ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 6 agosto 2018

‘Vadite retro!’

AVVENIRE E IL BUON PARASSITA   




Giorni or sono, in occasione di un intervento di bonifica su un ‘campo rom’ - nomato con sciccosa anglomanìa il River Village di Roma - effettuato dalle forze dell’ordine nell’ultima settimana di luglio, il direttore di Avvenire, l’organo stonato della CEI, se ne uscì con un commento col dire che “Nessun uomo è mai un parassita”, evidente essendo l’intento di trasformare, con un procedimento cultural - alchemico, la realtà di un’etnìa che largamente si qualifica per comportamenti exlege, in modello di efficientismo sociale ed economico.
Affermare, per l’appunto, che nessun uomo è mai un parassita vuol decisamente dire che, per il fatto di “essere persona”, anche uno stile di vita, connotato da attività illecite o da abulìa  – e le prove a sostegno di sì evidente realtà sono innumeri – va riconosciuto come segno di un oggettivo valore.

Non è nella ragione di questo nostro intervento soffermarci sugli aspetti politici, sociali, giudiziarî di cui sono spessissimo parte imputata una o altra comunità rom. Nostro scopo sarà, invece, quello di smentire e smontare la ‘massima’ proferita da Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, evidenziandone l’infondatezza e la contingente funzionalità a una sua gratuita smània di polemica.

iNoi siam convinti della concreta realtà antropologica dell’individuo che l’opinione comune universale definisce ‘parassita’, ma non è su questa nostra convinzione che baseremo il ragguaglio critico mosso al predetto direttore. Ben altre sono le ‘auctoritates’ che confermano l’esistenza del ‘tipo parassita’ tanto in termini economici quanto in quelli esistenziali.

Con tal vocabolo si indica un organismo animale o vegetale che vive a spese di un altro e, per trasporto assiologico, una persona che vive sfruttando gli altri. Prestito moderno dalle lingue classiche: dal latino parasitus (parasita è il femm.), convitato scroccone, mantenuto; dal greco paràsitos, che mangia alla tavola degli altri – da sitos, cibo, col prefisso para – presso, a fianco. Un tipo umano, come bene l’antica cultura classificò e che, di concerto con Vico, possiamo definire tipo verissimo.

Ora, il gran cuore di Tarquinio, colmo di buonismo e di filantropìa, scosso da viva e agitata voglia di un’accoglienza a prescindere, non solo smentisce e rifiuta il dizionario e la storia e, nella presente contingenza di cronaca, il ministro dell’Interno on.le Matteo Salvini – colui che ha ordinato lo sgombero del campo – ma cancella l’autorità di:

1 -   San Paolo il quale, in 2Ts. 3,10b – 13 così ammaestra: “ Chi non vuol lavorare, neppure mangi. Sentiamo, infatti, che alcuni di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù, di mangiare il proprio pane lavorando in pace”.
 Non sembra davvero che l’Apostolo delle Genti stia sul vago nell’imputare a determinati fannulloni una condotta biasimevole, ché la taccia di parassitismo è lampante e secca. Onde ci vien da chiedere al direttore di Avvenire – organo stonato della CEI – con quale pretesa sua superiorità sconfessa la parola di Dio trasmessa per bocca e per stilo dell’apostolo;

2 – San Giovanni che, in Ap. 3, 14/22, rivolto ai cristiani di Laodicea, palesa la minaccia con cui il Signore li vomiterà non essendo caldi né freddi, ma tiepidi, la temperatura tipica dei parassiti.
Anche l’apostolo Giovanni cade come un birillo sotto il colpo di Tarquinio e, di nuovo, chiediamo a costui con quale conclamata sua superiorità sconfessa il sacro autore dell’Apocalisse;

3 – Cristo Signore, che nella parabola della zizzania (Mt. 13, 24/30) – erba infestante e parassita – indica, senza equivoci di sorta coloro che vivono a spese altrui, i parassiti appunto, destinati con ciò ad essere strappati dalla terra e gettati nella fornace eterna; Cristo Signore, che apostrofa gli scribi rimproverando loro di divorare le case delle vedove (Mc. 12, 40) e, con ciò, esponendoli al pubblico ludibrio quali parassiti e ladri. Certamente, perché lo scroccone non è né più né meno che un ladro. 
Orbene, anche Colui che è Via – Verità – Vita, diventa, per Tarquinio, roba da situare nel baule dell’anticaglie ché, in quanto tale, non corrisponde alle attese dell’era moderna, liberale, arcobaleno e misericordiosa.

