L’ennesima strumentalizzazione della liturgia cattolica in chiave pro-migranti è semplicemente, l’ennesimo abuso d’ufficio compiuto dal signore argentino e dalla setta modernista che ha imposto sulla Chiesa la propria tirannide
di Francesco Lamendola
Il fraintendimento essenziale della religione cattolica, ma anche di ogni forma di vera spiritualità, è che il pastore, per essere più efficace, debba scendere nelle strade, debba andare nelle fabbriche, debba trasformare le chiese in dormitori e ristoranti, debba portare i migranti in piscina e debba intimare a chi non è d’accordo di star lontano dalla chiesa, perché è solo un razzista indegno di chiamarsi cristiano. Il fraintendimento essenziale è che la spiritualità, per essere “credibile”, debba risolversi completamente nell’azione, al punto che la lavanda dei piedi dei poveri, da parte del papa, sembra oggi divenuta un atto più atteso e più significativo del mistero Eucaristico celebrato nella santa Pasqua.
Il fraintendimento essenziale è dichiarare che cercare il silenzio non è sano, e invitare le novizie a fare una visita psichiatrica per capire se hanno davvero la vocazione, e andare in visita nei conventi di clausura per far ridere sguaiatamente le suore, e tutto questo pensando, o dicendo (non è proprio la stessa cosa…) che in questo modo si rende la fede più viva, più bella, più gioiosa. È tutto un inganno, un errore, un rovesciamento della verità. L’Invisibile non si rende visibile in queste forme circensi e sboccate; l’Invisibile è e resta invisibile. Davanti all’Invisibile ci si mette in ginocchio, in adorazione; si tace, si prega, si medita. Non si va attorno a caccia di applausi, non si rilasciano interviste a braccio ogni santo giorno, non si dice sempre io faccio questo, io ho fatto quest’altro; e non si insultano quotidianamente i propri critici, non si proclama la misericordia per poi far commissariare le congregazioni religiose più fiorenti, senza una parola di spiegazione. La vera credibilità non viene dall’eccesso del fare, ma dalla trasparenza della vita cristiana. E chi prega in silenzio non è meno utile di chi allestisce mense e dormitori; al contrario. Perché le mense e i dormitori li può allestire chiunque, anche uno Stato ateo, anche un’amministrazione irreligiosa, fautrice dell’aborto e dell’eutanasia; mentre la preghiera, quella vera, la può fare solo chi è in grazia di Dio: ed essa è più efficace di cento dormitori e di mille ristoranti. Perché chi è in grazia di Dio viene ascoltato da Dio, riceve lo Spirito Santo e giova sia all’anima che al corpo d’innumerevoli persone; chi non lo è, no, anche se si affanna e corre di qua e di là e compie mille atti visibili e spettacolari, che gli attirano applausi e simpatie, e parla e straparla alla radio tutti i giorni, e firma centinaia di articoli sui giornali ex cattolici e modernisti, ma dalle sue parole traspaiono tutto il veleno e tutta la rabbia che cova nel cuore contro i fratelli che non la pensano come lui, che non vedono Gesù come un profeta che narrava Dio, che credono alla divinità di Cristo e all’Immacolata Concezione di Maria. No, non serve essere vescovi di strada, e neppure preti operai, per essere credibili ministro di Dio; basta molto meno, in apparenza, ma ci vuole assai di più, nella sostanza: bisogna saper pregare, sapersi fare piccoli davanti a Dio, e chiedere a Lui l’ispirazione e l’aiuto per fare bene ogni cosa. Altrimenti, il vescovo di strada potrà abbagliare le folle e far alzare gli indici d’ascolto della televisione, e il prete operaio potrà anche strappare la simpatia dei lavoratori, ma né l’uno né l’altro porteranno una sola anima a Dio. E questo, invece, è il “mestiere” del prete, questa è la missione dei successori degli Apostoli: annunciare il Vangelo, battezzare nel nome del Signore Gesù Cristo, condurre le anime verso i pascoli del Signore, allontanandole dalle seduzioni di Satana. Chi è fedele a questa missione, anche nel silenzio e nel nascondimento di un chiostro, ha fatto bene il suo compito; chi non lo è, no.
