(di Roberto de Mattei) L’impressionante rapidità con cui si susseguono gli eventi all’interno della Chiesa lascia pensare che ciò sia dovuto non solo a una dinamica di accelerazione storica, ma a una deliberata scelta degli agenti del caos per aumentare il disorientamento e paralizzare le forze di chi cerca di resistere alla marea che avanza.
Il 22 settembre la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese, in un comunicato congiunto, hanno reso noto di avere firmato un accordo “provvisorio” sulle modalità di nomina dei vescovi cattolici cinesi. Il testo però non è stato pubblicato e se ne ignora il contenuto.
Il vescovo emerito di Hong Kong, card. Joseph Zen, ha fatto pervenire ad AsiaNews la seguente dichiarazione: «Il comunicato, tanto atteso, della Santa Sede è un capolavoro di creatività nel dire niente con tante parole. Dice che l’accordo è provvisorio, senza dire la durata della sua validità; dice che prevede valutazioni periodiche, senza dire quando sarà la prima scadenza. Del resto qualunque accordo può dirsi provvisorio, perché una delle due parti può sempre aver ragione per chiedere una modifica od anche l’annullamento dell’accordo. Ma la cosa importante è che se nessuno chiede di modificare od annullare l’accordo, questo, anche se provvisorio, è un accordo in vigore. La parola “provvisorio” non dice niente. “L’accordo tratta della nomina dei Vescovi”. Questo la Santa Sede ha già detto tante volte, da tanto tempo. Allora qual è il risultato della lunga fatica. Qual è la risposta alla nostra lunga attesa? Non si dice niente! È segreto!? Tutto il comunicato si reduce a queste parole “C’è stata la firma di un accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi”. Tutto il resto sono parole senza senso. Allora quale messaggio la Santa Sede intende mandare ai fedeli in Cina con questo comunicato? “Abbiate fiducia in noi, accettate quel che abbiamo deciso”(?) E che cosa dirà il governo ai cattolici in Cina? “Obbedite a noi, la Santa Sede è già d’accordo con noi”(?) Accettare ed obbedire senza sapere che cosa si deve accettare, in che cosa si deve obbedire?»
La sostanza dell’accordo dovrebbe essere questa: i candidati all’episcopato sono scelti dalla chiesa ufficiale cinese, che è controllata dalla Associazione Patriottica, emanazione diretta del Partito Comunista. Gli uffici cinesi proporranno alla Santa Sede un candidato gradito al Partito Comunista.
Ma cosa accadrà se il Papa non fosse d’accordo? Su Asia News del 24 settembre, padre Bernardo Cervellera commenta così questa ipotesi. «Fino ad orasi era parlato di un potere di veto temporaneo del pontefice: il Papa, cioè doveva dare le motivazioni del suo rifiuto entro tre mesi, ma se il governo valutava inconsistenti le motivazioni papali, avrebbe continuato con la nomina e l’ordinazione del suo candidato. Non avendo il testo dell’accordo, non sappiamo se questa clausola è stata mantenuta, se davvero il pontefice avrà l’ultima parola sulle nomine e ordinazioni, o se invece si riconosce la sua autorità solo in modo formale».
Nel caso il veto fosse temporaneo e l’ultima parola spettasse al governo cinese, si cadrebbe in un grave errore condannato dalla Chiesa. Pio VII, ad esempio, rinnegò il Concordato di Fontainebleau stipulato con Napoleone il 25 gennaio 1813 proprio perché esso prevedeva che, se entro sei mesi non fosse giunta la ratifica pontificia, il candidato dell’Impero francese sarebbe stato confermato di autorità vescovo.
Ma anche nel caso che il veto fosse permanente, il ruolo del Papa si riduce comunque a quello di un semplice notaio. Egli si limita a ratificare la nomina e, se vorrà evitare un braccio di ferro con quelle autorità politiche con cui ha spasmodicamente cercato l’accordo, il “veto” potrà rappresentare un’eccezione, non certo la regola. In ogni caso ci troviamo fronte a una ripetizione della Ostpolitik di Paolo VI che tanti danni ha fatto ai cattolici dei Paesi dell’Est europeo.
