“1968 e Concilio Vaticano II, due facce stessa medaglia”, conferenza di Don Curzio Nitoglia del 1/8/2018
“1968 e Concilio Vaticano II, due facce stessa medaglia”,
Conferenza di Don Curzio Nitoglia del 1/8/2018
a Cortina d’Ampezzo
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/2018/09/18/1968-e-concilio-vaticano-ii-due-facce-stessa-medaglia-conferenza-di-don-curzio-nitoglia-del-1-8-2018/
LXI - Omaggio alle chiese natie: la nuova di San Rocco
Quella di cercare una impossibile conciliazione fra la modernità e la fede cristiana, fra la modernità e i valori evangelici, è, in effetti, la questione centrale e decisiva per tutti coloro i quali, trovandosi ad essere, anche loro malgrado, cittadini della civiltà moderna, vogliono però essere, anzitutto e sopra tutto, dei veri cristiani e dei veri cattolici, con una visione del mondo pienamente cattolica, cioè universale. La modernità, in se stessa, non è universale: non lo è né in senso geografico – è lo stadio finale della civilizzazione dell’Occidente, nel senso che Spengler e altri davamo alla “civilizzazione”, cioè la fase tarda e degenerativa di una civiltà – né, quel che più conta, in senso spirituale, perché esclude e rifiuta il legame con la tradizione, rompe i ponti col passato e quindi si rende impermeabile a un vero dialogo con i propri padri, a dispetto del suo proclamato ed esasperato storicismo. E qui, probabilmente, sta la sua contraddizione più grossa. Da un lato, la modernità si pone come la quintessenza del divenire storico, secondo lo schema delineato da Hegel e ripreso da Marx e da quasi tutti gli altri pensatori del XIX e del XX secolo, cioè secondo uno schema dialettico basato sul superamento della tesi mediante l’antitesi, che porta ad una sintesi più “progressiva”; dall’altro, proprio perché tende ad assolutizzare se stessa, e a divinizzare i propri fondamenti – il progresso, la velocità, la scienza e la tecnica - di fatto esce dall’ambito di ciò che è storico ed entra in un ambito propriamente metafisico: pretende di diventare una nuova religione. Ed è ovvio che due religioni non possono convivere, rivolgendosi alla totalità degli uomini, cioè presentandosi entrambe come universali, senza che una delle due finisca per prevalere sull’altra. Ma la modernità, universale non lo è, per la ragione che abbiamo detto: nella sua rigidità, non sa rivolgersi a tutti gli uomini e non sa o non vuole abbracciare anche il passato. La modernità è la quintessenza dell’ideologia del progresso; il cristianesimo è la quintessenza dell’idea della perennità del divino: non possiedono un terreno comune sul quale confrontarsi Di fatto, i cattolici che vogliono farsi seguaci del progresso cessano di essere cattolici, anche se non lo sanno, e diventano seguaci della modernità, con tutti i suoi riti e i suoi miti. Questa duplicità, o meglio, questa contraddizione, è emersa, o per meglio dire è esplosa, con l’evento del Concilio Vaticano II. I cattolici, in quanto tali, dovrebbero saper storicizzare ciò che appartiene al tempo, e tener fermo, al contrario, su ciò che appartiene all’assoluto; pertanto, dovrebbero vedere nel Concilio un evento storico, con le sue ombre e le sue luci, suscettibile di una lettura in chiave storica. Invece, i loro presupposti ideologici di tipo progressista li portano ad assolutizzare l’evento storico del Concilio e a trasformarlo in un evento mitico, o meglio metafisico: un qualcosa di assoluto, di imprescindibile, di definitivo; una seconda Pentecoste. Ciò li porta dritti verso l’eresia; ma, appunto, essi non se ne accorgono neppure. Tutto al contrario: sono più che mai persuasi di rappresentare il vero cristianesimo, dopo un lunghissimo periodo di inautenticità e di travisamento, e che lo strumento per fare ciò sia appunto l’evento del Concilio, così come lo leggono e lo “applicano”, nella maniera che, per essi, è la più giusta, la più coerente e la più fedele al Vangelo: e non vedono che stanno invece tradendo il Vangelo, perché il Vangelo è l’elemento definitivo e trascendente, che supera la storia umana e che la conclude, ponendovi il sigillo di Dio, oltre il quale non c’è, né mai potrebbe esserci, una “nuova Pentecoste”.
