ACCORDO CINA-VATICANO. MA C’È IL PIATTO DI LENTICCHIE? PROPOSTA:SCEGLIAMO I VESCOVI DAL BASSO ANCHE NOI….
Quello che sappiamo finora dell’accordo segreto fra la Santa Sede e la Cina comunista lo dobbiamo al comunicato congiunto e all’articolo che Stefania Falasca, ben introdotta a Santa Marta ha scritto per Avvenire. Ne riportiamo una parte:
“Si tratta di un accordo storico che non riguarda dunque le relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese ma l’annosa questione delle modalità di selezione e nomine vescovili. Una questione essenziale e cruciale per la vita della Chiesa in Cina perché rende possibile per tutti i vescovi cinesi di essere in comunione con il Papa e per milioni di fedeli cattolici di far parte di un’unica comunità. Con questo atto, infatti, le parti hanno concordato il metodo di una soluzione condivisa: la Santa Sede accetta che il processo di designazione dei candidati all’episcopato avvenga dal basso, dai rappresentanti della diocesi anche con il coinvolgimento dell’Associazione patriottica, mentre il governo cinese da parte sua accetta che la decisione finale, con l’ultima parola sulla nomina, spetti al Pontefice e che la lettera di nomina dei vescovi sia rilasciata dal Successore di Pietro”.
Come comunicato nella nota informativa diffusa dalla Sala Stampa vaticana, «al fine di sostenere l’annuncio del Vangelo in Cina», papa Francesco ha deciso «di riammettere nella piena comunione ecclesiale anche i rimanenti vescovi “ufficiali” ordinati senza mandato pontificio». L’accordo definisce quindi anche i termini della legittimazione canonica dei sette vescovi che erano stati ordinati senza l’approvazione del Papa compresi quelli per i quali era stata dichiarata la pena della scomunica, e da adesso, tutti i vescovi cinesi saranno ordinati in piena e pubblica comunione gerarchica con il Papa. Così «per la prima volta oggi tutti i vescovi in Cina sono in comunione con il Vescovo di Roma» ha affermato il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin nella sua dichiarazione diffusa dalla Sala Stampa in riferimento alla firma e agli obiettivi dell’accordo”.
E subito due invitati cinesi verranno al Sinodo. Un amico cinese ci ha fornito una descrizione dei due presuli:
Yang Xiaotin, ha studiato all’Urbaniana come allievo del Collegio San Pietro di Roma, poi ha proseguito gli studi negli USA. È stato fatto vescovo non per la sua diocesi originaria perché non è stato accolto dai sacerdoti confratelli; quindi si è trasferito in un’altra. Si è iscritto all’Associazione Patriottica e ne è diventato un protagonista. In occasioni pubbliche, ha glorificato il regime ripetendo gli slogan delle tre autonomie.
Guo Jincai, uno dei sette scomunicati per ordinazione illegale e legittimato dal papa ha frequentato il seminario di Shijiazhuang, Provincia Hebei. E’ il segretario generale della Conferenza dei Vescovi cinesi, posto chiave per il controllo della Chiesa presente in Cina da parte del regime. Secondo quella che l’esperienza delle comunità religiose su scala nazionale, il Partito ateo mette una figura di estrema fiducia al posto di segretario generale, un agente segreto o un membro del partito che sia, e che comunque deve rispondere fedelmente ai suoi superiori.
Dalla descrizione che ci viene fatta al Sinodo dunque avremo due persone di apparato.
Ma è interessante prendere visione anche della testimonianza vissuta in Cina a livello più basso, per capire quale sia il livello di ingerenza e di controllo. Un amico cinese ci racconta:
“Tre sacerdoti cinesi hanno raccontato le loro storie vissute con il regime comunista cinese che attraverso la polizia segreta che controlla tutte le religioni e tutti i sacerdoti.La polizia invitò un sacerdote a cena. A un certo momento, li mostrarono foto di ragazze nude e chiesero al povero prete se gli piacessero.
La polizia invitò un sacerdote a cena. A un certo momento entrò una ragazza nuda, forse prostituta, che tentò il povero prete, mentre gli agenti lo guardavano ridendo.
