Intervista di Mons. Antonio Livi
La trascrizione dell’intervista è stata pubblicata sul Courrier de Rome n° 611 di giugno 2018, con la seguente avvertenza: E’ stato mantenuto lo stile parlato dell’intervista, apportando solo alcune minime correzioni formali per una più scorrevole presentazione scritta.
Mons. Antonio Livi è professore emerito di filosofia della conoscenza, nella Pontificia Università Lateranense, Direttore editoriale della rivista di apologetica teologica Fides Catholica e fondatore della collana di quaderni di epistemologia teologica Divinitas Verbi.
Domanda: La pastorale di Papa Francesco, già applicata da decenni al Nord delle Alpi, conduce ad una Chiesa moribonda. Perché Papa Francesco non se ne rende conto?
Mons. Livi: Perché lui è stato eletto proprio per questo. L’ha detto lui stesso: «i miei fratelli cardinali mi hanno eletto perché io mi occupassi dei poveri e perché portassi avanti la riforma». In realtà, fu il gruppo dei teologi di San Gallo, in Svizzera, Godfrie Danneels, Walter Kasper ed altri, che già in occasione dell’elezione di Benedetto XVI aveva l’idea che il Papa che avrebbe potuto far avanzare la riforma nella Chiesa, nel senso luterano del termine, poteva essere lui, Bergoglio. Una riforma in senso luterano; perché la pastorale o la politica di intesa interreligiosa con i luterani e poi con tutti gli altri, mira a far sì che i luterani siano apprezzati ed approvati, e che il cattolicesimo sia sempre più ridotto a pentirsi di tutti i suoi peccati. Ufficialmente, il teologo di Papa Francesco, il più a portata di mano, Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, pubblica gli articoli di uno dei suoi confratelli gesuiti, Giancarlo Pani, il quale continua dire: La Chiesa nel XVI secolo si è sbagliata, ha peccato nei confronti di Lutero. Lutero aveva ragione e adesso bisogna riabilitarlo e fare quello che lui voleva. Una Chiesa senza sacerdozio, una Chiesa senza magistero, una Chiesa senza dogmi, una Chiesa senza un’interpretazione ufficiale della Sacra Scrittura, lasciata in mano a persone che la interpretano secondo lo spirito, presunto, che essa suggerisce loro. Una Chiesa sinodale, in cui i preti, i vescovi e i papi non sono più espressione del sacro, ma della politica, della comunità, che elegge e che nomina.
Il Papa stesso parla così: «Bisogna arrivare ad una Chiesa di popolo». Ma il popolo è un’immagine puramente retorica. Non si può mai sapere ciò che vuole il popolo, cioè una moltitudine di persone diverse. Anche in politica, l’espressione «il popolo» è puramente retorica, e ancor più in teologia. Per esempio: dire che il popolo ha voluto cambiare la Messa è una sciocchezza, questo non è mai stato né possibile né attestato. Nel popolo vi sono di quelli che, come Padre Pio al suo tempo, sono pieni di fede, e di quelli che non hanno alcuna fede. Allora vi erano di quelli che volevano riformare le cose perché la Messa in latino non piaceva loro e la volevano in italiano, ma costoro non comprendevano le parole della Messa né in latino né in italiano. La Chiesa non ha mai condotto delle operazioni a carattere «democratico», come eleggere delle persone con l’accordo di una base: essa non ha mai tratto quello che deve insegnare da ciò che pensa la gente. La Chiesa deve insegnare quello che ha detto Gesù: è talmente semplice!
Domanda: E’ sicuro che l’elezione di Papa Francesco sia stata orchestrata?
Mons. Livi: Sì, ne sono assolutamente sicuro. Tra le altre cose, ne sono certo a causa di numerose testimonianze. Si tratta di una certezza storica. Le certezze storiche si sono sempre basate sulle testimonianze. Le testimonianze sono fallibili, ma per me è molto probabile che le cose siano andate così. Non c’è nessuno che abbia avanzato una tesi diversa. Talvolta si dice invece una cosa assurda: che cioè Papa Francesco sia stato eletto perché l’ha voluto lo Spirito Santo. E’ una sciocchezza. Lo Spirito Santo ispira tutti gli uomini perché facciano il bene, ma non tutti gli uomini fanno quello che ispira loro lo Spirito Santo: certi fanno delle cose buone e certi altri fanno delle cose cattive.
