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domenica 23 dicembre 2018

L’esatta antitesi della fede cattolica

IL CATTOCOMUNISMO MORENTE


Arroganti, rabbiosi, ridicoli: l'agonia del cattocomunismo morente. Alla testa di un esercito scomparso gli orfani di Marx strepitano tuonano come se fossero gli dei dell’Olimpo defenestrati da una scellerata rivolta di schiavi 
di Francesco Lamendola  

 0 19 eisenstein soldati

Il mondo, negli ultimi cinquant’anni, è stato rivoltato come un guanto, e praticamente nulla di ciò che era vero cinquant’anni fa viene passato per buono oggi. Dall’economia alla finanza, dalla critica letteraria e musicale alla televisione, allo sport, al diritto, alla psicologia, alla medicina, alla biologia, perfino alla geologia (le zolle tettoniche: e chi ne parlava, allora?), nulla è rimasto come prima: le certezze sono state annientate, e nuove verità, o presunte tali, sono emerse dopo ogni crollo. Ma là dove il mutamento è stato più impressionante, è nell’ambito religioso e morale.


Quale sacerdote, quale vescovo, quale pontefice avrebbe potuto tollerare di sentir dire, in chiesa, come oggi avviene, da parte di membri del clero, ma anche da parte di personaggi invitati ad hoc, e che rappresentano l’esatta antitesi della fede cattolica come la signora Bonino, cose che allora sarebbero state considerate eresie e autentiche bestemmie? E non è solo una questione di forma e di gusto: no, è una questione di sostanza. Un papa che dice che le Persone della Santissima Trinità sono sempre in discordia fra loro; un papa che afferma che il proselitismo è un’autentica sciocchezza; un papa che dà ragione a Lutero sulla predestinazione, un papa così prima del Concilio, ma, crediamo, anche dopo, e fino a pochissimi anni fa, avrebbe suscitato delle reazioni immediate e così forti, da costringerlo a rettificare le sue parole o a dimettersi. Invece, oggi ciò non suscita una piega. Nell’ambito politico i cambiamenti sono stati quasi altrettanto radicali: i vecchi partiti sono pressoché scomparsi; l’ultimo che resta in piedi, il Pd, erede del vecchio Pci e passato attraverso numerosi restauri, aggiustamenti e maquillage, è avviato a sua volta alla rottamazione, e vende cara la pellaccia proprio perché era, ed è tuttora, il più radicato nelle istituzioni e anche sul territorio, ma in maniera semi-mafiosa, cioè monopolizzando cooperative di consumatori e organizzazioni di volontariato, e militarizzando i propri iscritti, in un modo che nessun altro partito ha mai saputo, potuto o voluto fare. Eppure, anch’esso è giunto agli sgoccioli. Cinquant’anni fa si parlava di utopia al potere, di fantasia nelle strade, di dare l’ultima spallata alla marcia borghesia, di instaurare il comunismo e liberare i lavoratori dallo sfruttamento di classe; oggi questi discorsi fanno sorridere, o forse piangere, ma certo sono percepiti come lontani e inverosimili, quasi quanto quelli che si potevano tenere nel senato dell’antica Roma o magari nell’arengo dei comuni medievali. Ma anche discorsi relativamente più moderati, come quelli che si potevano udire nell’agone politico fino a due decenni fa, apparirebbero oggi surreali: la lotta politica ha completamente cambiato volto e strategie, il vero potere si è definitivamente spostato al di fuori del Parlamento e degli stessi partiti, le modalità con cui ci si affronta per esercitare l’egemonia sono completamente diverse: e chi non l’ha ancora capito è irrimediabilmente tagliato fuori e destinato all’estinzione, così come si estinsero i dinosauri e poi altre specie del Quaternario.

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Arroganti, rabbiosi e ridicoli? Alla testa di un esercito scomparso gli orfani di Marx, nonostante la benedizione di Bergoglio, i finanziamenti delle grandi banche; ora che si sentono doppiamente forti del vangelo di Che Guevara e di quello di Gesù Cristo, non capiscono perché gli operai se ne vanno, i lavoratori e gli Italiani gli voltano le spalle.