La polizia chiamò al “colloquio” un sacerdote che aveva commesso un atto sessuale con una donna. Gli fu mostrato il video registrato del suo incontro. Solo la promessa incondizionata alla “collaborazione” salvò il povero prete dallo scandalo, e anche da una probabile condanna penale”.
(Nella foto, oltre a moglie e figlia dell’interessato, si vedono colleghi del Partito e dei Servizi…).
Non credo ci voglia molta immaginazione per pensare che un prete del genere potrebbe essere un perfetto candidato, scelto dal basso, naturalmente, per una carica episcopale. Chi ha scheletri nell’armadio e non solo nella Cina comunista, ma anche nella Chiesa (il caso McCarrick, e non solo, lo testimonia) è un utile strumento nelle mani del vertice.
E tocchiamo un momento il tema interessante, accennato da Falasca, secondo cui “il processo di designazione dei candidati all’episcopato avvenga dal basso, dai rappresentanti della diocesi anche con il coinvolgimento dell’Associazione patriottica”.
Interessante. Ma perché solo in Cina? Facciamolo anche da noi. È quello che associazioni come “Noi Siamo Chiesa” propongono da tempo. Hanno già pronto il sistema.
“La proposta sulla nomina dei vescovi che avanzo, che è poi molto simile a quella di diversi teologi cattolici, è la seguente. Quando si rende vacante un seggio episcopale, un legato nominato dal papa (può anche essere un vescovo) convoca e presiede un collegio elettorale, costituito da: tutti i sacerdoti della diocesi, anche quelli che non sono parroci; tutti i diaconi della diocesi; tutti i componenti laici del consiglio pastorale diocesano; un rappresentante laico di ogni consiglio pastorale parrocchiale.
Questo collegio si riunisce per un’intera giornata dedicata alla preghiera, alla riflessione e all’invocazione dello Spirito Santo. Alla fine della giornata si procede all’elezione a scrutinio segreto e viene eletto chi ha riportato almeno i due terzi dei voti. Nel caso in cui nessuno riporti i due terzi dei voti, si procede usando la stessa procedura in vigore per l’elezione del papa. Può essere eletto vescovo di una diocesi qualunque sacerdote, anche di un’altra diocesi, che abbia almeno trenta anni di età e cinque anni di sacerdozio.
È chiaro che l’elezione non deve prevedere precedenti formali candidature. E ciò per evitare che qualche candidato poi non eletto si senta “bocciato”. In realtà, sembra questo uno dei motivi che induce la Curia romana a mantenere l’attuale sistema di segretezza. Ma tale motivo viene a cadere nel momento in cui, non essendoci candidati, non possono esserci neanche “bocciati”.
Un altro motivo che viene addotto da qualcuno per mantenere l’attuale sistema è la presenza di possibili divisioni nelle diocesi e nel clero locale. Ma si tratta di un motivo che appare insufficiente, perché le diversità di opinioni e valutazioni, come possono esistere localmente all’interno della diocesi, così possono esistere (e negarlo sarebbe come nascondersi dietro un dito) all’interno della Curia romana.
Riguardo ai trasferimenti di un vescovo da una diocesi a un’altra, essi sarebbero sempre possibili, purché un vescovo eletto in una diocesi possa rimanervi un certo numero di anni.
Sono certo che un tale sistema di nomina riavvicinerebbe il vescovo ai fedeli della diocesi, stabilirebbe un rapporto migliore della gerarchia con i laici, e contribuirebbe a mostrare meglio a tutti la Chiesa come popolo di Dio”.
Interessante, no? Potremmo aggiungerci però, per non fare ingiustizie, anche qualche rappresentante dei partiti e delle amministrazioni laiche. Che certamente sarebbero molto più laiche dell’Associazione Patriottica (emanazione del Partito Comunista).
Qualcosa ci dice che non lo faranno. Se no, magari, potrebbe scapparci qualche vescovo di quelli ora cassati perché non abbastanza mondialisti, progressisti, migrantisti e pauperisti. E magari anche cattolici.
