Il rito romano antico dalle origini al cambiamento
L’ultimo libro di Don Pietro Leone, accademico e formatore di dottrina e rito tradizionale, è diretto a Papa Francesco, seppure tratti un tema che non sta a cuore del destinatario della dedica: la Santa Messa in Vetus Ordo. L’autore di Come è cambiato il rito romano antico, edito da Solfanelli, si è posto l’obiettivo di valutare i due riti, il nuovo e l’antico in maniera scientifica, paragonandoli alla luce delle rispettive teologie sacramentali.
Ne è scaturito un testo che non cerca la polemica e, scevro da ogni ipocrisia o doppiogioco, mette in evidenza l’oggettività e la verità dei fatti. Le fonti, d’altro canto, sono di indiscutibile valore teologico e storico. È in sostanza un compendio, una sintesi sui due riti fruibile a tutti i lettori più o meno preparati sull’argomento. Dalla disamina di ognuno emerge, come sta scritto nella prefazione: «che essi sono così diversi che non possiamo accuratamente parlare di due forme del Rito romano, né di due Riti romani; ma piuttosto di due riti distinti, il primo romano e il secondo non-romano: ci mostrerà in effetti che nel creare il Nuovo rito il Rito antico è stato distrutto».
Padre Leone non ha alcuna riserva e alcun timore nel porre in rilievo il carattere protestante del nuovo rito, così, in maniera rigorosa propone un confronto che non lascia via di uscita a inganni e edulcorazioni: «Infatti, ciò che fu soppresso fu quasi tutto ciò che fa parte della vera essenza della Messa, cioè la sua natura sacrificale. È quindi in questa prospettiva che raffronteremo la teologia dei due riti nei sotto paragrafi successivi: §1 sull’offertorio, concerne l’anticipazione del sacrificio; §2 sul canone, concerne il rendere presente il sacrificio; §3 sulla Presenza reale, concerne il suo oggetto, cioè Gesù Cristo stesso; §4 sul sacerdozio sacrificale, concerne il ministro che ha ricevuto il potere di fare il sacrificio;§5 sui fini della Messa, concerne le finalità del sacrificio; §6 sul latino, concerne la lingua che ci è adatta; §7 sull’orientamento del celebrante, concerne l’appropriato orientamento; §8 sull’altare e tavola concerne l’altare del sacrificio; e §9 sull’intelligibilità e partecipazione, concerne il loro oggetto principale, cioè il sacrificio stesso» (p. 27).
Non poteva poi mancare la corretta lettura del Sacerdozio sacramentale. Sacerdoti sono i presbiteri non i laici, mentre, con il nuovo rito ci si è allineati al sacerdozio laicale dei protestanti.
Vediamo perciò ben netta la mutazione: nella Messa moderna tutte le distinzioni verbali nell’offertorio e nel canone fra sacerdote e laici sono state rimosse, con l’eccezione del «pregate fratelli» (ovvero «Orate Frates».
Il doppio Confiteor e la doppia comunione sono stati sostituiti con un singolo Confiteor e una singola Comunione, dove non esiste più distinzione fra i sacerdoti e i fedeli (termine che è stato sostituito con «assemblea» o «popolo»), mentre la formula di assoluzione è stata rimossa, come era stata rimossa dai protestanti nel XVI secolo.
Il Concilio di Trento rispose in maniera fermissima a Lutero e a tutti i protestanti sorti dalle sue eresie: «Se qualcuno dirà che il sacrificio della messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o la semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, e non propiziatorio […] e che non si deve offrire per i vivi e per i morti, per i peccati, per le pene, per le soddisfazioni, e per altre necessità: Sia Anatema» (pp. 49-50).
Pertanto la finalità della Santa Messa non è semplicemente lode o adorazione e ringraziamento, ma anche espiazione e supplica. Questa dichiarazione è tanto vera quanto eterna ed è la risposta non solo alla negazione protestante che la Messa sia un sacrificio e, come tale, espiatoria e supplichevole di natura, ma anche risposta alla Messa nuova avallata da Paolo VI e che Annibale Bugnini, già ai tempi di Pio XII, iniziò a creare con i suoi collaboratori nella Commissione liturgica per andare incontro ai fratelli separati.
Peccato che quei fratelli con i loro errori abbiano influenzato i rivoluzionari in seno alla Chiesa, intossicando un rito che ha finito per rivolgere più un culto all’uomo che a Dio.
Tuttavia il Vetus Ordo, grazie al Summorum Pontificum di Papa Benedetto XVI del 7 luglio 2007, continua ad avere un riscontro di interesse crescente sia nei sacerdoti che lo applicano, sia nei fedeli che lo assistono, dove i giovani hanno grande rilievo.
