Razzismo made in Italy, falsità Onu e dei suoi suggeritori
Le affermazioni dell’ex presidente cileno, Michelle Bachelet, sugli osservatori da mandare in Italia per il rischio violenze sui migranti, lasciano senza parole soprattutto tenendo conto che le ha pronunciate assumendo l’incarico di Alto rappresentante per i diritti umani. Prima di minacciare la sovranità di uno Stato tra i più importanti contributori dell’Onu in termini finanziari e militari l'ex presidente cileno avrebbe almeno dovuto avere la decenza di lanciare accuse motivate e non “riferite”. E riferite poi da chi? Da coloro che hanno espresso entusiasmo per le sue affermazioni anti-italiane, da Cecile Kyenge a Laura Boldrini? Ecco perché l'Italia dovrebbe chiedere le sue dimissioni.
Michelle Bachelet
Se il criterio fosse davvero la militanza sinistrosa-buonista-terzomondista abbinata a malafede, pregiudizio e ignoranza allora la signora Bachelet rappresenterebbe davvero la scelta più indicata. Se invece per gli incarichi all’Onu venisse premiata competenza, buon senso e capacità di essere super partes, allora occorre che Roma mostri energicamente il suo disappunto al segretario generale Antonio Gutierrez.
Perché le affermazioni dell’ex presidente cileno, Michelle Bachelet, lasciano senza parole soprattutto tenendo conto che le ha pronunciate assumendo l’incarico di Alto rappresentante per i diritti umani.
"Abbiamo intenzione di inviare personale in Italia per valutare il riferito forte incremento di atti di violenza e di razzismo contro migranti, persone di discendenza africana e rom", ha detto a Ginevra aggiungendo che lo stesso discorso varrà anche per l'Austria.
C’è una parola nelle sue prime frasi, che da sola dimostra l’inadeguatezza del personaggio, ed è “riferito”. Prima di minacciare la sovranità di uno Stato tra i più importanti contributori dell’Onu in termini finanziari e militari (per le missioni di peacekeeping) la signora Bachelet avrebbe almeno dovuto avere la decenza di lanciare accuse motivate, provate e verificate dal suo ufficio. Non “riferite”. E riferite poi da chi? Da coloro che hanno espresso entusiasmo per le sue affermazioni anti-italiane, da Cecile Kyenge a Laura Boldrini?
"Il governo italiano ha negato l'ingresso di navi di soccorso delle Ong. Questo tipo di atteggiamento politico e di altri sviluppi recenti hanno conseguenze devastanti per molte persone già vulnerabili. Anche se il numero dei migranti che attraversano il Mediterraneo è diminuito, il tasso di mortalità per coloro che compiono la traversata è risultato nei primi sei mesi dell'anno ancora più elevato rispetto al passato", ha precisato l'Alto commissario.
E ancora, secondo Bachelet, gli sforzi dei governi per respingere gli stranieri non risolvono la crisi migratoria e causano solo nuove ostilità. "È nell'interesse di ogni stato adottare politiche migratorie radicate nella realtà, non in preda al panico", ha detto l'ex presidente. "Queste politiche non offrono soluzioni a lungo termine a nessuno, solo più ostilità, miseria, sofferenza e caos", ha affermato.
Insomma la solita fuffa buonista basata non solo su falsità (i muri, come i porti chiusi fermano eccome le attività illegali). In ogni caso, perché oltre alla critica la signora alto commissario non ha offerto soluzioni? Forse che il suo Cile o qualche altro Stato membro dell’ONU è pronto a prendersi 180 mila immigrati clandestini all’anno per 4 o 5 anni consecutivi?
L’alto commissario Bachelet dovrebbe vergognarsi (e subito dopo dimettersi) per aver accusato di razzismo una Nazione che dal 2011 ha speso quasi 20 miliardi di euro per accogliere oltre 750 mila clandestini afro asiatici sbarcati dalla Libia.
Non che il suo predecessore, il principe giordano Zeid Ràad al-Hussein, fosse meno duro con l’Italia considerato che nel novembre scorso accusò Roma e la Ue di “disumanità” per l’intesa raggiunta con Tripoli sui migranti illegali raccolti dalle navi libiche e riportati indietro.
Insomma, par di capire che per tutti gli alti rappresentati dell’Onu i clandestini dovrebbero sbarcare in toto in Italia e dovremmo pure esserne tutti felici!
