante l'assemblea nazionale di Liberi e Uguali a Roma, D'Alema ha esternato le proprie preoccupazioni a Grasso. Non una dichiarazione in chiaro, ma un fuorionda che l'agenzia Vista è riuscita a rubare. "Speriamo bene...", ha ripetuto più volte l'ex Ds. A preoccuparlo è che i veti del Colle possano rafforzare il Carroccio nel consenso popolare. "Se torniamo alle elezioni per il veto su Savona - ha profetizzato - quelli (la Lega, ndr) prendono l'80% (dei voti, ndr)".

MENTRE VIGE IL DIKTAT DI MATTARELLA SU SAVONA…

Giusto per capire, comincerei con un tweet di Claudio Borghi, l’economista della Lega:
Faccio notare a tutti quelli che strillano “I MERCATI I MERCATI” che per quanto riguarda il debito italiano “I MERCATI” hanno un nome e un cognome ed è (come da grafico) BCE. Da tempo l’unico compratore è la BCE quindi lo spread non dipende da noi, ma da lei”.




La parte blu sono i titoli del debito pubblico comprati da BCE.
I “mercati  liberi” del debito pubbblico, in questa fase,  non esistono.  E’ la BCE che, invece di fare semplicemente la banca centrale, prova a fare quel che ha già fatto a Berlusconi e alla Grecia, e che  vans Pritchard ha descritto nell’articolo che abbiamo pubblicato: “Li tagliano dal rifinanziamento del debito e minacciano di uccidere il sistema bancario. Creano a bella posta una crisi di rifinanziamento del debito. Lo hanno fatto appunto all’Italia nel 2011”.
Che la resistenza  di Mattarella al nome di  Paolo Savona sia motivata dall’ostilità di Mario Draghi anche personale, è quanto si legge in questo articolo:
Perché Mario Draghi è il nemico giurato di Paolo Savona

Il capo della Bce, vicinissimo a Sergio Mattarella, è il più fiero oppositore all’entrata dell’economista che piace a Salvini e Di Maio nel governo Conte. Non solo per motivi politici. Tra i due non corre buon sangue anche per questioni personali.
Articolo gustoso, che potete leggervi voi.   Riporto la motivazione che mi pare di maggior peso:
C’è l’idea che Savona  possa rappresentare una spina nel fianco della Bce, e non solo di quella parte di Banca centrale che si occupa di politica monetaria sotto la guida di Marietto, ma anche di quella Vigilanza che nelle mani della perfida signora Danièle Nouy ha combinato un sacco di guai alle banche italiane e contro cui Savona, nella veste di commentatore economico, si è scagliato più volte. E se c’è una cosa che Draghi da quando è al vertice della Bce ha sempre cercato di evitare è proprio avere conflitti con la sua Vigilanza”.



Daniele Nouy

Insomma è confermato:  i tecnocrati  incapaci non vogliono fra i piedi un vero competente.  Incapaci o disonesti, ecco il problema: Danièle Nouy,  a fine 2017, aveva ingiunto alle banche italiane di liberarsi in tutta fretta dei loro   crediti dubbi (non performing  loans), ossia in pratica di svendere a 10 quello da cui, col tempo,di può ricavare 20 o 30.  Quel che avrebbero ricavato i fondi-avvoltoio che di solito raccattano questi crediti svenduti. La signora aveva fatto crollare le azioni delle banche italiane – apposta, direi –  e inoltre   che è stata accusata di avere agito al di fuori delle proprie specifiche competenze, cioè di avere invaso il campo proprio del regolatore, fissando nuove regole in materia di valutazione dei crediti.
Non vorrei si dimenticasse  che la  condizione  economica disperata in cui ci troviamo, ci è stata regalata  dalla BCE. Come si vede in questa tabella, il nostro   Pil è stato stroncato proprio dal “Draghi Coup” e dalla Monti’s Austerity.




Il Pil Italiano dopo il golpe di Draghi e l’austerità di Monti. Nel frattempo, mentre a noi si imponeva di non superare il 3% di deficit, alla Spagna veniva concesso di fare spesa pubblica in deficit. E alla Francia ancor più.





Noi stavamo sotto il 3% quando alla Spagna veniva consentito di spendere a deficit fino al 10% del Pil. Più spesa pubblica, più sviluppo.
Quello che chiede adesso il governo Salvini-Di Maio  (che forse mai verrà) – è di fare spesa a deficit  come la Spagna  per qualche tempo onde tirarci fuori  dall’abisso in cui ci hanno cacciato.
Per esempio, come ha comunicato Giorgio Spaziani Testa,presidente di Confedilizia, “l’Italia è l’unico Paese europeo in cui i prezzi delle case calano dal 2012. Che cosa sia accaduto a partire da quell’anno in tanti continuano a sottovalutarlo…E’ stata quasi triplicata la tassazione patrimoniale sugli immobili”.  Gli immobili sono stati trasfgormati in perdita dal fisco.   Con una distruzione immane del  patrimonio edilizio: vecchie case di campagna, invendute dopo anni di unutili tentativi, e capannoni industriali inutilizzati, vengono scoperchiati dai proprietari per non  doverci pagare le tasse. Fenomeno unico in Europa.
Paolo Savona ha parlato con forza della necessità di riavviare il settore edilizio. criticando Monti. A un convegno nel 2014: “per raccogliere 4,5 miliardi di IMU hanno abbattuto il valore capitale di almeno 200 miliardi”.