Se penso al cardinale Kasper che era già eretico prima e voleva distruggere la Santa Messa, il matrimonio, la Comunione e il Diritto Canonico, e che adesso il Papa dice che è il suo teologo per eccellenza e gli fa organizzare il Sinodo per la famiglia, dico a me stesso: qui c’è qualcosa di totalmente orchestrato. E tutto questo si ripercuote su tutto: il riconoscimento di Lutero, la preparazione di una Messa in cui la Consacrazione non è più la Consacrazione, in cui si elimina il termine «sacrificio», cosa che piace ai luterani.
Siamo di fronte alla stessa cosa che è successa con Paolo VI, il quale, nella Commissione del concilio Vaticano II presieduta da Annibale Bugnini, che doveva preparare il Novus OrdoMissae, fece entrare dei luterani che avevano il compito di dire ciò che a loro piaceva e ciò che non piaceva della Messa cattolica. E’ assurdo! E allora si capisce che si tratta di un piano molto ben orchestrato, che non data da oggi, ma dagli inizi degli anni sessanta.
Per più di cinquant’anni i teologi eretici, malvagi, hanno cercato ci conquistare il potere, e adesso ci sono riusciti. E’ per questo che parlo di eresia al potere. Non sono i papi ad essere eretici; non ho mai detto questo di nessun Papa. I papi hanno subito questa influenza e non vi si sono opposti. Essi hanno seguito quell’idea folle di Giovanni XXIII che diceva: affermiamo la dottrina di sempre, ma senza condannare nessuno. E’ impossibile; la condanna fa parte dell’esplicitazione del dogma, è l’altra faccia della stessa medaglia. Se si vuole applicare il dogma ai tempi moderni, in cui vi sono delle eresie, bisogna necessariamente condannarle. Non condannare alcunché significa approvare tutto; e approvare tutto significa che non vi è più la fede cattolica.
Domanda: Lei parla di eresia al potere. Che cosa intende?
Mons. Livi: Mi riferisco non a delle persone che professano formalmente l’eresia, perché se si trattasse di autorità ecclesiastiche sarebbero tutte scomunicate e perderebbero il loro ruolo, ma a delle eresie che sono professate formalmente e con insistenza da dei teologi che hanno avuto molto potere all’inizio del concilio Vaticano II, grazie o a causa di Giovanni XXIII, e poi nel post-concilio, poiché tutti i papi hanno continuato a trattare con rispetto questi teologi eretici. Certuni, come Benedetto XVI, sia come Prefetto della Congregazione per la Fede, sia come Papa, hanno mantenuto una posizione ortodossa e pia nell’adorazione di Dio e nel rispetto della sacralità dell’Incarnazione, ma in definitiva anch’essi erano uniti effettivamente a questi teologi eretici. Quando Benedetto XVI, come Papa, parla di Karl Rahner, dice semplicemente che entrambi erano d’accordo per aiutare i vescovi ad orientare il Concilio in una certa direzione, una direzione orribile, e solo in seguito si sono separati solo per certi disaccordi.