Insomma, il direttore di Avvenire, organo stonato della CEI, fa un tutt’uno di Cristo Signore, di San Paolo e di San Giovanni quali salviniani da sbattere in copertina di una qual che sia F.C. corredata da un ‘Vadite retro!’.

Siamo allo stravolgimento della parola di Dio a pro’ di una zuccherosa pastorale infarcita di antropologismo a rimorchio d’una cultura – accoglienza a prescindere – che ritiene buono, onesto ogni uomo visto nella prospettiva della nuova e tossica teologìa – quella del CV2 – che impasta e molazza pelagianesimo, angelismo cartesiano, massoneria, Comunità egidiana e Georges Soros nello sfondo ideologico russoiano di una natura umana incorrotta. Il tutto diffuso dal sistema massmediatico nel rispetto di un lessico, sbianchettato con la candeggina del ‘politicamente corretto’ che, come paradossalmente ci verrà imposto di declinare il calvo come ‘un diversamente pettinato’, così dovremo, da oggi in poi, sostenere che – Tarquinio dixit – non esiste l’uomo ‘parassita’.

di L. P. 

http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2541_L-P_Avvenire_e_buon_parassita.html

IMMIGRAZIONE E RAZZISMO

United Colors of Avvenire

Dopo la figuraccia sui lanciatori di uova e l'allarme razzismo, Avvenire invece di chiedere scusa rincara la dose: qualsiasi violenza è comunque figlia della xenofobia e della propaganda leghista. Una tesi demenziale, ma a inquietare di più è il tipo di cultura da cui nascono certe battaglie, come dimostra l'ultima campagna di Benetton, firmata da Toscani.
Avvenire del 31 luglio
Alcuni giorni fa c’è chi ha provato a innescare una polemica (l’ennesima) contro il ministro dell’Interno Matteo Salvini per via di una maglietta con scritto in inglese “La miglior difesa è l’attacco”, frase che sarebbe sospetta di simpatie neonaziste. Ma quello che Salvini porta scritto su una maglietta, qualcuno dei suoi più feroci critici lo mette in pratica.

È l’esempio di Avvenire: il quotidiano dei vescovi italiani, non pago del clamoroso scivolone dei giorni scorsi quando ha lanciato una crociata anti-razzista per l’uovo lanciato contro Daisy Osakue all’insegna del “Vergogniamoci”, invece di chiedere scusa rincara la dose. E propone una raffica di articoli e commenti (i principali qui e qui) per dimostrare che quel lancio di uova, anche se non immediatamente collegabile al razzismo, lo è indirettamente. In altre parole: siccome Salvini e quelli come lui hanno creato un clima di violenza – senza mai spiegare in che modo – qualsiasi atto di violenza ha a che fare con il razzismo. Insomma i lanciatori di uova non lo sanno ma è a causa del razzismo dilagante che tirano uova ai passanti; chissà se gli avvocati dei tre giovani useranno questo argomento come linea difensiva. Ma allora, viene da chiedersi, quei delinquenti che lanciavano sassi dai cavalcavia delle autostrade? E quelli che hanno aggredito sistematicamente le Sentinelle in piedi? Razzismo anche lì? È chiaro che ormai si è perso anche il senso del ridicolo.