Le reazioni del governo italiano alle dichiarazioni della signora Bachelet (nota simpatizzante dei regimi castrista e venezuelano) non si sono fatte attendere. “L'iniziativa dell'Onu dispiace. Non si comprende come mai un'incaricata da poco tempo inizi immediatamente con una serie di forti critiche. Amareggia una posizione come quella assunta ieri dalla commissaria Onu Bachelet, che può portare nel linguaggio politico a certe reazioni. Se dovessimo trovarci in emarginazioni infondate, sarebbe doveroso renderne conto" ha detto ieri il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi".
L'allarme lanciato dall'Onu sul razzismo in Italia "è un richiamo totalmente infondato, un'accusa ingiusta e infondata. Sono andato a vedere i dati sui dibattimenti per reati con aggravante razzista e lo scorso anno erano 36 in tutta Italia, o forse 24, e con un trend discendente – ha detto il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.
Il primo a rispondere alle dichiarazioni della signora Bachelet era stato lunedì il ministro dell'Interno italiano, Matteo Salvini. ”L’Italia negli ultimi anni ha accolto 700mila immigrati, molti dei quali clandestini, e non ha mai ricevuto collaborazione dagli altri paesi europei. Quindi non accettiamo lezioni da nessuno, tantomeno dall’Onu che si conferma prevenuta, inutilmente costosa e disinformata: le forze dell’ordine smentiscono ci sia un allarme razzismo. Prima di fare verifiche sull’Italia, l’Onu indaghi sui propri Stati membri che ignorano diritti elementari come la libertà e la parità tra uomo e donna”.
Un chiaro riferimento ai paesi islamici che tra repressioni, regimi dittatoriali, persecuzioni religiose, privazioni dei diritti umani, infibulazioni, sharia e vendita di bambine-spose dovrebbero dare un sacco di lavoro all’Alto rappresentante per i diritti umani. E invece è vero il contrario.
Basti ricordare che l’anno scorso l'Arabia Saudita venne accusata dall’ONU di violazione dei diritti umani e crimini di guerra contro i civili nello Yemen. Riad minacciò lo stop ai versamenti dei suoi ricchi contributi al Palazzo di Vetro e "magicamente" le accuse vennero ritirate nell’imbarazzo del Segretario generale dell’epoca, Ban Ki-moon. Giusto per capire lo "stile" delle Nazioni Unite e dei suoi alti rappresentanti. Che peraltro, in fatto di diritti umani, dovrebbero preoccuparsi di fare le grandi pulizie in casa dopo lo scandalo delle prestazioni sessuali richieste da suoi funzionari a minori nelle regioni più povere del mondo.
Meglio sarebbe quindi che Roma chiedesse scuse pubbliche e formali, accompagnate dalle dimissioni immediate, alla signora Bachelet, minacciando in caso contrario il blocco ai finanziamenti all’Onu e alle sue agenzie e il ritiro di tutti i militari italiani dalle operazioni di peacekeeping dei caschi blu.
Gianandrea Gaiani
http://www.lanuovabq.it/it/razzismo-made-in-italy-falsita-onu-e-dei-suoi-suggeritori
DA CHE PULPITO...
Il razzismo della Bachelet, madrina dell'eugenetica
La Bachelet, proprio l'ex presidente cilena che accusa l'Italia di razzismo, quando era ministro della Sanità introdusse una legge sulla sterilizzazione (anche non volontaria) in Cile. Una norma direttamente ispirata ai progetti eugenetici del 1939, promossi da Salvador Allende, mito del socialismo che non disdegnava il razzismo dei nazisti.
Anche il miglior confessore del mondo si confessa, e chi ha detto che un giudice ladro non possa giudicare un ladro a norma di legge? È quindi certamente ex auctoritate che l'Alto Commissario per i diritti umani dell'ONU, Michelle Bachelet, ha dato dei razzisti agli italiani.
La Bachelet, cilena, è stata elevata a quel rango di prestigio internazionale nell'agosto scorso ed è entrata in carica il 1° settembre. Appena prima è stata presidente del Cile per due mandati, dal 2006 al 2010 e dal 2014 al marzo di quest'anno, nell'interregno diventando Direttore esecutivo dell'Ente delle Nazioni Unite per l'uguaglianza di genere e l'empowerment femminile. Prima ancora era stata ministro della Difesa dal 2002 e 2004. Ma a tutti questi ruoli la Bachelet si è di fatto sempre solo prestata. L'unico incarico davvero vocazionale che abbia mai ricevuto è stato quello di ministro della Sanità dal 2000 al 2002. La Bachelet, infatti, è un medico, laureatasi in Medicina e Chirurgia nel 1983 nell'Università del Cile di Santiago.
