AMARE RATZINGER: IO LO SALVO.
VOI LO UCCIDETE. NON FATELO.
MA ANZI: SALVIAMOLO TUTTI INSIEME.
1. TUTTI I COMMENTI AI RILIEVI FATTI AL MIO ARTICOLO, QUI GENTILMENTE OSPITATO, SULLE CONDIZIONI INDISPENSABILIVOI LO UCCIDETE. NON FATELO.
MA ANZI: SALVIAMOLO TUTTI INSIEME.
E IMPRESCINDIBILI PER LA NASCITA IN TERRA DEL VERBO DI DIO.
Riguardo al mio recente articolo, ringrazio il caro amico che dirige il blog www.unavox.it per l’occasione offertami, di esporre convenientemente il mio pensiero su una delle più gravi problematiche – non la più grave, ma di certo la più ripugnante – sollevate da Joseph Ratzinger col suo Introduzione al cristianesimo, e mai smentite, come si vedrà al § 13.
2. SE CON L’ESIMIO SOGGETTO SIA STATA USATA, E CON LA DOVUTA GENEROSITÀ, LA NECESSARIA CARITAS.
Nei punti specifici: riguardo al timore che il sottoscritto abbia utilizzato la figura delle più diverse denominazioni e dei più vari titoli per apostrofare l’esimio Soggetto dei miei rilievi critici con dileggio e sarcasmo, e usare su di lui dunque un’ingiusta ironia, riporto le righe poste avanti alla prima pagina del mio saggio, così da chiarire l’intento con cui lì ho utilizzato quel comodo strumento lessicale, e mi scuso se non ho pensato che sarebbe stato utile dare il medesimo avviso anche in incipit all’articolo sulla Verginità di Maria:
Per potersi riferire con una certa comodità letteraria, senza cioè cadere in ripetizione cacofonica, all’autore del libro qui analizzato, a colui che fu apprezzato Professore in teologia all’Università di Tubinga, all’epoca il semplice monsignor Joseph Ratzinger, è stata spesso utilizzata la figura della sineddoche, per la quale si usa figuralmente una parola di significato più ampio o meno ampio di quella propria, sicché lo si chiamerà non solo “il Professore di Tubinga”, o “il Teologo di Tubinga”, ma anche semplicemente “il Professore”, “il Teologo”, “il Professore della Bavaria”, “il Bavarese”, “il Tedesco”, “l’Alemanno”, o semplicemente “Tubinga”.
Con l’uso di tale artificio, che voleva essere soltanto e del tutto innocentemente letterario, mi è stato secondariamente permesso di ricordare a lui – nel caso provvidenziale che avesse potuto avere tra le mani il mio lavoro –, ai miei lettori, ma specialmente ai responsabili del magistero odierno, che egli all’epoca rivestiva nella Chiesa una triplice veste: di monsignore, di professore e di teologo, cosa che gli permise di propagare fin dal cuore della Chiesa quei pericolosi e svianti insegnamenti con un’autorità non solo incensurata, ma anche ufficialmente ben riconosciuta e apprezzata.
Insomma: un gentile artificio letterario a volte aiuta anche a compiere un’opera di correzione fraterna severa e necessaria: ricordare a chi deve che, quando un’eresia si diffonde nella Chiesa, la responsabilità della catastrofe va sempre riconosciuta in tutta la sua estensione non solo nei suoi fautori diretti, ma anche in chi gli è a diverso titolo intorno e a chi ha permesso ai suoi responsabili primi di ricoprire gli abiti per travestirsi in modo tale da non esser subito riconosciuto, dagli innocenti agnelli e in generale da tutti gli armenti e le greggi, il lupo che era. Userò anche qui lo stesso metodo: almeno letterariamente, è davvero molto utile.
3. SE CON L’ESIMIO SOGGETTO SIA STATA USATA LA DOVUTA CARITAS ANCHE NEI TEMPI DI PUBBLICAZIONE DI UN’ANALISI CRITICA SULLA SUA TEOLOGIA.
C’è poi, sempre a riguardo della massima caritas da avere in una filialis correctio, l’obiezione per la quale ci si chiede se es-sa è caritatevole nei tempi e nei modi, posto che son passati ben cinquant’anni dalla pubblicazione della prima edizione in Germania di Einführung in das Christentum: Vorlesungen über das apostolische Glaubensbekenntnis, tradotto in Italia in Introduzioneal cristianesimo (Queriniana, Brescia 1969, con Nuovo Saggio introduttivo nel 2003, 2005; d’ora in poi Introduzione).
In primo luogo, riguardo ai tempi, un’obiezione è che la mia analisi critica avrebbe dovuto essere stata scritta prima, in modo da non pubblicarla a ridosso di una situazione in cui l’eminente Soggetto ha di certo grandi difficoltà a ricevere, valutare, soppesare e rispondere ai miei rilievi, ma si trovasse in una situazione personale più serena.
Ma questo è proprio ciò che è avvenuto. Mi si segua con pazienza e lo si vedrà insieme.
Infatti, nei lunghi anni che vanno dal Concilio al papato di Ratzinger, sia Amerio che il sottoscritto, come tutti, ritenevamo che il pensiero del Professore di Tubinga fosse sì intaccato da modernismo come soggetto passivo, ma non fosse egli stesso un soggetto attivo, tanto meno in un ruolo preminente, e non pensavamo, specialmente, che avesse sviluppato una sua personale e importante teoretica “da modernista”. All’epoca le tematiche da contrastare erano quelle sollevate da personalità ingombranti e prepotenti come Paolo VI, i mille della Nouvelle Théologie, i cardinali Martini, Lercaro e il sempiterno Ravasi, Papa Wojtyla, che spingevano tutti in particolare sul pedale dell’ecumenismo, della doppia salvezza ebraica, dello “spirito di Assisi” e altri temi simili.
Ma quando nel 2000 uscì la Dichiarazione Dominus Iesus firmata dal cardinale Ratzinger come Prefetto della sacra Congregazione per la dottrina della fede, mi affrettai a scriverne un’analisi critica, subito pubblicata dal periodico antimodernista Sì sì no no.
Terminate poi le tre impegnative Postfazioni ai primi tre volumi di quella che avrebbe dovuto essere l’Opera omnia di Romano Amerio secondo il piano propostomi nel 2009 da Lindau, cominciai a studiare la sterminata bibliografia favorevole e contraria su Ratzinger. Ma fu la pubblicazione, nel 2013, dell’Enciclica Lumen Fidei, a farmi decidere di indagarne a fondo il percorso, al di là dell’aura di intellettuale che ne corazzava gli erronei fondamenti agli occhi di tutti, e a riprendere in mano la Spe salvi, del 2007, su cui nessuno però aveva fatto alcun rilievo, a parte tre pagine di Sì sì no no(Anno 2018, n. 5) in cui venivano pubblicate le perplessità di un lettore, non tali però da suscitare un caso.
Sicché, a un anno dalla diffusione di Lumen Fidei e uno e mezzo dal passaggio del Trono da Papa Benedetto XVI a Papa Francesco, usciva nel 2014 La Chiesa ribaltata, il primo libro rigorosamente critico nei confronti del tutto nuovo Papa Argentino, libro che però, altrettanto decisamente, rilevava che dietro l’esplosione super-modernista di Papa Bergoglio era viva una radioattività ideologica di fondo, chiamiamola così, che accomunava le personalità del Tedesco e del Sudamericano, che solo ai più superficiali potevano parere così diverse che di più non si poteva, e se la rovinosa novità di Papa Francesco era capace di esacerbare gli animi più cattolici per la sua virulenza, dimostravo che l’origine di tanta deviazione dottrinale si trovava però proprio dove meno ce se lo sarebbe aspettato: proprio nell’elaborazione ideologica ultra-idealista di Benedetto XVI.
Sul Papa felicemente regnante pubblicai poi un secondo libro, StreetTheology, così possono tacitarsi le grida di chi mi accusa di occuparmi del niente e non del troppo, del santo e non del reprobo, e ciò ho fatto proprio per denunciare ciò che ancora nessuno, a tutt’oggi, ha mai fatto: la scristianizzazione come Grande Fuga dalla realtà della Chiesa post moderna dal Concilio Vaticano II a Papa Francesco, come recita il sottotitolo del libro, editato nel 2016 da Fede & Cultura.
Quindi è stato proprio tutto il mio impegno a rigettare con gli argomenti più sostanziosi le sciagurate aberrazioni di Papa Bergoglio a condurmi a riscontrare alcune delle loro cause – non tutte, ma alcune anche tra le principali – nelle linee teoretiche tirate cinquant’anni prima dal suo Predecessore, allo stesso modo che si può dire che se è vero che le mine che esplodono sotto i nostri piedi sono state messe da Papa Bergoglio, però il loro progetto e il loro marchio di fabbrica si deve a Papa Ratzinger, e ciò sia quando questi era ancora uno sconosciuto professore di un’università di Baviera, sia poi come Papa, v. in specie i nn. 45-6-7 della Spe salvi.
Ciò per chiarire che la denuncia di quelle che chi scrive dimostra essere eresie, e gravi, del Teologo di Tubinga, non inizia dal 2017, allorché fu inviato al mite Vegliardo la prima copia di Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo (d’ora in poi Al cuore) ma dal 2014, allorché la Gondolin (marchio di Fede & Cultura) pubblicò il mio La Chiesa ribaltata.
Per cui, sul fronte della “correctio filialis”, sarebbe semmai chi scrive a dover riscontrare una gran freddezza da parte delle Gerarchie, che in questi anni non hanno mai ritenuto in alcun modo necessario dover correggere nulla di quanto potesse esserci di erroneo in quelle mie pagine.
