Il minotauro di Corinaldo. Ecco perché la musica c'entra
Troppo comodo limitarsi a sollevare un problema di “sicurezza per i nostri ragazzi” dopo la tragedia di Corinaldo, quando ci illudiamo che la sicurezza possa colmare le nostre lacune: perché oggi ci si ammazza in sicurezza, si sballa in sicurezza, si perde il senso della vita in sicurezza. Eppure quella delle aggressioni è una costante dei dj set-trap. Genitori, sveglia: e se fosse la violenza evocata in quella musica a generare violenza? Il trapper intanto gonfia il suo portafogli poetizzando disagio, rabbia, droga, sesso. E mentre diventa ricco lascia ai suoi piccoli destinatari del consenso quella rabbia, quella droga e quel sesso che lui stesso gli ha trasmesso.
Minotauri che pontificano sui social cercando di sgravarsi di ogni responsabilità. Troppo facile scaricare adesso sulla banda dello spray al peperoncino. Come se il punto fosse soltanto un problema di delinquenza giovanile. Troppo facile, bisognerebbe per lo meno chiedersi perché questa banda si diverte ad andare in giro come un demone impazzito a gettare nel panico proprio in questo tipo di concerti per under 18. Quella di Corinaldo non è la prima volta: sembra essere una costante di tutti gli altri concerti di musica trap, o dei loro dj set che dir si voglia. Perchè?
Bisognerebbe chiederselo perché - ad esempio - il loro obiettivo non sono i concerti blasonati dove la security è un lavoro e la musica è professione. Forse perché anche la musica veicolata e il suo messaggio fa parte del gioco. Come se la violenza evocata da quelle canzoni generasse a sua volta violenza. Bisognerebbe chiedersi perché scelgano come vittime proprio un contesto e un pubblico fatto di 14enni che della vita ancora non sanno nulla, ma la respirano dai testi di un cantante che già idolatrano.
Il ragazzo fermato era pieno di droga? Le navette scaricavano in continuazione giovani già ubriachi? Ma di che cosa ci scandalizza? Se i testi delle canzoni di Sfera Ebbasta evocano concetti del tipo "quanto sei porca quando bevi una vodka" e sono infarciti di migliaia di riferimenti al sottobosco della droga libera vogliamo ancora raccontarci la favola che è tutto il problema a di sicurezza? E' la musica il generatore e questo aedo coi denti placcati il suo amplificatore.
Ha identificato il senso della vita in una nebulosa fatta di sesso, violenza, droga e soldi. Tanti soldi. Quelli ad esempio che si incassano stipando come sardine 1300 ragazzi contro le ovvie prescrizioni legali.
Ché da 300 a 1300 spettatori, c’è un migliaio che balla e quello è il solco che separa l’operazione commerciale dal Minotauro, appunto. Che mangiava carne umana, la quale doveva essere rigorosamente ateniese, in ragione di 7 fanciulli e 7 fanciulle. Tutti sacrificati nelle sue fauci per placare l’ira del mostro. E qui - tanto per sgravarci la coscienza - diciamo che in fondo è stata una tragedia, che è colpa del gestore del locale e che comunque la musica non c’entra niente.
C’entra invece, perché morire per andare a sentire un cantante è una disgrazia di cronaca nera, ma morire per partecipare a un rito collettivo dove il sesso e i soldi sono l’obiettivo di un’esistenza segnata dalla droga e dal fuggi fuggi dalla polizia è un abbracciare con inconsapevolezza un modello di vita che puzza di morte e non di vita. Un modello che fa dire a questi profeti che “saremo ricchi, ricchi per sempre”.
La stessa inconsapevolezza che i genitori di oggi subiscono nel provare anche solo timidamente a entrare nel recinto sgraziato di un adolescente che ascolta questa musica per moda e piano piano inizia a interiorizzarla. Ci vuole fatica e umiltà, per un padre, a mettersi attorno a un tavolo e analizzare i testi di questi sciagurati trapper e fare riflettere il proprio figlio non solo sull’immoralità di certe parole, perché di fronte a questo approccio gli adolescenti si mettono a ridere e basta, ma lo fanno perché vogliono vedere fino a quanto tu ci credi. E’ per fargli capire che quella libertà che pensano di sperimentare non è altro che un usare la loro testa per fare quanti più soldi possibile.
E’ questo il loro scopo: lo scrivono, lo cantano, lo rappano con maledettissima convinzione. E ogni padre deve capire che quando un adolescente sta ascoltando su Youtube uno di questi prodotti di periferia disordinata e senza speranza non sta soltanto concedendo al figlio la possibilità di evadere dal proprio grigiore, ma sta facendo si che suo figlio venga usato perché qualcun altro faccia i soldi col suo consenso e sulla sua pelle.