Il signore argentino usa ed abusa di tutti gli strumenti, anche mediatici, e soprattutto economico-finanziari, che la Chiesa gli mette a disposizione, facendone un impiego perverso, cioè servendosi di essi non già per portare le anime a Cristo, ma per allontanarle, per disorientarle e respingerle.
Ma siccome è impensabile che il neoclero progressista e modernista non sappia perfettamente queste cose, dato che non occorre essere dei geni per capirle, non resta che l’altra spiegazione. Che esso segue la linea attuale non perché non sa, non vede e non comprende, ma perché sta portando avanti il suo sporco lavoro: seminare confusione, malintesi, e distruggere un po’ alla volta la fede cattolica. Il signor argentino ha sfruttato anche la solennità dell’Immacolata Concezione per parlare dei migranti, per mettere al centro il nostro “dovere” di accoglienza nei loro confronti; ha sostenuto che accogliere i migranti è il vero nodo di adorare l’Immacolata. Ora, non solo questo discorso è falso, teologicamente e moralmente; non solo è blasfemo, perché strumentalizza un dogma cattolico fra i più preziosi e venerati in chiave di propaganda spicciola filo-islamlista e filo-migrazionista, cio per far accettare agli italiani il destino dell’invasione e della loro sostituzione da parte degli africani giunti nella veste truffaldina di profughi, mentre non lo sono affatto; è anche un discorso inaccettabile sul piano della pura e semplice onestà intellettuale. Che c’entra l’Immacolata Concezione con la politica delle grandi banche e degli sceicchi del petrolio, convergente nel rovesciare sull’Europa e sull’Italia ondate su ondate di giovani islamici sani, forti e in età riproduttiva, facendoli passare per dei disperati che fuggono da guerre e fame, cosa che è vera, semmai, per una piccolissima minoranza di loro, i quali non vedono l’ora di poter tornare nella loro terra e dai loro cari, non appena finite le circostanze eccezionali che li hanno indotti a partire? L’ennesima strumentalizzazione della liturgia cattolica in chiave pro-migranti è, puramente e semplicemente, l’ennesimo abuso d’ufficio compiuto dal signore argentino e dalla setta modernista che ha imposto sulla Chiesa la propria tirannide. Egli non ha alcun diritto di usare il microfono, di usare l’ambone, di usare la chiesa, per dei fini che non sono attinenti alla sua funzione, né al suo magistero, né, soprattutto, coerenti con la dottrina cattolica e con la fede del popolo cristiano. Se lo fa, lo fa in maniera illecita, abusiva e truffaldina: approfitta dell’altissima posizione che si trova indegnamente ad occupare, per portare avanti il compito che gli è stato dato al momento della sua elezione, da parte della mafia di San Gallo: protestantizzare la chiesa; relativizzare la sua dottrina morale; umanizzare Cristo e il sacrificio della Messa; favorire l’africanizzazione e l’islamizzazione dell’Italia e dell’Europa; arrivare a una piena e incondizionata accettazione delle pratiche del mondo moderno, fondate sull’edonismo, il materialismo e l’antropocentrismo. Un ben tristo compito, che il signore argentino, incurante di tutto, ma divorato da una smisurata ambizione e da un narcisismo patologico, sta attuando a tappe forzate, secondo l’agenda che gli è stata imposta, senza più preoccuparsi di salvare neanche le apparenze. E se qualcuno non è persuaso, se qualcuno si ostina a voler essere e rimanere cattolico, egli lo tratta da miscredente e da sovversivo: lo fa commissariare, lo fa cacciare, lo fa scomunicare.
I vari Parolin, Bassetti, Galantino, Paglia, con i vari Tarquinio, Rizzolo, Sciortino, Spadaro, hanno l’immensa responsabilità di aver trasformato la stampa cattolica in una macchina potentissima di confusione e distruzione della fede, attraverso un’opera sistematica e capillare di alterazione e travisamento della vera dottrina.