Ebbene, da ministro della Sanità, Verónica Michelle Bachelet Jaria, come suona il nome completo dell'oggi Alto Commissario per i diritti umani dell'ONU, si è data parecchio da fare, oltre che per quelli che la "neolingua" chiama "diritti riproduttivi" (cioè l’aborto, che infatti è riuscita a far legalizzare nell'estate 2017), per portare finalmente a termine un vecchio progetto di legge datato nientemeno che 1939. Un progetto di legge voluto dall'allora presidente della repubblica "martire" Salvador Allende (1908-1973), morto suicida 45 anni fa ieri. Un progetto di legge che prevede la sterilizzazione di tutti i cittadini cileni "devianti": la Resolución Exenta n. 2326 del 30 novembre 2000. La Bachelet l'ha immessa nell'ordinamento giuridico cileno d'imperio, forte del fatto che quel tipo di proposta non richiede alcuna discussione parlamentare. Con quella legge in Cile è stato possibile sterilizzare qualunque persona sopra i 18 anni, uomo o donna che fosse, e pure senza il consenso dell’eventuale coniuge. La legge della Bachelet contiene infatti precise «direttive per il servizio sanitario di sterilizzazione femminile e maschile», e prevede interventi sia «su richiesta della persona sollecitata» sia «su prescrizione medica o su sollecito di terzi».
Quando Allende pensò a una legge così era, proprio come lo è stata poi la sua discepola Bachelet, ministro della Salute. Allora il progetto naufragò per l'opposizione del mondo medico, ma era profondamente indicativo del giro mentale sia di Allende sia dell'intero socialismo cileno di cui l'attuale Alto Commissario per i diritti umani dell'ONU è un esponente di spicco.
Allende era infatti graniticamente convinto che gli esseri umani non siano tutti uguali, che esistano "razze superiori" e "razze inferiori" (fra queste ultime ovviamente gli ebrei), che alcune persone siano affette da tare criminali ereditarie da estirpare con la forza, che gli omosessuali e gli alcolizzati vadano curati chirurgicamente e semmai perseguitati, persino che ci siano malattie veneree da reprimere per legge. Allende era anch'egli medico. Si era laureato nel 1933 in Medicina e Chirurgia nella medesima Università del Cile di Santiago che poi diplomerà la Bachelet. Lo fece con una tesi intitolata Higiene Mental y Delincuencia. Lo studioso Víctor Ernesto Farías, classe 1940, filosofo dell’Università Andrés Bello di Santiago, già allievo (e poi denunciatore per pensiero filonazista) del filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-19076), ha tratto dalla vicenda un libro memorabile, Salvador Allende. La fine di un mito. Il socialismo tra ossessione totalitaria e corruzione. Nuove rivelazioni (trad. it. Medusa, Milano 2007), da cui emerge che, tra l'altro, Allende ammirava il materialismo inquietante del vate della fisiognomica criminale Cesare Lombroso (1835-190), il "genio" dell'endocrinologo razzista fascista Nicola Pende (1880-1970) e persino il Terzo Reich.
Il progetto di legge sulla sterilizzazione cilena è, come detto, del 1939: lo stesso anno in cui la Germania approvò una legge sostanzialmente identica. Del resto, dopo la Seconda guerra mondiale, il criminale nazista Walther Rauff (1906-1984) - tra l’altro amico di quel gran muftì di Gerusalemme che a Berlino fu un campione di antisemitismo accarezzando l’idea di sterminare tutti gli ebrei di Palestina - venne protetto da Allende, nel frattempo diventato presidente della repubblica, nel suo rifugio cileno, e questo, nel 1972, lasciò sgomento il "cacciatore di nazisti" austriaco Simon Wiesenthal (1908-2005).
Ma tutta questa storia sarebbe rimasta solo degli incubi di Allende: angosciante, orrenda, ma pur sempre solo un progetto chimerico. A trasformarla in realtà ci ha invece pensato, 55 anni dopo la caduta della Germania nazista, all'inizio dell'illuminato e progredito secolo XXI, una campionessa di buonismo a buon mercato come la Bachelet. Che il 17 ottobre 2007 l'allora ministro italiano dell’Università e della Ricerca, il diessino Fabio Mussi, insignì nientemeno che di una laurea honoris causa appunto in Medicina e Chirurgia nell’Università degli Studi di Siena. Oggi, alla Bachelet che caca disinvoltamente senno sugli italiani, si potrebbe dare anche una laurea ad honorem in razzismo.