E anche questo è significativo, perché quando la Chiesa ha ritenuto di dover prendere posizione su analoghe manifestazioni di perplessità, o di dissenso, o comunque di una qualche critica teologico-dottrinale verso i suoi insegnamenti, l’ha sempre fatto, e ciò anche se i suoi critici erano semplici laici come chi scrive, v. a suo tempo il d’Azeglio, oggi i Maritain, i Severino, i Mancuso eccetera.
Ma anche verso Amerio le Gerarchie non opposero alcunché, né all’uscita di Iota unum, né a quella di Stat Veritas, che se possibile è libro ancor più duro, in quanto adversus un preciso magistero papale, la Lettera apostolica TertioMillennio adveniente, così dando luogo a una notevole perdita di carità, direi, da parte loro, se mi si permette di esprimere un dispiacere, sia verso l’autore e i suoi eventuali errori, sia verso i non pochi fedeli che potevano esserne stati contagiati.
4. SE A DIO FOSSE NECESSARIO, O SOLO CONVENIENTE, CHE GESÙ' CRISTO NASCESSE DA UNA VERGINE.
In merito ai rilievi di contenuto che mi vengon fatti, iniziamo da quello per cui non pare corretto dire che a Dio fosse stato “necessario”, nell’ambito della via da compiersi per redimere gli uomini attraverso l’Incarnazione del Figlio di Dio in Gesù Cristo, un concepimento virginale, perché il termine “necessario” toglierebbe a Dio la libertà e la potenza infinite sue proprie, giacché, come dice sant’Agostino, « a Dio non mancano i mezzi » (13 De Trin., c. 10).
Vediamo in primo luogo di cosa si sta parlando.
Il professor Ratzinger, in Introduzione, p. 265, scrive: « la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Ge-sù fosse nato da un matrimonio umano ».
In merito ai rilievi di contenuto che mi vengon fatti, iniziamo da quello per cui non pare corretto dire che a Dio fosse stato “necessario”, nell’ambito della via da compiersi per redimere gli uomini attraverso l’Incarnazione del Figlio di Dio in Gesù Cristo, un concepimento virginale, perché il termine “necessario” toglierebbe a Dio la libertà e la potenza infinite sue proprie, giacché, come dice sant’Agostino, « a Dio non mancano i mezzi » (13 De Trin., c. 10).
Vediamo in primo luogo di cosa si sta parlando.
Il professor Ratzinger, in Introduzione, p. 265, scrive: « la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Ge-sù fosse nato da un matrimonio umano ».
Diradiamo subito ogni fraintendimento sul problema del contesto: siamo tutti d’accordo che il Teologo abbia inserito il concetto dibattuto all’interno di un ragionamento in cui avvicina quelle che chiama « le confuse speranze dell’umanità nella vergine madre » (ibidem), e che generano le nascite dei vari “figli di dèi” elaborati nei miti pagani, alla vera nascita del vero Figlio di Dio come realizzatasi in Gesù Cristo.
Ma come mai Ratzinger fa questo accostamento? Perché vuole rilevare: « nei testi pagani, la divinità appare quasi sempre come una potenza fecondante, generatrice, ossia sotto un aspetto più o meno sessuale e quindi come ‘padre’ in senso fisico del bimbo redentore » (ibidem). E conclude: « Nulla di tutto ciò … nel Nuovo Testamento ». Ed è qui che il Teologo voleva arrivare.
Sì, perché l’Autore di Introduzione è un teologo, non un antropologo, e sta facendo teologia, non antropologia: a lui dei miti pagani non gli interessa niente, se non un punto: che la mitologica divinità pagana sarebbe comunque una deità « fecondante, generatrice », e, precisamente per questa sua qualità, ritiene di poterla contrapporre frontalmente a Dio, al Dio vero, tanto da poter concludere: « Nulla di tutto ciò » si compie nel Nuovo Testamento, ossia: nel Nuovo Testamento, al contrario degli dèi dei miti pagani, Dio non compie alcuna azione « fecondante, generatrice ».
Per il Teologo di Tubinga, stando al Nuovo Testamento, Dio non compie alcuna azione miracolosa attraverso cui il grembo virginale di Maria viene fecondato dallo Spirito Santo.
5. IL PROBLEMA VA VISTO SOTTO L’ASPETTO GENERALE: COSA VUOLE PROPORRE IL PROFESSOR RATZINGER, CON QUELLE DIECI PAGINE SULLA “NON NECESSITÀ” DI UN PARTO CHE SIA VIRGINALE DI MARIA SANTISSIMA?
Perché questa è la tesi di fondo del Teologo di Tubinga: che « Dio non diventa il padre biologico di Gesù » (ibidem).
In questo contesto, per supportare ancor più questa sua dottrina teologica escludente ogni intervento biologico di Dio su Maria, il Teologo inserisce la nozione discussa: « La figliolanza divina di Gesù – spiega –, secondo la fede ecclesiale, non poggia sul fatto che Gesù non abbia nessun padre terreno; la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano. Infatti, la figliolanza divina, di cui parla la fede, non è un fatto biologico, bensì ontologico; non è un processo avvenuto nel tempo, bensì nell’eternità di Dio: Dio è sempre Padre, Figlio e Spirito » (pp. 265-6).
Che « la figliolanza divina di Gesù », per ciò che riguarda la natura divina della persona ‘Gesù Cristo’, cioè per il Figlio di Dio, il Logos, o Verbum, o Pensiero del Padre, sia un fatto « ontologico », ossia un fatto avvenuto « nell’eternità di Dio », questo è indiscutibile: è il secondo dogma della nostra fede.
Ma quello che si legge di distorto, di inaccettabile, di erroneo, in queste righe, non è che per Ratzinger « la figliolanza divina » di Gesù si realizzi sul piano eterno e non su quello biologico terreno, il che è sacrosanto, ma che essa si realizzi esclusivamente sul piano eterno e in nessun modo su quello biologico-terreno: « l’essere-da-Dio – dice –, che viene indicato col termine ‘fisico’, non è inteso in senso generativo-biologico, ma sul piano dell’essere divino e della sua eternità » (p. 266), il che è giustissimo, solo se però gli si fa seguire un “essere-da-Dio” conforme e adeguato che Lo preservi dal peccato di Adamo allorché il suo essere divino si farà uomo in Gesù Cristo.
Non solo: egli è certo che di questo concetto, per cui ‘« la figliolanza divina di Gesù » non si concretizza anche con un inter-vento dello Spirito Santo su Maria vergine’ – concetto eretico, blasfemo e ripugnante, come si vedrà dagli anàtema che si rileveranno più avanti –, sia veicolo la stessa « fede ecclesiale »: “Non è un mio insegnamento – pare dire –; non è un mio modesto modo di vedere, ma è il pensiero della Chiesa.” Di cui lui, sul punto, non farebbe che segnalare il fondamento.
Ma attenzione: il Teologo parla di « fede ecclesiale », non di “dottrina ecclesiale”. E anche questo va rilevato: è tipico del fideismo parlare di fede invece che di dottrina, perché per il fideista la fede, al contrario della dottrina, fortunatamente non rimanda a un pensiero, ma a un generico sentimento che né vuole né può approfondire le ragioni su cui si fonda.
E difatti, che avviene? Che delle sue affermazioni der Professor non propone un argomento che sia uno: sono tutte apodittiche, “prendere o lasciare”. E posto che tutti i suoi lettori bevono le sue pagine come nettare distillato, nessuno obietta, e « la figliolanza divina », dovuta non ad altro che a processi avvenuti « nell’eternità di Dio », senza verificare se ciò sia il reale insegnamento del magistero, sia proprio la cosa da credere: è « la fede ecclesiale », Ratzinger dixit.
È per questo che il Professore può dire che « la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano »: perché ciò che avviene sul piano biologico-umano è ininfluente alla divinizzazione di Cristo, che è già ricoperto di divinità dall’eternità, nell’ontologia, nel rapporto ‘fisico’ dell’essenza eterna trinitaria; sicché Gesù, da Maria, riceve semplicemente l’umanità, a integrazione del suo essere “tutto uomo” e “tutto Dio”.
Ma se è ben vero che la divinità di Cristo è dall’eternità, un matrimonio umano di Maria ne infirmerebbe totalmente l’integrità, la purezza, il riconoscimento e la manifestazione.
Anche il termine greco ‘physis’ è utilizzato dal Professore per corroborare la sua dottrina che toglie al Padre ogni intervento miracolistico biologico-terreno: « Non c’è dubbio: la formula della filiazione divina ‘fisica’ di Gesù – spiega infatti, riferendosi esplicitamente a Lc 1,35 – è quanto mai infelice e ambigua. … L’aggettivo ‘fisico’ è qui inteso nel senso dell’antico concetto di physis, ossia di natura o, meglio, di essenza. Esso denota ciò che appartiene all’essenza. Pertanto, l’espressione ‘filiazione fisica’ significa che Gesù è da Dio secondo l’essere e non soltanto secondo la coscienza » (l’autocoscienza di Cristo).
Con questa esegesi il Teologo sposta dal piano terreno-biologico all’eterno la “fisicità” della filiazione di Cristo dal Padre, così però compiendo un indebito scambio di fattori, perché dire “Gesù” non è dire “Logos”: “Gesù” rappresenta la natura umana, “Logos” la divina, e la filiazione di cui parla Lc 1,35 riguarda la prima natura, non la seconda: in questa seconda il “Logos” è “fisicamente”, essenzialmente figlio di Dio nell’eternità, secondo l’essere, come dice Ratzinger; ma, nella prima natura, “Gesù” è una filiazione che avviene in un momento preciso della storia, in una catena precisa di una specifica genealogia, con l’apporto di un preciso “principio attivo” maschile e di una ben individuata “materia” di un grembo femminile, per stare ai termini della Scuola: Gesù è il Seme divino che, nascosto nel seno della Vergine, farà rifiorire l’umanità “sostituendo” quello di Adamo (v. Rm 5,12).
