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mercoledì 19 dicembre 2018

“Non c’era posto per loro”

LA NUOVA RELIGIONE CIVILE. FATTA PROPRIA DALLA CHIESA.



Cari Stilumcuriali, ci scrivono dei “cattolici cattolici” per commentare, nel contesto della politica immigrazionista adottata dal nostro Paese negli anni passati, e avallata e incoraggiata dal Pontefice regnante e dagli altri dignitari della Chiesa cattolica in Vaticano e in Italia, quella che a loro appare come una deriva e una mistificazione rispetto alla realtà. Ecco che cosa ci dicono: 

C’è una tendenza ormai consolidata all’interno della chiesa sia a livello di consacrati che di laici cattolici ad allinearsi acriticamente alle posizioni laiciste su una pluralità di temi: dall’ostilità all’attuale governo italiano, all’accondiscendenza alla Ue, al possibilismo sulle questioni di bioetica, alla questione immigratoria.
Ecco, appunto, la questione immigratoria è ormai diventato una specie di crociata, un must imprescindibile della gerarchia cattolica attuale, un tema così prioritario da mobilitare tutti i mezzi necessari per amplificarne la portata.
Ne sono la dimostrazione  i due documenti che qui presentiamo: una recente copertina di “Famiglia Cristiana” e un articolo apparso sulla rivista della diocesi milanese “Il Segno”.
La copertina della rivista cattolica presenta l’immagine di una famiglia di africani su cui campeggia un titolo introduttivo “il vero significato del Presepe” e uno didascalico a caratteri cubitali “Non c’era posto per loro” (qui).
Dobbiamo subito sottolineare tuttavia l’intento condizionante dell’immagine: infatti con tutta probabilità le persone raffigurate sono rappresentative di una situazione di disagio, ma non sono le persone reali che quel disagio lo vivono.  
Dunque si tratta di una immagine rappresentativa e in quanto tale strategica il cui fine principale evidentemente è quello di attrarre lo sguardo e invogliare all’acquisto della rivista. All’intento commerciale si aggiunge peraltro il limite della parzialità.
Il Natale come il presepe richiamato nel titolo introduttivo dovrebbe infatti sensibilizzare i cristiani verso le condizioni di disagio delle categorie più deboli della società: disoccupati, precari, persone sole, malati, persone senza fissa dimora, detenuti, reietti e in generale chi è affetto da sofferenze fisiche e morali. Tutta questa vasta geografia umana dovrebbe dunque trovare rappresentatività in una immagine che la includa tutta, una raffigurazione simbolica che li abbracci senza distinzioni etniche o di provenienza. E invece no: la scelta è caduta su un’immagine parziale che si preoccupa solo di evidenziare una distinta categoria ponendola in particolare rilievo, quella degli immigrati appunto.


Ma anche il titolo principale “Non c’era posto per loro” appare fuorviante: infatti occorre domandarsi non solo perché “non c’era posto per loro”,  ma anche chi avrebbe dovuto offrire quel “posto”, ossia condizioni di vita dignitose, posto che evidentemente è stato rifiutato. La domanda che sorge quindi riguarda chi o cosa avrebbe dovuto garantire quel “posto” che invece è stato negato: evidentemente il primo responsabile di quella negazione è il paese di provenienza degli immigrati il quale non è stato in grado di offrire quelle condizioni di vita dignitose – cioè il “posto” richiamato nel titolo – di cui le persone reali, rappresentate ma non identificabili in quelle dell’immagine, necessitano. Un obiettivo esame di realtà deve infatti indurci a ritenere che la responsabilità principale del dramma immigratorio sia da imputare ai paesi di origine i quali per motivi vari non possono o non vogliono concedere il “posto” a una parte della popolazione nativa. Certo i guasti prodotti dal colonialismo occidentale hanno contribuito a questa incapacità, ma vale la pena ricordare come alcuni settori della classe politica delle nazioni di provenienza degli immigrati siano corrotti, incapaci e spesso faziosi a causa dell’accentuato tribalismo che tende a privilegiare determinate etnie a scapito di altre costrette perciò a emigrare. Del resto che alcuni fra i paesi d’origine abbiano nette responsabilità circa l’incapacità di garantire pace, sicurezza e sviluppo e quindi “posti” alla propria popolazione è opinione anche di leader africani come il presidente egiziano Al Sisi ( qui).
Osserviamo invece come abbastanza paradossalmente i principali imputati che negano il “posto” siano individuati da parte del media system sempre e solo nei paesi accoglienti e mai in quelli d’origine.     
Qualcosa di simile si ravvisa anche nell’articolo della rivista “Il Segno” (qui).
Secondo l’articolo è un errore insistere sullo slogan “prima gli italiani” perché privo di fondamento giuridico. A dimostrazione si cita il caso dei parametri legislativi che assegnano le case popolari; si tratta infatti di criteri oggettivi che riguardano tre fattori perfettamente misurabili in modo scientifico e quindi non criticabili: lo stato economico, la prole, la precedente condizione abitativa. In virtù di questi criteri appare dunque perfettamente logico che la maggior parte degli alloggi popolari siano assegnati a persone di recente immigrazione. Tutto questo inoltre troverebbe riscontro nella costituzione italiana quale riflesso dei valori occidentali plasmati dal cristianesimo. Anche in questo caso tuttavia ci sentiamo di fare alcune osservazioni: la prima non riguarda l’esattezza di quanto riportato dall’articolo il quale dal punto di vista formale è irreprensibile: infatti correttamente si afferma ciò che stabilisce la legge ossia che i criteri per l’assegnazione delle case popolari sono reddito familiare,  prole e pregresse condizioni abitative.  Ma esulando dall’ambito legislativo dal punto di vista etico ai criteri obiettivi sopra menzionati da cui dipende l’assegnazione dell’alloggio popolare bisognerebbe aggiungerne un quarto relativo alle erogazioni di denaro  con cui ciascun singolo o nucleo familiare residente in Italia ha contribuito al benessere dello stato. Appare infatti discutibile il fatto che non conti nulla l’aver versato decenni  tasse e imposte allo stato ai fini  dell’accesso al welfare inclusa la casa popolare: la sostanza è che chi ha sostenuto l’economia nazionale col suo lavoro e le sue contribuzioni nel momento in cui decade economicamente e moralmente  sia posposto a chi a quel sostegno ha offerto un apporto minore o nullo.
In secondo luogo appare forzato considerare senz’altro e indubitabilmente la costituzione un riflesso del Vangelo se non altro perché divergono le fonti dalle quali scaturiscono la loro visione del mondo e dell’uomo: infatti mentre il Vangelo trae la sua fonte dagli insegnamenti di Cristo ribadito e approfondito nel corso dei secoli dal magistero della Chiesa, la costituzione è stata prodotta dall’assemblea costituente del 1946 in cui erano largamente presenti istanze che risentivano di un clima di ateismo militante e di suggestioni libertarie. A causa di questa netta disparità di fonti ci pare dunque oltretutto inopportuno stabilire un rapporto causa – effetto o peggio una sorta di filiazione fra Vangelo e costituzione: quest’ultima è degna del massimo rispetto, ma considerare il Vangelo qualcosa di simile a un dettato legislativo significa inevitabilmente trasformare il cristianesimo da religione soprannaturale a religione naturale per finire, lungo questo iter discendente, a religione civile.   
Il che, purtroppo, è esattamente quello che sta accadendo.
Firmato:
Un gruppo di cattolici cattolici.

Marco Tosatti
19 Dicembre 2018 Pubblicato da wp_7512482 9 Commenti --

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