Le visualizzazioni monstre su Youtube si trasformano - e si sono trasformate prestissimo - in contratti discografici, ospitate televisive e radiofoniche. Per Sfera Ebbasta e per tutti gli altri. Quindi soldi, soldi e ancora soldi. Un indotto che va a vantaggio di tutti: discografici, radio, artisti e chiunque giri intorno al business. Soldi che si incassano a palate approfittando della capacità di adattamento dei ragazzini, i quali non stanno tanto a fare gli schizzinosi se il locale non è sufficientemente capiente per tutti o le uscite di sicurezza precarie, soldi che però fanno la fortuna di gestori, ma anche dei cantanti, non dimentichiamolo.
Comodo, troppo comodo limitarsi a sollevare un problema di “sicurezza per i nostri ragazzi”, quando ci illudiamo che la sicurezza possa colmare le nostre lacune: perché ci si ammazza in sicurezza, oggi; si sballa in sicurezza; si perde il senso della vita in sicurezza.
Il trapper intanto gonfia il suo portafogli poetizzando disagio, violenza, droga, sesso. E mentre diventa ricco lascia ai suoi piccoli destinatari del consenso quella violenza, quella droga e quel sesso che lui stesso gli ha trasmesso.
Sono gli adolescenti però, che hanno pagato il prezzo più alto, permettendo con i loro clic da camera a questi “artisti” di diventare ricchi e quindi commerciali. Tanto che ormai nel mondo dei 15enni la tendenza è quella di abbandonare il trapper diventato famoso perché ormai si è venduto al sistema. E con questa logica si va alla ricerca di qualcun altro, che non vedrà l’ora di farsi commercializzare.
E nel frattempo il minotauro azzannerà i più piccoli. Che sono stati portati anche a 12 anni all'una di notte su quel ballatoio tremolante non dalla loro voglia di vivere, né da un qualche cosa che avesse un senso, ma dall’irresponsabilità di adulti che li hanno prima usati per il loro successo e poi fintamente accontentati nella loro sete di sballo.
Siamo noi il minotauro, noi adulti, che piangiamo con ipocrita severità le inadempienze di un gestore di locale, senza accorgerci della nostra inadempienza di aver abbandonato i nostri figli a questo sacrificio scambiato per puro divertimento, permettendo che qualcuno assetato di fama e soldi iniettasse loro il suo remunerativo disprezzo per la vita. Un disprezzo che da soli non avrebbero mai coltivato.
Andrea Zambrano
http://www.lanuovabq.it/it/il-minotauro-di-corinaldo-ecco-perche-la-musica-centra
La tragedia di Corinaldo: male che genera male
A Corinaldo, uno degli infiniti stupendi borghi medievali del centro Italia, si consuma una tragedia: muoiono cinque ragazzini e una mamma, schiacciati nella calca fuori da una discoteca. Molti altri rimangono feriti, alcuni in gravi condizioni.
A Corinaldo, un borgo medievale in cui si parla di bellezza, di gastronomia, di buon vino, di monachesimo e quindi di turisti che vengono in Italia per stupirsi davanti a tutto questo bendidio, centinaia di ragazzini accorrono in una discoteca per incontrare il loro idolo. Che cosa c’è di strano, ci siamo passati tutti, ricordo bene quando sognavo l’autografo di Michel Platini o di Dino Zoff.
Purtroppo non è così, questo idolo si chiama Sfera Ebbasta, un rapper, uno di quei ragazzi che ce l’hanno col mondo intero, si mettono a rimare e a parlare accompagnati dalla musica esprimendo il proprio disagio e la propria ribellione.
Purtroppo non è così, lo si capisce bene leggendo i testi delle sue, chiamiamole canzoni. Ne prendo una a caso dal titolo “Hey tipa”, vale la pena riportare l’intero testo:
Hey tipa. vieni in camera con me! Luccico, quando esco per la strada
Luccico, non esco se non ho un completo lucido
la tua tipa mi guarda, ah dubito che voglia solo fare amicizia, mi vuole subito (Wow!) mi vede e dice “WOW”
e le sue amiche “WOW” santarelline ma a me mi sembra Bendhouse
Quanto sei porca dopo una vodka
me ne vado e lascio un post-it sulla porta
Le more, le bionde, le rosse, le mechesate
vestite da suore o con le braccia tatuate
le alternative, le snob pettinate, spettinate sotto le lenzuola ubriache
Le tipe che ho avuto, le tipe che avrò
So che mi vuoi non dire di no
Lasciami il numero e se mi ricordo
magari un domani ti richiamerò
io non lo so cosa ti faccio
però mi cerchi lo so che ti piaccio
sono una merda ragiono col cazzo
oggi ti prendo, domani ti lascio
Hey tipa! vieni in camera con me! e portati un’amica po-portati un’amica!
Dico Hey tipa! vieni in camera con me! e portati un’amica po-portati un’amica!
Dico Hey tipa! vieni in camera con me! e portati un’amica po-portati un’amica!
