Meeting Cl di Rimini: "loro e gli altri". Siamo interdetti dinanzi al potere, alla struttura, alla vera e propria occupazione di spazi, dentro e fuori la Chiesa, che sarebbe meritoria se il protagonista fosse Dio, anziché l’uomo
di Roberto Pecchioli
A fine agosto è il tempo dell’incontro annuale di Comunione e Liberazione. Lo chiamano meeting, e già questo non ci piace, convinti che una delle ragioni della decadenza nazionale sia la colonizzazione culturale cui si è assoggettata. Chi scrive è ancora credente per due ragioni: la grazia immeritata della fede, dono gratuito dell’Altissimo e la lontananza da ogni movimento e associazione religiosa. Cresciuto nel culto di Don Bosco, i cui salesiani dettero un’educazione e un mestiere al proprio padre, l’estensore di queste note conobbe CL verso i vent’anni, all’università, senza aver mai neppure udito il nome di Don Giussani. Militante di destra con tutte le difficoltà e i drammi dell’epoca, era naturale la simpatia per quelle ragazze (erano in maggioranza donne) che sfidavano l’egemonia – e la violenza – delle legioni rosse.
Leggemmo poi i libri di Don Gius e quello che ci piacque fu soprattutto il fatto di considerare l’incarnazione come un “evento”, Dio che irrompe nella storia, ne cambia il corso, restituisce all’uomo il suo destino eterno. Gesù, nel messaggio di Giussani, era vero Dio pur rimanendo uomo, con i limiti, le sofferenze, perfino le arrabbiature dei mortali.
Oggi siamo interdetti dinanzi al potere, alla struttura, alla vera e propria occupazione di spazi, dentro e fuori la Chiesa, che sarebbe meritoria se il protagonista fosse Dio, anziché l’uomo, le ambizioni, gli affari. Tante vocazioni, fortunatamente, ha suscitato CL, ma la sensazione è che troppi abbiano utilizzato l’organizzazione come ascensore per carriere nella gerarchia, nella politica, nell’economia.
Tanta strada è passata sotto i ponti, adesso non riusciamo più a simpatizzare per i ciellini. Grande il fondatore, splendida la loro creatura editoriale, Il Sabato, che dette voce per anni a chi voce non aveva, nel coro assordante. Nel tempo, ci pare che siano accadute due pessime cose; ne parliamo sussurrando, non conosciamo a sufficienza la realtà, soprattutto ci è sconosciuto l’interno della creatura del prete di Desio. Da un lato, la burocratizzazione, il potere, la persistenza degli aggregati, la struttura che si rafforza, diventa armatura e si fa fine a se stessa. Un fenomeno comune, ma assai grave laddove l’ispirazione è quella di agire a gloria di Dio. La Compagnia delle Opere, le aziende, le cooperative, l’entrata a vele spiegate nella sanità e in mille altri affari, cioè nel profitto, qualche scivolone pesante di uomini di vertice come Formigoni.
L’altro difetto, forse siamo gli unici a rammaricarcene, ci pare quello di avere sposato in toto la linea che viene chiamata scelta antropologica. Si vive con e per gli uomini, si devono compiere le buone opere, ma si finisce col perdere di vista l’essenziale, ovvero la fede in Dio e nel destino finale della creatura uomo. Simonpietro rispose a Gesù che lo interrogava in un momento di difficoltà della piccola comunità dei Dodici: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.” (Giovanni, 6,68). Ecco, ci pare che anche CL abbia ceduto a una religiosità blanda, umanistica, che lascia sullo sfondo il destino delle anime.
Da giovani non ci piaceva il nome dell’associazione, lo ritenevamo una delle tante declinazioni della modernità, specie quel sostantivo, liberazione, equivoco e abusato. Oggi siamo interdetti dinanzi al potere, alla struttura, alla vera e propria occupazione di spazi, dentro e fuori la Chiesa, che sarebbe meritoria se il protagonista fosse Dio, anziché l’uomo, le ambizioni, gli affari. Tante vocazioni, fortunatamente, ha suscitato CL, ma la sensazione è che troppi abbiano utilizzato l’organizzazione come ascensore per carriere nella gerarchia, nella politica, nell’economia. Ripetiamo: è un giudizio sommario, molto dal di fuori, l’apparenza può ingannare, ma non del tutto.