Marco Respinti
http://lanuovabq.it/it/il-razzismo-della-bachelet-madrina-delleugenetica
La vergognosa dittatura del "buonismo catto-comunista" imposto per legge. Grazie ai giudici, l’Italia è il paradiso dei criminali, l'unico Paese al mondo dove chi viola la legge ha, per principio, più diritti di chi la rispetta
di Francesco Lamendola
Il 18 luglio 2018 i giudici del Tribunale del Riesame di Milano hanno dato ragione all’avvocato difensore di un gambiano di 31 anni, spacciatore recidivo arrestato in flagranza di reato, per assenza di gravi indizi, in quanto l’ultima volta che lo avevano colto sul fatto aveva con sé “solo” cinque pasticche di ecstasy, una quantità contenuta, a loro dire, che rendeva errata la decisione del tribunale ordinario che lo aveva spedito in cella per direttissima. E poco importa che quel signore fosse incorso già per la terza volta nel medesimo reato, collezionando una prima denuncia il 23 gennaio, una seconda il 23 giugno e un precedente arresto addirittura il 19 novembre 2016; senza contare altre due denunce, fra il 2017 e il 2018, una per aver dato falsi dati sulla sua identità, l’altra per ricettazione. Perciò da quasi due anni questo galantuomo se ne va in giro a spacciare droga; arrestato in Svizzera, è stato espulso come clandestino e foto-segnalato, dopo di che è tornato nel Paese di Cuccagna di tutti i criminali e gli aspiranti tali, l’Italia, e ha ripreso tranquillamente il suo onesto mestiere. Il quale mestiere, essendo la sua sola fonte di reddito, a parere dei giudici va guardato con una certa indulgenza: infatti, nella sentenza di scarcerazione, è scritto che non avendo alcun provento derivante da attività lavorativa, lo spaccio gli appare come l’unico modo per mantenersi. Parole che andrebbero incorniciate e appese in tutti i luoghi pubblici per ricordare agli italiani che il loro Paese, grazie ai giudici di quel tipo, è divenuta il Paradiso di tutti i criminali, attirati dalla prospettiva della scarcerazione facile, oltre che dalla detenzione straordinariamente mite.
Un ispettore di polizia romeno, venuto in Italia per aggiornarsi sulle strutture carcerarie dell’Europa occidentale, è rimasto sbalordito e ha detto ai colleghi italiani: Ma voi siete pazzi; le vostre carceri sono alberghi, in confronto alle nostre, addirittura con tre pasti al giorno. Da noi, un piatto al giorno e pedate nel sedere dalla mattina alla sera: è questa la nostra ricetta per scoraggiare i delinquenti; è così che si manda un messaggio chiaro a quanti accarezzano l’idea di mantenersi facendo i delinquenti. E i fatti gli danno ragione: basta confrontare i dati sulla criminalità nel suo Paese e nel nostro. Il fatto è che in Italia non comandano i politici, rappresentanti - bene o male - del popolo sovrano, ma i giudici, che non sono stati eletti da nessuno, ma che, in compenso, hanno la testa piena dei libri progressisti, marxisti e cattocomunismi che hanno letto, in ritardo di almeno tre secoli sulla realtà: vale a dire impregnati dei miti fasulli dell’illuminismo, del buon selvaggio, della società cattiva e dell’individuo buono, più gli altri miti fasulli, ma più recenti, del ’68: proibito proibire, vietato vietare, il delinquente è solo un prodotto della società ingiusta, così come lo è il malato mentale; rifacciamo la società in senso socialista e spariranno sia la delinquenza che la follia. E avanti con tante altre amenità dello stesso tenore.
Il problema più grave, in questo momento, è rappresentato dalla presenza e dall’onnipotenza di una super-casta di magistrati intoccabili e irresponsabili, liberi di fare tutto quel che vogliono e di imporre al popolo italiano la loro sovranità, anche incriminando i rappresentati eletti liberamente mediante le urne.