Un paio di considerazioni anche sul modo. La Chiesa del rinnovamento e della trasparenza sigla un accordo con uno dei regimi più dittatoriali e disumani del XXI secolo e lo tiene segreto? E questi sarebbero il rinnovamento e la trasparenza? Il Vaticano tradisce – secondo tutte le apparenze – vescovi, preti e sacerdoti che hanno conosciuto sofferenze, prigione, e persino il martirio per restare fedeli a Roma, al Pontefice, e soprattutto alla libertà che la fede in Cristo promette, e che il Vicario di Cristo dovrebbe (ma il condizionale è più che d’obbligo) difendere? E tutti gli araldi e trombettieri della non discriminazione e delle libertà e dei diritti nella Chiesa o applaudono, o restano in un silenzio imbarazzato? Non c’è dubbio che si tratti di un accordo storico; ma c’è il pericolo che entri nella Storia come uno dei momenti più vergognosi della cronaca della Chiesa cattolica, un accordicchio in cui a parte protagonismi personali ad ogni livello (un viaggio a Pechino val bene una chiesa?) non si riesce a vedere neanche il piatto di lenticchie.
Sulla questione dei precedenti (Spagna, Portogallo, giuseppinismo, in cui lo Stato diceva la sua sui vescovi), precedente citato anche dal Pontefice, probabilmente su consiglio maldato da qualcuno, c’è solo da chiedersi quando mai la Cina è stata retta da “maestà cattolicissime” che avevano giurato di difendere – non solo a parole – la religione cristiana. Precedenti di uno Stato ateo che indichi le designazioni episcopali non ne abbiamo. Ma c’è sempre una prima volta, purtroppo.
Marco Tosatti
Accordo con la Cina. Alcuni pareri (discordanti)
L'accordo con la Cina tiene banco, soprattutto dopo che è trapelata la notizia che due vescovi cinesi potranno partecipare al Sinodo dei giovani, svolta epocale in quanto il governo cinese non ha mai concesso visti. Il problema è che i vescovi in questioni appartengono alla Chiesa patriottica. Per fornire un quadro corretto della situazione, postiamo alcuni contributi. Il primo è quello di Padre Bernardo Cervellera, direttore di Asia News, organo legato al Pime, che cerca di trovare punti positivi, anche se sottolinea l'incertezza totale che grava sull'operazione. Il secondo è un estratto dell'intervista rilasciata a La Stampa dal vescovo Wei, "clandestino", non riconosciuto dal governo, che sembra dare una lettura speranzosa dell'accordo. Il terzo è un estratto delle recenti dichiarazioni del Cardinale Zen.
Roma (AsiaNews) - A due giorni da quello che con tanta enfasi molti hanno definito uno “storico accordo”, quello fra Cina e Santa Sede sulle nomine dei vescovi, cerchiamo di comprendere e valutare la sua portata. Il sobrio annuncio della Sala stampa vaticana - mentre tutti i giornalisti erano impegnati altrove, nel viaggio in Lituania di papa Francesco - è stato accolto con acceso ottimismo e buio pessimismo.
Fra gli ottimisti, l’aggettivo “storico” è stato usato fino allo spreco, dimenticando che l’accordo è definito “provvisorio”, soggetto a “valutazioni periodiche”, e che lo stesso direttore della Sala stampa ha parlato di “inizio” di “un processo” e non della sua “fine”.
Per i pessimisti, esso è “l’inizio” di una consegna totale della Chiesa cinese nelle mani dello Stato che, come già avviene, ne farà ciò che vuole, ossia uno strumento del Partito, e puntano il dito al silenzio sulle sofferenze che cattolici ufficiali e non ufficiali subiscono da 70 anni.
Già altre volte abbiamo detto che noi di AsiaNews non siamo né ottimisti, né pessimisti, ma realisti. E tale realismo ci permette di vedere il positivo e il negativo presente in questo fragile e “provvisorio” accordo.
Il papa nelle nomine dei vescovi
In esso c’è in effetti una novità: in qualche modo – che non sappiamo, perché il testo dell’accordo non è stato reso pubblico, e non lo sarà - la Santa Sede sarà implicata nelle nomine dei vescovi. Questo, almeno sulla carta, significa la fine della Chiesa “indipendente” tanto sbandierata in tutti questi anni, e il riconoscimento che il legame col papa è necessario anche a un vescovo cinese per esercitare il suo ministero. Secondo l’accordo non sarà più possibile nominare e ordinare un vescovo senza il mandato papale, anche se il governo, o l’associazione patriottica, o il consiglio dei vescovi potranno proporre il loro candidato. E questa è la parte ottimista.