È questo il qui pro quo compiuto dal Professore hegeliano, che, secondo i più classici canoni idealistici, fa correre sugli stessi binari ontologia e tempo, essere e storia, alla Heidegger, senza avvedersi che però, così impostando le cose, perde per strada pezzi fondamentali di realtà, pezzi che qui però, stando lontani dall’idealismo, noi si vedrà fra poco.
Introduzione al cristianesimo dedica dieci pagine all’articolo del Credo sul tema, e le intitola « Fu concepito di Spirito Santo, e nacque da Maria Vergine ». Esse sono dieci pagine tutte finalizzate a sostenere la tesi elaborata, per la quale Gesù non è “Figlio di Dio” per un intervento divino sul corpo di Maria, ma perché lo è da sempre: lo è ontologicamente, come fosse il Logos, lo è per essenza, ossia perché così è nella sua divina ed eterna natura. Ma ‘Gesù’ non è ‘Logos’: sono due nature diverse, hanno due origini diverse, che si incontrano in un’unica Persona, ma partendo da due ambiti radicalmente ben distinti.
Dunque Gesù – non il Logos: Gesù – deve avere un padre terreno. Anzi, posto che è stato sottratto ogni intervento miracoloso da parte di Dio, ha sicuramente un padre terreno, perché comunque un padre lo deve avere. Vogliamo dargli un nome, egregio Professore, a questo padre biologico terreno?
6. IDEALISMO HEGELIANO: QUESTO È IL CONTESTO ULTIMO DELL’ERETICA “NON NECESSITÀ” RATZINGERIANA DEL PARTO VIRGINALE DI MARIA SANTISSIMA.
Questa è la dottrina del Professore. È una dottrina hegeliana, idealista, pur se l’Autore cerca di negare il suo idealismo, e anzi: è una dottrina “ultra-idealista”, come mi soffermo a illustrare in più punti del mio lavoro, cui rimando, così da permettere al lettore di inquadrare il pensiero ratzingeriano nel rapporto molto heideggeriano tra essere e tempo in Dio.
È una dottrina cioè che non sopporta alcun apparentamento col reale, ma, anche nello sviluppo svolto dal Professore in questo suo libro volutamente programmatico, in tutti i punti topici in cui si dispiega si appoggia solo su idee, su nozioni senza agganci col reale: se si percorrono le pagine della mia indagine critica ci si imbatterà almeno una mezza dozzina di volte in questi “piloni” di idealismo ratzingeriano, e i più drammatici, oltre al presente, silenzioso, ma non per questo meno reale dissolvimento del parto miracoloso da una vergine, da lui dato per inutile, anzi, con tutta probabilità avvenuto, per lui, nelle modalità più naturali con cui può avvenire un parto, sono quelli dove il Teologo dissolve Inferno, Purgatorio e Paradiso, ed è qui che va contestualizzato in tutto il suo più vasto dispiegamento il convincimento sul tema specifico del Professore, che non parla mai a caso, e, se è restio, come nel nostro caso, non è mai restio a caso.
E con questo abbiamo chiarito come e dove va contestualizzata la disponibilità del Professore di Tubinga a ciò che lui ritiene una niente affatto decisiva necessità di avere un parto virginale per dare alla luce il Figlio di Dio: per capire il pensiero di un teologo, infatti, bisogna inserire le sue parole nell’orizzonte finale della sua teologia, bisogna capire quali sono le prospettive teologiche che si prefigge, qual è il motore ideologico che lo muove, la Scuola cui si riferisce, tutte cose sempre presenti in tutti, specie in chi, come lui precisamente in quel suo libro, si prefigge di porsi a gran Caposcuola di nuovi, suadenti e aurei punti di vista.
Ovviamente, non posso qui dispiegarne tutti i motivi, gli argomenti, le concatenazioni logiche eccetera, tutte cose che si trovano nel mio saggio, che attende solo di essere letto.
Naturalmente, il Professore si guarda bene dal dire esplicitamente qual è la logica conseguenza dei suoi convincimenti per ottenere il concepimento di un uomo, posto che ha escluso l’intervento divino per fecondare il grembo della donna, giacché, se lo avesse fatto, in primo luogo avrebbe dovuto lui stesso guardare in faccia la realtà, e con ciò avrebbe dovuto abbandonare la struttura ideologica cui si era dato anima e corpo, l’hegelismo heideggeriano appunto, che tanto lo aveva convinto, per non dire che certo poi si sarebbero presto abbattuti su di lui i fulmini della più comprensibile e automatica censura ecclesiastica, anche perché il dogma al proposito è chiaro, come ben si vedrà.
Se però non lo dice apertamente, lo dice con le formule viste sopra, che però non spiegano cosa avviene biologicamente in Maria, una volta escluso l’intervento biologico di Dio:
« La figliolanza divina di Gesù non poggia sul fatto che Gesù non abbia nessun padre terreno »;
« la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano »;
« la figliolanza divina non è un fatto biologico, bensì ontologico; non è un processo avvenuto nel tempo, bensì nell’eternità di Dio ».
« la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano »;
« la figliolanza divina non è un fatto biologico, bensì ontologico; non è un processo avvenuto nel tempo, bensì nell’eternità di Dio ».
Se ci si bada, riguardandole a una a una, le sue sono tutte “affermazioni per negazione”, ossia affermazioni che permettono al loro autore di non avere limpidamente, in tutta evidenza, il chiaro volto del pensiero affermato, ma di averlo solo con quel “non” davanti, solo di spalle, per così dire, il che serve a tutti – autore, lettori e censori – a nascondersi il concetto la cui vista sarebbe pericolosa, li pietrificherebbe come li avrebbe pietrificati Medusa (e quando si guarda in faccia, p. es., un proprio possibile errore, si è sempre come pietrificati, e tanto più lo si è, quanto più gravi se ne vedono le conseguenze, i serpenti di Medusa), così da guardare quel concetto solo di riflesso, come fosse di specchio, e così “uccidere Medusa”, la scabrosità cui porterebbe l’affermazione se fosse espressa in tutta la sua violenza affermativa, senza dover entrare responsabilmente in scottanti dettagli che però, per chi vuole affrontarli, si possono serenamente indovinare: la sposa c’è, lo sposo anche, cosa resta da fare?
“Ad accreditare il nuovo pargolo come ‘Figlio di Dio’ ci penserà poi Dio – si sarà detto il Teologo –, saprà certo Lui come fare, è un problema che al momento non ho considerato, non mi pare essenziale.” Non risulta infatti che il Professor Ratzinger abbia descritto o almeno accennato, nel libro, a come si sarebbero svolte le cose sul piano strettamente naturale, fisico, biologico, senza l’intervento divino.
Il che però comporta, come logica conseguenza, che, non essendo Dio intervenuto biologicamente, ossia, come dice il Teologo, non essendo Egli intervenuto nel tempo, chi è intervenuto al posto suo? chi è intervenuto nel tempo? Perché qualcuno deve pur essere intervenuto. O Maria santissima il Figlio di Dio se lo è fatto da sola?
Ma se il Teologo non lo dice apertamente, cosa facciamo noi? aspettiamo che qualcuno ce lo dica al posto suo? ce lo figuriamo da soli, senza dircelo apertamente neppure noi? oppure ce lo diciamo, prendendo il coraggio a quattro mani, dando così la conclusione più semplice e ovvia, e ognuno poi scelga i sentimenti che preferisce avere nel cuore: sommo disgusto, gratitudine immensa, stupefazione massima, incontenibile sdegno, secondo l’orientamento che si desidera avere verso Dio (Deus Trinitas first?), verso Maria santissima, verso lo splendore del dogma, verso la Chiesa, verso se stessi medesimi, verso, in generale, la vita, il mondo.
Un altro modo che, al Professore che non ammette di essere l’hegeliano che è, permette ancora di non guardare in faccia la realtà delle proprie affermazioni, è di fare le affermazioni più delicate in forma di domanda, e poi lasciar lì la domanda senza alcuna risposta, come farà anche da Papa in Spe salvi, v. le mie pagine sulla cosa sia in Al cuore che in Qualcuno si è accorto…: il Teologo ultra-idealista pone il problema, solleva cioè il dubbio, cui è attaccato come a inaffondabile fondamento, sicché, a fronte della contraddizione posta, alla tesi/antitesi, prende l’aire l’antinomia, il paradosso, nella più piena disponibilità eraclitea, che però, dice il Greco, è la molla della storia, e, per Ratzinger, della fede.
Invito i miei critici a prendere atto della matrice solidamente hegeliana, anzi: ultra-idealista, del Teologo di Tubinga, e ciò fare non per scarnificare qualche nemico che non c’è, ma per prendere atto della realtà delle cose e mettere lo stimatissimo Autore di tali mortali convinzioni sull’avviso del grave pericolo in cui si trova, trovandosi sospeso nella più vuota e siderale irrealtà in cui possa trovarsi un uomo.
7. SULLA NECESSITÀ, O INVECE SEMPLICE OPPORTUNITÀ, CHE IL PARTO DI GESÙ CRISTO FOSSE DA UNA VERGINE,
A questo punto possiamo vedere direttamente il problema per cui ci si chiede se nel piano di Dio “fosse necessario” o invece solo “conveniente” che il concepimento del suo dilettissimo Figlio fosse compiuto in una vergine.