L’ultimo e più eclatante episodio è stato quello della magistratura siciliana che ha deciso di porre ufficialmente sotto inchiesta il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per sequestro aggravato di persona, abuso d’ufficio e altro, il tutto per aver trattenuto alcuni giorni nel porto di Catania i clandestini presi a bordo da una nave della Guardia Costiera, dove peraltro ricevevano tutte le forme di assistenza possibile, dal cibo alle cure mediche, e dopo che i minorenni erano già stati autorizzati a sbarcare, sin dall’inizio. Il mondo intero, senza dubbio, ha riso di noi: di un Paese dove un ministro che fa il suo dovere di proteggere i confini, e che, comunque, agisce nell’esercizio del suo mandato, viene trattato dai magistrati alla stregua di un potenziale delinquente, e la sua onorabilità viene infangata davanti a tutti, solo perché qualche giudice di provincia ha ravvisato nel suo operato una violazione dei fondamentali diritti umani. Addirittura. La stessa filosofia che ha spinto i giudici milanesi del riesame a scarcerare lo spacciatore gambiano, che ora starà svolgendo tranquillamente la sua onorata professione ai giardinetti e sui viali del capoluogo lombardo. Infatti, è ben vero che quegli stessi giudici ne avevano descritto, nero su bianco, il grado elevato di pericolosità sociale; però avevano creduto di “risolvere” il problema intimandogli di non risiedere più in città, ma di spostarsi altrove, libero, evidentemente, di riprendere a spacciare droga in qualche altra città del Bel Paese. Piccolo particolare, riportato da Il Giornale del 29 agosto (articolo di Paola Fucilieri): i poliziotti milanesi, rischiando la pelle (perché non è raro che i pusher africani reagiscano all’arresto tirando fuori il coltello e sferrando coltellate all’impazzata contro di loro) avevano arrestato, solamente in giugno, in via dei Transiti, una dozzina di spacciatori africani, dieci del Gambia, uno del Sudan e uno del Mali: tutti fra i 20 e 25 anni e tutti richiedenti asilo. Ma c’è la guerra, c’è la carestia, in Gambia, nel Sudan e nel Mali? E se anche ci fossero, come mai i “profughi” sono sempre e solo dei giovanotti pieni di salute e di ormoni, quasi mai anziani o persone denutrite? E, soprattutto: vengono in Italia a chiedere lo status di rifugiati e si mettono spacciare a tempo pieno, addirittura in bande organizzate? Ma quale Paese serio potrebbe tollerare una simile infamia, una simile slealtà? Come: tu vieni a casa mia, dici di essere in fuga da pericoli gravissimi, e mentre io ti accolgo, ti ospito, ti nutro, mi occupo del tuo incartamento, il tutto gratis per te e a spese mie, tu mi ripaghi dandoti alla criminalità quotidiana? Tu fai circolare la droga che uccide i miei giovani, mentre sei ospite in casa mia, sistemato, vestito, assistito in casa mia? E tutto questo al ritmo di settecento reati al giorno: settecento, solo ad opera degli stranieri! E in tali situazioni ci sono dei giudici i quali non trovano di meglio che ammettere la pericolosità sociale di questi soggetti, ma rimetterli ugualmente in libertà, dopo che le forze dell’ordine, con loro rischio e pericolo, li hanno arrestati, e dopo che i loro colleghi del tribunale ordinario ne abbiano deciso la detenzione immediata? Ma che razza di Paese è questo, che funziona in questo modo? Un Paese dove i clandestini sono trattati coi guanti bianchi, e pur essendosi presentati in maniera illegale alle frontiere marittime, cioè appunto da clandestini (se bisognosi, è tutto da verificare), e se il ministro non è disposto a farli sbarcare immediatamente, pur non avendo negato loro alcuna forma di assistenza, lo si mette sotto inchiesta come un delinquente? Il delinquente è il ministro, mentre i clandestini sono già portatori di diritti, benché non solo non si tratti di cittadini, ma non si sappia ancora né chi siano, né da dove vengano, né se abbiano la benché minima probabilità di vedersi riconosciuto lo status di profughi, né infine, di quali malattie siano eventualmente portatori?
Un progetto criminale? L'islamizzazione e africanizzazione dell’Italia: silenziosa e inesorabile l'auto-invasione, con relativa sostituzione di popolazione, di religione, di civiltà sta avvenendo a ritmi vertiginosi e inarrestabili, anche grazie alla magistratura e alla neochiesa di Bergoglio.
