Sapete dove potete infilarvi le magliettine rosse? Ma prima dite la verità e fate mea culpa sulla Siria
Parlando dei modesti, Arthur Schitzler metteva in guardia con queste parole: “Non immaginate con quale commosso orgoglio coltivano le loro debolezze”. Mi è tornata in mente questa frase ieri, quando questo Paese ormai senza più capo, né coda celebrava la liturgia laica delle magliette rosse, ovvero l’ultima brillante mossa anti-Salvini, questa volta architettata da Don Ciotti, che automaticamente garantità al ministro dell’Interno e al suo partito un altro 2% nel sondaggio di Mentana domani sera. Non l’hanno proprio capita, non ci arrivano: non è bastata la colossale figura di merda collezionata dalla rivista Rolling Stone, il cui appello arcobaleno sempre contro il leader leghista e la sua politica migratoria è stato sbugiardato a tempo di record da almeno tre firmatari vip “a loro insaputa”, devono andare avanti.
A Roma, capitale di un popolano buonsenso un po’ volgare, si usa una formula molto efficace: gli entra più in culo che in testa. E direi che, in punta di vernacolo, mai definizione di autolesionismo fu più azzeccata. Ma la questione non è la pagliacciata delle magliette rosse, non è il Rolex in bella mostra d Gad Lerner o la faccia da partigiano 2.0 di Roberto Saviano, quelle sono quisquiglie, pinzellacchere come direbbe Totò. La questione è sostanziale, ovvero la mancanza di memoria di questo Paese. Quello che ho utilizzato come fotografia di copertina è il passaggio fondamentale del report preliminare pubblicato venerdì dall’OPCW, l’Organizzazione per la proibizione dell’uso di armi chimiche, ente chiamato a mettere la parola fine all’annosa diatriba relativa o meno all’uso di agenti nervini nella cosiddetta “strage di Douma”, quella che stava portando il mondo verso la Terza Guerra Mondiale, almeno stando alla narrativa pre-incontro di Helsinki fra Trump e Putin.
Immagino che ricordiate quei giorni, immagino che non possiate aver scordato le parole, i toni e i paragoni che vennero scomodati per dipingere Bashar al-Assad, i suoi militari e i russi che davano loro man forte (nella lotta all’ISIS, quella che fa formalmente strage nei mercatini di Natale in Germania e lungo la Promenade des Anglais a Nizza, tanto per ricordarlo). Furono citati Hitler e tutti i gerarchi del Terzo Reich, Erode perché ovviamente erano i bambini le vittime principali e maggiormente mediatiche, il Male di arendtiana memoria la cui banalità tornava crudelmente fra noi sotto le spoglie del rais di Damasco. E ancora e ancora, chi più ne aveva, più nel metteva nel cesto dell’indignazione da discount. E cosa fece il buon Roberto Saviano? Lanciò anche allora una crociata, una bella foto con la mano sulla bocca a simboleggiare l’impossibilità di respirare dei bambini di Douma per i gas venefici del regime.
Nemmeno a dirlo, il fior fiore delle nullità elevate a stereotipo di vip si lanciarono in entusiaste emulazioni del gesto. Gad Lerner, addirittura, quando la cosiddetta “guerra civile” siriana era da poco scoppiata (e quando miliziani e mercenari di almeno 11 Paesi erano già sul territorio sovrano della Siria con l’unica finalità di sovvertirne il governo, debitamente armati e addestrati a tal fine da governi del Golfo e occidentali) si lanciò in una profezia, in perfetto stile Piero Fassino devo dire con il senno di poi: dopo Saddam Hussein, ora erano i giorni di Assad ad essere contati, chi aveva puntato sul despota di Damasco aveva perso. Quando si ha a che fare con fini analisti simili, occorre solo togliersi il cappello.