In realtà, il verbo di cui mi si imputa l’uso improprio l’ha usato san Tommaso, e ciò ha fatto a proposito di un evento precedente il parto di Cristo, ma che lo presuppose necessariamente, trattandosi del concepimento ‘senza macchia di peccato’ della Donna che avrebbe portato nel grembo e poi partorito quell’Uomo che, come “nuova creazione”, non solo non doveva avere la minima traccia in sé del peccato di Adamo, cosa questa di cui però l’Aquinate, lo si vedrà, non avrebbe riconosciuto alla Donna alcuna responsabilità, ma doveva presentare comunque una sua specifica qualità: « La purificazione previa della Beata Vergine – spiega infatti – non era richiesta per scongiurare la trasmissione del peccato originale; ma perché era necessario [“oportebat”] che la Madre di Dio splendesse del massimo candore. Infatti nessun essere è degno ricettacolo di Dio, se non è puro, secondo il Salmista: “Alla tua casa, Signore, si conviene la santità (Sal 92,5)» (S. Th., I-II, 81, 5, ad 3).
Il Santo dice « oportebat », tradotto da p. Tito Sante Centi, Curatore dell’edizione, in « era necessario », nel senso forte di “occorreva”, o “non poteva avvenire diversamente”, e non nel senso possibilista di “era opportuno”, “era utile”, perché questo secondo senso avrebbe potuto far pensare che Dio, in quell’occasione, avrebbe potuto fare un’altra scelta, ma non è così, perché, se è vero che Dio non è costretto da nulla che non sia se stesso medesimo, è altrettanto vero che una certa scelta si rende necessaria, inevitabile, obbligatoria, nell’ambito di un percorso da Lui stesso previamente de-terminato e disegnato dall’eternità, qui quello della Redenzione dell’uomo peccatore attraverso l’Incarnazione di suo Figlio, cui però non deve giungere il peccato originale compiuto da Adamo, pena l’infezione di peccato proprio in Chi dal peccato ha la missione di redimere.
Lo stesso san Tommaso, proprio a proposito della distinzione che qui si fa, riguardo alle scelte compiute da Dio, tra l’opportunità di attuare o non attuare un certo disegno, e, all’interno di tale attuazione, la necessità di fargli compiere un certo percorso invece di un altro, spiega (S. Th., III, 1, 2):
A un fine può essere necessario un mezzo in due modi: o così che senza di esso non si possa ottenere il fine, com’è necessario il cibo alla conservazione della vita umana; o così che il mezzo agevoli il raggiungimento del fine, com’è necessario un cavallo per un viaggio. Ebbene l’Incarnazione di Dio non era necessaria per la redenzione della natura umana nel primo modo, potendo Dio redimerci con la sua onnipotenza in molte altre maniere. L’Incarnazione era invece necessaria per la redenzione umana nella seconda maniera. Di qui le parole di S. Agostino: « Dimostriamo che a Dio non mancavano altri mezzi, perché tutto sottostà ugualmente al suo potere; ma per sanare la nostra miseria non ne ebbe un altro più conveniente » (13 De Trin., c. 10).
Ora, il Dottore dice che anche la “seconda maniera” può richiedere la necessità di qualcosa. E qual è la necessità di un cavallo, nell’esempio che fa di un viaggio? Non è la comodità, se il viaggiatore cammina da sé, perché la comodità è conveniente, è utile, ma non indispensabile; però può esserlo il tempo: se il viaggiatore deve arrivare entro una certa data, e se non vi arriva diventa inutile il suo viaggio, ecco che allora il cavallo diventa indispensabile.
Ed è precisamente in questa seconda ottica, ma solo con le distinzioni qui fatte, che vale la tomistica “necessità di seconda maniera”, per la quale il mezzo permette il raggiungimento di un esito altrimenti irraggiungibile, che il Doctor Communis usa il concetto di necessità riguardo all’immacolatezza di Maria Vergine: perché solo in tal modo la purezza della sua anima è degna di ricevere il Purissimo che abita i Cieli.
Ed è precisamente nella medesima accezione che chi scrive usa il concetto di necessità, a sua volta, nell’usare il mezzo atto a conseguire il fine preordinato, con l’intervento miracoloso di Dio che determina nella Vergine la sola condizione che le avrebbe permesso, già splendidamente immacolata nell’anima, di ricevere nel santo grembo il Figlio di Dio senza essere toccata da alcun uomo, da alcun essere impuro che le avrebbe trasmesso la prima impurità della colpa d’Adamo.
Ma il Teologo di Tubinga non crede all’esistenza del peccato originale, né di Adamo, né di tutto ciò che è descritto in Genesi. Tutto il mio Al cuore analizza e rileva le gravi problematiche sollevate dalla teologia dell’Alemanno, da lui mai smentite, anzi confermate più volte, come già detto.
Sicché, per concludere, la traduzione vista dei Domenicani, che troviamo nel contesto della concezione virginale di Maria, è estremamente corretta, anzi: è proprio “necessaria”.
Vediamo ora come si giunge a riconoscere « necessario » il concepimento virginale di Cristo ed eretico il pensiero contrario, come è eretico anche solo ritenere possibile che « la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano », giacché la Chiesa si è espressa da sempre in contrario (IV Conc. Laterano: « Gesù Cristo, incarnatosi per l’opera di tutta la Trinità, concepito da Maria sempre vergine con la cooperazione dello Spirito Santo… », Definizione contro gli Albigesi e i Catari, Denz 801; Conc. Tridentino: « [Volendo] ammonire tutti e ciascuno individualmente, coloro che fino a oggi hanno affermato, insegnato o creduto che … nostro Signore … non è stato concepito nell’utero della beatissima e sempre Vergine Maria in virtù dello Spirito Santo, ma, come gli altri uomini, dal seme di Giuseppe, … », Denz 1880).
Ora, per le ragioni viste, così come l’Aquinate ritenne giusto dare come necessaria la concezione immacolata della Madre di Dio, tanto più dovremo ritenere necessaria la concezione virginale di Cristo, essendo Dio Lui stesso: questo è un classico “entimema dimostrativo”: ‘un ragionamento che trae le sue conclusioni da premesse sulle quali esiste già l’accordo’, qui la concezione virginale di Maria.
Se infatti san Tommaso sostiene essere per Dio « necessario » che Maria, nella sua anima, « splendesse del massimo candore », tanto più è da ritenere « necessario » che tale « massimo candore » splenda sull’uomo-Dio Cristo Gesù, preservandolo dalla macchia del peccato originale portata da un padre terreno che lo avrebbe contagiato.
Perché “tanto più”? Perché, mentre la necessità del candore di Maria è dovuta al fatto di presentarsi con la purezza dovuta alla dignità richiesta a colei che è stata scelta a essere il Trono di Dio in terra, quella della concezione virginale di Gesù Cristo nel suo grembo è dovuta alla necessità di non trasmettere in esso il peccato di Adamo, come spiega san Tommaso allorché esamina il quesito corrispondente: Se peccando Eva, e non Adamo, i figli avrebbero contratto il peccato originale: « Nella generazione – risponde il Santo – il principio attivo deriva dal padre, mentre la madre somministra la materia. Perciò il peccato originale non si contrae dalla madre, ma dal padre » (S. Th., I-II, 81, 5).
E con questo ho risposto a ogni perplessità che si poteva avere su un termine il cui uso poteva sembrare improprio.
Ma temo che la discussione su questo punto serva solo a distogliere l’attenzione dal cuore del problema, e il cuore è che il Teologo di Tubinga sostiene senza mezzi termini che l’intervento dello Spirito Santo sulla Vergine Maria non sia stato affatto “necessario” all’attuazione del disegno di Dio, ma neanche solo “conveniente”, certo comunque non “convenientissimo” (« convenientissimum », come scrive il Dottore Angelico in S. Th., III, 31, 4), e comunque mai ammettendo il contrario, perché in ogni caso, ossia lasca o costringente che sia ritenuta la volontà di Dio, « la dottrina della divinità di Gesù – sostiene il Professore – non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano », ossia se Dio non lo avesse ritenuto neanche “opportuno”, “conveniente”, per non dire persino soltanto “utile”, giacché la realtà è tutta un’altra: Gesù Cristo, per il Prof Ratzinger, poteva essere Dio, e tale riconosciuto dagli uomini, anche se fosse nato da un coniu-gio umano, con l’unione fecondante di un uomo con una donna.Questo è il cuore del problema.
E ne è il cuore, questo, perché dalla liquidazione della necessità, od opportunità, o convenienza, o utilità, della figliolanza virginale del Figlio di Dio, si deduce la possibilità, o fattibilità, o non sconvenienza che dunque il Figlio di Dio potesse nascere da un coniugio umano. Ossia, in altre parole, che il Figlio di Dio avrebbe potuto essere uno qualsiasi dei figli di Davide: il tuo, il mio, il suo, basta che venga da Davide, così da rispettare le genealogie di Matteo e Luca.
E questo, perché non parrebbe sconveniente che così si aggiri il problema che anche san Tommaso individua quando si chiede Se peccando Eva, e non Adamo, i figli avrebbero contratto il peccato originale, rispondendo come visto.
Non so se di tutto questo c’è da preoccuparsene, o da girarsi dall’altra parte, rasserenati e tranquilli, come al corrucciato re Acab consigliò la moglie Iezabel, ma qui tutta la Chiesa è silente e muta come pietra su un fatto davanti al quale invece il cuore, se ancora palpita, si stringe fino allo spasmo: non bastano i due chiarissimi anàtema della Chiesa sopra riportati, né le quattro ragioni di san Tommaso enumerate nella sua Summa al proposito, figuriamoci le miserabili considerazioni di un ipoanellide come chi scrive.
8. AMARE RATZINGER. CIOÈ SALVARLO, NON “UCCIDERLO”.
PARLARGLI, CONVINCERLO A RICREDERSI,
NON INVECE “NON DIRGLI NIENTE”.
C’ è ancora qualcuno che non mi vuole aiutare ad arrivare al più presto a parlare con l’eminentissimo Autore delle sciagurate pagine di Introduzione al cristianesimo, che non mi vuole aiutare a superare la stolida barriera oppostami subito dal Suo Segretario personale, monsignor Georg Gänswein, che non vuol saperne di mettere il venerando Professore davanti ai propri errori, in modo da rimuoverli al più presto e con tutta la carità necessaria, come ordina universalmente di fare, senza alcuna eccezione, il terribile Ez33,7-9?