Ma vi è anche un lato pessimista: cosa succederà se il candidato proposto dalla Cina viene rifiutato dal papa? Fino ad ora si era parlato di un potere di veto temporaneo del pontefice: il papa, cioè doveva dare le motivazioni del suo rifiuto entro tre mesi, ma se il governo valutava inconsistenti le motivazioni papali, avrebbe continuato con la nomina e l’ordinazione del suo candidato. Non avendo il testo dell’accordo, non sappiamo se questa clausola è stata mantenuta, se davvero il pontefice avrà l’ultima parola sulle nomine e ordinazioni, o se invece si riconosce la sua autorità solo in modo formale.
Un mio amico canonista è “sicuro” che il papa avrà un potere permanente sulla scelta ultima dei candidati “perché la Chiesa non può fare altrimenti”. In ogni caso, questo è uno dei punti che - in mancanza del testo sull’accordo – bisognerà verificare nei prossimi mesi, con le possibili nomine e ordinazioni che attendono da anni.
La cancellazione delle scomuniche
Un altro elemento positivo è la cancellazione della scomunica a sette vescovi, ordinati senza mandato papale dal 2000 fino al 2012. È un fatto positivo perché almeno in via di principio aiuterà i cattolici cinesi a fare più unità. Questi vescovi scomunicati erano usati dall’Associazione patriottica per dividere la Chiesa, facendoli presenziare con la forza della polizia a cerimonie e ordinazioni episcopali. Va pure detto che diversi di loro hanno compiuto un cammino di pentimento e da anni chiedono di essere riconciliati con Roma. L’eliminazione della scomunica non fa parte del “pacchetto” dell’accordo, ma è un gesto interno alla Chiesa, sebbene – forse con furbizia politica un po’ ingenua – sia stato dato l’annuncio della riconciliazione lo stesso giorno della notizia dell’accordo.
Ma fra i fedeli cinesi – parte di quel “santo popolo fedele di Dio” che il papa ci chiede di ascoltare – vi è avvilimento e tristezza perché alcuni di questi vescovi riconciliati sono noti per avere amanti e figli e per essere “collaborazionisti”. Molti altri si domandano se i vescovi riconciliati esprimeranno una domanda pubblica di perdono davanti al popolo che essi hanno scandalizzato con il loro agire “indipendente”. Proprio il card. Pietro Parolin, nel suo commento all’accordo , ha chiesto che si pongano “dei gesti concreti che aiutino a superare le incomprensioni del passato, anche del passato recente”.
Accordo “pastorale” e “non politico”
Un altro elemento tutto positivo dell’accordo è il suo carattere “pastorale” e “non politico”. E in effetti l’accordo è stato firmato senza che la Cina esiga come condizione previa la rottura dei rapporti diplomatici con Taiwan. Per decenni e perfino negli ultimi anni di dialogo ai tempi di papa Francesco, il ritornello della Cina era che se il Vaticano voleva migliorare i rapporti con Pechino, doveva anzitutto interrompere le relazioni con Taiwan e non intromettersi negli affari interni della Cina. Con l’accordo “pastorale” queste due condizioni sono saltate: il Vaticano viene introdotto nelle nomine dei vescovi e non c’è alcuna rottura con Taiwan, con tanto di apprezzamento del ministero degli esteri dell’isola e dell’ambasciatore presso la Santa Sede .