L'interno.
Non è possibile predire che cosa ci riservi il domani, ma una cosa è certa: la Chiesa non riuscirà a superare la crisi drammatica che l’attanaglia sempre di più, e la società tutta non riuscirà a rinnovarsi e a dotarsi di un nuovo slancio vitale, tornando a coltivare la speranza e a divenire prolifica anche dal punto di vista demografico, se non si farà strada una presa di coscienza che sveli l’impossibilità di conciliare la modernità con una sana concezione spirituale della vita e che restauri i valori assurdamente disprezzati e rifiutati, mettendo al bando, viceversa, i falsi valori – primo fra tutti, una falsa idea di libertà, intesa in senso puramente edonistico e distruttivo - che ci stanno portando letteralmente verso l’autodistruzione.
tratto da:
LXI - Omaggio alle chiese natie: la nuova di San Rocco
di Francesco Lamendola
Il puntatore. Laicizziamoci
di Aurelio Porfiri
Penso che uno dei fenomeni più interessanti in ambito cattolico degli ultimi decenni è il ruolo assunto dai laici ma non grazie al Vaticano II, ma anzi spesso malgrado il Concilio. Cioè i laici, come reazione alla decadenza postconciliare, hanno saputo prendere coscienza del proprio ruolo e, non di rado con le politiche della gerarchia e grazie allo sviluppo di internet, sono ora un punto di riferimento importante per chi vuole farsi un’idea sulla fede e su quello che stiamo vivendo.
Se ci pensate i media e blog cattolici più seguiti e che fanno opinione sono gestiti da laici, laici che spesso influenzano anche alcuni settori della gerarchia. Io vedo questo come un fatto provvidenziale, come una specie di reazione immunitaria alle mancanze di un clero sempre più in affanno. Come nel corpo, quando alcuni sensi si ammalano, altri si sviluppano di più. Ecco, questo mi sembra stia succedendo e lo trovo un gran bene. Il laico che vive il mondo vede le cose in modo molto concreto e realista, rispetto al sacerdote che ha una visione a volte più limitata. Quando i laici parlano di problemi sociali, ne parlano spesso avendone avuto esperienza diretta, come i disagi delle famiglie e via dicendo.
Ovviamente non tutti i laici sono affidabili ed è legittimo avere preferenze. Comunque trovo il fenomeno, nel suo insieme, come uno sviluppo molto positivo.
Penso che uno dei fenomeni più interessanti in ambito cattolico degli ultimi decenni è il ruolo assunto dai laici ma non grazie al Vaticano II, ma anzi spesso malgrado il Concilio. Cioè i laici, come reazione alla decadenza postconciliare, hanno saputo prendere coscienza del proprio ruolo e, non di rado con le politiche della gerarchia e grazie allo sviluppo di internet, sono ora un punto di riferimento importante per chi vuole farsi un’idea sulla fede e su quello che stiamo vivendo.
Se ci pensate i media e blog cattolici più seguiti e che fanno opinione sono gestiti da laici, laici che spesso influenzano anche alcuni settori della gerarchia. Io vedo questo come un fatto provvidenziale, come una specie di reazione immunitaria alle mancanze di un clero sempre più in affanno. Come nel corpo, quando alcuni sensi si ammalano, altri si sviluppano di più. Ecco, questo mi sembra stia succedendo e lo trovo un gran bene. Il laico che vive il mondo vede le cose in modo molto concreto e realista, rispetto al sacerdote che ha una visione a volte più limitata. Quando i laici parlano di problemi sociali, ne parlano spesso avendone avuto esperienza diretta, come i disagi delle famiglie e via dicendo.
Ovviamente non tutti i laici sono affidabili ed è legittimo avere preferenze. Comunque trovo il fenomeno, nel suo insieme, come uno sviluppo molto positivo.
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