La misericordia come maschera del disprezzo di sé. L’uomo dalle idee moderne questa scimmia orgogliosa è terribilmente scontento di sé (Nietzsche). "Misericordia" il nuovo libro "vangelo" del subdolo e in malafede Walter Kasper
di Francesco Lamendola
Si sente un gran parlare di misericordia, di compassione, di accoglienza, di solidarietà, d’inclusione e altre commoventi e zuccherose espressioni dello stesso genere: sono entrate a far parte del vocabolario e della mappa concettuale (o pseudo concettuale) di cui qualsiasi persona che aspiri ad essere socialmente accettata deve provvedersi largamente, come il viandante che riempie di vettovaglie la bisaccia per affrontare il suo viaggio. Deve provvedersene il cattolico così come il laico, il sacerdote come il sindaco, il vescovo come l’insegnante. Per la prima volta nella storia della nostra società, laici e cattolici si trovano accomunati da queste espressioni e da questi valori; per la prima volta accade che li si trovi, ospiti fissi, sulle colonne di Repubblica e nelle omelie quotidiane da Casa Santa Marta, nei servizi del telegiornale e nei foglietti distribuiti nelle parrocchie e nelle chiese. Le adoperano gli intellettuali di sinistra e i cardinali, ne fanno sfoggio gli animatori dei boy scout e gli opinionisti politically correct, e i loro discorsi sono assolutamente intercambiabili. Miracolo: per la prima volta nella storia i preti e i mangiapreti, gli abortisti e gli antiabortisti, i radicali e i clericali, si esprimono con lo stesso linguaggio e fanno appello agli stessi sentimenti, e puntano ai medesimi obiettivi; includere, accogliere, ospitare, sostenere, mostrare compassione e, appunto, misericordia.
Il teologo e cardinale Walter Kasper ha scritto un libro, intitolato Misericordia, che è diventato la nuova Bibbia e il nuovo Vangelo del terzo millennio, più letto e più amato di quell’altro, quello ormai vecchiotto e superato, ispirato da un certo Gesù Cristo e scritto, invero rozzamente, o comunque metaforicamente, da quattro oscuri personaggi ebrei vissuti duemila anni fa, quando (pensate che scandalo!) non c’erano neppure i registratori e che, pertanto, forse non hanno riportato fedelmente le parole del loro Maestro. Sicuramente è il libro più amato dal signor Bergoglio; quello al quale, per sua stessa ammissione, egli si è maggiormente ispirato nella sua azione di pontefice.
L'eretico e il massone. Il cardinale prediletto di Karl Rahner: Walter Kasper, autore del libro "Misericordia" nuovo vangelo della neochiesa; qui con Gianfranco Ravasi
Il fatto che il cardinale Kasper sia un teologo eretico, che da molti anni scrive e dice cose che non collimano affatto con la dottrina cattolica; il fatto che solo per un miracolo, o meglio per le sue potenti protezioni massoniche, non sia stato cacciato fuori a pedate e scomunicato dalla Chiesa cattolica; il fatto che, con astuzia canagliesca, sia riuscito non solo a rimanere, ma a far carriera e infine a vedersi promosso, dalla massima autorità ecclesiastica, a teologo simbolo del “nuovo corso”, sono circostanze che non turbano, né disturbano affatto, i neocattolici e il neoclero, i quali, anzi, vedono in questo mutamento di segno nell’atteggiamento della Chiesa verso il loro idolo, la prova che finalmente lo “spirito del Concilio” sta prevalendo e che, una buona volta (ed era ora!) le loro idee, che poi sono le idee del modernismo, già condannate formalmente da san Pio X fin dal 1907, si son prese la rivincita, sono rientrate per la porta principale al tempo del Concilio, e ora si sono imposte come la nuova linea ufficiale della neochiesa, al preciso scopo di sostituire la teologia precedente e, in particolare, di far dimenticare la scolastica, san Tommaso, il Concilio di Trento (la loro bestia nera) e tutto ciò che si oppone al processo di dialogo, apertura e fraternizzazione coi protestanti, con gli ebrei, con gli islamici, coi comunisti o ex comunisti o post-comunisti o cripto-comunisti, coi radicali, coi massoni, con gli atei e i materialisti militanti e, insomma, con tutte le declinazioni possibili e immaginabili della cultura moderna e non cattolica o anticattolica, con la sola eccezioni di quelli che essi considerano i loro nemici irriducibili, i soli non meritevoli né di compassione, né di misericordia: i cattolici, i cattolici veri, che essi, per screditarli e metterli in pessima luce, chiamano “tradizionalisti”, mentre la sola qualifica che spetti loro sia quella di cattolici, senz’altre specificazioni. Cattolici come lo era san Pio da Pietrelcina; cattolici come lo era santa Teresina di Lisieux; cattolici come san Massimiliano Kolbe. Tutte figure, lo avete notato?, che evidentemente risultano un po’ scomode, un po’ indigeste, visto che sono state fatte silenziosamente scivolare nel cono d’ombra, mentre i riflettori si sono spostati sulle figure che sono praticamente la loro antitesi: i don Milani, i don Mazzolari, i padre Turoldo, insomma quei sacerdoti che incarnano il “nuovo corso” ancora agli albori, e che sono pertanto circonfusi dalla nobile luce degli antesignani, dei precursori, di coloro i quali, soffrendo e pagando di persona, hanno tracciato il sentiero per quelli che sarebbero venuti dopo: cioè loro, i neopreti e i neocattolici, i fautori di Bergoglio e dell’attuale indirizzo ecclesiastico, fondato sul valore centrale di una non meglio specificata “misericordia”.
