DOPO LO SCANDALO
Viganò, dimissioni "soft". Benedetto è il vero obiettivo
Dopo lo scandalo della lettera di Benedetto XVI e della foto manipolata, monsignor Viganò si dimette da "super-ministro" della Comunicazione, ma papa Francesco gli lascia un posto nello stesso Dicastero. Ma la vicenda personale di Viganò rischia di distogliere dalla vera partita che si sta giocando, la battaglia sulla morale e sui sacramenti, due capisaldi della fede cattolica.
IL CASO
Viganò si dimette, ma niente scuse a Benedetto XVI
Dopo lo scandalo della lettera di Benedetto XVI manipolata, monsignor Dario Viganò si dimette ma il Papa gli chiede di affiancare il nuovo prefetto per la Comunicazione. E intanto il cerchio magico arriva in soccorso sparando su papa Ratzinger.
Alla fine la lettera di dimissioni di monsignor Dario Edoardo Viganò da prefetto della Segreteria per la Comunicazione è arrivata; ma dopo aver concordato con il Papa stesso (come si evince dalla lettera di Viganò e dalla risposta di Francesco) una exit strategy. Il Papa ha infatti creato ad hoc per monsignor Viganò l’ufficio di Assessore per il Dicastero della Comunicazione così che l’ormai ex prefetto possa «dare il suo contributo umano e professionale al nuovo Prefetto», per portare a termine il progetto di riforma di tutto il sistema dei media vaticani che, dice papa Francesco, è «ormai giunto al tratto conclusivo».
Dunque bisognerà attendere la nomina del nuovo prefetto e le sue prime mosse per capire meglio se si tratta solo di una uscita “morbida” oppure un semplice spostamento per placare le polemiche e rimediare alla figuraccia planetaria ma lasciando monsignor Viganò a dirigere da dietro le quinte. Per ora, il tono delle due lettere fa propendere per la seconda ipotesi. Per spiegare la sua decisione di «farmi in disparte» Viganò fa riferimento alle «molte polemiche per il mio operato», una sintesi decisamente benevola e autoassolutoria.
Tanto per riassumere velocemente, l’operato in questione infatti comprende: tentativo di raggiro ai danni del Papa emerito, truffa nei confronti dell’opinione pubblica, violazione della privacy tramite diffusione di lettera riservata, falsificazione di lettera e foto, menzogne reiterate. A fronte di tutto questo dire che il problema siano le polemiche è a dir poco riduttivo, tanto più che nella lettera non c’è traccia di scuse: solo una lunga lode a papa Francesco e al suo progetto di riforma che non deve essere fermato da contrattempi del genere.
La risposta di papa Francesco è in perfetta sintonia, e subito mette in chiaro che accoglie le dimissioni «non senza qualche fatica», affermazione che si comprende dalle lodi sperticate che riserva a monsignor Viganò. Da qui l’invito a restare a disposizione del Dicastero per la Comunicazione nella nuova posizione di cui sopra.
Insomma, il pasticcio creato aveva provocato nel mondo un così grave danno d’immagine alla Santa Sede che qualcosa andava fatto, ma evidentemente si è scelto per il minimo possibile. Del resto ricordiamo che non è mai stata resa nota la lettera con cui Viganò aveva chiesto a Benedetto XVI un contributo per la collana “La teologia di Francesco”, cosa che farebbe piena luce anche sulla risposta del Papa emerito.
La vicenda personale di monsignor Viganò rischia però di nascondere la vera questione in gioco, che questo scandalo ha rivelato con chiarezza e che riguarda il Magistero della Chiesa. E soprattutto ha ben altri protagonisti oltre a Viganò.
Da cosa nasce infatti tutto l’imbroglio? Dal tentativo di affermare una lettura teologica del pontificato di Francesco in aperta contrapposizione con il magistero di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II facendola sponsorizzare proprio da papa Ratzinger, in nome di una presunta continuità. Un progetto perverso, che il Papa emerito ha immediatamente smascherato rifiutando di prestarsi all'operazione e facendo chiaro riferimento a uno dei protagonisti dei “volumetti” incriminati, quel Peter Hünermann del cui pensiero riferiamo nell’articolo di Luisella Scrosati (clicca qui). Ma certo non è il solo: basti ricordare che tra gli autori chiamati a celebrare il pontificato di Francesco c’è anche l’italiano Aristide Fumagalli, noto per le sue posizioni pro-gender.