Nemmeno a dirlo, il fior fiore delle nullità elevate a stereotipo di vip si lanciarono in entusiaste emulazioni del gesto. Gad Lerner, addirittura, quando la cosiddetta “guerra civile” siriana era da poco scoppiata (e quando miliziani e mercenari di almeno 11 Paesi erano già sul territorio sovrano della Siria con l’unica finalità di sovvertirne il governo, debitamente armati e addestrati a tal fine da governi del Golfo e occidentali) si lanciò in una profezia, in perfetto stile Piero Fassino devo dire con il senno di poi: dopo Saddam Hussein, ora erano i giorni di Assad ad essere contati, chi aveva puntato sul despota di Damasco aveva perso. Quando si ha a che fare con fini analisti simili, occorre solo togliersi il cappello.
E vogliamo ricordare i servizi di Lucia Goracci e Giovanna Botteri? Le centinaia di ospedali pediatrici colpiti scientemente dai raid russi? E vogliamo dimenticarci dell’appello di Rula Jebreal a “PiazzaPulita” per denunciare l’inizio di una sorta di campagna di stupro sistematico in Siria, dopo la caduta delle roccaforti dei ribelli nelle mani di Assad e dei russi? O vogliamo forse scordarci quel capolavoro assoluto di propaganda del forno crematorio di Assad alle porte di Damasco, bufala confezionata (anche male, fra l’altro) da Amnesty International e immediatamente spacciata urbi et orbi dal duo Mentana-Mimum, i quali ovviamente non resistettero alle tentazione malata di paragonare quell’edificio e i suoi comignoli fumanti ai camini di Auschwitz. Bene, ora è l’ente chiamato a esprimersi al riguardo a dirci che a Douma non fu usato nessun agente chimico, nessun gas nervino: avete sentito un fiato nei tg da venerdì ad oggi? E sui giornali?
Non dico le prime pagine che per giorni chiesero ai volenterosi di turno di radere al suolo l’impero del Male che risiedeva a Damasco e la sua appendice moscovita ma nemmeno un titolo di spalla, una fotonotizia, un boxino con un minimo di dignità. Nulla, siccome a Douma le cose non sono andate come la propaganda intendeva andassero, Douma non è mai esistita. D’altronde, ora è cambiata anche la narrativa, la Russia non pare più così cattiva. Il Russiagate, altra grande specialità della stampa “libera” internazionale è sparito, roba da chiamare Federica Sciarelli, il nuovo caso di avvelenamento in Gran Bretagna non viene praticamente cagato da nessuno, avendo l’accoppiata May-Johnson pestato più merde che un ballerino di tip tap in una stalla e persino dalle cronache dei Mondiali di calcio non arrivano vibrate denunce di violazione della libertà di stampa o di un gay trozkista della Siberia apostrofato come “frocio” in un bar prima di Francia-Uruguay.
Certo, Gianni Riotta ci ha provato ma, anche in questo caso, la figura di merda ottenuta lo ha convinto a desistere. Una cosa va notata, a parziale sostegno di un minimo sindacale di russofobia da Dipartimento di Stato: ad ogni campionato di calcio, scatta l’allarme hooligans. Ovunque. In Russia non è volato nemmeno un bicchiere di plastica finora ma nessuno sembra averlo fatto notare, di colpo la violenza calcistica non è più argomento in discussione: altrimenti, toccherebbe dire che basta una polizia come quella russa per risolvere sul nascere il problema ma equivarrebbe a promuovere certi metodi alla Putin, quindi silenzio.
Non dico le prime pagine che per giorni chiesero ai volenterosi di turno di radere al suolo l’impero del Male che risiedeva a Damasco e la sua appendice moscovita ma nemmeno un titolo di spalla, una fotonotizia, un boxino con un minimo di dignità. Nulla, siccome a Douma le cose non sono andate come la propaganda intendeva andassero, Douma non è mai esistita. D’altronde, ora è cambiata anche la narrativa, la Russia non pare più così cattiva. Il Russiagate, altra grande specialità della stampa “libera” internazionale è sparito, roba da chiamare Federica Sciarelli, il nuovo caso di avvelenamento in Gran Bretagna non viene praticamente cagato da nessuno, avendo l’accoppiata May-Johnson pestato più merde che un ballerino di tip tap in una stalla e persino dalle cronache dei Mondiali di calcio non arrivano vibrate denunce di violazione della libertà di stampa o di un gay trozkista della Siberia apostrofato come “frocio” in un bar prima di Francia-Uruguay.