L’Italia, infatti, è il Paese dove chi viola la legge ha, per principio, più diritti di chi la rispetta. Se un clandestino si installa nella seconda casa di un cittadino italiano, provate a farlo sloggiare: il solito giudice di sinistra dirà che, non avendo altri luoghi dove andare, quel clandestino ha il “diritto” di rimanere a casa vostra, perché lui si trova in stato di necessità, voi no. Dunque, voi pagate fior di tasse sulla seconda casa, forse quella che vi hanno lasciato in eredità i vostri genitori, dopo una vita di lavoro onesto e di duri sacrifici, per mantenere gratis una famiglia di clandestini che voglia di lavorare non ne hanno, come non hanno intenzioni oneste, e che arrotondano i proventi spacciando droga e rendendo invivibili i nostro condomini di periferia, i nostri quartieri dove un tempo si poteva girare senza paura, anche la notte. E se un capotreno si permette di far scendere alla prima fermata un clandestino che viaggia senza biglietto, subito un magistrato di sinistra apre un procedimento contro di lui (che si è preso pure un paio di ceffoni dal galantuomo africano) per abuso d’ufficio e Dio sa che altro. La dittatura del buonismo catto-comunista, appunto, imposto per legge. La cultura buonista in cui siamo letteralmente immersi, alimentata dai cascami del marxismo in dissoluzione, ma rinvigorita da potenti iniezioni di uno spurio cattolicesimo di sinistra, e quotidianamente predicata e benedetta dal signore argentino che è stato eletto alla cattedra di san Pietro, ci ha ormai familiarizzati con l’assurdo. Visto da fuori, l’Italia è un Paese assurdo, un Paese masochista, un Paese che non si vuol bene, che fa di tutto per soffrire; ma noi, che ci viviamo, ci siamo pressoché abituati all’assurdità quotidiana. Ci siamo abituati ad avere almeno settecentomila clandestini in giro per le strade, secondo le fonti ufficiali, e a dire che siamo pronti e ben disposti ad accoglierne ancora chissà quanti altri: e a vivere di cosa, se non di spaccio, di furti, di rapine, di stupri, o anche peggio? Eppure, questo è quanto dice, tutti i santi giorni, il signore argentino vestito di bianco; questo è quanto dicono i vescovi che si autodefiniscono (contenti loro) di strada; questo è quanto predicano dall’ambone decine e centinaia di preti sinistrorsi, che sfruttano l’abito che indossano e la cerimonia sacra per fare incessante propaganda a favore di questa quotidiana, silenziosa, inesorabile auto-invasione, con relativa sostituzione di popolazione, di religione, di civiltà, ossia con questa rapida islamizzazione dell’Italia (si vedano i dati demografici dell’ultima generazione, rispettivamente degli italiani e degli immigrati islamici).
Ma che razza di Paese è questo, che funziona in questo modo: il delinquente è il ministro, mentre i clandestini sono già portatori di diritti ?
Sappiamo tutti come è andata a finire la faccenda dei poveri profughi della Diciotti, quelli che sono costati l’incriminazione al ministro Salvini. Venti se li è presi l’Albania, venti l’Irlanda, tutti gli altri, in teoria, la Chiesa cattolica, nelle sue strutture, beninteso in territorio italiano: ma pochi giorni dopo erano tutti uccel di bosco. Identificati a Roma e in altre città, sono stati lasciati liberi, anzi, forniti di un documento di identità provvisorio. Liberi di andare dove vogliono, di fare quel che vogliono. Perché, come si è affrettato a dichiarare il responsabile della struttura di accoglienza di Rocca di Papa, da cui sono fuggiti (pardon, se ne sono andati, com’era nel loro pieno diritto), non si tratta di detenuti, quindi non potevano essere trattenuti contro la loro volontà. Questo dovrebbe aprire gli occhi ai buonisti in buona fede, ma certo non basta per i buonisti ideologici, quelli che preferiscono dare torto alla realtà piuttosto che alle loro chimere. Dei veri profughi, delle persone in buona fede, che abbiamo un minimo di dignità e di rispetto per il Paese che li ha salvati, che li ha accolti, che li ha presi in carico, non si comportano così. Ma loro se ne infischiano della gratitudine e non sanno cosa sia la dignità: per loro l’Italia è solo un trampolino, un corridoio, una via di transito. Vogliono andare in Francia, in Germania: dove poi, se verranno beccati, ce li rispediranno prontamente indietro. Con l’aggiunta della figuraccia di fronte al resto d’Europa: i soliti italiani che non sanno gestire i migranti, che li scaricano furbescamente in casa d’altri. Mettendoci dal lato del torto, quando abbiamo ragione da vendere su tutto il resto. Nessuno, però, di quei signori che erano andati sul molo di Catania a protestare contro il “sequestro” dei poveri migranti; nessuno dei signori in maglietta rossa che strepitano sempre contro la violazione dei diritti umani, ha avuto l’onestà e la decenza di scusarsi. Che i finti profughi siano spariti in quattro e quattr’otto, una volta messo piede a terra, per loro è una cosa naturalissima, e non c’è motivo di sollevare alcun problema. Loro non erano detenuti, dunque sono liberi di andare dove? Se passeranno le frontiere, entreranno illegalmente in altri Stati, i quali non sono larghi di manica come il nostro, e ce li rispediranno indietro; se resteranno in Italia, di cosa vivranno, se non violando la legge per mantenersi, come il povero pusher trentenne del Gambia? Il quale è venuto in Italia così anziano, disperato, così denutrito, così stremato da privazioni e pericoli, da non poter prendere neanche in considerazione l’idea di vivere nel Paese che lo ospita, rispettando le sue leggi, ma vendendo la droga che ammazza i suoi giovani.
