ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 21 settembre 2018

Instrumentum doloris

Instrumentum laboris o Instrumentum doloris?


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Chi è alla ricerca di un rimedio per l’insonnia potrebbe provare a usare l’Instrumentum laboris, o «documento di lavoro», per la XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che si terrà a Roma il mese prossimo sul tema Giovani, fede e discernimento vocazionale.
Che il ponderoso documento possa aiutare chi soffre d’insonnia non lo dico io: lo dice George Weigel (https://www.firstthings.com/web-exclusives/2018/09/saving-synod-2018-from-itself), il quale, su First Things, non esita a definire il testo «un mattone», un grosso e noiosissimo «fermaporta»  pieno di luoghi comuni sociologici ma del tutto carente di intuizioni spirituali o teologiche.

L’Instrumentum  laboris, in effetti, dice poco o nulla sulla fede e sembra uscito dalla penna di qualcuno che prova un certo imbarazzo di fronte all’insegnamento cattolico.
Il filo conduttore è l’ascolto: la Chiesa non dovrebbe far altro che ascoltare. Ma a quale scopo? La risposta è che si tratta di aiutare a discernere, accompagnare e camminare insieme ai giovani. Tuttavia non si dice mai, o si dice in modo assai contorto, dove tutto questo ascolto, questo discernere, questo accompagnare e questo camminare dovrebbero condurre.
«Un testo gigantesco come questo – osserva Weigel – non può seriamente essere considerato una base di discussione per il sinodo. Nessun testo di oltre trentamila parole, anche se scritto in uno stile scintillante e irresistibile, può essere una guida alla discussione».
In effetti qui di scintillante non c’è niente. In compenso c’è un refrain che torna in continuazione, una sorta di mantra che il documento vuole inculcare nella mente del malcapitato lettore: quello della «Chiesa in uscita». Ma che cosa significa?
Uno dei passi in cui sembra arrivare una spiegazione (siamo nella sezione Il discernimento come stile di una Chiesa in uscita) si esprime così: «In questa prospettiva, “scegliere” non significa dare risposte una volta per tutte ai problemi incontrati, ma innanzi tutto individuare passi concreti per crescere nella capacità di compiere come comunità ecclesiale processi di discernimento in vista della missione».
Chiaro, no?
Ed ecco qui la spiegazione della spiegazione: «In questo movimento la Chiesa non potrà che assumere il dialogo come stile e come metodo, favorendo la consapevolezza dell’esistenza di legami e connessioni in una realtà complessa ma che sarebbe riduttivo considerare composta di frammenti, e la tensione verso una unità che, senza trasformarsi in uniformità, permetta la confluenza di tutte le parzialità salvaguardando l’originalità di ciascuna e la ricchezza che essa rappresenta per il tutto».
Ha ragione Weigel: fa dormire. Ma fa anche venire il mal di testa.
Quindi, si chiede Weigel (e il sottoscritto con lui) che cosa potrebbero fare i partecipanti al sinodo del prossimo ottobre per avere una discussione degna di questo nome e non la semplice ripetizione di formule sulla Chiesa in uscita, il discernimento e l’accompagnamento?
Beh, prima di tutto potrebbero sfidare l’affermazione, ripetuta nell’Istrumentum laboris fino alla nausea, secondo la quale i giovani vogliono una «Chiesa che ascolti». Che i giovani, ma anche i meno giovani, vogliano una Chiesa capace di ascoltare è del tutto ovvio, ma soprattutto vorrebbero una Chiesa capace di dare risposte. Ciò che i giovani, ma anche i meno giovani, desiderano, specie in un’epoca così confusa come la nostra, è che la Chiesa insegni chiaramente, indichi che cos’è la santità, dica in modo rigoroso e onesto qual è la strada per la salvezza eterna.
I partecipanti al sinodo, suggerisce poi Weigel, potrebbero anche sottolineare che i giovani d’oggi non sono attratti dalle analisi in sociologhese (nelle quali si avverte il retrogusto del linguaggio usato dai figli del Sessantotto), ma da un insegnamento pienamente cattolico, specie sui temi della vita. E cattolico vuol anche dire pulito, fresco, privo di ambiguità, diverso dall’incoerenza e dalla confusione dilaganti.