Certo, Gianni Riotta ci ha provato ma, anche in questo caso, la figura di merda ottenuta lo ha convinto a desistere. Una cosa va notata, a parziale sostegno di un minimo sindacale di russofobia da Dipartimento di Stato: ad ogni campionato di calcio, scatta l’allarme hooligans. Ovunque. In Russia non è volato nemmeno un bicchiere di plastica finora ma nessuno sembra averlo fatto notare, di colpo la violenza calcistica non è più argomento in discussione: altrimenti, toccherebbe dire che basta una polizia come quella russa per risolvere sul nascere il problema ma equivarrebbe a promuovere certi metodi alla Putin, quindi silenzio.
Ma quel silenzio va bene, non fa male a nessuno, se non alla buona fede residua che potrebbe ancora albergare in qualche giornalista. A fare male è il silenzio su Douma, soprattutto da parte dei signori in maglietta rossa, quelli delle porte aperte e dei rifugiati da accogliere. Gli stessi rifugiati che stanno alla radice stessa della crisi europea dei migranti cui oggi si cerca di dare una risposta meno ipocrita di quella fornita finora: perché tutto è iniziato nel 2015, dopo la foto del piccolo Aylan morto sulla spiaggia turca. In quel preciso istante, la guerra siriana è divenuta strumento di propaganda della campagna elettorale americana in fieri per le presidenziali dell’anno dopo e per la messa in stato d’accusa mondiale di Assad.
In quel preciso istante, Angela Merkel ha aperto indiscriminatamente le porte a 1,5 milioni di persone: scoperchiando, di fatto, il vaso di Pandora non solo di una guerra voluta, organizzata, sostenuta e finanziata da potenze estere per fini meramente geopolitici che avevano come conditio sine qua non la caduta del regime di Assad ma anche di un sommovimento epocale dall’Africa verso l’Europa che, dati di provenienza dei “migranti” alla mano, tutto ha a che fare, tranne che con il concetto di profugo di guerra. In compenso, in Siria per quella guerra infame si è morti davvero, si è scappati da casa, si è dovuto abbandonare tutto, pregare e piangere fra le rovine, mentre gli “Elmetti bianchi” elogiati da Saviano usavano i loro falsi stage per proporsi all’Oscar per gli effetti speciali, tallonati a breve distanza dalla CNN. Oggi, poco a poco, sta tornando la normalità in gran parte della Siria ma, come sempre, nel silenzio complice di chi non accetta quell’epilogo così poco umanitario e così poco spendibile in tv o nelle campagne di sensibilizzazione.
Chi ieri ha indossato una maglietta rossa ma non ha detto una parola su Douma o su tutte le altre infami bugie che stanno in cima alle lista dei motivi che hanno scatenato un inferno in terra di morte e dolore per quella gente e per quel Paese, non è solo complice. E’ responsabile. In prima persona. E ha fatto bene a mettere una maglietta colore del sangue, perché quello innocente versato in Siria ricadrà a vita su quella specie di coscienza in leasing che sfoggia su Instagram, mostrando al mondo il suo profilo migliore e la sua umanità da social. Ora, levate la maglietta rossa, infilatevela dove dico io e, soprattutto, provate a dormire. Se ci riuscite.
In quel preciso istante, Angela Merkel ha aperto indiscriminatamente le porte a 1,5 milioni di persone: scoperchiando, di fatto, il vaso di Pandora non solo di una guerra voluta, organizzata, sostenuta e finanziata da potenze estere per fini meramente geopolitici che avevano come conditio sine qua non la caduta del regime di Assad ma anche di un sommovimento epocale dall’Africa verso l’Europa che, dati di provenienza dei “migranti” alla mano, tutto ha a che fare, tranne che con il concetto di profugo di guerra. In compenso, in Siria per quella guerra infame si è morti davvero, si è scappati da casa, si è dovuto abbandonare tutto, pregare e piangere fra le rovine, mentre gli “Elmetti bianchi” elogiati da Saviano usavano i loro falsi stage per proporsi all’Oscar per gli effetti speciali, tallonati a breve distanza dalla CNN. Oggi, poco a poco, sta tornando la normalità in gran parte della Siria ma, come sempre, nel silenzio complice di chi non accetta quell’epilogo così poco umanitario e così poco spendibile in tv o nelle campagne di sensibilizzazione.