Dico Hey tipa! vieni in camera con me! e portati un’amica po-portati un’amica!
Hey troia! vieni in camera con la tua amica porca
quale? quella dell’altra volta
faccio paura, sono di spiaggia
vi faccio una doccia, pinacolada
bevila se sei veramente grezza, sputala
poi leccala leccala
limonatevi mentre Gordo recca
gioco a biliardo, con la mia stecca
solo con le buche
solo con le stupide
‘ste puttane da backstage sono luride
che simpaticone! vogliono un cazzo che non ride
sono scorcia-troie
siete facili, vi finisco subito
“Mi piaci, gioco hard” dubito
di te tipa, che vieni a casa mia con la tua amica
se non è una quinta amica
Hey tipa! vieni in camera con me! e portati un’amica po-portati un’amica!
Dico Hey tipa! vieni in camera con me! e portati un’amica po-portati un’amica!
Dico Hey tipa! vieni in camera con me! e portati un’amica po-portati un’amica!
Dico Hey tipa! vieni in camera con me! e portati un’amica po-portati un’amica!
Dico!
Sfera Ebbasta di nome fa Gionata Boschetti, è nato a Cinisello Balsamo ventisei anni fa. Ha tatuaggi su tutto il corpo, denti e collane d’oro massiccio. Dice: “Mi piace mostrare ciò che ho perché ho conquistato il successo con le mie stesse mani… i soldi sono sempre stati il mio primo obiettivo, un traguardo che ho raggiunto. La Marijuana è nei miei testi perchè ne faccio uso, tutti lo sanno… non c’è nessun idolo che non si droga, quindi perchè io non dovrei farlo?”.
La sesta vittima di questa strage degli innocenti è una mamma che aveva accompagnato il figlio al concerto. Già, perché i ragazzini morti sono quattordicenni e sedicenni, infatti questo “artista” ha molto successo in quella fascia d’età e anche questo aspetto è allarmante e va tragicamente di pari passo con l’iniziazione al sesso e alle perversioni annesse che oggi vengono introdotte subdolamente nelle scuole con la scusa di educare alla diversità e alla tolleranza.
Il marito della povera donna si sfoga: “Erano tutti ubriachi. I miei 4 figli ora sono senza madre…”, facendo emergere una testimonianza di dolore che si aggiunge a quello già evidente ascoltando la cronaca della tragica serata del 7 dicembre 2018.
Ovviamente ciò che è accaduto non c’entra direttamente coi messaggi delle canzoni del rapper milanese, tuttavia l’incidente è stato generato dall’uso di uno spray al peperoncino come già avvenuto in episodi simili negli ultimi anni, sempre a concerti di rapper molto popolari tra gli adolescenti, quindi è evidente come tutto sia strettamene connesso e come tutto sia maledettamente, oggettivamente, male che genera male: dire a dei ragazzini che gli idoli si drogano, far passare il messaggio che usare le ragazze come usa e getta del sesso sia una medaglia al petto, riempire il proprio corpo di tatuaggi e piercing evidenziando il disprezzo per se stessi.
Il bene fa bene, il male fa male, questo messaggio che chi ha costruito Corinaldo portava impresso nel cuore, ha generato una perla del patrimonio culturale italiano, eppure non passa giorno che se si sottolinea questa verità non si venga accusati, come se fosse un’offesa, di essere medievali che si oppongono alla libertà e alle novità: A Corinaldo è andato in onda il dramma della contrapposizione tra civiltà cristiana medievale e società liquida avaloriale costruita sui falsi miti del progresso. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Corinaldo è anche il borgo natale di Santa Maria Goretti, l’icona della castità e della purezza, colei che per difendere la propria verginità preferì pagare con la vita.
E allora il luogo della tragedia di venerdì sera assume un significato ancora più evidente e chiama ciascuno di noi alle proprie responsabilità nell’educazione dei propri figli.
Educhiamoli ad apprezzare il bello, a non uniformarsi alla massa, a volare alto, a essere come il bambinoche nella sua innocenza ha il coraggio di dire che l’imperatore è nudo e che i suoi vestiti li vede solo chi non ha il coraggio di dissentire per non essere preso in giro. Facciamo ascoltare ai ragazzi la musica che eleva, offriamo a loro la possibilità di imparare a suonare uno strumento musicale, portiamoli a teatro ad ascoltare Beethoven e Chopin; non risulta che a questi concerti sia prassi ubriacarsi e usare spray al peperoncino, la bellezza parla da sé, non ha bisogno di ulteriori messaggi né tantomeno di sballo.