Per Avvenire sembra proprio che tutto quello che succede abbia a che fare con il razzismo. Ci spiega un certo Maurizio Fiasco che i «modi “pubblici” subiscono la traslazione nel “privato”, anche nelle occasioni conviviali». Così che, a causa di Salvini, nelle case degli italiani «a tavola non si conversa, ma si disputa profferendo parole brutte e cattive». Parli per casa sua, verrebbe da dire. Ma poi a proposito di «parole brutte e cattive», ecco l’editoriale del direttore Marco Tarquinio che divide l’Italia in due e insulta pesantemente quella parte di governo che, secondo lui, non ha alcun diritto di rappresentarla perché ne sfigura addirittura i lineamenti.
Si può ben dire che per Avvenire la miglior difesa è l’offesa. Ma tralasciando le modalità di comunicazione, quello che sta diventando veramente inquietante è la tesi che c’è dietro a questa isteria polemica: chiunque sia a favore di uno stop all’immigrazione clandestina è per questo bollato come xenofobo e razzista, chi osa proporre l’argomento di una identità da preservare (anche come garanzia di integrazione) è per ciò stesso non cristiano. Ma ai vertici della CEI c’è qualcuno che si rende conto dei deliri che quotidianamente escono dalle pagine di Avvenire?
E qualcuno si rende conto che la visione ideologica che porta a identificare il Vangelo con precise scelte politiche (peraltro nel segno dell’illegalità) è a servizio di una cultura profondamente anticristiana, che distorce parole e simboli della fede cristiana? Senza andare troppo lontano, basti vedere la pubblicità uscita in questi giorni di Benetton (United Colors of) firmata come al solito da Oliviero Toscani. «Nudi come San Francesco» è il tema: nove ragazzi e ragazze di diverse etnie, completamente nudi, tutti abbracciati l’un l’altro e un commento di Toscani al Cantico delle Creature, che suona come una parodia blasfema delle parole di San Francesco, un inno a un multiculturalismo estremo che cancelli tutte le identità.

È la teorizzazione di una «rivoluzione – dice Toscani - che diventa con-fusione perché toglie l'identità certa all'Oriente e all'Occidente e li con-fonde». Questo è l’orizzonte culturale, la società ideale immaginata dall’élite dominante: l’abolizione dei confini e una libera quanto incentivata immigrazione è il passaggio necessario. Triste vedere una certa gerarchia ecclesiastica omologata a questo disegno.
Riccardo Cascioli

Cala la popolarità di Francesco: incide la difesa dei migranti

La fiducia verso Bergoglio è in calo rispetto a quando è stato eletto. I motivi sono da ricercare nell'allontanamento dei giovani dalla Chiesa e da alcune scelte sull'immigrazione
Non si tratta di un calo vertiginoso, ma è un primo segnale. La fiducia degli italiani in Papa Francesco sta diminuendo: negli ultimi cinque anni, ovvero da quando il Pontefice si è insediato sul soglio di Pietro, la sua popolarità è scesa dall’88% al 70%.
Il motivo? Secondo gli analisti, oltre a pagare l’allontanamento dei giovani dalla Chiesa, sono anche le sue posizioni in favore dei migranti a trascinare verso il basso l’indice d’apprezzamento.
A realizzare il sondaggio è stata Demos Coop e i risultati della ricerca sono stati pubblicati oggi da Repubblica. All’inizio del mandato, quando dal Vaticano si presentò come il Papa venuto dall’altra parte del mondo, Bergoglio raccoglieva apprezzamenti da tutti. Praticanti e non, ma anche trasversalmente tra gli elettori di tutti i partiti. Lega compresa.
I motivi del calo sono da cercare in diversi ambiti. Innanzitutto nel lavoro fatto da Bergoglio all’interno della Chiesa. Molti si attendevano una "pulizia" della Curia che alcuni hanno ritenuto ancora non del tutto compiuta. Poi ci sono fattori che in qualche modo non dipendono direttamente dalle scelte del Pontefice. I sondaggi infatti dicono che i giovani si stanno allontanando sempre più dalla pratica religiosa. Soprattutto nella fascia di età tra i 15 e i 34 anni. E guarda caso è proprio in queste categorie di persone che il consenso verso Francesco tocca le punte più basse. Per esempio, tra i 15 e i 24 anni il favore verso il Pontefice è appena del 58% mentre tra i 25 e 34 anni scende al 58%.
A sorprendere è il fatto che l’apprezzamento verso il Papa non si differenzi molto in base all’orientamento politico delle persone. Se gli elettori del Pd all’83% dicono di avere fiducia del Vescovo di Roma e i grillini al 73%, nella Lega il dato si ferma al 70%. Comunque in linea col dato generale.
Alcuni analisti, però, sostengono che il Papa paghi anche le sue posizioni sull’immigrazione, con la battaglia contro i muri e l’aiuto ai profughi. Parole che si scontrerebbero con le richieste di sicurezza e chiusura delle frontiere chieste dagli italiani.
Luca Romano


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