Diciamo “non meglio specificata” perché, in questo mare dolciastro di buonismo, non si capisce bene nemmeno di chi sia la misericordia di cui si parla, se dell’uomo, o di Dio, o di entrambi; anzi si ha l’impressione che essa diventi una categoria unica, trasversale, metafisica, per cui diventa lecito aspettarsi, quasi come fosse un diritto, di ricevere da Dio tanta misericordia quanta se ne riceve dai vescovi e dai preti di strada, dagli operatori della Caritas e perfino dai militanti delle organizzazioni non governative i quali, con le loro navi (finanziate da uomini notoriamente e sinceramente misericordiosi come George Soros) pattugliano le coste della Libia per prendere a bordo, d’accordo con gli scafisti, tutti quelli che vogliono essere trasbordati in Italia e trasferirsi stabilmente in Europa, profughi o non profughi, naufraghi veri o naufraghi falsi (perché chi esce in mare su un gommone sovraccarico e immediatamente lancia il segnale di Sos per essere soccorso e preso a bordo, non è evidentemente un vero naufrago, ma uno che intende usare il pericolo di naufragare come arma di pressione e di ricatto per costringere gli altri a fare quel che lui vuole, cioè consentirgli di entrare illegalmente in un Paese ove non ha alcun diritto di essere accolto). E siccome la misericordia di questi soggetti è illimitata e si estende anche a quanti non sono così miseri come vorrebbero far credere, e della condizione di poveri e di stranieri fanno una comoda professione per essere mantenuti senza far nulla, succede che molti cattolici si sono convinti, anche perché i loro preti gliel’hanno detto e ripetuto in tutte le salse, che Dio è almeno altrettanto misericordioso, e quindi né divorzio, né aborto, né adulterio, né sodomia, né pederastia, sono peccati tanto gravi da meritare una seria condanna, perché a tutto c’è rimedio grazie alla misericordia di Dio, indipendentemente dal pentimento del peccatore e dal suo proponimento di non peccare più. Un concetto, questo, che è stato mirabilmente illustrato da quel che è successo nella ex parrocchia veronese di don Giuliano Costalunga, reduce dalle Canarie e da un matrimonio (con un uomo), che il suo vescovo, monsignor Zenti - il quale, a quanto è dato di capire, lo considera ancora, e nonostante tutto, un suo prete - ha abbracciato davanti ai fedeli edificati (o inorriditi, questo non è dato di sapere con certezza) e gli ha augurato di seguire liberamente la sua strada; mentre quello era talmente contrito e pentito del suo fallo, da dichiarare baldanzosamente alla stampa: Auguro a tutti di provare un amore grande come quello che provo io per mio marito! Sì, avete capito bene, non è un errore di battitura: per mio marito; perché, evidentemente, don Costalunga si considera la moglie del suo amore, e augura a tutti i buoni cattolici di innamorarsi come si è innamorato lui, e di farsi moglie, se maschi, o marito, se femmine, in nome di un amore che è più grande di quisquilie e pinzillacchere come il fatto di appartenere biologicamente al sesso maschile o al sesso femminile.
Miracolo: per la prima volta nella storia i preti e i mangiapreti, si esprimono con lo stesso linguaggio e fanno appello agli stessi sentimenti, e puntano ai medesimi obiettivi; includere, accogliere, ospitare, sostenere, mostrare compassione e, appunto, misericordia.