Ci riferiscono che dove mette piede, Cl tende a dividere il mondo tra “loro” e “gli altri” e occupare spietatamente ogni spazio. Lo spirito settario non è nuovo, né è prerogativa ciellina, naturalmente, e si può capire un certo spirito da primi della classe. Siamo uomini e abbiamo tutti limiti e vanità. Ciò che turba è vedere in controluce nelle organizzazioni di fede lo stesso spirito, gli stessi difetti, i medesimi obiettivi di tutti gli altri. Gli apostoli seguirono Gesù perché aveva parole di vita eterna, non perché promettesse carriere e successo mondano.
Il merito di CL, per anni, fu di insistere, dall’interno del mondo, della storia, sull’evento prodigioso di un Dio che si fa uomo. Temiamo che a Rimini abbiano tirato i remi in barca.
Don B. è il prevosto della cattedrale di una diocesi piccola ma importante nella storia di CL. Antico consigliere nella giunta di un mai rimpianto sindaco ciellino, nella prima messa festiva dopo la tragedia del ponte di Genova ci ha tremendamente deluso. Nella sua omelia ha ricordato le tante volte che è transitato sul viadotto, riflettendo sul fatto che egli è salvo, a differenza di tanti sventurati, e ha concluso affermando che la ragione è una: deve continuare “a fare del bene”. Non dubitiamo delle sue intenzioni, ma ci è sembrata un po’ povera come meditazione spirituale e più ancora come vocazione religiosa. Continuiamo a ritenere che il ruolo dei consacrati sia diffondere la fede e, come si diceva una volta, portare le anime a Dio. Il bene si deve compiere, a partire delle opere di misericordia corporale, ma nel nome di Dio. Si chiama carità e non esaurisce la vita.
CL fu magnifica per anni, contendendo concretamente lo spazio palmo a palmo, nella scuola, nella società, nel lavoro, all’ateismo liberale e collettivista. Ci pare che adesso sia diventata un’organizzazione come le altre: una struttura autoreferenziale, interessata al potere, ondivaga nelle alleanze. A Rimini sono approdati in molti negli anni, ma non tutte le anime cattoliche, politiche e culturali presenti in Italia vi hanno trovato cittadinanza. Privilegiato una volta l’asse con Forza Italia, un’altra con Prodi, poi con la novità Renzi, ma di anno in anno più lontani dal cuore ferito del popolo italiano.
Abbiamo letto i messaggi di augurio delle autorità. Quello di Jorge Mario Bergoglio non stupisce né interessa: il consueto invito a costruire ponti e abbattere muri, da girare alla famiglia Benetton e alla sue campagne “united colors”. Uno sbadiglio in più. Colpisce l’invito del cattolico “democratico” Mattarella, di scuola gesuita e rappresentate di quei poteri forti che al tempo del Sabato erano nel mirino di CL. “Affermare la propria identità non consiste nell’innalzare le barriere del pregiudizio e della contrapposizione irriducibile.” In attesa di far conoscere in che cosa consista l’identità, a partire da quella religiosa che dovrebbe stargli a cuore, cucina la solita minestra da refettorio contro razzismo e xenofobia, uno stanco pistolotto politicamente e cattolicamente corretto per dovere d’ufficio. Non ci pare che Don Giussani gradisse essere alla moda o compiacere il mondo.
I messaggi di augurio delle autorità e quello di Jorge Mario Bergoglio che non stupisce né interessa: il consueto invito a costruire ponti e abbattere muri, da girare alla famiglia Benetton.
Poi c’è la consueta diatriba sulla frase guida del Meeting. A volte provocatoria, talora arcana o urticante, stavolta ci sembra davvero fuorviante. “Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice.” Confessiamo la nostra ignoranza, ma non capiamo. Al di là del richiamo alla felicità, più vicino alla costituzione americana che al messaggio religioso (la felicità è di questo mondo?), tra le forze che muovono la storia dominano la violenza, il denaro, la sete di dominio, il consumo, i gruppi di potere, tutti unanimemente anticristiani, nessuno interessato alla felicità umana, se non nella forma ingannatrice dell’Anticristo.
Occorre mantenere la fiducia, l’uomo di fede deve diffondere speranza, ma il tema di Rimini ci pare un po’ troppo facilone, un ottimismo sciocco, la preoccupazione di essere fedeli alla linea dei poteri dominanti. In fondo, non è che la normalità, da quando la Chiesa e le sue organizzazioni parallele si sono distanziate da Dio, quest’idea indigesta e poco moderna. Il merito di CL, per anni, fu di insistere, dall’interno del mondo, della storia, sull’evento prodigioso di un Dio che si fa uomo. Temiamo che a Rimini abbiano tirato i remi in barca, edificando templi all’uomo che si fa Dio, nel nome di un’equivoca felicità. Speriamo di avere torto. Per il resto, affari:business, as usual.