Per gli Italiani Bergoglio è un alieno? Anche grazie al signore vestito di bianco siamo diventati un Paese assurdo, un Paese masochista, un Paese che non si vuol bene, che fa di tutto per soffrire; ma noi, che ci viviamo, ci siamo pressoché abituati all’assurdità quotidiana?
Il problema, a questo punto, prima ancora dell’invasione africana e della folle politica della cosiddetta accoglienza, è, ancora una volta, la magistratura. Finché non verrà posta mano alla riforma della giustizia, l’Italia non si risolleverà mai, non tornerà neppure ad essere padrona di se stessa, della sua sovranità, delle chiavi di casa sua. Il problema più grave, in questo momento, è rappresentato dalla presenza e dall’onnipotenza di una super-casta di magistrati intoccabili e irresponsabili, liberi di fare tutto quel che vogliono e di imporre al popolo italiano la loro sovranità, anche incriminando i rappresentati eletti liberamente mediante le urne. E non solo producono danni materiali incalcolabili alla nostra economia – quale imprenditore straniero è invogliato ad aprire un’attività in un Paese che ha una simile magistratura? -, ma stanno anche decidendo il nostro destino a livello politico, sociale e culturale. Questi magistrati hanno una mentalità anti-stato: gli uni perché, da buoni meridionali, l’hanno sempre avuta, per retaggio secolare, gli altri perché, da buoni settentrionali laureati nelle università post-sessantottine, hanno sempre masticato ideologie di sinistra e odiano la società così com’è, sognano la rivoluzione, beninteso conservando tutti i loro spropositati privilegi. Sognano la società multietnica, ma conservando intatto il loro stile e tenore di vita; un po’ come i militanti dei vari movimenti LGBT sognano la Repubblica di Sodoma e Gomorra e, insieme, l’invasione islamica, e non si rendono conto che sarebbe la loro fine, visto quel che dice il Corano del loro modo di vivere, altro che matrimoni omosessuali e bimbi in adozione. Per non parlare delle signore femministe alla Boldrini: ci piacerebbe sapere quel che passerà loro per la testa quando l’islamizzazione e la negrizzazione dell’Italia saranno fatti compiuti, e loro non potranno più nemmeno uscir di casa da sole, tanto meno con la gonna corta e il capo scoperto. Ma speriamo di non vederlo mai, quel giorno. Non per loro, che se lo meriterebbero, ma per noi tutti…
Grazie ai giudici, l’Italia è il paradiso dei criminali
di Francesco Lamendola
Equivoco immigrazione: la magistratura fa politica? Il diritto d’asilo è una garanzia che la costituzione pose a favore di "veri perseguitati" politici, non certo un diritto generale di ogni straniero che voglia entrare in Italia
di Roberto Pecchioli
Si ha un bel voler credere nelle istituzioni. Con tutta la buona volontà, con il massimo dell’ottimismo, ogni giorno arrivano delusioni. L’intervento della magistratura sull’immigrazione è solo l’ultimo di una serie di fatti che tolgono speranza. L’indagine contro il ministro Salvini è un caso, ma non il solo. Con tutto il rispetto per gli appartenenti all’ordine giudiziario, si resta perplessi dinanzi alla partecipazione di magistrati a manifestazioni di parte - nel caso dell’accusatore agrigentino di Salvini si tratta del PD - seguita da iniziative a carico di avversari di quel partito. Alle reazioni piccate del Capitano leghista sono seguite durissime reprimende a difesa “del prestigio e dell’indipendenza della magistratura.” Sul prestigio non ci pronunciamo, ma sull’indipendenza abbiamo diritto a fondate perplessità, a partire dalla divisione della categoria in correnti politicamente orientate e dal clima di porte girevoli per cui membri della categoria assumono spesso incarichi politici, tornando poi ai loro uffici precedenti.