La persecuzione non detta
Ma un altro elemento è tutto negativo: né nella notizia dell’accordo, né nelle sue spiegazioni vi è un minimo accenno alla persecuzione che i cattolici e tutti i cristiani stanno sostenendo in questi tempi. Come testimoniato tante volte sull’agenzia, in nome della “sinicizzazione” , in Cina vengono bruciate e distrutte croci, demolite chiese, arrestati fedeli e ai giovani sotto i 18 anni è vietata la partecipazione alle funzioni e l’educazione religiosa. In più ci sono vescovi e sacerdoti scomparsi nelle mani della polizia; vescovi agli arresti domiciliari; vescovi non ufficiali considerati come criminali; controlli d’ogni tipo nella vita delle comunità. A tutto ciò si aggiungono le persecuzioni a cui sono sottoposte le altre comunità religiose (buddiste, taoiste, musulmane, …), che manifestano la visione negativa che la Cina ha delle religioni, e il suo progetto di assimilarle o distruggerle .
Questo fa guardare all’accordo provvisorio come a un risultato strano, un po’ insperato, provvisorio, ma senza futuro, perché getta un’ombra di sospetto sull’interlocutore con cui la Santa Sede ha deciso di dialogare. Dalla Cina ci giungono appunto commenti che esprimono contentezza per l’accordo, ma anche tristezza perché i cinesi non si fidano delle loro autorità politiche.
A questo proposito, mesi fa in un’intervista papa Francesco ha detto che “il dialogo è un rischio, ma preferisco il rischio che non la sconfitta sicura di non dialogare”. È quindi meglio iniziare un dialogo anche con un interlocutore non fidato, che rimanere fermi. Da questo punto di vista, l’accordo, anche se provvisorio, rappresenta senz’altro una pagina nuova.
I martiri lituani e cinesi
Rimane il fatto del silenzio sulle persecuzioni. In tutti questi anni la Santa Sede ha taciuto su qualunque fatto di persecuzione: l’uccisione di sacerdoti; le chiese distrutte; i vescovi arrestati… Questo ha dato a molti l’impressione che il dialogo fosse più “politico” che “pastorale”. Proprio ieri papa Francesco, a Vilnius, ricordando le vittime del genocidio nazista e comunista , ha espresso una preghiera in cui egli chiede al Signore che non diventiamo “sordi al grido di tutti quelli che oggi continuano ad alzare la voce al cielo”. Ed è proprio quanto i cattolici cinesi domandano.
Mi sono chiesto come mai la Santa Sede abbia voluto comunicare la firma dell’accordo proprio mentre papa Francesco a Vilnius ricordava la grande testimonianza dei cattolici lituani sotto il comunismo, la loro resistenza e fede sotto le torture, il loro essere stati seme di una società più libera e più accogliente. Anche allora i cattolici discutevano e si dividevano fra la denuncia e la resistenza e l’Ostpolitik vaticana. Se si guarda l’accordo solo come una cosa negativa, allora la memoria dei martiri lituani potrebbe dare adito a un’interpretazione dei “due pesi e due misure” che la diplomazia spesso attua e le celebrazioni dei martiri a Vilnius sarebbero una presa in giro delle sofferenze dei cristiani cinesi.
Ma se nell’accordo, pur provvisorio, si vede un briciolo di positività, allora le celebrazioni lituane sono un segno di speranza: il comunismo, “il delirio di onnipotenza di quelli che pretendevano di controllare tutto”, non ha vinto. E questo fa sperare anche per la Cina.
Come hanno reagito il popolo di Dio, gli altri battezzati, i preti e altri vescovi che Lei conosce?
«I fedeli e sacerdoti che io conosco speravano tutti del miglioramento del rapporto tra Cina e Vaticano. Non solo, pregavano con perseveranza per questo. La firma dell’accordo rappresenta un miglioramento consistente. Per questo tutti lo accolgono e gli danno il benvenuto con grande gioia».
[...]
Lei non è ancora riconosciuto come vescovo dal governo. Adesso che il governo ha di fatto riconosciuto il ruolo del Papa nella Chiesa, ciò come influisce su un suo possibile riconoscimento da parte delle autorità civili?