RIMINI. CL, OPERE E AFFARI.
di Roberto Pecchioli
Vi è stato un tempo, non più tardi di un lustro fa, in cui Comunione e Liberazione era convinta di conquistare il cielo. Per cielo intendiamo: A) Il Soglio petrino e B) Palazzo Chigi.
È andata in altro modo.
Il 2013 fu un annus horribilis per CL, l’anno in cui il sogno si infranse, e con esso il castello di carte dei giussanoidi. Essi per decenni avevano fatto bene i compitini, preparando la vittoria finale: hanno rotto poco le scatole in giro perché per arrivare al potere assoluto avevano scelto la via democristiana, non offendere nessuno, leccare tutti: il Meeting è semplicemente lo specchio di questo. La volontà di arrivare al potere facendo lingua in bocca con Satana e i suoi demòni.
Una storia di già veduta.
Negli anni precedenti al fatale 2013, CL voleva piazzare al governo della Repubblica Italiana un suo premier (Formigoni) e infilare l’anello piscatorio ad un suo prete (Scola).
Destino crudele: Formigoni, il virus che CL inoculò con successo nel corpo del berlusconismo allora vivente, fu abbattuto da un uragano su cui soffiavano congiunti il Corriere della Sera, i giornali di De Benedetti e con probabilità i concorrenti di CL all’interno della ricca greppia della gestione della Sanità della Regione Lombardia.
Don Angelo Scola, invece, ha una storia più intricata, a tratti epica, quanto oscura. Una spy story con finale tragicissimo (il finale si chiama Bergoglio).
Pochi oggi ricordano lo strano intreccio che mi accingo a raccontare.
A qualcuno però sovverrà lo strano comunicato che la CEI emise pochi istanti dopo la fumata bianca del drammatico conclave 2013. Il testo si congratulava per l’elezione al Soglio di Angelo Scola, il quale – era scritto – aveva pure scelto il suo nome da Papa. Vocabor Leo: Scola era divenuto Leone XIV.
Immaginiamo la gioia sfrenata nelle valli lombarde del Ciellistan, e pure nelle énclave romagnole. Un Papa ciellino? Alé.
Secondo alcuni, fu un errore dovuto al fatto che secondo certi pronostici il futuro Papa, chiunque egli fosse, avrebbe deciso per il nome di Leone. E chi più di Scola era papabile? Unico caso della storia, credo, di prelato che passa per ambo i trampolini preferiti del papato, il Patriarcato di Venezia e l’Arcidiocesi di Milano (cosa orribile, insulto per i Veneti, che furono ulteriormente vilipesi da Ratzinger quando in Laguna piazzò un genovese, Moraglia: con evidenza, non solo la Chiesa non conosce la Tradizione, la odia.).
Ma c’è un episodio che forse potrebbe meglio spiegare la tremenda sfiga in cui incappò il sogno ciellotto.
Febbraio 2012, sul Fatto Quotidiano emerge uno scandaloso leak. Sono pubblicati documenti relativi ad un viaggio a Pechino del Cardinale arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo.
Un anno prima, Antonio Socci fece delle incredibili rivelazioni sulle dimissioni di Papa Ratzinger. Par di ricordare anche di un Giuliano Ferrara che tentò di rivendicarne la paternità ad un Porta a Porta di Bruno Vespa. Per lo più, l’idea delle dimissioni di un Papa sembrava fantascienza. Socci poi, poteva essere finito in una di quelle sue turbolenze…
Il Fatto di una tale fantascienza offre, documenti riservati alla mano, una versione ancora più contorta. A degli interlocutori cinesi (cosa di per sé pazzesca) il Cardinale arcivescovo metropolita di Palermo racconta inenarrabili manovre.