Tutto perciò era stato costruito per poter annunciare al mondo che Benedetto non solo è il primo sostenitore di papa Francesco, ma ne condivide le linee teologiche secondo l’interpretazione data dai teologi chiamati a dar vita alla collana di 11 libretti al centro della vicenda. Sarebbe stato il delitto perfetto: Benedetto XVI che supporta una visione della morale e dei sacramenti in aperta contraddizione con quanto aveva sostenuto per decenni, prima da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e poi da Papa. Avesse firmato uno scritto secondo le intenzioni di Viganò, Benedetto XVI si sarebbe screditato da solo.
Si è trattato di un vero e proprio agguato, tanta è la considerazione e il rispetto per il Papa emerito. E infatti, nella lettera di dimissioni di monsignor Viganò neanche una parola di scuse nei confronti di papa Ratzinger, che è stato vergognosamente trascinato contro la sua volontà in questa tempesta mediatica. Al contrario, il “cerchio magico” è subito sceso in campo a sostegno di monsignor Viganò e soprattutto dell’operazione che punta a stravolgere la dottrina. Da Alberto Melloni ad Andrea Grillo (grande estimatore di Hünermann) è stato tutto uno sparare su Benedetto XVI; i puntuali appunti del Papa emerito all’attività anti-magistero di Hünermann ridotti a diatriba teologica, le bugie di Viganò elevate ad atto di carità nei confronti di Benedetto XVI. Una menzogna dopo l’altra. Il problema va ben oltre Viganò.
Riccardo Cascioli
CHI È HÜNERMANN
Il teologo che "odiava" Ratzinger
Il teologo tedesco autore di uno dei volumi celebrativi di papa Francesco sostiene una interpretazione della Amoris Laetitia in chiaro contrasto non solo con il magistero di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II, ma con tutta la Tradizione. Una lettura che demolisce l'impianto della morale cattolica.
Peter Hünermann
Come è noto, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Ed è altrettanto risaputo che al buon Dio non manchi il senso dell’umorismo. E così è avvenuto che la grande notizia che avrebbe dovuto sigillare definitivamente la continuità del Magistero del Pontefice regnante con quello del Pontefice emerito (e dei suoi predecessori), ha finito per porre davanti a tutti l’esatto contrario. Benedetto XVI curiosamente omette di parlare di una continuità “esteriore” e propone una non ben precisata continuità interiore. Ed indica anche in Peter Hünermann una specie di quintessenza dell’opposizione agli ultimi pontificati, fino al suo incluso.
Quelle di Benedetto XVI sono poche righe per cercare di blindare quanto è ormai da anni esposto al fuoco incrociato di nemici dichiarati e di tiratori franchi. Tre indicazioni in quelle poche righe, che dicono più di un’enciclica: Peter Hünermann, Kölner Erklärung, Veritatis Splendor. In altre parole: andate a vedere le critiche di Hünermann (e degli altri firmatari) contenute nella Dichiarazione di Colonia del 1989; fate attenzione soprattutto alla sua posizione nei confronti di Veritatis Splendor e dei temi etici, durante il periodo del pontificato di Giovanni Paolo II; unite i puntini e…
Andiamo con ordine. Anzitutto, una critica che Hünermann ha rivolto costantemente ai pronunciamenti etici del recente magistero, mirando principalmente su Humanae Vitae e Veritatis Splendor (l’altro bersaglio è la Dominus Iesus, che nel nostro discorso interessa meno) è che questi insegnamenti, estranei alla rivelazione, sarebbero stati imposti ai fedeli, ed in particolare ai teologi, come se si trattasse invece di insegnamenti contenuti nella rivelazione. Ratzinger, negli anni in cui era Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, dovette fare indigestione dei continui slogan virulenti contro l’operato della Congregazione: fondamentalismo, assolutismo, centralismo romano, etc. Hünermann ha sempre rimproverato il fatto che le cosiddette affermazioni “tenenda” (cioè da tenere, osservare, in quanto legate indissolubilmente alla rivelazione, ma non direttamente contenute in essa) fossero un’invenzione, rifiutata dal Vaticano II.