Chi ieri ha indossato una maglietta rossa ma non ha detto una parola su Douma o su tutte le altre infami bugie che stanno in cima alle lista dei motivi che hanno scatenato un inferno in terra di morte e dolore per quella gente e per quel Paese, non è solo complice. E’ responsabile. In prima persona. E ha fatto bene a mettere una maglietta colore del sangue, perché quello innocente versato in Siria ricadrà a vita su quella specie di coscienza in leasing che sfoggia su Instagram, mostrando al mondo il suo profilo migliore e la sua umanità da social. Ora, levate la maglietta rossa, infilatevela dove dico io e, soprattutto, provate a dormire. Se ci riuscite.
Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @maurobottarelli
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Buonisti col Rolex
di Giuliano Guzzo
Tutti contro Gad Lerner, che per fermare «l’emorragia di umanità» sul tema dei migranti, ha aderito a #magliettarossa, appello condiviso da Laura Boldrini (male), facendosi immortalare con una camicia rossa sul suo terrazzo a Portofino, con tanto Rolex in vista (malissimo). Stranamente, infatti, sul web molti non hanno trovato il grido di dolore portifinese del giornalista credibile, riservandogli di conseguenza gli epiteti che potete immaginare. E dire che bastava poco per intravedere nella camicia rubino sfoggiata dal Nostro, chiaramente uno straccio rimediato al mercato, tutta la sua lacerante contrizione per i disperati del globo.
Inoltre a Lerner andrebbe pure riconosciuta l’originalità di essersi fatto trovare a Portino anziché nella solita Capalbio. Battute a parte, è evidente che il problema non sta tanto nella condizione, non proprio trascurata, dell’incauto conduttore televisivo che, come l’orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno, avrebbe potuto pure imbroccarne una: mai dire mai. Il punto sta nella siderale distanza in cui alcuni, a loro insaputa, si trovano quando non solo dimenticano il nervosismo popolare su temi come quello dell’immigrazione, ma seguitano a stazionare sul loro pulpitino dorato, beati e moraleggianti, come nulla fosse. E non si rendono conto d’esser diventati buonisti col Rolex.
Tutti contro Gad Lerner, che per fermare «l’emorragia di umanità» sul tema dei migranti, ha aderito a #magliettarossa, appello condiviso da Laura Boldrini (male), facendosi immortalare con una camicia rossa sul suo terrazzo a Portofino, con tanto Rolex in vista (malissimo). Stranamente, infatti, sul web molti non hanno trovato il grido di dolore portifinese del giornalista credibile, riservandogli di conseguenza gli epiteti che potete immaginare. E dire che bastava poco per intravedere nella camicia rubino sfoggiata dal Nostro, chiaramente uno straccio rimediato al mercato, tutta la sua lacerante contrizione per i disperati del globo.
Inoltre a Lerner andrebbe pure riconosciuta l’originalità di essersi fatto trovare a Portino anziché nella solita Capalbio. Battute a parte, è evidente che il problema non sta tanto nella condizione, non proprio trascurata, dell’incauto conduttore televisivo che, come l’orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno, avrebbe potuto pure imbroccarne una: mai dire mai. Il punto sta nella siderale distanza in cui alcuni, a loro insaputa, si trovano quando non solo dimenticano il nervosismo popolare su temi come quello dell’immigrazione, ma seguitano a stazionare sul loro pulpitino dorato, beati e moraleggianti, come nulla fosse. E non si rendono conto d’esser diventati buonisti col Rolex.
E INVECE NOI CI STIAMO. UN DOCUMENTO DI CATTOLICI RISPONDE A PAX CHRISTI SU IMMIGRAZIONE E TRAFFICO.