Nei rimproveri a Salvini si è distinto il vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, l’organo di autogoverno dei giudici. Per Giovanni Legnini era obiettivamente difficile tacere, si trattava quasi di un dovere d’ufficio. Tuttavia, abbiamo il diritto, senza mancare di rispetto ad alcuno e lontani dalla volontà di offendere la funzione e chi la esercita, a qualche dubbio. L’avvocato abruzzese è un ex sottosegretario del governo Letta, addirittura alla presidenza del Consiglio, e poi dell’esecutivo Renzi. Non riveliamo nulla se gli attribuiamo la qualifica di oppositore del governo in carica: è la sua legittima storia personale. L’ indipendenza politica del ruolo peraltro non può sussistere, per la natura altamente fiduciaria sostitutiva del Capo dello Stato, presidente del CSM.
La sua più recente esternazione, però, colpisce per i tempi e per i modi. Afferma il vice presidente Legnini che la politica governativa sull’immigrazione è vincolata all’articolo 10 della Costituzione, che prevede il diritto d’asilo. Non sussisteva alcun obbligo di esprimere un’opinione, il silenzio sarebbe stato più opportuno, nel metodo, nel merito e per la tempistica. Senza atteggiarci a giuristi, ci sfugge il nesso tra immigrazione e diritto d’asilo. Le parole di Legnini paiono una sorta di altolà politico al più alto livello rispetto alla gestione del fenomeno degli sbarchi di massa di cittadini africani, nonché un ulteriore avallo alla prassi di spacciare per profughi richiedenti asilo persone che sono ad ogni effetto immigrati economici non chiamati e non richiesti.
Matteo Salvini, il Ministro degli Interni e vice-premier "Atenzionato dalla magistratura", invoca il Vangelo, e molti Cattolici condividono e gradiscono.
Il diritto d’asilo è una garanzia che la costituzione pose a favore di veri perseguitati politici, non certo un diritto generale che ogni straniero può opporre al momento di entrare, con le modalità che conosciamo, nel territorio nazionale. L’articolo 10, fatte proprie le norme internazionali in materia di condizione dello straniero, riconosce il diritto d’asilo ponendo due condizioni, una soggettiva e l’altra relativa al quadro giuridico nazionale. Il richiedente deve essere qualcuno cui “sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla costituzione italiana”, criterio che somiglia assai a quella parte del corpo maschile la cui pelle può essere tirata da ogni parte, prestandosi ad abusi e discrezionalità che l’intervento di Legnini non contribuisce ad allontanare. La carta vincola l’asilo “alle condizioni stabilite dalla legge”. Dunque, non sussiste alcun diritto generale a ottenere asilo né la materia è sottratta al legislatore e al potere esecutivo, come farebbe credere l’intervento di Legnini.
La magistratura è soggetta esclusivamente alla legge, recita l’abc istituzionale. A pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina, e la giusta indipendenza dell’ordine giudiziario non può mai sfociare in sospetti di irresponsabilità estranei allo Stato di diritto. Nulla del genere riguarda Legnini, che magistrato non è, ma le sue convinzioni in materia di immigrazione e diritto d’asilo non possono diventare un muro contro politiche governative che ha diritto di avversare, ma non di impedire brandendo con allusioni l’arma dell’incostituzionalità e tracciando paralleli tra fenomeni del tutto distinti come l’immigrazione di massa e il diritto d’asilo.
Forse aveva ragione Bertolt Brecht chiamando sfortunato il popolo che ha bisogno di eroi. Solo degli eroi o degli incoscienti possono sfidare l’onnipotenza di strati profondi del potere reale italiano. Ci lascino almeno il diritto, sancito dall’articolo 21 della (loro?) costituzione, a manifestare liberamente il nostro pensiero, ovvero a sentirci in dissenso rispetto alle varie caste che dominano sopra le nostre teste. Questo ci resta, poiché cambiare le cose è impossibile o proibito.
Immigrazione. La magistratura fa politica?
di Roberto Pecchioli
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