Purtroppo, al contrario, l’Instrumentum laboris «tradisce un inacidito senso di incapacità, persino di insuccesso», e in effetti sembra scritto da qualcuno che non crede, o crede molto poco, alla possibilità che la Chiesa abbia davvero qualcosa da dire ai giovani. In nessuna pagina si trovano motivi di speranza, né si dice mai che i giovani del nostro tempo non chiedono un generico accompagnamento, ma risposte solide in termini dottrinali e morali, così da poter davvero orientare la propria vita. E non si fa menzione delle tante esperienze spirituali che giovani di ogni parte del mondo vivono proprio all’insegna di una ricerca spirituale seria, consapevole, fondata non sulla sociologia ma sulla legge divina.
Quando il documento parla di identità sembra quasi che se ne vergogni, per cui ecco l’espressione «identità dinamica». Ma che vuol dire?  Sentiamo: l’identità dinamica è quella che «spinge la Chiesa in direzione del mondo, la rende Chiesa missionaria e in uscita, non abitata dalla preoccupazione di essere il centro, ma da quella di riuscire, con umiltà, a essere fermento anche al di là dei propri confini, consapevole di avere qualcosa da dare e qualcosa da ricevere nella logica dello scambio di doni».
Essere fermento di che cosa e per che cosa? Quali i doni da dare e da scambiare? Perché andare in direzione del mondo? Per arrivare a che cosa? Non si dice.
Al centro del sinodo ci sarà, o ci dovrebbe essere, l’idea di vocazione. Dal documento preparatorio, dunque, uno si aspetterebbe espressioni tali da far apprezzare la chiamata di Dio. E invece ecco come una parola bella e ricca quale «vocazione» viene spenta e resa quasi antipatica dalla prosa in sociologhese: «Nella fase della giovinezza prende corpo la costruzione della propria identità. In questo tempo, segnato da complessità, frammentazione e incertezza per il futuro, progettare la vita diventa faticoso, se non impossibile. In questa situazione di crisi, l’impegno ecclesiale è molte volte orientato a sostenere una buona progettualità. Nei casi più fortunati e laddove i giovani sono più disponibili, questo tipo di pastorale li aiuta a scoprire la loro vocazione, che rimane, in fondo, una parola per pochi eletti e dice il culmine di un progetto».
Viene voglia di fare coraggio all’anonimo estensore del documento: ehi amico, forza, non abbatterti, in fondo la vocazione è una cosa bella! Sursum corda!
Ma è inutile aspettarsi qualche sprazzo di entusiasmo. Al lettore sono propinate soltanto formule da Comitato centrale del Pcus buonanima. Tipo questa: «Per essere generativo l’accompagnamento al discernimento vocazionale non può che assumere una prospettiva integrale». Applausi dei compagni delegati. E mal di testa in aumento.
Domanda: e se invece di produrre questo mattone indigeribile, questo Instrumentum doloris,  si fosse pubblicata la vita di una santo, o magari di più santi? Certamente i giovani avrebbero capito molto meglio che cos’è la vocazione e quanto possa essere bella.
Il documento stesso, proprio alla fine, in un  sussulto di resipiscenza (sebbene con il solito stile da grigio comunicato del Soviet supremo), lo riconosce: «Merita anche ricordare che accanto ai “Santi giovani” vi è la necessità di presentare ai giovani la “giovinezza dei Santi”. Tutti i Santi, infatti, sono passati attraverso l’età giovanile e sarebbe utile ai giovani di oggi mostrare in che modo i Santi hanno vissuto il tempo della loro giovinezza. Si potrebbero così intercettare molte situazioni giovanili non semplici né facili, dove però Dio è presente e misteriosamente attivo. Mostrare che la Sua grazia è all’opera attraverso percorsi tortuosi di paziente costruzione di una santità che matura nel tempo per tante vie impreviste può aiutare tutti i giovani, nessuno escluso, a coltivare la speranza di una santità sempre possibile».
Oh, ecco! Bastava dire questo (magari con un pochino di entusiasmo in più) e il gioco era fatto, senza ricorrere a trentamila sfumature di grigio.
Ma forse sarebbe sembrato un messaggio un po’ troppo cattolico.
Aldo Maria Valli