«A livello personale, per me non ha grande importanza se il governo mi riconosce o non mi riconosce come vescovo. Gesù non era riconosciuto dal governo di allora. E anche gli apostoli non erano “riconosciuti” come apostoli dal governo di allora. Ma a livello sociale, se il governo non mi riconosce come vescovo, la mancanza di quel riconoscimento non aiuta l’armonia e la tranquillità. Le comunità clandestine si aspettano che il perdono e l’accoglienza dei vescovi eletti e ordinati in maniera illegittima avvenga in parallelo con il riconoscimento governativo dei vescovi non ancora riconosciuti come tali dal governo. Il fatto di rimandare al futuro tale riconoscimento da parte del governo potrebbe provocare qualche reazione negativa tra qualcuno dei membri della comunità clandestina. E anche questo potrebbe essere usato contro il Papa. Io spero che dopo l’accordo si proceda più speditamente nel dialogo, per esempio per risolvere la questione dei vescovi Giacomo Su Zhimin e Cosma Shi Enxiang (due anziani vescovi di cui non si hanno più notizie da molti anni, ndr). Ritengo opportuno che il governo cinese dica qualcosa su di loro. Ed è bene che il governo acceleri anche il processo del riconoscimento dei vescovi “clandestini”».
L’accordo Cina-Vaticano: qualche passo positivo, ma senza dimenticare i martiri
di Bernardo Cervellera
Per gli ottimisti l’accordo provvisorio è “storico”; per i pessimisti è l’inizio della svendita totale della Chiesa al Partito. Il papa è inserito nelle nomine dei vescovi. Ma non sappiamo nulla del diritto di veto. È buona la cancellazione della scomunica, ma i fedeli si aspettano una richiesta pubblica di perdono. La Cina non ha chiesto la rottura con Taiwan come condizione previa. I martiri lituani elogiati, mentre c’è silenzio su quelli cinesi.
Fra gli ottimisti, l’aggettivo “storico” è stato usato fino allo spreco, dimenticando che l’accordo è definito “provvisorio”, soggetto a “valutazioni periodiche”, e che lo stesso direttore della Sala stampa ha parlato di “inizio” di “un processo” e non della sua “fine”.
Per i pessimisti, esso è “l’inizio” di una consegna totale della Chiesa cinese nelle mani dello Stato che, come già avviene, ne farà ciò che vuole, ossia uno strumento del Partito, e puntano il dito al silenzio sulle sofferenze che cattolici ufficiali e non ufficiali subiscono da 70 anni.
Già altre volte abbiamo detto che noi di AsiaNews non siamo né ottimisti, né pessimisti, ma realisti. E tale realismo ci permette di vedere il positivo e il negativo presente in questo fragile e “provvisorio” accordo.
Il papa nelle nomine dei vescovi
In esso c’è in effetti una novità: in qualche modo – che non sappiamo, perché il testo dell’accordo non è stato reso pubblico, e non lo sarà - la Santa Sede sarà implicata nelle nomine dei vescovi. Questo, almeno sulla carta, significa la fine della Chiesa “indipendente” tanto sbandierata in tutti questi anni, e il riconoscimento che il legame col papa è necessario anche a un vescovo cinese per esercitare il suo ministero. Secondo l’accordo non sarà più possibile nominare e ordinare un vescovo senza il mandato papale, anche se il governo, o l’associazione patriottica, o il consiglio dei vescovi potranno proporre il loro candidato. E questa è la parte ottimista.
Ma vi è anche un lato pessimista: cosa succederà se il candidato proposto dalla Cina viene rifiutato dal papa? Fino ad ora si era parlato di un potere di veto temporaneo del pontefice: il papa, cioè doveva dare le motivazioni del suo rifiuto entro tre mesi, ma se il governo valutava inconsistenti le motivazioni papali, avrebbe continuato con la nomina e l’ordinazione del suo candidato. Non avendo il testo dell’accordo, non sappiamo se questa clausola è stata mantenuta, se davvero il pontefice avrà l’ultima parola sulle nomine e ordinazioni, o se invece si riconosce la sua autorità solo in modo formale.
Un mio amico canonista è “sicuro” che il papa avrà un potere permanente sulla scelta ultima dei candidati “perché la Chiesa non può fare altrimenti”. In ogni caso, questo è uno dei punti che - in mancanza del testo sull’accordo – bisognerà verificare nei prossimi mesi, con le possibili nomine e ordinazioni che attendono da anni.