C’è purtroppo una stretta coerenza tra il funesto accordo con la Cina e la Costituzione Apostolica Episcopalis communio, sulla struttura del Sinodo dei Vescovi, firmata da papa Francesco il 15 settembre e resa nota il 18. Con questo documento, spiega Stefania Falasca su Avvenire del 18 settembre, «viene ora resa normativamente stabile la pratica della sinodalità come forma di cammino della Chiesa e con essa il principio che regola le tappe di questo processo: l’ascolto. Popolo di Dio, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri e tutti in ascolto dello Spirito santo».
In che modo si conclude questo processo di carismatico ascolto? Gli articoli 17 e 18 della costituzione apostolica lo spiegano. Le conclusioni dell’Assemblea sono raccolte in un Documento finale, che, dopo essere approvato da un’apposita commissione, «è offerto al Romano Pontefice, che decide della sua pubblicazione. Se approvato espressamente dal Romano Pontefice, il Documento finale partecipa del Magistero ordinario del Successore di Pietro (art. 18, § 2). Qualora poi il Romano Pontefice abbia concesso all’Assemblea del Sinodo potestà deliberativa, a norma del can. 343 del Codice di diritto canonico, il Documento finale partecipa del Magistero ordinario del Successore di Pietro una volta da lui ratificato e promulgato. In questo caso il Documento finale viene pubblicato con la firma del Romano Pontefice insieme a quella dei Membri (art. 18, § 3)».
Il documento sinodale, in ogni caso, «partecipa del Magistero ordinario del Successore di Pietro». La portata magisteriale di documenti come la Amoris laetitiae le conclusioni dei prossimi sinodi sui giovani e sull’Amazzonia viene confermata. Ma qual è il ruolo di Pietro nella elaborazione dei documenti sinodali? E’ il ruolo, come nel caso della nomina dei vescovi cinesi, di un semplice notaio, la cui firma è necessaria per dare esecuzione all’atto, senza che dei contenuti di quest’atto egli sia l’autore.
La Chiesa si appresta a divenire un Repubblica, non presidenziale, ma parlamentare, in cui il Capo dello Stato ha un puro ruolo di garanzia delle parti politiche e di rappresentante dell’unità nazionale, rinunciando alla missione di monarca assoluto e di legislatore supremo del Romano Pontefice. Per realizzare questo progetto “democratico”, il Successore di Pietro usa però poteri dittatoriali, che nulla hanno a che fare con la tradizione di governo della Chiesa.
Nel corso di una conferenza stampa per la presentazione del documento papale, il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, ha affermato che «la Costituzione apostolica Episcopalis communio di Papa Francesco segna una vera e propria “rifondazione” dell’organismo sinodale» e che,«in una Chiesa sinodale, anche l’esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce. Il Papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come Battezzato tra i Battezzati e dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo – come Successore dell’apostolo Pietro – a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell’amore tutte le Chiese» (Vatican Insider, 18 settembre 2018).
I teologi ortodossi possono valutare la gravità di queste affermazioni che pretendono “rifondare” e “riformare” il munus petrino. Mai come in questo momento il Primato Romano viene negato e sfigurato, soprattutto in un momento in cui un’onda di fango sembra sommergere la Sposa di Cristo.
Chi ama veramente il Papato avrebbe il dovere di gridarlo sui tetti. Ma sembra che la consegna del silenzio non riguardi solo papa Francesco. Anche i vescovi e i cardinali che guidano la Chiesa, di fronte agli scandali e agli errori che oggi la percuotono, sembrano ripetere: «Io non dirò una parola su questo». (Roberto de Mattei)
LA CHIESA E LO STATO CINESE
Sottomessi all'uomo iniquo
Il Leader supremo Xi Jinping è uno di questi uomini iniqui. Si è mostrato deciso a «opporsi e ad esaltare se stesso contro ogni cosiddetto dio o oggetto di culto», sopprimendo spietatamente la libertà di religione in Cina, spogliando le case di culto delle loro croci o altri simboli e sottoponendo tutto e tutti agli interessi del partito. Questo è l'uomo con cui il cardinale Parolin e i suoi colleghi della Segreteria di Stato, per volere di Papa Francesco, sono pronti a fare accordi. Il papa tradisce i cristiani di ogni tempo e luogo che hanno coraggiosamente resistito ai tentativi di rendere la Chiesa di Gesù Cristo piegata allo Stato.