Vescovo olandese: “Ecco perché non andrò al sinodo”

Dopo l’arcivescovo di Filadelfia, Charles Chaput, che ha chiesto al papa di annullare il sinodo sui giovani previsto per il mese prossimo in Vaticano, un altro prelato scende in campo annunciando che non prenderà parte all’assise. Si tratta di Robertus Mutsaerts, ausiliare della  diocesi di Hertogenbosch, nel sud dell’Olanda, che ha scritto a Francesco una lettera aperta con la quale annuncia che, alla luce della crisi degli abusi sessuali, ha ritenuto di non partecipare al sinodo.
“La pubblicazione del memoriale dell’arcivescovo Viganò – scrive Mutsaerts – ha aperto gli occhi a molti. Sembra che i crimini di Theodore McCarrick e la doppia vita da lui condotta per molti anni siano stati resi possibili grazie alla copertura di numerosi alti prelati negli Stati Uniti d’America e a Roma”.
Come Chaput aveva proposto di annullare il sinodo perché i vescovi, al momento, non possiedono credibilità sufficiente per rivolgersi ai giovani parlando di morale, allo stesso modo Mutsaerts ritiene che non sia corretto indicare nel “clericalismo” (come ha fatto Francesco nella sua Lettera al popolo di Dio) la radice della gravissima crisi che sta  investendo la Chiesa. In realtà, dice il vescovo olandese, “il fascicolo su McCarrick sembra essere il sintomo di una crisi molto più grande nella Chiesa”, nella quale l’omosessualità di molti chierici gioca un ruolo determinante.
“Clericalismo”, sostiene Mutsaerts, è un termine che non spiega che cosa sta succedendo e anzi rischia di allontanare dai problemi veri. “Qui è in gioco la credibilità della Chiesa nel suo insieme. Scuse e mea culpanon sono sufficienti. È necessario un altro approccio, più deciso”. Ma questo approccio, spiega il vescovo, diventa estremamente difficile quando i vescovi sono compromessi ed è quasi impossibile se anche le massime autorità sono coinvolte.
Secondo Mutsaerts è quanto meno imprudente tenere un sinodo sui giovani nel mezzo della peggiore crisi che la Chiesa cattolica abbia attraversato da secoli: “In queste circostanze, trovo estremamente difficile essere presente al sinodo dei giovani in ottobre. Come affrontare questioni riguardanti i giovani, quando nella nostra Chiesa non è nemmeno salvaguardata la sicurezza di base della gioventù?”.
Di qui la proposta di rinviare il sinodo: “Ecco perché, santità, considerando le circostanze, propongo di spostare il sinodo sulla gioventù in un altro momento. Invece, propongo di convocare con un breve preavviso un sinodo straordinario che discuta e approfondisca seriamente i problemi degli abusi sessuali e delle doppie vite dei chierici, per arrivare a un’indagine credibile e indipendente sul passato e decidere quali misure possono essere prese. Finché tutto questo non si realizzerà, è a mio avviso inopportuno incontrare te, Santo Padre, con i miei colleghi vescovi, su questioni riguardanti i giovani, come se tra i giovani e noi non fosse successo nulla e tutto potesse procedere come al solito”.
In un’intervista al quotidiano olandese  Trouw   (https://www.trouw.nl/religie-en-filosofie/de-paus-belegt-een-synode-waar-het-misbruik-niet-op-de-agenda-staat-dus-blijft-hulpbisschop-mutsaerts-thuis~a669a274/) il vescovo Mutsaerts spiega di aver inviato la lettera al papa alla fine di agosto, ma di non aver ancora ricevuto una risposta.
“Per me – dice –  è in gioco la credibilità della Chiesa”. Non si può fingere che tutto sia normale: “Dobbiamo prima chiarire gli scandali e anche la posizione del papa. Viganò è un uomo serio, fa accuse serie, ma il papa tace. Forse i motivi di Viganò non sono completamente puri, non lo so, ma non è quello il punto. Il punto è: è vero ciò che Viganò afferma?”.
In una dichiarazione, la Conferenza episcopale olandese dice di non condividere ma di rispettare la scelta di Mutsaerts. I vescovi olandesi “sottolineano ancora una volta l’importanza di misure concrete per una Chiesa sicura per i bambini e i giovani. Tuttavia, vediamo il prossimo sinodo come un’opportunità per affrontare questo problema nel contesto del tema generale e per parlare con i vescovi di tutti i paesi del mondo”.
Al posto di Mutsaerts, sarà il vescovo ausiliare De Jong van Roermond a partecipare al sinodo in programma dal 3 al 28 ottobre.
Giorni fa era stato l’arcivescovo di Filadelfia a lanciare proposte simili a quelle di Mutsaerts. “Papa Francesco cancelli il sinodo dei giovani. I vescovi al momento non hanno alcuna credibilità”, ha scritto Charles Chaput in una lettera inviata al papa. Sulla stessa linea il vescovo Philip Egan di Portsmouth, in Inghilterra.
Alla fine di agosto anche il vescovo di Dallas Edward J. Burns e i sacerdoti della diocesi hanno sottoscritto una petizione al papa chiedendo la convocazione urgente di un sinodo straordinario dedicato all’attuale crisi degli abusi sessuali da parte del clero, all’insabbiamento operato dalle gerarchie e alla mancanza di fedeltà da parte di alcuni prelati.
Nella lettera, consegnata alla nunziatura della Santa Sede a Washington per essere inviata il prima possibile a papa Francesco, si fa notare che la diocesi di Dallas è stata colpita duramente da scandali riguardanti abusi sessuali.
“Stiamo lavorando diligentemente a livello locale per affrontare questi problemi – ha dichiarato Burns – ma aumentare la responsabilità a tutti i livelli della Chiesa è della massima importanza”.
In tutto il mondo sono ormai una quarantina i vescovi e gli arcivescovi che hanno chiesto al papa di prendere seriamente in considerazione i contenuti del memoriale Viganò e di dare risposte.
Aldo Maria Valli

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