La visione soprannaturale dell’autore, che si esplica là dove afferma che Dio ha permesso tanto degrado liturgico quale possibile «castigo severo della Chiesa per mali della più estrema gravità» (p. 131) con un’opportuna similitudine fra i castighi all’umanità preannunciati da Nostra Signora di Fatima subiti durante il XX secolo, non fa altro che dare un valore aggiunto all’opera saggistica, un valore di carattere spirituale.
Correlato a questo libro di grande interesse e utilità, è di questi giorni l’uscita del saggio di Don Claude Barthe, teologo, difensore e divulgatore del “genio” della liturgia romana tradizionale, dal titolo Storia del messale tridentino, tradotto dall’originale francese da Carlotta Anna Pallottino Luyt e pubblicato ancora da Solfanelli.
Il testo è diretto a tutti coloro che desiderano comprendere come il prodotto studiato a tavolino da pochi, ovvero il Novus ordo, non sia altro che la conseguenza della mentalità maturata, nel corso di quattro secoli (ovvero dalla promulgazione del messale del Concilio di Trento, avvenuta il 14 luglio 1570, alla prima edizione del messale del Concilio Vaticano II, editata il 26 marzo 1970), durante i quali hanno operato, in maniera invasiva e sistematica, i nemici della Chiesa.
L’opera liturgica realizzata dal Concilio di Trento ha sancito il risultato della stabilizzazione medioevale del culto romano. La ricezione di tale Concilio, lungo questi quattrocento anni, si è accompagnata ad un’evoluzione del Cattolicesimo, evoluzione che l’ha smarcata – grazie all’azione scavatrice degli oppositori del Cattolicesimo – in maniera sempre più incisiva e ferma dalla Tradizione, fino ad arrivare ai nostri caotici ed eretici tempi.
«La liturgia di questo cattolicesimo della Controriforma è stata celebrata da Pio V a Giovanni XXIII, fino alle soglie della dirompente crisi contemporanea. Ho scelto di focalizzare lo studio in modo particolare su questo periodo, in quanto in esso si è verificata una assimilazione di tutta la stratificazione liturgica anteriore, essenzialmente successiva alla romanizzazione carolingia e al processo di centralizzazione realizzato con la riforma gregoriana. Questa retrospettiva si caratterizzerà per la fatale tendenza a privilegiare il punto di vista francese dell’autore, cosa che può d’altronde trovare una giustificazione oggettiva in ragione dell’importanza del ruolo che le Chiese di Francia hanno svolto durante questo periodo della storia del culto romano» (pp. 5-6).
Scrutare nella storia del messale romano significa comprendere il valore dottrinale, teologico, liturgico e sacro di un patrimonio che si è edificato, mattone dopo mattone, fino ad erigere quello tridentino.
Non, dunque, un manipolo di uomini rivoluzionari ha ideato un’alternativa, come è accaduto per il Novus Ordo, bensì un Papa, san Pio V, che ha regolarizzato e unificato la liturgia nell’orbe cattolico. «A partire dall’alto Medioevo, ha acquisito una rilevanza, non pari a quella della Bibbia, ma, a ben vedere, comparabile e complementare, tale da far attribuire carattere sacro al messale e viceversa. A questo occorre aggiungere un’osmosi intrinseca dei testi e delle cerimonie liturgiche con l’insegnamento del magistero. Osmosi ben maggiore di quella, comunque assai forte, del diritto della Chiesa con quello stesso insegnamento» (p. 5).
Per intenderci meglio facciamo un esempio: i Carolingi accentuarono la romanizzazione della liturgia della Gallia e ciò in vista di un’unificazione politica e religiosa dei loro territori, ma anche per assicurare la propagazione del Cattolicesimo romano in difesa dell’ortodossia religiosa.
La sempre maggiore diffusione della liturgia romana come era celebrata a Roma, come fecero i Francescani del XIII secolo, si è realizzata attraverso la divulgazione dei libri liturgici della Curia romana da loro adottati. L’importanza del messale o del breviario, ma anche del pontificale della Curia romana, crebbero nella diffusione data dall’invenzione della stampa e dalla Controriforma.
Così i «violenti attacchi protestanti contro le messe “papiste” e, d’altra parte, l’opera dottrinale del Concilio di Trento (in particolare nelle sessioni XIII e XXII) hanno conferito alla messa della Curia un valore aggiunto propriamente romano. Essa diventa, in modo più evidente, un faro della professione di fede cattolica veicolata dalla tradizione». Una Tradizione oggi tanto tradita, quanto violata con abusi inconcepibili e sacrileghi, abusi che trovano la loro matrice nella negazione luterana della transustanziazione. (Cristina Siccardi)
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