Ecco perché nella Dichiarazione di Colonia, dopo aver chiaramente espresso l’accusa che «i concetti di verità fondamentale e di rivelazione divina vengono usati dal Papa per sostenere una dottrina estremamente specifica che non può essere fondata né ricorrendo alla Sacra Scrittura né rifacendosi alla tradizione della Chiesa», i firmatari potevano affermare che «la norma sancita dall’enciclica Humane vitae del 1968 in materia di regolazione delle nascite rappresenta semplicemente un orientamento che non sostituisce la responsabilità della coscienza dei fedeli».
L’8 ottobre 2000, dalle colonne dell’Osservatore Romano (riprendendo un’intervista del 22 settembre al Frankfurter Allgemeine Zeitung), il cardinal Ratzinger, dopo aver ribadito che in realtà il Vaticano II ha mantenuto e addirittura rafforzato la distinzione ed il valore delle proposizioni “credenda” e “tenenda”, dovette spiegare che «con insegnamenti a cui attenersi ("tenenda") si intende qualcosa di più di "teologicamente ben fondati"», perché questi ultimi «in realtà sono mutevoli. La letteratura annovera fra questi "tenenda" gli importanti insegnamenti morali della Chiesa (per esempio il rifiuto dell'eutanasia, del suicidio assistito), i cosiddetti fatti dogmatici (per esempio che i vescovi di Roma sono i successori di San Pietro, la legittimità dei concili ecumenici e così via)».
In altre parole, il Papa emerito scrive a Viganò di non poter minimamente dare l’impressione di approvare posizioni che ritengono di poter derubricare gli insegnamenti morali (e non solo) degli ultimi pontificati come semplicemente “teologicamente ben fondati”. Essi sono invece “tenenda”. Un chiaro messaggio a tutti quelli che stanno cercando di trasformare, medianti strani passaggi di teologia alchemica, la proibizione della contraccezione contenuta in Humanae Vitae, in una liceità caso per caso; come anche a quelli che stanno dissolvendo l’insegnamento chiaro di Veritatis Splendor, in particolare sulle azioni considerate come intrinsece mala (azioni intrinsecamente cattive), ricorrendo alla parola magica del discernimento.
Ma c’è un altro interessante aspetto della critica di Hünermann a Veritatis Splendor. In un suo recente contributo all’opera collettanea A point of no return? Amoris Laetitia on Marriage, Divorce and Remarriage l’affermazione di Veritatis Splendor, relativamente alle azione intrinsecamente cattive, andrebbe considerata nel seguente modo: «Esistono azioni intrinsecamente cattive, che non sono condizionate da circostanze esterne, ma che sono sicuramente condizionate da elementi interni, soggettivi». Questo significa che, poiché la “pista esterna”, quella cioè relativa all’azione in sé, non permette alcuna via d’uscita, occorre spostare il baricentro sulla “pista interna”, quella relativa ai condizionamenti soggettivi.
Si tratta di una originale formulazione dell’ormai noto “cambiamento di paradigma”: «Sebbene l’uomo sia obbligato in coscienza ad osservare i principi etici generali e i comandamenti, e ad agire di conseguenza, la consapevolezza di ciò non può mai sostituire la decisione della sua coscienza, che egli deve prendere personalmente – perché l’universalità dei principi morali e dei comandamenti non può mai raggiungere pienamente la singolarità e la particolarità delle situazioni e delle azioni individuali. Entrambe le autorità rimangono [cioè la legge universale e i comandamenti da una parte e la coscienza dall’altra, n.d.a.]. Esse sono nel contempo distinte e inseparabili».