Mi illudo che il messaggio di questa vicenda possa far breccia nelle coscienze, invece leggo e ascolto che il dito viene puntato esclusivamene contro il sovrafollamento della discoteca che poteva contenere solo 870 persone, invece ce n’erano 1400. E’ certamente vero, ma siamo daccapo, è giusto o sbagliato solo ciò che viene deciso a tavolino, spesso senza logica, da chi scrive leggi e regolamenti. Ecco che così si sposta l’attenzione su ciò che non è giusto o sbagliato in sé ma che viene stabilito arbitrariamente dall’uomo.
E allora continuiamo pure a cantare “mamma, devi stare calma se fumo qualche canna. E sono ancora sveglio quando gli altri vanno a nanna. No, non mi piace la bianca, una pussy nera e una gialla: Esco di casa, ho una scarpa diversa dall’altra, woah” e a seguire l’impronta di queste scarpe, sapendo però che andremo a sbattere.
di Attilio Negrini Pubblicato 9 dicembre 2018 |
TRAGEDIE ANNUNCIATE
La tragedia di Corinaldo dovrebbe far riflettere. Al di là delle responsabilità di facciata, che sono sicuramente da ascrivere agli aspetti legati alla sicurezza e all’avidità dei titolari di simili strutture, ce ne sono altre, ben più gravi, che, al solito, non vengono minimamente ventilate. Partiamo in ordine crescente, e cioè dalla meno grave di queste responsabilità, imputabile ai ragazzini che frequentano certi luoghi. Questi oggi sono attratti da improbabili miti e conseguenti stili di vita da questi propagandati, che suscitano allarmismi che lo Stato ignora o fa finta di ignorare. Ecco che allora vengono presi come esempi da imitare personaggi tatuati e pieni di piercing, il cui stile di vita è legato, in genere, alla trasgressione, alla droga, ai facili guadagni e alla trasformazione della donna in oggetto di conquista attraverso tutte le summenzionate porcherie.
I testi delle loro canzoni sono puerili, squallidi, demenziali, partoriti da cervelli non più grandi di quello di una gallina subnormale. Eppure, visto che la TV e i media in generale presentano questi personaggi come da ammirare e “di tendenza”, i giovanissimi si stracciano i capelli pur di assomigliare e osannare questa feccia sotto acculturata, mutuata dai bassifondi americani e improvvidamente importata da noi. Lo stereotipo di questo tipo di zotico ha fatto presa, purtroppo, anche sulle nostre generazioni.
Non è raro, infatti, vedere giovani dal corpo tutto scarabocchiato da tatuaggi, coi piercing in qualsiasi parte del corpo, vestiario slargato e cadente e l’immancabile pitbull o altro tipo di molossoide al seguito. Questa gentaccia vive di istinti e adora tutto ciò che è effimero: danaro, droga, alcol, donne e bella vita. Se provi a parlare con uno di questi ti accorgi che è tempo perso.
E’ da questi ambienti che escono fuori i peggiori delitti tra giovanissimi. La seconda responsabilità è da attribuire a quegli sciroccati dei genitori, che, anziché fare ai loro figli il lavaggio del cervello per fargli aborrire questi falsi miti bugiardi e deleteri, a vantaggio di una vita responsabile e sana, assecondano anch’essi le loro pulsioni accompagnandoli addirittura i quei postacci pieni di merda, magari sbraitando insieme ai loro pargoli di fronte al rapper col dito medio sollevato all’indirizzo del pubblico che lo arricchisce.
Già, la colpa è soprattutto loro. Dulcis in fundo, però, abbiamo la responsabilità maggiore che, natural,mente, è da ascrivere allo Stato. Esso infatti permette il sopravvivere e il proliferare di quei ricettacoli d’immondizia che sono le discoteche. E’ là che ogni fine settimana girano quintali di droga e alcol che rovinano le nostre giovani generazioni, lasciate in balìa di spacciatori e delinquenti. E’ là che questi rapper, dei veri e propri ritardati mentali, trovano albergo per le loro performance demenziali e diseducative.
Lo Stato, quindi, responsabile unitamente ai genitori di ragazzini di 14 anni lasciati liberi di uscire la sera e rientrare anche due giorni dopo, fatti come le capre e coi vestiti impregnati di umori e schifezze varie. Genitori che se ne fregano dei propri figli, protagonisti di fatti inenarrabili ogni bel sabato sera. E’ ipocrita, quindi, cercare responsabilità solo laddove ce ne sono di minori, tralasciando quelle vere. E comunque ha un che di miracoloso il fatto che tragedie simili non accadano ogni sacrosanto sabato sera. Le calche, la droga, l’alcol e la musica spazzatura sono oramai gli ingredienti di vita per una gioventù malata che adora lo sballo e rifugge la realtà.