Benedetto XVI, in quanto Papa, ha anche detto che Hans Küng gli ha chiesto di cambiare il dogma dell’infallibilità e che lui gli ha risposto: «Sì, ci rifletteremo». Voglio dire che tutti i papi non hanno avuto un atteggiamento severo di condanna dei teologi neo-modernisti, hanno avuto invece un atteggiamento di comprensione. Nei miei libri non ho mai espresso condanne per le persone, ho condannato le teorie, quando queste erano oggettivamente incompatibili col dogma cattolico. Le intenzioni e i legami con le personalità non mi interessano. Io sono un esperto di logica e posso solo esaminare una proposizione, un metodo, e in questo dico delle cose che sono assolutamente vere e incontestabili. Quando critico le tendenze all’eresia di Benedetto XVI, non ignoro che è un santo e che ha fatto molte cose buone nella pastorale per la Chiesa e che ha sempre avuto buone intenzioni. Ma questo non toglie nulla al fatto che ha sempre manifestato della simpatia per il neo-modernismo, che consiste sostanzialmente in due cose: ignorare la metafisica e volere spiegare il dogma con dei criterii ermeneutici basati sull’esistenzialismo e la fenomenologia; ignorare cioè – cosa terribile e molto brutta – le premesse razionali della fede, quello che San Tommaso chiama «praeambula fidei». Di conseguenza, quando si parla di Dio si tratta solo della fede, non si tratta di sapere che vi è un Dio, come afferma il Dogma del concilio Vaticano I che consolida tutta la dottrina della Chiesa.
Domanda: Giovanni XXIII ha detto che la Chiesa non condanna nessuno, ma oggi l’eresia al potere condanna quelli che difendono la dottrina cattolica. Che è successo?
Mons. Livi: Da dopo Giovanni XXIII si ha l’idea che la pastorale della Chiesa consista nel tradurre il dogma in un linguaggio comprensibile, accettabile per l’uomo moderno – cosa che è un mito, una fantasia - e nel trovare il bene anche nelle posizioni teoretiche più contrarie al dogma. Io ritengo che si tratti di una pastorale che, in quanto tale, è erronea e nociva per la Chiesa, ma in quanto teoria è un’attività, una prassi erronea che come dottrina non ha alcun sostegno nell’infallibilità. La prassi può essere erronea perché è un atto derivante da un giudizio prudenziale che può essere giudicato erroneo da chi esprime altri giudizii prudenziali, come i miei, che sono giudizii non sostenuti dall’infallibilità. Così, quando io critico questa pastorale che mi sembra disastrosa, utilizzo dei giudizii, degli aggettivi e degli avverbii che fanno capire che si tratta di mie opinioni. Dio giudicherà, ma non v’è niente di dogmatico nel fatto di giudicare l’opportunità di una linea pastorale. Quelli che fanno del male alla Chiesa sono coloro che considerano dogmaticamente la pastorale del Concilio e dei papi ad esso seguenti come la sola necessaria, e parlano di «nuova Pentecoste della Chiesa» e di «interventi dello Spirito Santo», come se tali giudizii prudenziali, che io considero erronei, fossero invece dogmaticamente infallibili ed anche santi e la sola cosa che la Chiesa possa fare.
Ecco perché poi vi è un’oppressione nei confronti di quelli che criticano. Costoro criticano una opinione legittima in nome di una opinione illegittima, che è quella di pensare che la Chiesa dovrebbe necessariamente applicare questo tipo di pastorale fondata su delle cose assurde come la nozione di «uomo moderno», che non esiste. In Europa vi è una grande diversità di uomini moderni. Le culture della Polonia, dell’Ungheria, della Slovenia, di Parigi, sono completamente differenti. Costoro pensano che l’uomo moderno sarebbe quello di Parigi, di Francoforte, e ignorano completamente l’Africa, l’America Latina, una gran parte dell’Asia, ignorano che nelle coscienze di tutti gli uomini vi è molto di più di ciò che leggono sui giornali, nelle riviste, nelle pubblicazioni accademiche. Per esempio: pensare che l’uomo moderno sia ateo è falso, mi sembra. Ogni uomo ha la certezza che Dio esiste, sulla base del senso comune. Poi ci si può allontanare da Lui. Un pastore d’anime che confessa un morente lo sa molto bene. Anche Voltaire, all’ultimo momento, ha chiesto un prete per assolverlo. Egli sapeva molto bene che Dio esiste e che Gesù Cristo è Dio.
Domanda: Pensa che la teologia di Joseph Ratzinger potrebbe essere una via d’uscita dalla crisi della Chiesa?