«Le dichiarazioni del Cardinale sono state esposte, da persona probabilmente informata di un serio complotto delittuoso, con tale sicurezza e fermezza, che i suoi interlocutori in Cina hanno pensato con spavento, che sia in programma un attentato contro il Santo Padre» scrive il quotidiano di Travaglio. «Il Cardinale Romeo ha sorpreso i suoi interlocutori a Pechino informandoli che lui – Romeo – formerebbe assieme al Santo Padre – Papa Benedetto XVI – e al Cardinale Scola una troika (…) il Cardinale Romeo ha riferito che Papa Benedetto XVI odierebbe letteralmente Tarcisio Bertone e lo sostituirebbe molto volentieri con un altro Cardinale».
Ombre cinesi. Nientemeno che un papicidio. A cui, secondo Romeo, doveva seguire l’elezione dello Scola.
«In segreto il Santo Padre si starebbe occupando della sua successione e avrebbe già scelto il Cardinale Scola come idoneo candidato, perché più vicino alla sua personalità. Lentamente ma inesorabilmente lo starebbe così preparando e formando a ricoprire l’incarico di Papa. Per iniziativa del Santo Padre – così Romeo – il Cardinale Scola è stato trasferito da Venezia a Milano, per potersi preparare da lì con calma al suo Papato. Il Cardinale Romeo ha continuato a sorprendere i suoi interlocutori in Cina continuando a trasmettere indiscrezioni. Sicuro di sé, come se lo sapesse con precisione, il Cardinale Romeo ha annunciato che il Santo Padre avrebbe solo altri 12 mesi da vivere. Durante i suoi colloqui in Cina ha profetizzato la morte di Papa Benedetto XVI entro i prossimi 12 mesi. (…) Il Cardinale Romeo si sentiva al sicuro e non poteva immaginare che le dichiarazioni fatte in questo giro di colloqui segreti potessero essere trasmesse da terzi al Vaticano. Altrettanto sicuro di sé Romeo ha profetizzato che già adesso sarebbe certo, benché ancora segreto, che il successore di Benedetto XVI sarà in ogni caso un candidato di origine italiana. Come descritto prima, il Cardinale Romeo ha sottolineato, che dopo il decesso di Papa Benedetto XVI, il Cardinale Scola verrà eletto Papa. Anche Scola avrebbe importanti nemici in Vaticano».
La Cina non è un Paese qualsiasi per Bergoglio.
Da secoli sogno mostruosamente proibito dei gesuiti, Bergoglio è stato il primo papa a sorvolarla per andare in Corea, e a benedirla dall’alto dei cieli, per poi in tempi più recenti avanzare il patto con il Partito Comunista Cinese che sarebbe la morte dei Cattolici cinesi, da settanta anni sotto il tallone della persecuzione maoista. In questa ottica vanno letti gli attacchi che Tornielli ha sferrato al Cardinale Giuseppe Zen Ze-Kiun, vescovo di Hong Kong e per anni plenipotenziario della politica cinese della Santa Sede: una politica, che almeno a livello ufficiale, è di scontro totale con Pechino.
Zen, custode della storia di dozzine di martiri del maoismo, non ha mai digerito le interviste che il giornalista dell’agenzia Fides Gianni Valente (quello da cui Bergoglio mangiò il giorno prima dell’elezione, riservando poi la prima telefonata a lui e alla moglie biografa Stefania Falasca) ha fatto a personaggi della «zona grigia» della Chiesa Cattolica cinese. Valente, che come Tornielli pare godere di accesso diretto al Papa, è giornalista della rivista andreottiana pubblicata in 6 lingue 30 giorni, per anni considerabile l’organo della comunità giussanica di Roma. In passato, Valente mai si era occupato di cose cinesi.
Zen attaccò anche il misterioso spin-off di CL, cioè la Comunità di Sant’Egido.
«Alla Comunità di Sant’Egidio – scriveva nel 2012 Sandro Magister – il cardinale Zen imputa di aver invitato con tutti gli onori al meeting interreligioso di Monaco di Baviera – organizzato in pompa magna da questa comunità dall’11 al 13 settembre 2011 – un vescovo cinese in grave disobbedienza col papa per aver partecipato il 14 luglio precedente all’ordinazione illecita di un nuovo vescovo non approvato da Roma ma imposto dalle autorità di Pechino. Alla rivista “30 Giorni” e al suo specialista in affari cinesi, Gianni Valente, il cardinale Zen imputa di aver intervistato – senza nulla obiettare alle sue affermazioni – questo stesso vescovo “che gravemente ferisce l’unità della Chiesa” e che per di più “non è libero di dire quello che pensa”, in quanto legato a filo doppio al regime comunista».