Cosa dice il Profeta? Il Profeta usa parole dure, adatte al Vecchio Testamento, che quindi vanno modellate al nostro caso specifico, così che là dove noi leggeremmo “empio”, o, già in un lessico più neotestamentario, “peccatore”, penso si possa proporre “il mite ma errante Teologo”, così da avere il pensiero più appropriato alla specifica circostanza, senza nulla togliere alla forza decisiva della cosa:
Se io dico al mite ma errante Teologo: ‘Tu morrai’, e tu non parli per distogliere quel mite ma errante Teologo dalla sua condotta, egli, peccatore, morrà per la sua iniquità, ma della sua morte chiederò conto a te. Ma se tu avrai ammonito quel mite ma errante Teologo della sua condotta, perché si converta, ed egli non si converte, egli morrà per la sua ricercata devianza. Tu invece sarai salvo.
E il monito di Ezechiele è tanto più pertinente al caso Ratzinger, in quanto nel suo libro questi espone le sue devianze attraverso un’impostazione metodologica già di per sé molto consapevolmente deviata, il metodo storicista, tutto anticattolico, come spiego largamente nel mio libro, scelta da cui sgorgano poi tutte le altre dieci devianze che si diceva, riportate qui al termine anche di questo articolo.
Per concludere, va sottolineato che, ancora una volta, anche nel caso della convinzione qui analizzata del Professor Ratzinger: che sia assolutamente superfluo che il Figlio di Dio nasca da un grembo virginale invece che da un grembo fecondato in un coniugio umano, e della sua convinzione nascosta che in realtà, dietro questa convinzione dichiarata se ne nasconda un’altra inconfessabile, per la quale Gesù Cristo è davvero nato da un naturale coniugio umano, detto Teologo non solo devìa da un dogma primario della fede, e vi devìa con un metodo disdicevole prima di tutto per lui stesso, ma lo fa facendo saltare un ulteriore aggancio con la realtà, come già con tutti gli altri articoli di fede su cui si è espresso, in questo caso una realtà bio-spirituale, e ciò fa perché la sua mente rimane stretta alla scuola idealistica hegeliana, rigettata a parole, ma poi abbracciata, anzi superata agganciandola al Teilhardismo in un sistema tutto suo, in realtà un ircocervo, al quale chi scrive ha dato nome “Evoludenzione”, una crasi tra “evoluzione” e “Redenzione”, e invito a studiare con attenzione tutte le poche centinaia di pagine del mio Al cuore per rendersi conto almeno un minimo della cosa: l’Idealismo è la trappola, il laccio, la tagliola in cui mette la propria testa il Professore Tedesco. Il Teilhardismo è la coperta di foglie che nasconde (anche a se stesso) la propria sotterranea autodecapitazione, il proprio silenzioso suicidio.
Il risultato, la crasi, l’ircocervo è, appunto, il Ratzingerismo.
Ora, non è con un articolo o due che si può dimostrare la solidità di quanto asserisco: c’è un libro a farlo. Se non lo si legge, non ce se ne può né rendere conto, né però anche rigettare il rilievo come impertinente, o fallace, o ingeneroso.
E tutti coloro che, anonimi o meno che siano, insistono tanto su una mia presunta ingenerosità verso tanto Soggetto, se la prendano piuttosto con tutti quei Pastori che sono muti, sordi, ciechi e ingenerosi verso il loro esimio Confratello da ben cinquant’anni, idealisti, evoluzionisti e in genere modernisti come lui, come lui fuggitivi dalla realtà, intimoriti e atterriti come lui di quanto sono ben più avanti di loro, poveri e goffi cattolici, tutti gli altri: gli uomini “normali” del mondo, gli scienziati, i protestanti, i letterati, i filosofi, qualsiasi categoria va bene, purché non contaminata dal germe miracolistico, credulone, dogmatico, trinitariamente cattolico.
E mentre su questo generoso e troppo ardito blog che gentilmente mi ospita si agitano pochi cespugli e cespuglietti, ma che dico: pochi striminziti fili d’erba vocianti e guerreggianti tra loro, povera minutaglia, cosa fanno questi Pastori da cinquant’anni, intorno a Introduzione al cristianesimo, a un libro così cataclismatico, ma ancor più così pacificamente rasserenante, tranquillo e tranquillizzante, che appiana senza colpo ferire ogni picco di dramma presente in quello che sarebbe per la Rivelazione il tragico rapporto tra Dio e uomo, in specie se Dio Padre? cosa fanno attorno a Encicliche papali come Spe salvi, ancor più catastrofica, ma ancor più rappacificante con Dio, visto che serenamente, dolcemente, silenziosamente, abolisce persino l’Inferno?
In altre parole: loro di quel libro non se ne sono mai occupati, anzi ci sono cresciuti, ci hanno succhiato il latte, se ne sono satollati: è quello il loro Vangelo. Al resto, a quel po’ di rumore d’erba là fuori, ci penserà il vento, tranquilli.
9. FARE DI RATZINGER “IL CASO RATZINGER”.
È L’UNICO MODO PER SALVARLO.
E CON LUI, COME UN SOL UOMO, SALVARE LA CHIESA.
Il fatto è che di Ratzinger bisognerebbe fare, per far davvero del bene a lui – prima di tutto a lui –, e da lui far del bene a tutta la Chiesa, un “Caso Ratzinger”.
Perché questo di cui si parla è davvero un “Caso Ratzinger”! È “il caso”: una deviazione dall’ortodossia cattolica che più vaste e gravi, nel mondo, non ce ne sono mai state e neanche mai ce ne saranno, perché quello compiuto dal mite Teologo di Tubinga non è altro che il rattrappimento della Redenzione in nulla, il mutamento della più bella opera di Dio che mai avremmo potuto ammirare e che mai rifulgerà nei secoli, in una miserevole, irragionevole, e anche, diciamolo pure, molto stucchevole trasformazione di un po’ di fango in Dio, e nostro Signore Gesù ne sarebbe il collante.
Se dunque facciamo di Ratzinger, ora, subito, tutti insieme, “il Caso Ratzinger”, mostreremo di amarlo, di preoccuparci della sua felicità eterna, della sua vita. E con lui, nel più attento compimento del precetto dell’Apostolo di I Cor 12, 14b-26, amare la Chiesa, il Papa felicemente regnante, il ritorno della verità più trabocchevole nella Chiesa, così da ricostruire le chiese, che, senza Inferno e Redenzione, son senza più fedeli, usciti felici e spensierati a suicidarsi anch’essi.
* * *
10. LA SITUAZIONE.
Mentre Chiesa e civiltà da cinquant’anni si stanno serenamente suicidando senza dir niente a nessuno, in specie a se stesse (infatti, in ode al rigetto del programma tenuto da duemila anni: Deus Trinitas first, Dio Trinità è il primo, si suicida chi non ha Cristo, cuore della Trinità, al centro dei propri pensieri, e oggi anche la Chiesa non ha e non vuole avere Cristo al centro dei propri pensieri, suicidandosi), ecco: mentre dunque dilaga la morte morale e spirituale per tutta la Chiesa e la civiltà, i loro apologeti in sedicesimo giocano ancora ai soldatini e accusano di congiure, guerre, scontri e schieramenti armati quei due o tre miserelli che ancora si avvedono del pericolo e cercano nei modi più propri e fraterni di soccorrere e l’una e l’altra prima che tutti quei loro poveri cuori malati cessino di battere del tutto, confidando di riportare Chiesa e civiltà alla vita, nel Logos, nel Vangelo, così restituendo a Dio la dovuta Gloria, e a noi la sua grazia.
Frigido pacatoque animo, ho così replicato a tutti coloro che, giusto un anno fa, avevano espresso alcuni pareri contrari sul mio saggio e di recente alcune obiezioni su un mio articolo uscito su questo meritevole blog, estratto dagli ultimi paragrafi di quel libro, sulla necessità che il Messia nascesse da una Vergine e non da un comune coniugio umano, necessità ricusata da Joseph Ratzinger fin dai tempi del suo insegnamento all’università di Tubinga e portata da me a esempio – non il più pericoloso, ma il più ripugnante – della gravità delle innumerevoli distorsioni dottrinali propalate dal Professore da cinquant’anni (v. il § 16), mai da lui negate, anzi confermate più volte, come si vedrà al § 13, p. 6.
11. I MOTIVI PER CUI UN ANNO FA RITENNI OPPORTUNO PUBBLICARE UN’ANALISI CRITICA SULLA TEOLOGIA DI JOSEPH RATZINGER COME PROFESSORE A TUBINGA.
Faccio in primo luogo una considerazione: se tutti questi critici di ieri e di oggi avessero letto il libro, almeno non avrebbero mai detto che esso “fa parte di attacchi sistematici” all’interno “di una precisa regia” che “guida gli oppositori di papa Francesco”, perché avrebbero riconosciuto in tutta la lunghezza della sua stesura l’intenzione formale e finale che lo ha fatto nascere tre anni fa, e che non ha nulla a che fare con attacchi, accuse, opposizioni, guerre, strategie: questa intenzione formale e finale, che percorre nel sottosuolo questo come ogni altro mio scritto, non ha nulla a che vedere con le cattive intenzioni che mettono una contro l’altra armate le schiere degli eserciti, e non germogliano dal voler scoccare lunghi e appuntiti dardi, possibilmente letali, verso i propri Pastori, ma, tutt’al contrario, dal voler porgere loro, con il più pronto slancio, con la più appassionata disponibilità, una corda di sicurezza, una fune di salvataggio, perché a volte capita che anche i Pastori, nelle bufere che sconvolgono il mondo, sì, anche i Pastori possano trovarsi a esser travolti, o in pericolo, talora persino senza neppure poter vedere da dove esso viene, in che consiste, con che forza si abbatte, sicché può esser loro davvero fatale.