Mons. Livi: Assolutamente no. A causa di ciò che ho già detto. Già nella «Introduzione al Cristianesimo» egli dimostrava una cultura cattolica sotto l’influenza della cultura protestante, e nella teologia egli agiva già sulla base della scelta di combattere il neo-tomismo e la neo-scolastica, con i loro preambula fidei e la teologia naturale. Secondo lui, si passa direttamente dall’ateismo alla fede, cosa che, dogmaticamente, la Chiesa non accetta, come afferma il concilio Vaticano I; l’enciclica Fides et ratio dice il contrario. Non si passa dall’ateismo alla fede, si passa dalla conoscenza naturale di Dio alla fede, solo attraverso i preambula fidei, se si cerca la salvezza e si ha la possibilità di comprendere la giustezza del messaggio di Cristo.
Comunque sia, mi sembra che il pensiero di Ratzinger possa essere criticato come teologo; altra cosa è la sua azione pastorale come Prefetto della Congregazione per la Fede e poi come Papa. Come Papa ha fatto molto poca pastorale dogmatica, ha fatto della pastorale che io chiamo «letteraria». Ha prodotto dei documenti che derivano più dalla teologia che dal magistero. Se si fa della teologia e si mette il proprio lavoro sullo stesso piano di quello dei teologi, non si fa più del magistero, che consiste nel riproporre il dogma e spiegarlo. Le sue encicliche sono al 90 % della pura teologia ed egli ha impiegato una gran parte del suo pontificato a scrivere i tre volumi del «Gesù diNazareth».
Domanda: Nel 2005, il cardinale Ratzinger ha detto che i non credenti vivono anch’essi come se Dio esistesse. Com’è possibile questo?
Mons. Livi: Con il più grande rispetto per il cardinale Ratzinger – che in seguito ha ripetuto la stessa cosa come Papa – si tratta di una sciocchezza. Non si può presentare agli uomini l’esistenza di Dio come fosse un’ipotesi. Questo è solo fideismo. L’esistenza di Dio è una certezza e bisogna richiamare gli uomini alla sincerità del loro cuore, che dice loro che Dio esiste e che hanno il dovere di cercare sempre il vero Dio che si manifesta nella storia. Questo discorso, Ratzinger l’ha sempre fatto parlando alle istituzioni politiche, economiche e sociali, perché egli si preoccupa giustamente per la dottrina sociale della Chiesa e per il bene comune, cioè per la giustizia sociale. Egli diceva che le persone che lavorano in politica, in economia e per la giustizia sociale, se non accettano l’esistenza di Dio e ancor più la fede cristiana, dovrebbero tuttavia mantenere questa ipotesi dell’esistenza di Dio. Il che non ha né capo né coda! Colui che ammette l’ipotesi – sia il Papa sia gli atei – nega una verità sapendo che è una verità. Nessuno può convincermi che vi sia veramente qualcuno che, apoditticamente, neghi l’esistenza di Dio.
In Francia, negli anni sessanta, Étienne Gilson, mio maestro, scrisse un libro, L'Athéismedifficile, nel quale affermava che per un filosofo è impossibile affermare che Dio non esiste. La fonte della filosofia mondiale, che viene dalla Grecia, parte dal presupposto che Dio esiste.
Domanda: L’anno scorso, lei ha denunciato la persecuzione contro la sua persona e contro coloro che non si allineano con la dittatura del relativismo. Questa persecuzione continua ancora?