Verrebbe da pensare, dunque, che vari satelliti di CL stessero tentando un fuga in avanti verso il compromesso cinese. Compromettersi con Pechino non riuscì a Matteo Ricci, venerato tuttora in Cina con il nome cinese Lì Mǎdòu, ma potrebbe riuscire, grazie all’olio di gomito di sgherri e leccaculo vari, al collega gesuita Giorgio Bergoglio.
Anche qui, un altro sogno di potere.
Impossibile capire cosa sia successo quella volta.
C’era una «rete» pechinese ostile a Ratzinger, a Scola e a Zen?
La stessa «rete» voleva puntare su Sant’Egidio e sui modernisti à la Bergoglio, consci del fatto che i seguaci di Martini sulla questione dell’accordo per la Chiesa Patriottica (cioè, Chiesa del Partito Comunista Cinese) avrebbero prontemente calato le braghe?
È questa «rete», con i suoi soci prelati, ad aver fatto trapelare l’incredibile chiacchierata pechinese di Romeo a Travaglio, con lo scopo patente di bruciare Scola nell’elezione al Soglio?
Di cosa è fatta questa rete? Di fedeli cinesi? Dei servizi segreti di Pechino (il Guójiā Ānquánbù, per gli amici Guoanbu)?
Del potere profondo cinese che desiderava un nuovo gesuita come Lì Mǎdòu per mettere a dormire per sempre la minaccia cattolica?
Come tutti gli imperatori, anche in Cina lo sanno: il cattolicesimo è la più grande minaccia che sulla terra può esservi per il potere dell’iniquità…
Qualche anno fa uno delle migliaia di eventi al Meeting di Rimini fu la presentazione della traduzione del Senso del Religioso, il capolavoro di Giussani, in lingua cinese. Vi si è adoperato un professore della Cattolica di Taipei. Taiwan, l’isola sulla carta arcinemica di Pechino Taiwan.
«In passato – scriveva nel 2012 sempre Magister – la comunità fondata da don Luigi Giussani si distinse, anzi, per la sua strenua battaglia in difesa delle comunità cristiane oppresse dal dominio comunista, nei paesi dell’ex impero sovietico. Anche allora l’antidiplomazia di CL non era ben vista dalle autorità vaticane, che miravano invece a negoziare concessioni anche minime, ma ad alto prezzo, ai regimi comunisti. Erano quelli gli anni della cosiddetta Ostpolitik, il cui massimo stratega era Agostino Casaroli, prima ministro degli esteri e poi segretario di Stato».
Ora la musica è decisamente cambiata, e la difesa delle comunità cristiane oppresse interessa ben poco a CL: pensate al caso del ras cielloide Luca Volontè, che, dietro il pagamento di diversi milioni di euro, difende il petrostato islamico dell’Azerbaigian, stato che opprime e massacra gli armeni cristiani del Nagorno-Karabakh.
Ma torniamo alle poche certezze che abbiamo.
In quel fatale febbraio 2013 sembrava tutto fatto. Vi erano pure le indiscrezioni cinesi del Cardinale Romeo. Dan Peterson avrebbe detto: «Mamma butta la pasta». E invece niente Scola.
Esponenti di movimenti avversari di CL misero in giro la voce che, che per la delusione patita, Scola sarebbe stato male. Avrebbe visto una specialista, all’estero, dove si sarebbe recato in treno in abiti civili. «Si fa pure prendere il biglietto sotto falso nome» disse il mendace maligno diffamatore.
Un’altra storia di fantascienza.
Scola sta benissimo. Lo si è visto in dichiarazioni come «integriamo le feste musulmane con le nostre» o «la distinzione tra noi e gli islamici è astratta e fuori dal presente». O quando, va riconosciuto con anni di anticipo, nel 2015 attaccò Salvini e il voto alla Lega (!). O quando ci fu la sospensione di un insegnante di religione di Cardano al Campo reo di aver mostrato ai suoi allievi il documentario antiabortista L’urlo silenzioso.
Angelo cuor di Leone.
Certo che sta benissimo: una sintonia simile con il Papato invertito richiede una certa lucidità, oltre che la plasticità che bisogna riconoscere ai ciellini, che sono un gargantuesco comitato d’affari che alla fine però ti vuole fare anche la morale. E comandarti.
Insomma: elessero Bergoglio, ma poteva andare peggio.
– di Roberto Dal Bosco
By Redazione On 21 agosto 2018 · 1 Comment
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