San Paolo ci dice nella Seconda lettera ai Tessalonicesi che il Giorno del Signore non può venire prima che avvenga «l’apostasia» e «l'uomo dell'iniquità, il figlio della perdizione», sia rivelato. Ma «il mistero dell'iniquità è già in atto», aggiunge. L'uomo che dà piena espressione a quel mistero, che completa l'evoluzione dell'umanità iniqua e la guida all’ultima ribellione, è l'ultimo ma non certo il primo di questi uomini. Pertanto, l'avvertimento di Paolo è utile oggi come alla fine dei tempi.
Il Leader supremo Xi Jinping è uno di questi uomini iniqui. Si è mostrato deciso a «opporsi e ad esaltare se stesso contro ogni cosiddetto dio o oggetto di culto», sopprimendo spietatamente la libertà di religione in Cina, spogliando le case di culto delle loro croci o altri simboli e sottoponendo tutto e tutti agli interessi del partito. La politica di Xi di "sinicizzare" tutte le espressioni religiose rende la religione interamente asservita allo Stato. Paolo disse che l'uomo dell'iniquità alla fine si sarebbe seduto nel tempio come se fosse Dio - alcuni Padri credevano che con ciò intendesse la Chiesa, che Paolo insegnava fosse il nuovo tempio di Dio - e sembra che Xi stia facendo proprio questo.
Questo è l'uomo con cui il cardinale Parolin e i suoi colleghi della Segreteria di Stato, per volere di Papa Francesco, sono pronti a fare "affari". Sabato hanno firmato un accordo che secondo quanto riferito darà al Partito il ruolo principale e la decisione finale di nominare i vescovi cinesi nella Chiesa cattolica. Questo accordo richiede alla Chiesa di cancellare le precedenti scomuniche, permettendo al Partito di dettare anche la disciplina sacramentale. Porta il Partito direttamente nelle deliberazioni e azioni interne della Chiesa, sia amministrative che evangeliche o sacramentali. Sarebbe fondamentalmente sbagliato anche se lo Stato in questione fosse il Sacro Romano Impero invece di uno Stato senza Dio, spietato e omicida come è la Cina comunista. L'unità di cui il cardinale Parolin ha parlato sarà un'unità, non sotto Dio, ma sotto Xi, che eliminerà le chiese sotterranee e costringerà tutti in un recinto approvato dal Partito.
Il diritto canonico e Christus Dominus dichiarano questa azione non solo imprudente, ma anche illegittima. Francesco non ha revocato o sospeso il canone 377 § 5, che afferma che "in futuro nessun diritto o privilegio di elezione, nomina, presentazione o designazione di vescovi è concesso alle autorità civili". Lui e i suoi rappresentanti stanno agendo illegalmente nel fare questo accordo con l'uomo cinese dell’iniquità.
Inoltre, come ha detto coraggiosamente il cardinale Zen, nella loro iniquità stanno «dando il gregge in pasto ai lupi». Tradiscono i martiri cinesi e i testimoni viventi della Cina che hanno sofferto così a lungo per la fedeltà a Cristo. «I fratelli e le sorelle della Cina continentale», come aveva detto Zen in precedenza, non hanno paura della povertà, della prigione, di effondere il loro sangue; la loro più grande sofferenza è vedere se stessi traditi dalla «famiglia».
Il papa tradisce i cristiani di ogni tempo e luogo che hanno coraggiosamente resistito ai tentativi di rendere la Chiesa di Gesù Cristo piegata allo Stato. In passato, tutto ciò che era richiesto era un pizzico di incenso all'imperatore, che i cristiani rifiutavano di offrire, spesso a costo della loro vita. Ma ora ai cattolici cinesi non viene solo chiesto di offrire il pizzico di incenso al Leader supremo, ma anche di permettere ai suoi funzionari di controllare e nominare i vescovi e il clero che faranno questo a loro nome. La scandalosa pratica delle investiture laiche è tornata, e in una forma più scandalosa di quanto non fosse accaduto in passato. La strada che ha portato a Enrico VIII e alla Costituzione Civile del clero in Francia sarà di nuovo percorsa.