L’euro ha ucciso la domanda interna e la produzione industriale.

Per nostra fortuna, il  governatore di Bankitalia Visco ci tranquillizza: “Il processo di integrazione europea ci ha garantito pace e stabilità”. Come si vede dalla tabella:




Il Pil pro-capite salì, in Italia, persino nella Grande Depressone. Adesso è caduto, con la UE.
Questi dati per capire meglio la fondatezza, onestà, moderazione e cultura dell’articolo dello Spiegel.  Illusdtrato con   la foto di Portofino e dei suoi yacht, per far capire qunto noi italiani siamo ricchi.


Durissimo attacco del settimanale Spiegel: “Italia scroccona, colpa di Draghi”
«I mendicanti almeno dicono grazie, quando gli si dà qualcosa»
(da La Stampa):
Non si tratta di un paese povero, scrive il giornalista nel suo commento al piano del futuro governo, e poi attacca: «Come si dovrebbe definire il comportamento di una nazione che prima chiede qualcosa per lasciarsi finanziare il suo proverbiale “dolce far niente”, e poi minaccia coloro che dovrebbero pagare se questi insistono sul regolamento dei debiti? Chiedere l’elemosina sarebbe un concetto sbagliato. I mendicanti almeno dicono grazie, quando gli si dà qualcosa. Scrocconi aggressivi si avvicina di più» alla condotta dell’Italia.
(MB: quanto al dolce far niente, avrei un grafico: siamo i secondi produttori industriali in Europa  dopo i tedeschi,  prima  dei francesi e inglesi. )
«In effetti si procede verso il ricatto», continua Spiegel, affermando che «rispetto all’Italia la Grecia è una bazzecola». «Se gli italiani decidono di non voler assolvere ai loro pagamenti, l’euro è alla fine e la Germania perderà tutti i soldi impegnati per salvarlo», si legge anche. E l’uomo che «ha fornito l’arma» che l’Italia punta contro i suoi vicini «siede a Francoforte», aggiunge il magazine, tirando in ballo Mario Draghi. Il «whatever it takes» pronunciato dal presidente della Bce nel momento più critico dell’eurocrisi, è la tesi, «è stato notato a Roma». «E adesso alla Bce non resta altro che continuare la sua politica perché ogni rialzo dei tassi porterebbe lo Stato italiano all’incapacità di pagare».
(MB: c‘è questa  solida convizione tedesca che sono loro a pagarci il debito italiano. In realtà non solo ce lo paghiamo noi, ma siamo stati noi a salvare le loro banche (e quelle francesi) che avevano prestato troppo  e male alla Grecia. Come si vede nella tabella: nel 2009 l’Italia non era esposta al debito greco, mentre le banche germaniche e francesi avevano decine di miliardi di titoli ellenici. Nel  2014, lo Stato italiano è pieno di titoli greci, di cui si sono liberati tedeschi e francesi.  Si  chiama “solidarietà europea”. Che loro non sanno cosa sia)



Nel 2009 e nel 2014

E, per citare Luciano Barra Caraccio, ” l’Italia non solo è in attivo ormai stabile delle partite correnti, ma è contribuente netto nel bilancio dell’intera Ue, nonché pesante contributore dei fondi di salvataggio (ESM e suoi antecedenti) le cui erogazioni sono andate a vantaggio di altri”

Riprendiamo lo Spiegel secondo La Stampa:
«Io non ho nulla contro persone che vivono al di sopra delle loro possibilità. Per me l’Italia può continuare a praticare l’evasione fiscale come sport nazionale.
(MB. “Al disopra delle proprie possibilità”. In realtà l’Italia è in continuo avanzo primario: ossia vive al disotto delle sue possibilità. Il suo rapporto debito/Pil aumenta,  non  perché  ha speso in modo irresponsabile, ma al contrario: ha speso troppo strettamente. Non è il debito che è aumentato, è il Pil che è diminuito.
Il tedesco: “Trovo però incomprensibile che si vogliano addossare i costi delle proprie decisioni politiche ad altri che hanno un’altra concezione della politica. Questo difficilmente si concilia con il mio concetto di democrazia». «Chi vorrebbe essere considerato uno scroccone? Gli italiani, così almeno pare, hanno superato questa forma di orgoglio nazionale»
Ci sarebbe da dire molto sulla volgarità, l’ingiustizia e la assenza totale di senso di un comune destino che esprime questo articolo. Che è poi il sentimento comune non solo del  popolo, ma della classe dirigente tedesca: che dimostra così  troppo bassa e abietta rispetto alle respnsabilità – che del resto non si prenderà mai – di paese-guida d’Europa.  Oltretutto, questa arroganza dimostra che non si sono accorti di avere già perso, comunque  brutalizzino l’Italia; fra qualche mese,   ne sonos sicuro,  torneranno al marco rivalutato del 30 per cento,  dopo aver  devastato l’eurozona.
Ma di questo un’altra volta. E’ notte fonda. Concludo rubando una riga a Barra Caraccio, che sta diventando il mio autore preferito:
Se obbedissimo mettendoci more solito sull’attenti sui diktat dell’€stablishment, il consolidamento fiscale ci porterebbe in crescita   zero virgola o in recessione.
E poi ci rimproverebbero che cresciamo poco perché non facciamo le riforme e che abbiamo troppi NPL.
Ma anche basta”.
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