Giorgio Morganti
TRAGEDIA O STRAGE
Ma il problema è solo quello delle uscite di sicurezza? Il vuoto e il nulla della nostra società materialista che non sa offrire ai suoi figli qualcosa di meglio da fare che accalcarsi per assistere a un evento pseudo musicale
di Francesco Lamendola
Nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 2018 una discoteca di Corinaldo, in provincia di Ancona, è stata il teatro di una tragedia, che subito i giornali si sono affrettati a qualificare “strage”, con poco senso del ridicolo e con poco rispetto per i morti, meno ancora per la verità. Ma tant’è, siamo abituati: sono anni ormai che la stampa e la televisione parlano di “stragi del mare”, riferendosi ai naufragi dei barconi di migranti (altra parola che sarebbe tutta da verificare) i quali partono già sovraccarichi all’inverosimile dai porti della Libia; “stragi” nelle quali, secondo l’opinione di molti, in Italia e all’estero, saremmo responsabili proprio noi italiani, nonostante da anni gli uomini e le donne della nostra Marina e della nostra Guardia di Finanza siano impegnati, sino allo stremo delle forze, in faticosissime, diuturne operazioni di pattugliamento e salvataggio, non di rado rese anche pericolose dalle condizioni del mare e dall’atteggiamento degli stessi “naufraghi”, per metà incosciente e per metà arrogante e aggressivo. Dunque, cominciamo col dire che a Corinaldo non c’è stata alcuna strage, ma uno di quei fenomeni di panico collettivo che trasformano una folla in un branco di animali impazziti, incuranti di qualsiasi sentimento di solidarietà e compassione, e preoccupati unicamente della propria vita, anche a costo di passare sui cadaveri dei propri amici.
Ma, si obietterà, erano solo dei ragazzini giovanissimi, di quindici, quattordici, tredici anni, e anche meno; la donna di trentanove anni che ha perso la vita, insieme a cinque adolescenti, era una mamma che accompagnava la propria figlioletta di undici. Ecco, appunto: e qui arriviamo al cuore del problema; ma si direbbe che nessuno abbia voglia di considerare questa faccia della cosa, anche se è, a nostro parere, l’aspetto decisivo. La domanda che ci si dovrebbe fare, ma che nessuno, a quanto sembra, ha voglia di fare, senza dubbio per non incorrere nell’ira degli opinionisti politicamente corretti, è questa: che cosa ci facevano 1.400 adolescenti, tutti così giovani, in quel luogo, ad ascoltare quel concerto del rapper Sfera Ebbasta, pigiati in una discoteca che poteva contenerne non più di 450? Certo, se i numeri sono davvero quelli, i gestori dovranno rendere conto alla giustizia dei biglietti venduti in eccesso, dei ragazzi fatti entrare per pura avidità di guadagno, in spregio alle più elementari norme di sicurezza. Allo stesso modo, le autorità inquirenti fanno bene a individuare le responsabilità di quel ragazzino, o di quei ragazzini, che, pare per rubare una collanina, hanno spruzzato nel mucchio lo spray al peperoncino, innescando la folle reazione della massa, che si è precipitata verso l’uscita come se fosse in presenza di qualche pericolo incombente. Detto questo, però, domandiamoci francamente: davvero il problema di una tragedia come quella di Corinaldo, tragedia, non strage, è quello dei biglietti venduti in eccesso? Davvero è quello delle uscite di sicurezza? E davvero è quello di un piccolo idiota che ha spruzzato lo spray urticante senza valutare minimamente la sproporzione fra le sue finalità e le possibili conseguenze? Se c’è davvero qualcuno che la pensa a questo modo, faccia pure; a noi pare che sia come mettere la testa sotto la sabbia e non voler vedere il vero problema.
Un popolo di giovani drogato "dal nulla allo stato puro", come quasi tutti i pseudo artisti usciti dalla scuola del Grande Fratello e della tv alla Maria De Filippi. E poi ci domandiamo perchè i giovani di oggi hanno staccato la spina: hanno occhi e orecchi solo per delle "nullità" che imperversano sulla rete e per il minuscolo schermo del loro "infernale" cellulare.
Il vero problema è il vuoto; il nulla. Il vuoto di valori, il nulla della nostra società, materialista e consumista, che non sa offrire ai suoi figli qualche cosa di meglio da fare, in una sera festiva (la sera dell’Immacolata Concezione di Maria Vergine, per i cattolici) che accalcarsi per assistere a un evento pseudo musicale, insensato, brutto, disordinato, dominato da una figura artisticamente nulla, che non ha nulla da dire, nessuna musica da offrire, nessun sentimento da accendere, nessuna idea su cui far riflettere: il nulla allo stato puro, come quasi tutti i rapper e pseudo cantanti, come tutti i pseudo artisti usciti dalla scuola del Grande Fratello e della tv di Maria De Filippi; adolescenti che in una società sana non troverebbero spazio, non sarebbero presi sul serio da nessuno, e dovrebbero cercarsi un lavoro, ma un lavoro per davvero, mentre da alcuni anni sono idolatrati come se fossero dei geni, sono messi sul piedistallo come dei miti, guadagnano un sacco di soldi e fanno parlare di sé come avessero qualcosa da dire, mentre non hanno uno straccio di idea, o di originalità, o di qualsiasi altra cosa che meriti attenzione. Al pari dei blogger che fanno tendenza, gli influencer, delle nullità che imperversano sulla rete con il loro narcisismo, e che sono pagati a peso d’oro perché dal fatto che indossino un certo maglione, che sponsorizzino una certa borsetta, che sfoggino sulle labbra una certa marca di rossetto, dipendono le scelte d’acquisto di milioni di giovani consumisti idioti, che hanno soldi da spendere (quelli di papà e mamma) in frivolezze assurde e banali, evidentemente perché non devono guadagnarsi la vita e quindi non hanno la minima idea di cosa voglia dire guadagnarsi lo stipendio col sudore della fronte.