Questa non è una semplice questione di giudizio prudenziale. Se lo Stato ha la supervisione della Chiesa, rende falso il Vangelo della Chiesa. Mette la menzogna alla confessione fondamentale della Chiesa, "Gesù è il Signore", poiché anche nella Chiesa lo Stato diventa Signore. E in cambio della confessione del Vaticano che in Cina lo Stato è Signore, la Cina riconoscerà il Papa come il capo nominale di tutti i suoi cattolici. Che valore ha tutto questo? In realtà, i cattolici cinesi, come i cattolici di qualunque paese, hanno un solo capo: Gesù Cristo. Il Papa non è il capo dei cattolici, è il capo del collegio apostolico. E la sua funzione di capo del collegio apostolico è proprio ciò di cui lo sta privando Xi.
Com'è che abbiamo un Pontefice e una Segreteria di Stato che non capiscono queste cose o non se ne danno cura? Revocare o sospendere il canone 377 § 5 avrebbe reso la loro azione meno iniqua da un punto di vista mondano, almeno non avrebbe contravvenuto alla legge della Chiesa. Ma non l'avrebbe resa neanche un po’ meno iniqua a livello teologico. Perché questa azione è in contrasto con la legge divina, il decreto che fece risorgere Gesù dai morti e lo pose alla destra del Padre. Inoltre contraddice la natura stessa della Chiesa.
Cos’è la Chiesa, se non una missione di ambasciatori incaricata di dichiarare ai governanti e governati di questo mondo che ogni autorità è passata a Colui che siede alla destra del Padre e verrà di nuovo nella gloria per giudicare i vivi e i morti? Ma l'Associazione Patriottica Cattolica Cinese è stata istituita dalle autorità cinesi per garantire che questo messaggio non venisse ascoltato correttamente in Cina. È stata istituita in modo che fosse lo Stato a dirigere e gestire l'ambasciata ecclesiale di Gesù Cristo.
Coloro che sono inclini a dire di Francesco «Beh, dopotutto lui è il papa, e può fare ciò che vuole», dovrebbero pensarci bene. Faranno appello al canone 1404, "La prima Sede non è giudicata da nessuno", per giustificare la loro acquiescenza e inazione? Quel canone condanna lo stesso pontefice in questa faccenda. Sì, egli è responsabile direttamente al Signore piuttosto che ai tribunali umani. Ma ciò significa che non può rendere conto, né decidere di rendere conto, a Xi Jinping o a qualsiasi altro leader secolare in tutto ciò che riguarda la Chiesa in quanto Chiesa. Significa invece che è tenuto a confessare il vero Signore come Signore. A parte quel costante e fedele atto di confessione, in realtà non agisce affatto come “Pietro”, occupante della prima Sede.
Nelle parole della Commissione teologica del Vaticano II, poiché il papa è particolarmente responsabile nei confronti del Signore, è «anch'esso legato alla rivelazione stessa, alla struttura fondamentale della Chiesa, ai sacramenti, alle definizioni dei precedenti concili e ad altri obblighi troppo numerosi da citare». Tutto questo è in gioco nella decisione di Francesco di dare al Partito Comunista Cinese il diritto di avviare e supervisionare le nomine episcopali. I vescovi fedeli sono obbligati, da parte loro, a rifiutarsi di riconoscere la legittimità di questo concordato e a riconoscere come vescovi fratelli coloro che sono stati nominati prima dell’accordo e non quelli nominati in base ad esso. Oppure il mistero dell'iniquità è progredito così tanto perfino nella stessa Chiesa al punto che la luce può essere compagna delle tenebre e Cristo accordarsi con Belial, solo perché lo dice la Segreteria di Stato?
Douglas Farrow
https://www.firstthings.com/web-exclusives/2018/09/men-of-lawlessness
LA LETTERA E GLI SCENARI FUTURI
Il Papa scrive ai cinesi, ma nel cammino non si vede libertà
Il Papa scrive al popolo cinese una lettera dopo l'accordo con il Regime. Nel lungo testo emergono l'apprezzamento e l'incoraggiamento di fronte alle sofferenze dei cristiani sotto la persecuzione comunista. Ma gli “avvenimenti” cui fa riferimento il Pontefice continuano senza tregua. La clandestinità non è il vero problema, il vero problema è che lo Stato non tollera Vescovi che siano liberi di annunciare il Vangelo anche laddove questo annuncio contrastasse con le politiche del governo. Saranno liberi ora?