Gli ultimi a capirlo sono proprio quelli che avevano messo le radici più profonde, i militanti della sinistra e gli attivisti del vecchio Pci, riciclatisi in “moderni” democratici, grazie anche ad una robustissima iniezione di quel mortifero “ricostituente” che è il cattocomunismo. Ora che, orfani di Marx, hanno la benedizione di Bergoglio, Bassetti e Galantino, e hanno anche, il che non guasta, i finanziamenti delle grandi banche e dei grandi imprenditori; ora che si sentono doppiamente forti del vangelo di Che Guevara e di quello di Gesù Cristo, non capiscono perché gli operai se ne vanno, i lavoratori gli voltano le spalle, il loro elettorale si sfarina, e, fra poco, resteranno alla testa di un esercito scomparso, evaporato nelle sabbia come l’armata perduta di Cambise. È una vera ingiustizia, una beffa del destino, un qualcosa d’inspiegabile il fatto che proprio ora, che hanno, o credono di avere tutti gli assi in mano, la gente  non li capisce più, non li ascolta, non li segue. La loro reazione è d’incredulità rabbiosa, di sacra indignazione, di furore impotente e sempre più rabbioso: come osa la plebe voltar le spalle a loro, i migliori, i più puliti, i più onesti e lungimiranti? Roba da matti: par di essere tornati ai tempi della Vandea. Vuoi vedere che, per rieducare questo popolo così egoista, così xenofobo, così restio ad accogliere le loro splendide ricette per la salvezza dell’Italia (e del mondo), si troveranno costretti a ricorrere a misure estreme, come i loro bisnonni giacobini, ad esempio bruciare la casa o fucilare alcune migliaia di superstiziosi e oscurantisti popolani? Perché, se una cosa del genere dovesse mai accadere, sia ben chiaro che la colpa non sarebbe loro: loro sono il bene, sono la giustizia sociale più il progresso: come potrebbero dire o fare cose sbagliate? Se il popolino smette di ascoltarli, se smette di votarli, se preferisce votare Lega e Movimento Cinque Stelle, non c’è neanche bisogno di precisare che è il popolino a uscir dal seminato, pertanto è il popolino che merita una severa lezione.

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Una manipolazione globale? Ormai è chiaro a tutti che i veri burattinai (i poteri finanziari e bancari) sono contro i lavoratori, contro i risparmiatori e contro gli interessi dei popoli "sovrani": sapranno questi ultimi, magari accompagnati dai "veri cattolici" svegliarsi in tempo?

È significativo non solo di un modo di far politica, ma di una condizione sociologica e, vorremmo dire, di una certa antropologia, osservare le reazioni degli esponenti del Pd al fatto che il popolino si sia permesso di snobbarli, riducendo il suo consenso verso di essi, secondo gli ultimi sondaggi, a un misero 17%, mentre i Cinque Stelle sono attorno al 26% e la leghisti al 33%. Sia quando prendono la parola in parlamento, sia quando rilasciano dichiarazioni alla stampa, i Renzi, i Martina, i Fiano, i Delrio, Marattin, i Romano, le Moretti, non parlano, ma abbaiano e ruggiscono; non analizzano i fatti, ma si lanciano in furiose reprimende; non argomentano, ma insultano e inveiscono con un’acredine, con una rabbia, con un’indignazione che ricordano quelli di Caifa nel sinedrio, quando aveva davanti Gesù Cristo e cercava il pretesto per accusarlo di empietà e sacrilegio. Parlano come se la nascita del governo giallo-verde sia stata uno schiaffo intollerabile alla democrazia e una offesa nei confronti della stesa civiltà umana; si arrabbiano come un cane affamato al quale è stato sottratto l’osso; vomitano contumelie come se loro soltanto avessero governato bene, anzi meravigliosamente, e ora la nostra cara Patria, da loro così eccellentemente servita, fosse caduta nelle mani di un’orda barbarica, di un’accozzaglia di delinquenti. Non è soltanto il furore di chi si è visto sottrarre il proprio elettorato tradizionale dagli ultimi arrivati; non è solo l’amarezza di chi ha perso la presa, l’aggancio pratico e ideale con la gente comune, di cui si riteneva il solo legittimo interprete e difensore; è molto di più: è la furia incontenibile di chi si trova messo alle strette, cioè viene messo di fronte alla propria pochezza, alla propria inettitudine, al vero e proprio tradimento operato ai danni della classe lavoratrice, diventando il partito dei ricchi, delle banche e, a livello internazionale, dei Soros e della Goldman Sachs, e non può sopportarlo, non può ammettere di esser diventato così, e quindi preferirebbe veder l’Italia distrutta, calpestata, ridotta a un cumulo di macerie – dalla BCE, per esempio – pur di assistere alla disfatta di quelli che hanno preso il suo posto. Per la verità, non c’è niente di strano nel loro atteggiamento: sono sempre gli stessi, culturalmente, psicologicamente e antropologicamente, e la perdita del potere li sta facendo tornare alle origini, fa emergere la loro natura profonda. Sono nati così, dal sangue della guerra civile, sfruttando la vittoria di uno straniero che veniva ad occupare l’Italia e che, da vero nemico, qual era, si fingeva amico, attizzando gli odî e le divisioni di casa nostra; sono sempre quelli delle gloriose giornate dell’aprile e del maggio 1945, quando impazzavano, uccidendo, stuprando, picchiando chiunque non piacesse loro, solo perché avevano i mitra in mano e i vincitori avevano concesso loro qualche giorno di follia, per lasciarli sfogare, stile macelleria messicana, come si fa coi ragazzacci violenti, prima di rimetterli in riga, magari a bastonate.