Questa è la cosa su cui riflettere: perché tutti quei ragazzini erano lì, e non altrove? Perché non erano coi loro genitori, o con un buon libro in mano, o ad ascoltare musica (quella vera) in casa, o a mangiare una pizza con gli amici, o semplicemente a riposare, visto che sarebbe una buona norma, a quell’età, andare a letto possibilmente prima delle ore piccole, e alzarsi di buon’ora, in modo da abituare l’organismo a dei ritmi naturali e sfruttare con profitto, non sono a scuola, ma in qualsiasi altra cosa, le ore migliori della giornata, le prime ore del mattino, quando il corpo è riposato, la mente è più fresca e l’entusiasmo è accresciuto dall’aspettativa di qualcosa di bello che potrà accadere? E se proprio non si può fare nulla per tenerli a casa, per convincerli che un adolescente non deve sentirsi uno “sfigato” se non tira tardi chissà dove, se trascorre semplicemente la serata facendo delle cose normalissime, o coltivando qualche hobby, o guardando qualche programma intelligente alla televisione (i pochi, i pochissimi che ancora per miracolo ci sono, perlopiù su qualche piccola emittente locale), possibile che non sappiamo indirizzarli verso luoghi e verso attività un po’ meno demenziali, un po’ meno farneticanti, un po’ meno distruttivi? Possibile che i genitori debbano dare ai propri figli dei soldi per impinguare le tasche di qualche rapper insulso, senza aver loro insegnato che i soldi non crescono sui rami degli alberi, e che loro, il papà e la mamma (sì, non è un errore di stampa: il papà e la mamma, non il genitore 1 e il genitore 2), hanno dovuto lavorare duramente per portarli a casa? Possibile che ai ragazzini di oggi siano concessi solo diritti, a cominciare dal diritto di avere soldi in tasca e libertà di fare tardissimo la sera, solamente per fare delle cose assolutamente stupide, dalle quali non impareranno nulla di nulla, né sul piano estetico, né su quello intellettuale, e neppure su quello affettivo, dato che in discoteca non si parla, non si socializza, non si fanno nuove amicizie, si fa solo branco come gli animali, e magari ci si impasticca o si sbevazza, sicuramente ci si incretinisce col volume micidiale della musica e con le luci psichedeliche che contribuiscono allo sballo, il tutto in un’atmosfera claustrofobica, da zombie, da film horror, dove non si sa se è estate o inverno se è presto o tardi, dove non filtra neanche un refolo di aria pura ma tutto è oscurità, chiasso, gazzarra, istinti primordiali che vengono sollecitati dal ritmo sincopato e dal rullo della batteria, insomma dove tutto concorre a destare, o ridestare, la bestia che dorme nel fondo dell’anima e a sfogare aggressività, spudoratezza, voglia di trasgressione e brama sessuale.
Questa è la vera domanda; e questa è la vera tristezza: che non abbiamo nulla da rispondere. Perché no, non siamo capaci di offrire ai nostri figli e nipoti niente di meglio, di meno stupido, di meno squallido, di meno diseducativo. Senza esagerare, siamo convinti che una serata in discoteca sia in grado di annullare l’effetto positivo di dieci serate intelligenti e sane, nelle quali al ragazzo si offrono occasioni di crescita e di maturazione, o anche semplicemente di onesta ricreazione. Una volta i genitori si portavano i figli al cinema, e ovviamente sceglievamo dei film che fossero adatti anche per loro; oppure, nei giorni di festa, li portavano a far visita ai nonni, che oggi sono messi da parte come vecchie scope, e lì ne avevano di cose da imparare, i nipotini; oppure, i più grandicelli, li accompagnavamo da qualche amico e poi tornavano a prenderli all’ora stabilita, cioè non troppo tardi. Adesso la famiglia si è sfarinata, ciascuno si arrangia per proprio conto: la sola condivisione è l’atto di chiedere soldi ai genitori, per il resto liberi tutti, e buonanotte. In pratica, i genitori o non sanno dove passano la serata i loro figli adolescenti, o non sanno affatto come la passano. Non sanno se fumano, tanto meno se fumano “erba”; non sanno se bevono alcolici, se provano le droghe, anche pesanti, né se hanno dei rapporto sessuali, né se li hanno in maniera protetta. In pratica, non sanno nemmeno come sono vestiti, o vestite: perché, una volta usciti di casa, o arrivati sulla porta della discoteca, chi lo sa se non vanno dritti al bagno, a cambiarsi e se ne escono in abitui succinti e provocanti, truccati in maniera pesantissima, che mamma e papà non s’immaginano minimamente? Ma, si dirà, sono solo ragazzini; sono solo bambine. Certo: ma bambine agghindate come ventenni e capaci di assumere pose da professioniste del marciapiede, con stivaloni col tacco e magliette microscopiche che perfino le prostitute nigeriane, quasi, quasi, esiterebbero a indossare. Come meravigliarsi se, prima o dopo, queste tredicenni e quattordicenni si mettono nei guai, ma guai talmente grossi da tentare anche il suicidio? Eppure, fino all’ultimo, papà e mamma non ne sanno e non ne sapranno nulla, assolutamente nulla.