A seguito della firma dell’accordo provvisorio fra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, Papa Francesco ha scritto un “Messaggio ai cattolici cinesi e alla Chiesa universale” (LEGGI IL DOCUMENTO INTEGRALE). E' il caso di commentare alcune parti di questo messaggio.
Innanzitutto sono apprezzabili i toni di ammirazione e apprezzamento che il Pontefice indirizza al popolo cinese e alla sua cultura. Ma questo apprezzamento si estende anche alle sofferenze dei cristiani sotto la persecuzione comunista (parola che naturalmente non appare mai nel messaggio): “Sono sentimenti di ringraziamento al Signore e di sincera ammirazione – che è l’ammirazione dell’intera Chiesa cattolica – per il dono della vostra fedeltà, della costanza nella prova, della radicata fiducia nella Provvidenza di Dio, anche quando certi avvenimenti si sono dimostrati particolarmente avversi e difficili. Tali esperienze dolorose appartengono al tesoro spirituale della Chiesa in Cina e di tutto il Popolo di Dio pellegrinante sulla terra. Vi assicuro che il Signore, proprio attraverso il crogiuolo delle prove, non manca mai di colmarci delle sue consolazioni e di prepararci a una gioia più grande. Con il Salmo 126 siamo più che certi che «chi semina nelle lacrime, mieterà nella gioia» (v. 5)!”. Trspare dunque un apprezzamento per le sofferenze del popolo cinese, e si percepisce che dietro quella parola “avvenimenti” ci sarebbe dovuto essere la parola “persecuzioni”.
Il Papa intravede le difficoltà affermando: “Si tratta di un cammino che, come il tratto precedente, «richiede tempo e presuppone la buona volontà delle Parti» (Benedetto XVI, Lettera ai Cattolici cinesi, 27 maggio 2007, 4), ma per la Chiesa, dentro e fuori della Cina, non si tratta solo di aderire a valori umani, bensì di rispondere a una vocazione spirituale: uscire da se stessa per abbracciare «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 1) e le sfide del presente che Dio le affida. È, pertanto, una chiamata ecclesiale a farsi pellegrini sui sentieri della storia, fidandosi innanzitutto di Dio e delle sue promesse, come fecero Abramo e i nostri Padri nella fede”. Certo, importante questo avviso alla missonarietà della Chiesa in Cina, tenendo però conto che la possiblità di azione, per il controllo del governo, è ridottissimo e certamente del tutto precluso per ciò che riguarda l’essere elemento di cambiamento della società. Al momento dell’accordo, gli “avvenimenti” non erano terminati, ma continuavano e continuano senza tregua.
Ma il Papa, prevenendo questa obiezione, afferma: “Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per una terra sconosciuta che doveva ricevere in eredità, senza conoscere il cammino che gli si apriva dinnanzi. Se Abramo avesse preteso condizioni, sociali e politiche, ideali prima di uscire dalla sua terra, forse non sarebbe mai partito. Egli, invece, si è fidato di Dio, e sulla sua Parola ha lasciato la propria casa e le proprie sicurezze. Non furono dunque i cambiamenti storici a permettergli di confidare in Dio, ma fu la sua fede pura a provocare un cambiamento nella storia. La fede, infatti, è «fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio» (Eb 11,1-2)”. Giusto, ma Abramo si è lanciato verso il pericolo ignoto, fidandosi di Dio; qui il pericolo e la situazione è nota e, come il Pontefice ha detto, è del tutto comprensibile la sofferenza di quanti non capiscono, di quanti pensano che un accordo in questo momento non abbia senso. Perché non è solo il Cardinale Joseph Zen a pensarla così, ma tantissimi intellettuali anche cattolici, liberi di poter dire quello che pensano, e che hanno più di un dubbio sulla opportunità di questo accordo in queste condizioni.