In realtà Hünermann non salva né le capre né i cavoli, perché cade nel diffusissimo errore di impostare l’azione morale come l’applicazione di una legge generale ad un caso concreto, insabbiandosi nella secca della tensione tra l’universale, inteso come principio astratto, ed il concreto. Accettando questa imposizione si finisce sempre per porre il dilemma: salviamo la legge universale o la persona concreta? La prospettiva della legge morale, che si coglie sempre nella coscienza illuminata, come bene concreto della persona, è sparita. Si dà invece spazio alla pretesa di poter conoscere con esattezza il grado di imputabilità di un’azione - cosa che in realtà solo Dio conosce - e sulla base di una presunta diminuzione di consapevolezza e avvertenza si lascia che le persone continuino a commettere azioni che sono un male, anzitutto per loro e per tutta la Chiesa (il peccato, anche quello commesso da soli nel chiuso della propria camera - occorre ricordarlo -, ha sempre una dimensione “sociale”). Sarebbe come dire che ad un automobilista che ha contratto la consuetudine di passare col rosso, e che lo fa senza piena coscienza della pericolosità per sé e per gli altri di queste sue azioni, la polizia stradale conceda di continuare: dopotutto non lo fa apposta.
Ma attenzione all’ultimo passaggio di Hünermann: quanto affermato fin qui «spiega perché Amoris Laetitia non riporti certi passaggi di Familiaris Consortio, di Veritatis Splendor e del Catechismo della Chiesa Cattolica: è perché essi contengono delle erronee interpretazioni delle azioni intrinsecamente cattive. Affermazioni di Humanae Vitae non sono citate, perché contengono un’estensione della legge etica naturale nella particolarità delle azioni individuali». La necessità di “purgare” i documenti sopra riportati scaturirebbe dal fatto che Amoris Laetitia sposerebbe quindi la critica di Hünermann ai documenti sopra riportati. Quella critica che il Papa emerito sembra non gradire.
Luisella Scrosati
http://www.lanuovabq.it/it/vigano-dimissioni-soft-benedetto-e-il-vero-obiettivo
Vaticano, il monsignore di Francesco che fabbricava fake news
Dietro le dimissioni di Dario Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione del Vaticano, c'è l’ira di Benedetto XVI per la manipolazione di una sua lettera riservata. Le riforme di Bergoglio sono al palo. Per colpa dei nemici. Ma anche di troppi errori del cerchio magico del papa
DI EMILIANO FITTIPALDI
21 marzo 2018
Vaticano, il monsignore di Francesco che fabbricava fake news
Papa Francesco con il monsignore Dario Edoardo Viganò
Le dimissioni di Dario Eduardo Viganò, potente prefetto della Segreteria per la Comunicazione, non sono motivate, come stanno scrivendo con approssimativa celerità alcuni ultrà bergogliani, dalla guerra della curia contro le riforme volute da Francesco. Né da piccoli «errori di comunicazione» che il monsignore esperto di comunicazione avrebbe pagato a prezzo troppo caro.
Le dimissioni di uno dei principali collaboratori di Bergoglio sono state provocate da una clamorosa manipolazione che il prefetto ha operato su una lettera, peraltro “riservata”, di Benedetto XVI. Che Viganò ha utilizzato per fabbricare quella che è, a tutti gli effetti, una fake news. Una contraffazione attraverso cui, qualche giorno fa, il Vaticano ha pubblicizzato non solo l'uscita di alcuni volumi sull'opera teologica di Francesco. Ma pure festeggiato al meglio – grazie alla lettura pubblica della lettera di Benedetto XVI, con significativi complimenti per Francesco – il quinto compleanno dell'elezione del papa argentino.
Ebbene, si è presto scoperto che nel comunicato stampa fatto circolare da Viganò, capo assoluto di tutti i media della Santa Sede, sono stati diffusi solo alcuni capoversi del documento di Ratzinger. Quelli (che hanno subito fatto il giro del mondo) nei quali il teologo tedesco respingeva con fermezza «lo stolto pregiudizio» secondo cui Francesco sarebbe solo «un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica» e Benedetto XVI «unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi».
Gli altri due capoversi della missiva, invece, sono stati espunti, cancellati. Come mai questa scelta? Il motivo è nel contenuto imbarazzante della missiva.
Ratzinger infatti non solo definisce ironicamente «volumetti» i libri dedicati al suo successore, ma chiarisce anche di non volerli leggere sia «per ragioni fisiche» sia «per altri impegni che ho già assunto», e aggiunge che per questi motivi non scriverà la prefazione agli stessi che Viganò, in una precedente lettera, gli aveva chiesto. Un gran rifiuto, dunque.