La cancellazione delle scomuniche
Un altro elemento positivo è la cancellazione della scomunica a sette vescovi, ordinati senza mandato papale dal 2000 fino al 2012. È un fatto positivo perché almeno in via di principio aiuterà i cattolici cinesi a fare più unità. Questi vescovi scomunicati erano usati dall’Associazione patriottica per dividere la Chiesa, facendoli presenziare con la forza della polizia a cerimonie e ordinazioni episcopali. Va pure detto che diversi di loro hanno compiuto un cammino di pentimento e da anni chiedono di essere riconciliati con Roma. L’eliminazione della scomunica non fa parte del “pacchetto” dell’accordo, ma è un gesto interno alla Chiesa, sebbene – forse con furbizia politica un po’ ingenua – sia stato dato l’annuncio della riconciliazione lo stesso giorno della notizia dell’accordo.
Ma fra i fedeli cinesi – parte di quel “santo popolo fedele di Dio” che il papa ci chiede di ascoltare – vi è avvilimento e tristezza perché alcuni di questi vescovi riconciliati sono noti per avere amanti e figli e per essere “collaborazionisti”. Molti altri si domandano se i vescovi riconciliati esprimeranno una domanda pubblica di perdono davanti al popolo che essi hanno scandalizzato con il loro agire “indipendente”. Proprio il card. Pietro Parolin, nel suo commento all’accordo , ha chiesto che si pongano “dei gesti concreti che aiutino a superare le incomprensioni del passato, anche del passato recente”.
Accordo “pastorale” e “non politico”
Un altro elemento tutto positivo dell’accordo è il suo carattere “pastorale” e “non politico”. E in effetti l’accordo è stato firmato senza che la Cina esiga come condizione previa la rottura dei rapporti diplomatici con Taiwan. Per decenni e perfino negli ultimi anni di dialogo ai tempi di papa Francesco, il ritornello della Cina era che se il Vaticano voleva migliorare i rapporti con Pechino, doveva anzitutto interrompere le relazioni con Taiwan e non intromettersi negli affari interni della Cina. Con l’accordo “pastorale” queste due condizioni sono saltate: il Vaticano viene introdotto nelle nomine dei vescovi e non c’è alcuna rottura con Taiwan, con tanto di apprezzamento del ministero degli esteri dell’isola e dell’ambasciatore presso la Santa Sede .
La persecuzione non detta
Ma un altro elemento è tutto negativo: né nella notizia dell’accordo, né nelle sue spiegazioni vi è un minimo accenno alla persecuzione che i cattolici e tutti i cristiani stanno sostenendo in questi tempi. Come testimoniato tante volte sull’agenzia, in nome della “sinicizzazione” , in Cina vengono bruciate e distrutte croci, demolite chiese, arrestati fedeli e ai giovani sotto i 18 anni è vietata la partecipazione alle funzioni e l’educazione religiosa. In più ci sono vescovi e sacerdoti scomparsi nelle mani della polizia; vescovi agli arresti domiciliari; vescovi non ufficiali considerati come criminali; controlli d’ogni tipo nella vita delle comunità. A tutto ciò si aggiungono le persecuzioni a cui sono sottoposte le altre comunità religiose (buddiste, taoiste, musulmane, …), che manifestano la visione negativa che la Cina ha delle religioni, e il suo progetto di assimilarle o distruggerle .
Questo fa guardare all’accordo provvisorio come a un risultato strano, un po’ insperato, provvisorio, ma senza futuro, perché getta un’ombra di sospetto sull’interlocutore con cui la Santa Sede ha deciso di dialogare. Dalla Cina ci giungono appunto commenti che esprimono contentezza per l’accordo, ma anche tristezza perché i cinesi non si fidano delle loro autorità politiche.
A questo proposito, mesi fa in un’intervista papa Francesco ha detto che “il dialogo è un rischio, ma preferisco il rischio che non la sconfitta sicura di non dialogare”. È quindi meglio iniziare un dialogo anche con un interlocutore non fidato, che rimanere fermi. Da questo punto di vista, l’accordo, anche se provvisorio, rappresenta senz’altro una pagina nuova.