Mons. Livi: Va di peggio in peggio; e questa persecuzione si giustifica con certe affermazioni imprudenti dell’attuale Papa. Tutti quelli che sono fedeli alla dottrina, al Diritto Canonico, e vogliono che le certezze della fede non vengano messe da parte, sono apertamente accusati di eresia. Eresia pelagiana e gnostica. In verità, il Papa guarda a quelli che sono animati da buone intenzioni e che hanno firmato prima i Dubia, poi la Correctio filialis, ai quali risponde: «Siete dei fanatici». Il Papa, e tutti gli altri, ignorano che nella fede della Chiesa vi sono due livelli: vi è il livello del dogma, le certezze assolute, che sono poco numerose; e vi è il livello delle spiegazioni e delle applicazioni del dogma, che arrivano fino alla pastorale; queste ultime sono numerose, ma riguardano solamente ciò che è accidentale. Su ciò che è sostanziale, invece, non possono esserci delle scuole di pensiero. La fede della Chiesa è sempre la stessa, e quelli che vi sono legati non possono essere rimproverati, non devono essere perseguitati: li si deve aiutare a compiere il loro dovere e bisogna e si dia loro ragione. Arriverà il tempo in cui il Papa lo farà; quando Dio vorrà.
Domanda: Che accade a quelli che non si allineano? In che consistono le persecuzioni?
Mons. Livi: Ormai tutti lo possono vedere. Io penso a ciò che è successo ai Francescani dell’Immacolata e a tutti quelli che scrivendo dei libri e facendo una pastorale di chiarificazione e di superamento del disorientamento pastorale, si sono visti interdetti i libri e le conferenze in molte diocesi. Io, per esempio, dirigo una collana di quaderni intitolata «Divinitas Verbi», che ha prodotto già sei numeri. Essi sono state rifiutati dalle librerie cattoliche, che non li mettono neanche in vetrina. La Civiltà Cattolica non li cita neanche tra i libri ricevuti. Questo è significativo. Avvenireli combatte apertamente.
In Italia, tutta la stampa cattolica ufficiale (Civiltà Cattolica, Avvenire, FamigliaCristiana, Edizioni Paoline), pratica un ostracismo verso questa buona dottrina oppure la citano in termini spregiativi, come se fosse stata prodotta da un folle. Il quotidiano della CEI, che ospita tutti i peggiori trattati sulla fede e li esalta come fossero degli esempi che farebbero avanzare la riforma della Chiesa, allorché gli scrissi che non apprezzavo che Avvenire pubblicasse una catechesi di Enzo Bianchi – che pratica un ateismo camuffato da «buonismo» e che dice apertamente che Gesù è una creatura e che Dio è divenuto uomo e dunque non è più Dio, ma solo un uomo – mi ha duramente attaccato. Nella pagina delle Lettere al Direttore, che tutti leggono, questi ha affermato che sarei un folle, un mentitore, un incompetente… io, che ho scritto su quel giornale per più di trent’anni prima della «svolta».
Questa «congiura del silenzio» nei confronti degli uomini come me, diventa limitativa con questo ostracismo che nuoce grandemente al lavoro accademico ed editoriale, poiché se i libri non vengono accettati in libreria e non si vendono, è inutile scriverli. Comunque sia, ciò che conta è riconoscere l’eresia e la pastorale che la favorisce. E’ quello che sta scritto nella Correctio Filialis «de hæresibus propagatis», e cioè che noi correggiamo il Papa, non perché è eretico - cosa che non direi mai – ma perché con la sua pastorale favorisce la propagazione dell’eresia. Del resto, egli ha messo al vertice della Chiesa i peggiori eretici, ai quali fa scrivere le sue encicliche.
Domanda: Francesco ha detto a Eugenio Scalfari che l’Inferno non esiste. Questo fa di lui un eretico?
Mons. Livi: No. Il Papa sarebbe eretico solo se affermasse queste cose formalmente. Egli le lascia dire. Come fa, per esempio, lasciando dire al Generale dei Gesuiti che non si sa quale sia la dottrina storica di Gesù perché allora non c’erano i registratori o che il demonio è un simbolo del male. Queste non sono dunque dottrine espresse da lui, che, al contrario, in Gaudete et exultate afferma che il demonio è una persona vivente e vera. Egli le fa dire agli altri nel quadro di una prassi. Una prassi funzionale che crea confusione e il contesto favorevole alle riforme che egli vuole realizzare, e chiunque vuole opporvisi viene accusato di essere giansenista e gnostico.
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