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Roba da matti: par di essere tornati ai tempi della Vandea. Vuoi vedere che, per rieducare questo popolo così egoista, così xenofobo, così restio ad accogliere le loro splendide ricette per la salvezza dell’Italia (e del mondo), si troveranno costretti a ricorrere a misure estreme, come i loro bisnonni giacobini, ad esempio bruciare la casa o fucilare alcune migliaia di superstiziosi e oscurantisti popolani?

E tutto questo non vale solo per i politici, ma anche, e a maggior ragione, per i cosiddetti intellettuali. Gli intellettuali di sinistrahanno vissuto e spadroneggiato in regime di monopolio per settant’anni; per settant’anni se la son cantata e suonata da soli, senza contraddittorio; hanno dettato legge, hanno scritto e imposto i libri di testo nelle scuole, perfino le canzoni che le maestre di musica insegnavano ai bambini nelle scuole, Bella ciao in testa. Ahimè, quelli dell’ultima generazione hanno assistito all’oltraggio di una Italia che è diventata, chissà come, populista e razzista e non riescono a darsi pace: i Saviano, i De Luca, gli Evagelisti, i Camilleri, schiumano rabbia e digrignano i denti, sostenuti da testate come Famiglia Cristiana e L’Avvenire, che, se è sempre vero che il mondo è rotondo e non piatto, non dovrebbero stare dalla loro parte, né dire le stesse cose che dicono loro: ma tant’è, oggi accade anche questo miracolo sulla via della Open Society Foundation del grande filantropo internazionale, lo zio George. La loro indignazione e la loro rabbia offrono uno spettacolo più che eloquente di arroganza, ma soprattutto di ridicolaggine: ecco, sono semplicemente ridicoli.Non patetici, ridicoli. È patetico colui che è stato qualcosa e poi è decaduto; ma costoro sono sempre stati piccoli e meschini, eppurestrepitano e tuonano come se fossero gli dei dell’Olimpo, defenestrati da una scellerata rivolta di schiavi. Come nel caso – paradigmatico – del poeta Salvatore Quasimodo. Vale la pena di rievocarlo, perché in esso c’è tutta la psicologia di questi signori.

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Arroganti, rabbiosi e ridicoli: l'agonia del cattocomunismo morente. La loro reazione è d’incredulità rabbiosa, di sacra indignazione, di furore impotente e sempre più rabbioso: come osa la plebe voltar le spalle a loro, i migliori, i più puliti, i più onesti e lungimiranti?
  

Arroganti, rabbiosi e… ridicoli

di Francesco Lamendola
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