I martiri lituani e cinesi
Rimane il fatto del silenzio sulle persecuzioni. In tutti questi anni la Santa Sede ha taciuto su qualunque fatto di persecuzione: l’uccisione di sacerdoti; le chiese distrutte; i vescovi arrestati… Questo ha dato a molti l’impressione che il dialogo fosse più “politico” che “pastorale”. Proprio ieri papa Francesco, a Vilnius, ricordando le vittime del genocidio nazista e comunista , ha espresso una preghiera in cui egli chiede al Signore che non diventiamo “sordi al grido di tutti quelli che oggi continuano ad alzare la voce al cielo”. Ed è proprio quanto i cattolici cinesi domandano.
Mi sono chiesto come mai la Santa Sede abbia voluto comunicare la firma dell’accordo proprio mentre papa Francesco a Vilnius ricordava la grande testimonianza dei cattolici lituani sotto il comunismo, la loro resistenza e fede sotto le torture, il loro essere stati seme di una società più libera e più accogliente. Anche allora i cattolici discutevano e si dividevano fra la denuncia e la resistenza e l’Ostpolitik vaticana. Se si guarda l’accordo solo come una cosa negativa, allora la memoria dei martiri lituani potrebbe dare adito a un’interpretazione dei “due pesi e due misure” che la diplomazia spesso attua e le celebrazioni dei martiri a Vilnius sarebbero una presa in giro delle sofferenze dei cristiani cinesi.
Ma se nell’accordo, pur provvisorio, si vede un briciolo di positività, allora le celebrazioni lituane sono un segno di speranza: il comunismo, “il delirio di onnipotenza di quelli che pretendevano di controllare tutto”, non ha vinto. E questo fa sperare anche per la Cina.
Il Vescovo Wei: con l'accordo superiamo la divisione della Chiesa in Cina
[...]
Quali frutti buoni Lei si aspetta dall’accordo? E quali sono invece i possibili rischi? «Con la firma dell’accordo, non ci saranno più tante preoccupazioni e problemi su come far nascere nuovi vescovi nella Chiesa in Cina. La disunione della Chiesa può essere superata e diventare un fatto del passato. Le operazioni per mettere in difficoltà e in cattiva luce la Chiesa saranno meno insidiose. Naturalmente ci vuole tempo perchè possano guarire le ferite della disunione. Ma non esiste più un fattore che provocava e alimentava la disunione».Come hanno reagito il popolo di Dio, gli altri battezzati, i preti e altri vescovi che Lei conosce?
«I fedeli e sacerdoti che io conosco speravano tutti del miglioramento del rapporto tra Cina e Vaticano. Non solo, pregavano con perseveranza per questo. La firma dell’accordo rappresenta un miglioramento consistente. Per questo tutti lo accolgono e gli danno il benvenuto con grande gioia».
[...]
Lei non è ancora riconosciuto come vescovo dal governo. Adesso che il governo ha di fatto riconosciuto il ruolo del Papa nella Chiesa, ciò come influisce su un suo possibile riconoscimento da parte delle autorità civili?
«A livello personale, per me non ha grande importanza se il governo mi riconosce o non mi riconosce come vescovo. Gesù non era riconosciuto dal governo di allora. E anche gli apostoli non erano “riconosciuti” come apostoli dal governo di allora. Ma a livello sociale, se il governo non mi riconosce come vescovo, la mancanza di quel riconoscimento non aiuta l’armonia e la tranquillità. Le comunità clandestine si aspettano che il perdono e l’accoglienza dei vescovi eletti e ordinati in maniera illegittima avvenga in parallelo con il riconoscimento governativo dei vescovi non ancora riconosciuti come tali dal governo. Il fatto di rimandare al futuro tale riconoscimento da parte del governo potrebbe provocare qualche reazione negativa tra qualcuno dei membri della comunità clandestina. E anche questo potrebbe essere usato contro il Papa. Io spero che dopo l’accordo si proceda più speditamente nel dialogo, per esempio per risolvere la questione dei vescovi Giacomo Su Zhimin e Cosma Shi Enxiang (due anziani vescovi di cui non si hanno più notizie da molti anni, ndr). Ritengo opportuno che il governo cinese dica qualcosa su di loro. Ed è bene che il governo acceleri anche il processo del riconoscimento dei vescovi “clandestini”».
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