Anche i Pastori, a volte, ripeto, si trovano in frangenti pericolosi, per togliersi dai quali succede che non bastino le loro proprie forze, ma che abbiano bisogno di aiuto, e di corsa anche, ossia di qualcuno che li salvi, e che magari, con loro, salvi pure chi, più o meno ignaro, li sta seguendo.
Questo il motivo che mi spinse, tre anni fa, a prender tra le mani Introduzione al cristianesimo, il più teoretico di tutti i libri di Ratzinger, da lui scritto ancora nel 1968, capendo che era proprio quello il testo giusto per penetrare a fondo il cuore dell’Autore delle ultime due molto problematiche Lettere encicliche scritte da Papa Benedetto XVI, la Spe salvi e la Lumen Fidei – specie della prima, nei suoi nn. 45-7 –.
Infatti, da quelle due Encicliche, dai loro errori ben ammantellati e quasi furtivi, dalla loro esposizione implessa e contorta, traspariva, a mio avviso, nel loro augusto Autore, la figura di un uomo molto simile a quelli che sulle più verticali rocce dolomitiche si trovano bloccati tra dirupi scoscesi e passaggi da sesto superiore, sicché mi si rendeva necessario trovare un qualche suo testo, se c’era, che potesse delinearmene meglio i primi orizzonti, un testo programmatico, insomma, come facilmente elaborano personalità intellettualmente e religiosamente impegnate, qual era di certo l’uomo che mi si presentava come Papa Benedetto XVI.
Questo testo lo trovai facilmente. E fu un trauma. Un giorno scriverò, se il caso, delle peregrinazioni compiute dal sottoscritto tra Pastori e Pastori, e di come seguii, nei lunghi decenni che separano non solo il Professor Ratzinger, ma anche il sottoscritto, dalla culla culturale e religiosa che fu per me e per tanti come me la Chiesa degli anni Cinquanta.
La faccio breve: è il 2015, entro nelle pagine di Introduzione, e, con un secondo occhio, entro e trapasso pagina per pagina il cuore del suo Autore e insieme il cuore del 1968 nella “Chiesa-1968”. Mi sono spiegato? Rimasi sgomento per tutto il libro, che lessi più e più volte, perché non volevo credere a ciò che vi leggevo: com’è possibile che un Pastore del gregge di Cristo, di Cristo il Risorto, di Cristo lo Splendore della gloria del Padre, di Cristo il Re dei re della terra, possa dire: « Se il credente può vivere la sua fede unicamente e sempre librandosi sull’oceano del nulla, della tentazione e del dubbio, trovandosi assegnato il mare dell’incertezza come unico luogo possibile della sua fede » (Introduzione, p. 37), senza che al lettore gli si stringa il cuore per l’immane tragedia che gli si para davanti, su una scena che lui si aspettava invece quantomeno serena, promettente, se non addirittura sfavillante di vita, di ori, di luci e di splendori che nemmeno Re Sole?
E invece! Settantatre pagine di dubbi e controdubbi – le prime settantatre, cioè proprio quelle che impostano, in un libro, la sua tonalità – inondano con acque schiumose la Città della fede come la marea impietosa del più travolgente e muto scetticismo potrebbe sconvolgere oggi una nuova Atlantide. Ma se c’è tutta questa oscurità, cos’è che fece la fortuna del libro? Lo si vedrà fra poco. Però va detto che, date le premesse, esso mi si è presentato fin dal primo momento come un grido d’aiuto, tanto più amplificato in quanto inascoltato, reso muto, se si può dir così, dal non aver suscitato alcun riscontro (sul piano pubblico, naturalmente) da parte di nessuno dei mezzi di soccorso, chiamiamoli così, preposti alla necessaria assistenza da parte della Chiesa, e il motivo è presto detto: i soccorritori erano nelle stesse precise identiche condizioni, se non peggio, dei loro soccorendi.
Questo silenzioso grido d’aiuto, però, chi scrive non l’ha sentito uscire da nessun altro Pastore citato nel mio Al cuore, ma solo dal Professore di Tubinga: è lui che ha gridato, ed è lui che il mio libro cerca di soccorrere. Sì, perché dietro di lui, nel suo grido, ci son tutti gli altri, c’è il grido di tutti.
12. SE CON L’ESIMIO VEGLIARDO SIA STATA USATA TUTTA LA PIÙ DOVUTA OBIETTIVITÀ.
Mi spiego. Per “mettere in sicurezza” – come si dice tra alpinisti – la fede del Professore e dei suoi lettori, bisogna attaccarsi bene, con moschettoni e imbragature, ossia con i ragionamenti più rigorosi e sperimentati, alle funi e ai chiodi offerti da Dio nelle Sacre Scritture, nei dogmi e nelle verità a loro conseguenti che si trovano sulle rocce della grande storia della dottrina della Chiesa. Questo io ho fatto. Solo questo. E, citando riga per riga, pagina per pagina, le parole tutte “fuoripista” di Introduzione fino al limite della pedanteria, ma pedanteria rischiata solo per amore, per amicizia, e direi anzi proprio per affetto, ho “messo in sicurezza”, come si dice, ogni articolo trovato pericolante o persino fuori uso del libro, così da permettere a tutti coloro che si sarebbero avventurati per quei luoghi in futuro, e prima di tutto al suo Autore, di poter riprendere la strada più sicura e veloce, ossia la classica e antica strada sempre percorsa, per raggiungere il santo rifugio, la salvezza: Dio ss. Trinità.
Ai miei critici, ieri i Borghesi, i Caragliu, gli Arzillo, i Magister, i Tornielli, i Tosatti, i Valli, oggi tutti quei commentatori coperti, chissà perché, dai più pittoreschi pseudonimi, vorrei dire che dovrebbero tener conto che, in questa mia povera opera di salvataggio tentata in extremis, desideravo che comunque si potesse rilevare che di cose dottrinalmente pregevoli il libro indagato non ne era del tutto sprovvisto, come invece sarebbe potuto risultare in un’analisi compiuta da chi lo avesse affrontato con animo prevenuto, come dipingono i propri nemici chi si industria di avere nemici, sicché mi pregio di poterne far ammirare in piena luce, come ben meritano, quattro veri e propri suoi ammirevoli gioielli, che infatti ho chiamato uno rubino, un secondo diamante, il terzo zaffiro, il quarto ametista, tutti e quattro posti, nel mio saggio critico, nel dovuto risalto proprio verso la fine del mio libro, leggere per ammirare. E così, poi, anche capire.
Non si tratta quindi di essere abbarbicati a una scuola teologica o a un’altra, come sostengono i miei censori, p. es. a una scuola “bergogliesca” piuttosto che a una “ratzingeriana”, quasi che esse fossero l’analogo della dissimilitudine tra scuola domenicana e francescana, che si trovano entrambe in un orizzonte comunque cattolico, perché le sopraddette sono invece tutte e due, purtroppo, derivanti da un unico ceppo, e ceppo per niente cattolico, ma idealistico, cioè del tutto irrealistico, se pur attraverso due anche molto differenti modalità, e nessuna delle due segue la strada, i ferri, i chiodi, le corde e il tracciato ben esposti dalle indicazioni decretate da Papa Leone XIII nell’Æterni Patris: prima di tutto stare alle Sacre Scritture, e, da qui, stare ai dogmi, e infine, per la più corretta interpretazione di questi e di quelle, stare ai Padri e Dottori della Chiesa, specie san Tommaso. In sintesi: stare stretti tutti alla Norma normans, al Logos divino che, in Cristo-Dogma, tutto dirige, risolve, appiana.
Si tratta insomma di salvare invece che lasciar morire, di soccorrere con tutti i mezzi, presto e con gran determinazione, invece di scansarsi e proseguire per la propria strada, come quel fariseo e il levita. Per carità: Dio ce ne scampi.
Dicono che il kantismo non abbia inferto alla Chiesa e al suo sistema di pensiero una mazzata da cui non si è più riavuta. È vero il contrario, malgrado alcuni suoi solerti Pastori, negli anni, e anche alcuni suoi ardenti e preparati fedeli, v. il Gilson, si fossero impegnati a trovare strade per arginare e fiaccare gli assunti kantiani, o almeno aggirarli, se non persino conglobarli nel proprio, come provarono Rosmini e Bontadini, ma il magistero, la Cittadella, ha accusato il colpo, e ne è ancora stordita. Il libro del Professor Ratzinger ha il merito, purtroppo, di esserne un preclaro precipitato.
Il Teologo di Baviera ha voluto di proposito aprire, con quel suo libro, un nuovo percorso, un fuoripista, diremmo oggi, ma ciò ha fatto a suo rischio e pericolo, e non soltanto suo, ma di milioni di seminaristi, di preti, di studiosi, oggi vescovi, cardinali e direi anche Papi, e infatti si è trovato in situazioni scabrosissime, più volte mettendo sé e chi l’ha seguito in pericoli estremi, uno per tutti la rabbrividente ma convinta affermazione del futuro Papa che « la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano » (p. 265). È cattolico tutto ciò?
Non parliamo del resto: lo si vada a vedere nel mio lavoro, ma se gli Arzillo, i Borghesi, i Caragliu, i Tornielli, i Tosatti, i Valli eccetera, leggessero di un Radaelli che cancella la inerranza delle Sacre Scritture, l’Inferno, il Purgatorio, il Paradiso, il peccato, il demonio, la grazia, la Redenzione come Olocausto, la ss. Trinità come soggetto univocante eccetera, la verginità della Madonna come la condizione necessaria alla nascita del Figlio di Dio in Gesù Cristo, che penserebbero di lui? Cercherebbero o no di riportarlo alla ragione? O gli darebbero addosso come un nemico di Dio e degli uomini, e, dopo averlo lasciato semivivo in una poltiglia di sangue, se ne andrebbero soddisfatti per la loro strada paciosa, canticchiando magari dietro il fumo di una sigaretta?