Ma il problema è quello delle uscite di sicurezza?
di Francesco Lamendola
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EDUCARE alla BELLEZZA (e alla Forza) contro la BRUTTEZZA del MALE
di Gianluca MarlettaLA CHIAMANO “EMERGENZA EDUCATIVA”: nel concreto, significa l’implosione valoriale e umana di un’intera società: famiglie distrutte, depressione, atti di violenza tanto brutali quanto –apparentemente- inspiegabili e gratuiti, solitudine, depressione, suicidi, ripudio per la vita fin dalla più giovane età. Ma qual è la natura di questo vero e proprio buco nero nel quale sta sprofondando inesorabilmente una società intera: uomini e donne, ragazzi e adulti e persino bambini e anziani? Qual è la radice dello squallore, del cinismo, dell’indifferentismo, dell’alienazione che oggi consuma anime, corpi, coscienze, gruppi, singoli e intere generazioni? E qual è –se c’è- una possibile soluzione?
PER PRIMA COSA, E PUR A RISCHIO DI ESSERE DEFINITI “PESSIMISTI”, FACCIAMO UNA PREMESSA: a nostro parere, questo tipo di società non può essere salvata nel suo complesso. La perdita di un Centro (innanzitutto spirituale), la progressiva dissoluzione dei rapporti e delle qualità tipicamente umane (cultura, arte, pensiero, senso della comunità, ecc.), la perdita del senso dell’esistenza (e della stessa idea che l’esistenza possa averne uno), persino il conseguente crollo demografico ed economico spingono verso una prognosi infausta per la società occidentale nel suo complesso. Un cambiamento generale della società, infatti, presupporrebbe una tale rivoluzione delle coscienze e delle strutture (la quale sarebbe certamente catastrofica nel senso letterale del termine), da essere inimmaginabile al momento (e comunque, non certo realizzabile con mezzi puramente “umani”). E tuttavia, è sempre possibile per gruppi più o meno ristretti e per alcuni singoli resistere alla valanga di fango che tutto spiana e tutto demolisce, ma a patto di definire alcuni punti di partenza.
UNA SOCIETA’ DELLA BRUTTEZZA.
Se, come scriveva Dostoevskij, “la bellezza salverà il mondo”, è evidente che oggi questa società è perduta. La Bellezza come armonia, la Bellezza come meraviglia e capacità di stupirsi, la Bellezza come nobiltà d’animo, la Bellezza come arte, oggi non abita più qui. E in effetti, se c’è una caratteristica che definisce più d’ogni altra questo “mondo terminale”, è il suo affogare in una valanga di squallore, bruttezza e pessimo gusto. La bruttezza ha invaso le nostre vite: la bruttezza del linguaggio, del vestire, del costruire; persino la Religione, in occidente, non è più capace di creare bellezza, e si accontenta di sguazzare nel brutto e nel banale, edificando pseudo-templi più simili a garage che a “luoghi di culto”, rinnegando migliaia di anni di estetica meravigliosa in cambio di squallide liturgie.
Ma ancor di più: la società attuale sembra avere un vero e proprio “culto del brutto”; ama giocare con le proprie deiezioni e glorifica lo squallore (estetico e morale), persino compiacendosene.
LA “BELLEZZA” PRECEDE LA “BONTA’”. Quello che, infatti, abbiamo dimenticato, è che il Bello precede necessariamente, in ordine di tempo, il Buono. Kalòs kai agathòs affermavano gli Antichi. E in effetti, nessuno di noi si è mai innamorato di un “codice morale”, di una Legge o di un “ordine”, perché ciò che ci attira e ci “converte”, in realtà, è sempre e solo ciò che appare “bello” al nostro immaginario. Il moralismo clericale (e ancor più quello “laico” della cosiddetta “educazione civica”) hanno infatti dimenticato che ciò che smuove l’uomo –in un verso o nell’altro- non è l’imposizione di un “codice comportamentale” calato dall’alto, ma un’Immagine che appare bella e convincente. Anche nei Vangeli, il Cristo afferma: “Affinché gli uomini vedano le vostre BELLE opere (kalé=belle, non “buone” come viene tradotto nelle Bibbie moderne) e glorifichino il Padre che è nei Cieli” (Mt. 5).