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, abbiamo ricevuto, e volentieri pubblichiamo un documento di cattolici in risposta alla presa di posizione di Pax Christi, relativo alle decisioni di blocco del traffico di esseri umani dall’Africa e da altri Paesi verso l’Europa e l’Italia in particolare. Ci sembra un documento molto interessante e dalle motivazioni condivisibili.
NOI INVECE CI STIAMO
Indirizzandomi a voi, signore e signori che vi riunite in questo luogo da oltre trent’anni, ora, in nome del primato delle realtà culturali del luogo, delle comunità umane, dei popoli e delle nazioni, vi dico: vigilate, con tutti i mezzi a vostra disposizione, su questa sovranità fondamentale che possiede ogni nazione in virtù della sua propria cultura. Proteggetela come la pupilla dei vostri occhi per l’avvenire della grande famiglia umana. Proteggetela! (Giovanni Paolo II, discorso all’ONU, giugno 1980)
Riferendoci alle parole di Giovanni Paolo II che ci invitano a favorire il radicamento geografico e culturale dei popoli come antidoto alle politiche di stampo laicista funzionali a taluni interessi economici e finanziari, desideriamo prospettare qui un punto di vista diverso e integrativo rispetto a quella espresso da alcuni vescovi cattolici firmatari dell’appello di Pax Christi: tale appello è avverso le decisioni del governo italiano sulla questione immigratoria.
Una quota significativa di cattolici, che qui idealmente rappresentiamo, tuttavia la pensa diversamente.
Non vorremmo infatti che la posizione di Pax Christi, certamente rispettabile, sia percepita come esaustiva dell’intero mondo cattolico il quale invece sul tema presenta posizione ben diverse, se non decisamente divergenti.
A differenza di quanto sostenuto nella lettera pubblicata da Pax Christi dal titolo “Noi non ci stiamo” altri laici cattolici riguardo la questione immigratoria, invece ci stanno nel senso che condividono le decisioni prese a questo proposito da taluni ministri di cui non temiamo di fare nomi e cognomi: il ministro Salvini e il ministro Toninelli in particolare.
Dunque noi invece ci stiamo perché non possiamo restare inattivi ad osservare come scriteriate politiche immigratorie non aliene peraltro da probabilissime connotazioni affaristiche, rischino di provocare una serie di conseguenze negative sia sul piano dell’allarme sociale, sia sul livello dei salari, sia sulla qualità dei servizi erogati dallo stato, sia ovviamente sul benessere psicofisico degli immigrati che quasi sempre transitano da una condizione di povertà all’altra senza nulla risolvere dei problemi che li hanno indotti ad emigrare.
Inoltre:
noi ci stiamoperché vogliamo porre fine alle deportazioni da una sponda all’altra del Mediterraneo come hanno numerose volte invitato a fare anche vescovi africani. I quali tuttavia quando si dibatte di problemi legati all’emigrazione trovano scarsa udienza in Vaticano, forse perché sono già disponibili altri esperti in materia di orientamento laicista come dimostra la loro abituale frequentazione con alcuni esponenti della chiesa cattolica;
noi ci stiamoperché il diritto a non emigrare deve prevalere sul diritto ad emigrare per due motivi: primo perché il diritto a non emigrare è una indicazione posta da Benedetto XVI, personalità da noi altamente stimata; secondo perché il presunto diritto a emigrare in realtà non è un diritto, ma è un obbligo di cui gli emigranti farebbero volentieri a meno se solo qualcuno li aiutasse a restare nello loro terre come peraltro la chiesa si è impegnata a fare per secoli tramite le sue missioni;
noi ci stiamoperché vogliamo evitare clamorosi fraintendimenti sul significato della parola “aiutare”: “aiutare” infatti non significa sostituire ai desideri dell’aiutato le categorie mentali dell’aiutante, ma al contrario considerare le soluzioni che l’aiutato stesso ha elaborato come soluzione ai suoi problemi. Nel caso specifico alla domanda se preferirebbero vivere dignitosamente nella loro terra o essere costretti a emigrare la stragrande maggioranza degli immigrati non avrebbe dubbi a preferire la prima soluzione. Ed è a vantaggio di essa che noi tutti ci dobbiamo adoperare senza pretendere di imporre razzisticamente le nostre soluzioni sovrapponendole a quelle ideate da chi di aiuto è bisognoso;
noi ci stiamoperché preferiamo affrontare il problema migratorio in termini di cooperazione e collaborazione cioè in una prospettiva strutturale molto più che in termini di assistenzialismo cioè in un’ottica emergenziale;
noi ci stiamoperché, come correttamente dichiara il catechismo della chiesa cattolica al numero2241:
Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio paese di origine. I pubblici poteri avranno cura che venga rispettato il diritto naturale, che pone l’ospite sotto la protezione di coloro che lo accolgono. Le autorità politiche, in vista del bene comune, di cui sono responsabili, possono subordinarel’esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche, in particolare al rispetto dei doveri dei migranti nei confronti del paese che li accoglie. L’immigrato è tenuto a rispettare con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo ospita, ad obbedire alle sue leggi, a contribuire ai suoi oneri.