“Allorquando, nel passato, si è preteso di determinare anche la vita interna delle comunità cattoliche, imponendo il controllo diretto al di là delle legittime competenze dello Stato, nella Chiesa in Cina è comparso il fenomeno della clandestinità. Una tale esperienza – va sottolineato – non rientra nella normalità della vita della Chiesa e «la storia mostra che Pastori e fedeli vi fanno ricorso soltanto nel sofferto desiderio di mantenere integra la propria fede» (Benedetto XVI, Lettera ai Cattolici cinesi, 27 maggio 2007, 8)”. La clandestinità non era il vero problema, il vero problema era (ed è, come pensano molti) che lo Stato non tollera Vescovi che siano liberi di annunciare il Vangelo anche laddove questo annuncio contrastasse con le politiche del governo. Saranno liberi ora?
Se al Papa è stato promesso questo, sarà veramente un successo storico qualora la promessa verrà mantenuta. Sarebbe veramente un fatto straordinario. Alla luce di questo bisogna leggere questo altro passaggio: “In questo contesto, la Santa Sede intende fare sino in fondo la parte che le compete, ma anche a voi, Vescovi, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici, spetta un ruolo importante: cercare insieme buoni candidati che siano in grado di assumere nella Chiesa il delicato e importante servizio episcopale. Non si tratta, infatti, di nominare funzionari per la gestione delle questioni religiose, ma di avere autentici Pastori secondo il cuore di Gesù, impegnati a operare generosamente al servizio del Popolo di Dio, specialmente dei più poveri e dei più deboli, facendo tesoro delle parole del Signore: «Chi vuol essere grande tra voi sifarà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,43-44)”. Ecco il punto: i fedeli avranno la libertà di proporre i candidati più adatti nel senso "cattolico" o dovranno sottostare (come molti sanno e pensano) ai candidati che il governo comunista e ufficialmente ateo, favorisce?
Chi conosce la Cina popolare perché la vive, può garantire che in tutti gli ambiti c’è un controllo estremo, è dubitabile che la Cina realisticamente lasci ora questa libertà d’azione alla Chiesa Cattolica. E questa incomprensione si riflette anche in questo: “Sul piano civile e politico, i Cattolici cinesi siano buoni cittadini, amino pienamente la loro Patria e servano il proprio Paese con impegno e onestà, secondo le proprie capacità. Sul piano etico, siano consapevoli che molti concittadini si attendono da loro una misura più alta nel servizio al bene comune e allo sviluppo armonioso dell’intera società. In particolare, i Cattolici sappiano offrire quel contributo profetico e costruttivo che essi traggono dalla propria fede nel regno di Dio. Ciò può richiedere a loro anche la fatica di dire una parola critica, non per sterile contrapposizione ma allo scopo di edificare una società più giusta, più umana e più rispettosa della dignità di ogni persona”. Ma “la parola critica” può causare la prigione, come a tantissimi è capitato. Come possono essere liberi di essere profetici e costruttivi in queste condizioni?
Verso la fine il Papa dice: “In Cina è di fondamentale importanza che, anche a livello locale, siano sempre più proficui i rapporti tra i Responsabili delle comunità ecclesiali e le Autorità civili, mediante un dialogo franco e un ascolto senza pregiudizi che permetta di superare reciproci atteggiamenti di ostilità. C’è da imparare un nuovo stile di collaborazione semplice e quotidiana tra le Autorità locali e quelle ecclesiastiche – Vescovi, sacerdoti, anziani delle comunità –, in maniera tale da garantire l’ordinato svolgimento delle attività pastorali, in armonia tra le legittime attese dei fedeli e le decisioni che competono alle Autorità”. Ma questo tenendo presente che si sta parlando di uno stato fortemente autoritario, quindi la collaborazione è sempre a senso unico.
E' sicuro che il Papa sinceramente voglia il bene del popolo cinese, ma la conoscenza più diretta dell’attuale situazione della Cina (averci lavorato, vissuto, operato), di tanti laici e missionari, permette di sollevare più di qualche dubbio sul fatto che la soluzione adottata con la firma dell’accordo provvisorio del 22 settembre sia quella più adeguata.
Aurelio Porfiri
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