Ma questo, purtroppo, vale anche in senso contrario: perché lì dove la Bellezza non è più diffusa, la bruttezza riesce spesso e paradossalmente a soppiantarla, riuscendo ad “impressionare” l’immaginario con modelli che, pur laidi e sgraziati, veicolano un senso apparente di “forza” che può diventare coinvolgente e a-ccattivante (ovvero, capace di “imprigionare”, nel senso etimologico del termine). Ed è questa la ragione del successo di quasi tutti i modelli e le mode contemporanee le quali, seppur contraddistinte da un aspetto a volte rivoltante, pur “imprigionano” innumerevoli coscienze.
Non bisogna infatti dimenticare che LA BELLEZZA SI ACCOMPAGNA NECESSARIAMENTE ALLA FORZA, e che un’Immagine ed un Modello, per essere belli e convincenti, devono anche esseri “forti”. Soprattutto i giovani, in effetti, sono disperatamente alla ricerca di “modelli forti” con i quali identificarsi: una “bellezza morale” astratta, una “bellezza evanescente” ed impotente non attrarrà mai nessuno. Bisogna avere il coraggio di predicare una Bellezza che, se è necessario, sa anche utilizzare una legittima Forza pur di difendere se stessa: una Bellezza guerriera, quella Bellezza che SI INCARNA NELL’ARCHETIPO ETERNO DELLA CAVALLERIA, che è anche l’unico modello che può, ancora oggi, proporsi come antidoto credibile alla dissoluzione.
E da questo punto di vista, peraltro, UN’EDUCAZIONE ALLA BELLEZZA E’ ANCORA POSSIBILE.
Nel concreto, infatti, persistono a tutt’oggi modelli affascinanti e credibili che possono veicolare, con Bellezza e Forza, immagini capaci di educare gli esseri umani –e anche i giovani- oltre il fiume di fango della (in)cultura dominante. Pensiamo, ad esempio, al successo straordinario del miglior FANTASY, soprattutto all’opera –spesso validamente riproposta in chiave cinematografica- di autori come Tolkien e Lewis; vero “mito cavalleresco dei nostri tempi” che, riproponendo Archetipi antichissimi, può parlare al Cuore dell’essere risvegliando valori eterni come la fratellanza, l’amicizia disinteressata, l’amore, il giusto combattimento, la vita come Cammino e come Via.
Bisogna inoltre riscoprire quelle OASI DI BELLEZZA che permangono, malgrado tutto, nel mondo attuale: la Bellezza vergine e potente della Natura, che rapisce anima e corpo, ma anche l’armonia dell’arte dei secoli passati che ancora illumina le nostre città e i nostri borghi, spesso nell’indifferenza (bisogna riconoscerlo) di noi distratti e stressati eredi, incapaci spesso di alzare lo sguardo dal caos quotidiano anche solo per ammirare un campanile, un rosone o una cupola…
E non bisogna dimenticare anche la BELLEZZA DEL NOSTRO CORPO, non nel senso squallidamente commerciale enfatizzato dalla moda, ma nel suo rapporto con la Forza, l’Armonia e la Disciplina (e su questo, discipline come le Arti Marziali, l’Alpinismo, un certo tipo di Escursionismo, hanno moltissimo da insegnare); risvegliandoci dal torpore indotto da un abuso della tecnologia e da quel vile rapporto con la fatica e col dolore che ci contraddistingue come moderni.
Questo perché la violenza –quella più brutale, assurda e ingiustificata- non nasce, come qualcuno vorrebbe credere, dall’esercizio armonioso della Forza, ma dalla viltà indotta dalla debolezza e dal vittimismo. Uccidere la moglie perché ci ha lasciati, sterminare la propria famiglia per “risolvere” un qualche problema, esercitare violenza su una donna sola o su un anziano –eventi ai quali la cronaca ci ha ormai abituato- non sono gesti che nascono dalla Forza ma dalla debolezza più vile.
Tutto questo, naturalmente, senza dimenticare l’aspetto più importante del nostro ESSERE UOMINI, ovvero il RAPPORTO COL DIVINO E CON L’ASSOLUTO. Un rapporto che va ricreato, ripreso, ricostruito anche a dispetto della decadenza della Religione e della secolarizzazione ormai imperante. Perché non vi è vera Forza e Bellezza e Saggezza senza il rapporto con la sua unica ed eterna FONTE.
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