Tra i miei critici vanno poi messi anche tutti quei non pochi signori del web e della carta che, laici e chierici, si guardan bene dal parlarne, restano silenziosi e muti, senza avvertire che il loro silenzio uccide più della spada, più della parola, come sa bene Amerio, e, nel nostro caso, uccide sia l’esimio Soggetto dei miei miserabili rilievi, che così non riceve l’aiuto necessario per salvarsi, sia il sottoscritto che osa quei rilievi, per l’appunto, in primo luogo per salvarlo.
Ma uccide anche essi stessi medesimi, forse, che, negando il loro prezioso contributo, si esimono dal far luce e a uno e all’altro, poi a tutti i fedeli, studiosi e lettori, a milioni, così facendo rei di mancate correzioni di miserabili empi, a valanga, che nel caso loro, sì, loro, fossero inaspettatamente loro nel vero, a ben leggere Ez 33,7-9, padre e cippo di ogni filiale correzione, nel caso, e il già ricordato Lc 10,25-37.
13. GRAVE PERSISTENZA DELL’ESIMIO SOGGETTO NELLA SVIANTE E FUORVIANTE TEOLOGIA ACATTOLICA DA LUI ELABORATA E INSEGNATA DA CINQUANT’ANNI.
Bisogna notare che il Prof di Tubinga, oltre ad aver allegato al suo libro, nel 2000, una nuova prefazione intitolata programmaticamente « Introduzione al cristianesimo » ieri, oggi, domani, in cui confermava con decisione quanto scritto trentadue anni prima (« L’orientamento di fondo era, a mio avviso, corretto. Da qui il mio coraggio oggi di porre ancora una volta il libro nelle mani dei lettori », p. 24), alzava il tiro, e di parecchio anche, facendo pubblicare nel 2007, come si disse, essendo stato eletto Papa col nome di Benedetto XVI, la Lettera enciclica Spe salvi, ai nn. 45-6-7 della quale riusciva persino a precisare, in un documento di magistero dunque ben più importante di un semplice libro, alcuni passaggi decisivi della sua tutta personale dottrina elaborata nel 1967 (se ne veda l’analisi critica nel mio articolo Qualcuno nella Chiesa si è accorto che nell’Enciclica Spe salvi Papa Ratzinger ha cancellato l’Inferno?, Aurea Domus, Milano 2018).
Infine, in un’intervista rilasciata nel 2016 a Jacques Servais sj, ossia a due anni dall’inaspettata Rinuncia, riconfermava pubblicamente la convinzione che la Redenzione come ‘riparazione della « offesa infinita fatta a Dio »’ resta cosa « difficilmente accettabile dall’uomo moderno », il che significa, non prendendo l’insigne Intervistato la posizione favorevole che avrebbe dovuto prendere, che è evidente che resta inaccettabile anche per lui, che è il vero “uomo moderno” che cita spesso anche nel libro quasi come suo alter ego.
Ma può un cattolico non accettare il dogma della ‘Redenzione in quanto Olocausto’? La dottrina della Chiesa dice di no, e nel mio lavoro è percorsa tutta la storia del dogma a tal proposito, che avalla ciò che il Professor Ratzinger non accetta. È solo un esempio. Ma in calce al presente articolo, come già al precedente, stendo la rosa di tutti gli articoli di fede a mio avviso silenziosamente ma con gran determinazione fatti a pezzi uno per uno dal “Ratzingerismo”.
Secondo Francesco Arzillo, riportato da Sandro Magister in Settimo cielo, lo stesso Ratzinger, il 12-2-07, quindi da Papa, avrebbe procurato gli argomenti per dimostrare quanto l’uomo avesse « una dimensione più ampia di quanto Kant e le filosofie postkantiane gli hanno attribuito »: « il metodo – spiega Papa Benedetto – che ci permette di conoscere sempre più a fondo le strutture razionali della materia ci rende sempre meno capaci di vedere la fonte di questa razionalità, la Ragione creatrice » cioè, se le parole hanno un senso, di vedere Dio.
E precisa: « La capacità di vedere le leggi dell’essere materiale ci rende incapaci di vedere il messaggio etico contenuto nell’essere ».
Ma questo non è appunto proprio l’assunto kantiano?
Ma attenzione: le pagine del mio Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo non rilevano tanto e solo la divergenza radicale tra la conformazione dell’impianto della fede cattolica e l’impostazione mentale generale ratzingeriana riscontrabile in quel suo saggio, ma, a una a una, le nozioni e le proposizioni teologiche specifiche e le cause formali (che è a dire l’impostazione teologica) che le hanno generate.
Questo lungo e insistito “fuoripista” dottrinale fu aperto a suo tempo dal Teologo di Tubinga per raggiungere nuovi paesaggi, nuove vette, attraverso una via più pervia – e ben più comprensibile a quello che lui chiama “l’uomo moderno”, nel quale però non è difficile ravvisare le sue sembianze –, un “fuoripista” dove finalmente, fuor di metafora, forse viene finalmente aggirato il Grande Problema del Male.
Ovviamente, non vi è riuscito, e anzi si è trovato coinvolto in problemi ancor più insuperabili, ciclopici, il più impervio dei quali è quello della distinzione delle Persone nella ss. Trinità, che genererà il semi-politeismo di Papa Francesco.
Non si contano le dottrine ribaltate, o travisate, o azzerate dal suo Introduzione, qui appena accennate, tutte elaborate per facilitare la comprensione, a quello che lui chiama “uomo moderno”, di un dogma per lui « inaccettabile » e che intanto, nel Novus Ordo Missæ, si è già come volatilizzato, come evidenzio ai §§ 39-43 di Al cuore.
E volete forse, a questo punto, che un qualsiasi amante della montagna un minimo conoscitore dei suoi pericoli, dei suoi trabocchetti, e però anche delle vie per arrivare sani e salvi al rifugio, non si fermi a dare un minimo di aiuto, anzi tutto l’aiuto necessario, a un alpinista in difficoltà?
Voi non lo avreste fatto?
Se poi ti si mette davanti una sentinella come Ezechiele, che dall’alto dei suoi terribili Cherubini ti fa sapere quale sarà la tua sorte nel caso tu non segua le divine direttive per il soccorso da dare all’infortunato, chiunque tu sia che passi per di là, se tu conosci la strada e non soccorri l’uomo c’è poco da nascondersi: ti dai un gran daffare, eccome, e con viva attenzione anche, e a costo della vita, rianche.
Il professor Borghesi, come poi il Caragliu, o l’Arzillo, e oggi tutti i nascosti o più o meno anonimi miei critici, è come non avessero letto il mio libro, se pur l’han fatto, perché non ne citano un rigo, non ne confutano neppure mezzo lemma, se non il termine “necessario” che ho usato anche nell’articolo precedente, a proposito del concepimento del Figlio di Dio, più avanti vedremo quanto a proposito.
Ma, per favore: se io sono in errore, me lo dimostrino, me lo segnalino, me lo argomentino con i dovuti appoggi scritturali, o dogmatici, o della Tradizione della Chiesa, e insomma mi aiutino a tirarmene fuori: punto per punto, esattamente come chi scrive, a sua volta, ha cercato e sta cercando di fare in tutti i modi con chi mi pare errare, se pur mio grande, mio riverito e mio caro Pastore. Con gran riconoscenza, se lo faranno, li ringrazierò per tutta la vita.
Ma i Borghesi eccetera non l’hanno letto, il libro che tanto li scandalizza, perché se solo ci provassero, a leggerlo dico, non si troverebbero davanti un moscerino come il sottoscritto, che è un niente, che è un nonnulla, ma si troverebbero davanti le mura altissime e inscalfibili della Città di Dio, le mura scoscese e imprendibili delle Sacre Scritture, dei dogmi, e delle diritte e preclare interpretazioni che delle prime e dei secondi offrono in æternum i santi Padri e Dot-tori della Chiesa, sant’Anselmo e san Tommaso in primis.
Perché di questo si tratta: i nonnulla come me è come non ci fossero, perché essi non fanno altro che segnare e risegnare le vie dove si può passare per non trovarsi a mal partito, perché le vie, le porte, i passaggi, ovvero quelle tre somme realtà qui indicate – Scritture, Dogmi e Tradizione –, son sempre quelli, son sempre gli stessi, non ce n’è altri.
14. L’ABERRANTE TEOLOGIA APERTA CINQUANT’ANNI FA DAL PROFESSORE DI TUBINGA JOSEPH RATZINGER.
Ma chi sta ora rigettando il mio libro senza averlo letto non sta facendo altro che cercar di percorrere strade nuove, quelle, nel caso, dette “Teologia dell’esperienza”, o “della Persona”, che è proprio la teologia tutta sviante e fuorviante tracciata a suo tempo dal Professor Ratzinger, prima e dopo di lui provata e apprezzata, con minime varianti, da molti altri grandi “apripista”, quali i Nouveaux Théologiens preconciliari, tutti i Papi da allora a oggi, o figure dirompenti, per dirne qualcuna, come il don Giussani, il cardinal Martini, il cardinal Bergoglio, oggi Papa felicemente regnante, e tanti altri, tutti attirati dal desiderio forse anche bellissimo, ma certo pure estremamente pericoloso, di mostrarsi comprensivi coi tempi odierni e con la cosiddetta modernità occidentale, desiderio che sarà certo buonissimo, per carità, ma il cui raggiungimento è anche, se ben guardato da vicino, ripieno di gravi incognite, di tremende asperità anticristiche, di rudi scabrosità teologali antitrinitarie, e specialmente di inaccessibili valichi profondamente antiliturgici, come mostra anche Antonio Livi nei suoi saggi, e chi qui scrive nei propri.