Siamo peraltro convinti che proprio dei vescovi cattolici non vogliano venir meno ai precetti del catechismo che, come sappiamo, altro non è se non il compendio degli insegnamenti del magistero cattolico che, in quanto tale, deve prevalere su qualsiasi opinione personale di qualsivoglia vescovo o prelato;
noi ci stiamosemplicemente perché occorre conservare l’esame di realtà il quale ci obbliga a considerare che un processo immigratorio massiccio e fuori controllo anziché favorire la pace fomenta il conflitto specialmente se le sue conseguenze negative ricadono su fasce della popolazioni autoctone già in condizioni di grave precariato materiale e psicologico;
noi ci stiamoperché non è chiaro per quale oscuro motivo l’Italia debba sobbarcarsi un problema così enorme nell’indifferenza della quasi totalità dei paesi UE che solo recentemente e solo grazie alla prese di posizione del vigente governo, hanno cominciato ad agire;
noi ci stiamo ed oltre a starcici domandiamo come mai alcune realtà cattoliche accusino di scarsa sensibilità il governo italiano mentre non si sentono in dovere di dire una sola parola sul disimpegno di altre nazioni europee che fino a ieri rifiutavano sistematicamente qualsiasi ingresso sul loro territorio sia da confini marittimi che terrestri. Non vorremmo che tali disparità di trattamento dipendano da posizioni ideologiche preconcette;
noi ci stiamoperché vogliamo che il nostro massimo impegno dedicato al dramma emigratorio sia affrontato in termini di razionalità giacché è noto come solo da una considerazione razionale dei problemi scaturisce anche la sensibilità necessaria per risolverli; viceversa un approccio solo emotivo rende opaca la capacità di trovare soluzioni efficaci.
Sensibilità ed emotività sono due aspetti psicologici che per quanto siano apparentemente analoghi, differiscono profondamente.
Sarebbe infine auspicabile denunciare con forza anche e soprattutto la cause endogene che determinano la fuga dai luoghi natii di masse sempre più sterminate di persone fra cui, oltre alla fame e alla guerra, dobbiamo annoverare l’inettitudine e corruzione di alcuni governi dei paesi di provenienza di cui si parla molto meno di quanto si parli della presunta insensibilità di quelli di arrivo.
Concludiamo questa nostra nella speranza che lo stesso vigore, lo stesso impegno, la stessa volizione investita a proposito della questione immigratoria possa essere impiegata da tutto il mondo cattolico anche su altri fronti che molti credenti laici ritengono di pressante urgenza quali, ad esempio, la tutela della famiglia naturale, l’aborto, le nuove povertà che affliggono gli italiani bianchi o neri che siano, l’invadenza di istanze laiciste militanti nel determinare gli orientamenti etici del paese ormai da vari anni, la vigilanza sulla correttezza dottrinale di certi pastori.
E a proposito di accoglienza non cesseremo mai di operare con la massima energia perché pure gli altri argomenti da noi indicati come prioritari siano anch’essi accolti.
Firmato
Un gruppo di cattolici cattolici.
Marco Tosatti
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