Mai si era visto un simile abuso dell’autorità pontificia, dai tempi lontanissimi di Marozia, di Teofilatto e di papa Formoso: con due non piccole differenze. Primo, che quei papi indegni dell’alto medioevo non nascondevano la loro ambizione di potere e la loro avidità di ricchezze, mentre “Francesco”, come indegnamente ha scelto di chiamarsi, ostenta ogni giorno la sua povertà, la sua semplicità, la sua “vicinanza” alla gente: come se il compito del papa fosse quello di esser più vicino alla “gente” che a Dio. Secondo, che neppure quei papi indegni osarono toccare neanche uno iota della dottrina, non si permisero di modificare neanche una virgola della divina Rivelazione, così come il Magistero infallibilmente la custodisce; mentre il signore argentino spinge la sua tracotanza fino a voler “correggere” la Parola di Dio, modificando le parole del Padre Nostro. E per fare questo, e mille altre cose sconvenienti, blasfeme ed eretiche, perfidamente mescolate con cose e parole ortodosse, al preciso scopo di accrescere la confusione e di moltiplicare il disorientamento delle anime (ma dovrà rendere conto anche di questa sottile perfidia, che ha veramente qualcosa di diabolico), il signore argentino usa ed abusa di tutti gli strumenti, anche mediatici, e soprattutto economico-finanziari, che la Chiesa gli mette a disposizione, facendone un impiego perverso, cioè servendosi di essi non già per portare le anime a Cristo, ma per allontanarle, per disorientarle e respingerle. E i vari Parolin, Bassetti, Galantino, Paglia, dietro a lui lui; e i vari Tarquinio, Rizzolo, Sciortino, Spadaro, con l’immensa responsabilità di aver trasformato la stampa cattolica in una macchina potentissima di confusione e distruzione della fede, attraverso un’opera sistematica e capillare di alterazione e travisamento della vera dottrina. Al posto del curato d’Ars, ora come modello di prete aperto e dialogante abbiamo don Milani, cattivo maestro di rancore sociale e padre ideale del Forteto, tragico esperimento di cittadella degli abusi sodomitici, malamente camuffata da “famiglia” d’ispirazione cristiana; al posto della mistica Katharina Emmerick, abbiamo suor Teresa Forcades, quella che dice sì alle adozioni di bambini da parte del coppie gay, perché l’essenziale è l’amore; al posto di san Tommaso d’Aquino, abbiamo Karl Rahner e il suo discepolo Walter Kasper, oppure meglio ancora Enzo Bianchi, o magari Vito Mancuso.
In tutto questo c’è – per le persone in buona fede, beninteso; delle altre, non val la pena di parlare – un enorme fraintendimento, che parte dall’americanismo e dal modernismo del primo Novecento, e poi, poco dopo la metà del Novecento, esplode con la congiura del Concilio, nella quale lo spirito del mondo si prende la sua effimera rivincita sullo Spirito Santo. Lo spirito del mondo è il rifiuto di Cristo; il rifiuto di accettarlo come Maestro, come Redentore, come Via, Verità e Vita; unito all’orgoglio luciferino dell’uomo che vuol far da sé, che vuol creare il paradiso in terra, che vuol portare il progresso ed il benessere con le sue sole forze, in un orizzonte totalmente immanente. Questo è lo spirito del mondo; il non serviam (non servirò) di Lucifero, lanciato contro Dio, perché, adorando Dio e riconoscendo che ogni cosa viene da Lui, e che a Lui deve ritornare, all’uomo luciferino parrebbe di abbassarsi, di umiliarsi, cosa che non può accettare. Gesù lo aveva esplicitamente profetizzato (Giovanni, 3, 16-21):
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.
“Francesco”, come indegnamente ha scelto di chiamarsi, ostenta ogni giorno la sua povertà, la sua semplicità, la sua “vicinanza” alla gente: come se il compito del papa fosse quello di esser più vicino alla “gente” che a Dio.
Il fraintendimento essenziale
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