Ma da dove nasce tutta questa voglia di misericordia, intesa nel senso più ampio e più buonista possibile? Che cosa ha spinto un professore di Treviso – inutile fare il nome, lo trovate su qualunque sito internet – prima a prendersi in casa quattro sedicenti profughi africani, poi ad andarsene via con sua moglie, e, pur avendo dei figli, a lasciare a quei ragazzi stranieri la sua casa, in modo da non “disturbarli” con la sua presenza, insegnando loro che si può avere tutto senza aver fatto nulla, e che un uomo può lavorare tutta la vita per regalare i frutti del suo lavoro non a chi ha bisogno, ma a chi noi proclamiamo bisognoso, anche se ci sarebbero migliaia e milioni di persone più bisognose, ma che hanno la sfortuna di avere la pelle bianca, di non minacciare di annegarsi davanti alle spiagge per muovere a compassione, e troppo dignitose per chiedere la carità, anche se non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese? Davanti a una simile perversione del concetto e della pratica della misericordia, non si può fare a meno di chiedersi da dove essa abbia origine; e benché, in generale, siamo fieramente avversi alla smania psicanalitica di attribuire sempre motivazioni nascoste e vergognose ai comportamenti coscienti delle persone, in questo caso siamo portati a sospettare fortemente qualcosa del genere: e cioè che solo dei sentimenti alquanto negativi possano essere all’origine di una compassione e di una misericordia che non sono veramente tali, perché offendono il nostro più elementare senso della giustizia e perché vanno palesemente contro il buon senso, contro l’evidenza dei fatti e perfino contro l’istinto di conservazione, il più antico e profondo istinto di qualsiasi creatura vivente. Ebbene: riflettendo a lungo, e osservando le persone che più si spendono per questo tipo di misericordia, siamo giunti alla conclusione che il massimo della “misericordia” viene sbandierato laddove l’anima delle persone, e della società, tocca il massimo dell’auto-disprezzo. In altre parole, si arriva ad essere così svisceratamente, così inverosimilmente altruisti, quando non ci si vuole più bene, quando si è smarrito il rispetto di sé, quando si è dominati da un potente, inconscio istinto di morte. Solo una persona afflitta da un tale disprezzo, e solo una società che cova la brama della propria autodistruzione, può coltivare una “misericordia” che si traduce in una benevolenza indiscriminata verso l’altro, verso il diverso, verso il lontano, ma che non trova alcun riscontro quando si tratta dei propri vicini, e, a ben guardare, più ancora verso se stessi. In altre parole: per amare il prossimo, bisogna prima sapere amare se stessi; chi non si vuol bene, chi si detesta, chi vorrebbe scomparire, non sa essere misericordioso, né compassionevole, ma solo buonista. E sia chiaro che il buonismo non è una forma di grande bontà, ma il contrario della bontà, la sua diabolica contraffazione e il suo perfido capovolgimento.
C’è una lucidissima riflessione di Friedrich Nietzsche, in Al di là del bene e del male (Jenseits von Gut und Bösen, Parte settimana, n. 222; traduzione di Silvia Bortoli Cappelletto, Roma, Newton & Compton, 1993, p. 148):
Dove oggi viene predicata la compassione - e, se si ascolta bene, ora non si predica più nessuna altra religione – lo psicologo dovrebbe aprire le orecchie: attraverso tutta la vanità, attraverso tutto il frastuono che è proprio di questi predicatori (come di tutti i predicatori) egli sentirà un rauco, lamentoso, genuino accento di DISPREZZO DI SÉ. Esso appartiene a quell’incupimento e abbrutimento dell’Europa che sta aumentando ormai già da un secolo (e i cui primi sintomi sono già registrati a titolo di documento in una preoccupata lettera di Galiani a Madame d’Epinay: se pure non ne è la causa! L’uomo dalle “idee moderne”, questa scimmia orgogliosa è terribilmente scontento di sé: questo è sicuro. Egli soffre: e la sua vanità vuole che egli si limiti a “con-patire”…
L'importante è gratificare il proprio narcisismo? Sentendosi così buono e misericordioso, l’uomo “dalle idee moderne” (meravigliosa definizione di Nietzsche) stordisce il suo senso di colpa e fa in modo di non doversi confrontare con una realtà sgradita e dolorosa: il proprio disastroso e totale fallimento.
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