È proprio l’assunto ratzingeriano che non sta in piedi: il suo metodo storicista, fideistico, ultra-hegeliano, che volatilizza e poi annulla la realtà, e che converte la Rivelazione di Dio all’uomo nel suo opposto, ossia nella convinzione più grave che possa farsi: in una scoperta che l’uomo fa di Dio.
Il Caragliu, a chiusura della sua lunga dissertazione, lo sintetizza in due parole: « Ratzinger sostiene che quella di Dio – scrive il giurista ospite di Sandro Magister – rimane “l’ipotesi migliore, benché sia un’ipotesi” (J. Ratzinger, “L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture”, Siena 2005, p. 123) ». Ma dire che quella di Dio è “l’ipotesi migliore” vuol dire fondare la fede in Dio – credere Deum – comunque solo su un’ipotesi, che è a dire su un dubbio, come al fondo è ‘l’ipotesi’.
‘Ipotesi migliore’ non vuol dire affatto ‘realtà necessaria’, come è riconosciuta essere quella di Dio dalla fede cattolica, e dunque il costrutto di Ratzinger – e si noti: vergato proprio da lui Ratzinger, non dal suo apologeta – resta ipotetico, incerto, dubitoso, e dunque, come rilevo, purtroppo modernista, il che comunque fa cadere tutto il gran costrutto che prima il Caragliu vi aveva così laboriosamente edificato.
Ma dare il nome vero alle cose, come qui si fa, non è un atto cattivo, ma di bontà, perché vuole avvertire chi elabora quelle cose, della posizione estremamente pericolosa in cui si trova, come fosse in bilico su una strettissima cengia.
15. IL “RATZINGERISMO” VA INSERITO NELLA GUERRA CHE SI STA COMBATTENDO NELLA CHIESA A PARTIRE DAL CONCILIO VATICANO II: LA “GUERRA DELLE FORME”.
Niente frecce dunque, nel mio dire, nessun dardo acuminato, o meglio: tantissime frecce, sì, e la faretra ne è sempre piena, ma frecce di soccorso, perché io a tutte le mie frecce, ai miei dardi, spezzo la punta, e poi l’immergo, questa punta così spezzata, una per una, nella Legge dell’amore trinitario, e dico nella Legge, non dell’amore soltanto, perché è nella Legge che si trova l’amore, è nel comandamento, nel dogma e nel Cristo che sta la fiamma. E se qui si torna a parlare di frecce è perché effettivamente, sì: la guerra c’è, altro che se c’è, e che guerra, anche se nessuno ne parla, ma è guerra di cui chi scrive cerca di darne l’allarme da anni, da dieci lunghissimi anni: è la “Guerra delle Forme”, la sordida e macchinosa Guerra combattuta nella Chiesa da cinquant’anni, ossia appunto a partire dal fatidico concilio Vaticano II, per cercare di sopraffare il dogma, e tutti i santi e divini insegnamenti che ne seguono, senza darlo punto a vedere, aggirandoli, nascondendoli, omettendoli, e spingendoli tutti in luoghi dove nessuno li può vedere, oppure, là dove è proprio evidente l’impossibilità della loro secca soppressione, imbrogliandone la trama e tramutandone i disegni.
“Guerra delle Forme” perché la forma “pastorale” combatte la forma dogmatica, e la combatte appunto con i sistemi qui accennati, che il Professor Ratzinger ha utilizzato abbondantemente nel suo Introduzione al cristianesimo per nascondere anche a se stesso il molto avventato fuoripista tutto contro la Norma normans che aveva intrapreso, e sistemi che illustro per esteso da anni nei miei lavori: La Bellezza che ci salva, Il domani del Dogma, La Chiesa ribaltata, Che cosa può cambiare e che cosa non può cambiare nella dottrina della Chiesa (in Dogma e Pastorale), Street Theology, e ora per l’appunto in questo Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo.
Se si va al cuore dell’uno, infatti, si trapassa con un unico dardo il cuore dell’altro, perché i due cuori, quello di Ratzinger e quello del mondo (nel quale poi, come evidenzio abbondantemente in tutti i miei libri più recenti, specie in questo, c’è e batte anche quello di Papa Bergoglio), battono negli stessi sogni, per gli stessi desideri, nelle stesse angosce.
Siamo in un momento cruciale, siamo a una svolta della storia, della Chiesa, della civiltà, e tra le rare persone che forse possono ancora capirlo e afferrarne la portata, di questo momento cruciale, di questa svolta, si trova ancora proprio l’antico Professore di Tubinga, il novantunenne gran vegliardo Joseph Ratzinger, il quale ha anche il privilegio di avere in pugno la situazione come nessun altro, escluso il Papa felicemente regnante: un suo gesto infatti, se di giustizia, riporterebbe la Chiesa a manifestarsi per quello che è: la Polare del mondo, e dunque cambierebbe il mondo. Ma chi qui scrive ha illustrato bene e fino in fondo la cosa nelle ultimissime pagine del suo libro: l’Angelo del Gran Trapasso, l’Angelo la cui mano scrisse, su quelle tali famose e fastose pareti oggi da millenni sbriciolate, l’Avvertimento: il Grande Avvertimento dei tre imminenti destini, e ciò fece con infinito amore – avvertire è molto amare – e ha scritto anche oggi il suo fato. MENE. TEKEL. PERES. E così sarà: i tre destinatari della divina Sentenza – il Teologo di Tubinga, i milioni di Pastori della Chiesa, il Pontefice oggi felicemente regnante – tutti si prega ardentemente la ss. Vergine Maria, nostra materna Protettrice, che ne siano ora all’altezza.
* * *
16. QUESTE LE UNDICI PRINCIPALI DEVIAZIONI ERETICALI RILEVABILI NEL PENSIERO DI JOSEPH RATZINGER.
Per completezza, si riporta di seguito l’elenco delle undici più evidenti deviazioni dottrinali presenti in Introduzione al cristianesimo, mai sconfessate dal loro esimio Autore:
1), la deviazione più sorgiva e iniziale: adozione del modello fideistico kierkegaardiano, secondo cui è impossibile la conoscenza metafisica di Dio (v., in Al cuore, i §§ 11-21);
2), la più cataclismatica: conseguente ricorso ai postulati della ragion pratica: sostituzione delle ragioni per credere con la volontà di credere. Rimpiazzata in tal modo la teoria con la praxis, che però, come si sa, non è idonea al ragionamento, ma ne costituisce l’inciampo, cioè l’errore (v., in Al cuore, i §§ 7-10);
3), la più modernista: adozione del dubbio scettico fideista, cioè proprio di ciò che costituisce il più sicuro veicolo di in-certezza conoscitiva, a base della conoscenza, in primo luogo della conoscenza insegnataci dalla Chiesa: la conoscenza soprannaturale, o testimoniale, o per fede (v., in Al cuore, i §§ 11-6);
4), la più hegeliana: raddoppio del ruolo papale in “Papato attivo” e “Papato passivo” nell’ambito di un “Papato sinodale”, secondo il più classico e irragionevole, ossia irrealistico e anticattolico schema idealistico hegeliano di “tesi-antitesi-sintesi” (v., in Al cuore, il § 22).
5), la più assurda (ma ideologicamente conveniente): connotare Dio come “Dio Libertà”, caricandolo di tre aspetti di cui poi, per analogia, sarebbe portatore il mondo da Lui creato: incomprensibilità, inafferrabilità e imprevedibilità: proprio come la nozione di Dio tracciata prima da Maometto (!), e, novecento anni dopo, dagli Illuministi (v., in Al cuore, i §§ 24b-6);
6), LA PIÙ GRAVE: annientamento della Redenzione come ‘Sacrificio di Olocausto di Dio Figlio, in Gesù Cristo, a Dio Padre’, confermato nel 2016 – nell’intervista a Jacques Servais s.j. pubblicata anche dall’Osservatore Romano – come fatto « inaccettabile dall’uomo moderno », cioè, in realtà, dallo stesso Ratzinger (v., in Al cuore, i §§ 39-43 e i 62-5);
7), la più riduttiva: la convinzione che la Redenzione sia “il raggiungimento, in Cristo ‘Omega’, dell’uomo perfetto” di impronta teilhardiana (v., in Al cuore, i §§ 44-7);
8), la più devastante: cancellazione del concetto di peccato come “offesa a Dio”, poi del diavolo, dell’Inferno, del Purgatorio, del Paradiso, nonché della separazione finale e definitiva delle “persone pie” dalle persone “empie”, separazione, anche questa, « inaccettabile dall’uomo moderno », ossia sempre dallo stesso e medesimo Ratzinger (v., in Al cuore, i §§ 50-3);
9), la più anticattolica: la convinzione che le tre Persone della ss. Trinità « dialogano » tra loro, dando così luogo alla patente e incontrollata professione di politeismo di Papa Francesco-Bergoglio (v., in Al cuore, i §§ 55-60 e 66);
10), la più ripugnante: la convinzione che « la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano » (v., in Al cuore, i §§ 71);
11), la più ecumenista: la convinzione che la Chiesa, con le scissioni date dalle disobbedienze e dalle ribellioni degli eretici, sia stata « frazionata in molteplici chiese » (v., in Al cuore, il § 72).
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Non è così che si può piacere a Dio. Non è così che si diventa figli di Dio. Non è così che si vivrà in eterno con Dio.
Chi vuole salvare Ratzinger, ora sa cosa fare.
Lo faccia.
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Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, pro manuscripto, Aurea Domus, Milano 2017, pp. 370, è disponibile nelle librerie Àncora (Milano e Roma), Coletti (Roma), Hoepli (Mila-no), Leoniana (Roma). Oppure si può richiedere a: http:// enricomriaradaelli.it/emr/aureadomus/aureadomus.html.
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di Enrico Maria Radaelli
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