Non è finita. Nella lettera “personale-riservata”, che porta la data del 7 febbraio e che il prefetto dimissionario decide di sfruttare (risulta all'Espresso senza l'autorizzazione del papa emerito) un mese dopo per la campagna di lancio dell'opera teologica su Francesco, Benedetto XVI bacchetta pesantemente gli ideatori di tutta l'operazione. Spiegando a Viganò di essere rimasto «sorpreso per il fatto che tra gli autori figuri anche il professor Hunermann, che durante il mio pontificato si è messo in luce per avere capeggiato iniziative antipapali».
Un teologo, continua Ratzinger, «che attaccò in modo virulento l'autorità magisteriale del papa specialmente su questioni di teologia morale». Benedetto XVI si congeda così: «Sono certo che avrà comprensione per il mio diniego (a scrivere la prefazione all'opera su Francesco, ndr) e la saluto cordialmente».
Ricevuta la risposta negativa, Viganò non si dà per vinto. Da audace uomo della propaganda decide di usufruire (possibile che Francesco non avesse letto la lettera e non avesse contezza della strategia di Viganò?) delle prime righe a suo vantaggio. Omettendo scientemente le parti più imbarazzanti (il capoverso sui «volumetti» viene letto in sala stampa, ma cancellato nel comunicato ufficiale; le critiche ai teologi autori dei libri del tutto espunte) e usando persino un programma di photoshop per rendere illeggibili, in una foto in cui compare la lettera a fianco ai “volumetti”, alcune righe del documento.
La strategia sembra inizialmente funzionare: tg e giornali raccontano la lettera come la prova definitiva della profonda sintonia tra i due pontefici.
La vicenda della manipolazione, una di quelle fake news che lo stesso Francesco ha definito come «serpenti astuti», viene alla luce qualche giorno dopo, grazie agli scoop del blog dell'Espresso Settimo Cielo di Sandro Magister e a quelli dell'Ap firmati da Nicole Winfield. Gli articoli provocano – soprattutto all'estero - enorme scalpore: il passo indietro di oggi è il finale inevitabile.
Viganò, nella lettera di dimissioni pubblicata stamattina, non fa però alcun mea culpa al suo operato, né Francesco fa alcun cenno alle motivazioni per cui accetta, seppur a malincuore, la rinuncia l'incarico.
Lo scandalo è rilevante, e dà un nuovo, duro colpo alle riforme portate avanti da Bergoglio. Che ha visto cadere, in pochi mesi, gli uomini che aveva messo a capo dei due dicasteri che lui stesso aveva creato per riformare la curia romana: se Viganò, a capo della Segretaria per la Comunicazione, è uscito di scena in queste ore, il cardinale George Pell, prefetto della segreteria dell'Economia, è stato sospeso dall'incarico lo scorso luglio perché accusato da un tribunale australiano di molestie sessuali su alcuni minori.
Le riforme di Francesco tornano all'anno zero. Ma non solo per colpa degli oppositori interni, che pure sono molti e battaglieri. Ma anche per l'insipienza di alcune scelte di Bergoglio nella selezione della classe dirigente vaticana, e degli errori marchiani dei fedelissimi del suo cerchio magico.
http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/03/21/news/il-monsignore-di-francesco-che-fabbricava-fake-news-1.319840
Censurò le critiche a Bergoglio: già pronto un incarico su misura
Si dimette Viganò il portavoce del Papa. Censurò le critiche di Ratzinger a Bergoglio
Fabio Marchese Ragona - Gio, 22/03/2018 - 08:59
L'ultimo faccia a faccia, due sere fa, a casa Santa Marta. Papa Francesco aveva accolto monsignore Dario Edoardo Viganò per un incontro informale, amichevole.
Uno dei soliti. Il fedelissimo del Pontefice, uomo forte delle comunicazioni del Vaticano e artefice della riforma dei media della Santa Sede, aveva già fatto avere al Santo padre, il giorno prima, la sua lettera di dimissioni da Prefetto della Segreteria per la comunicazione, il super dicastero vaticano che raggruppa e sovrintende a tutti i media della piccola città-Stato. Viganò, in realtà, era intenzionato a farsi da parte già da diversi giorni, da quando si era scatenata la bufera sul caso della lettera «tagliata» di Benedetto XVI e cavalcata nell'ultima settimana soprattutto dai detrattori di Francesco. Gli stessi che, sempre più spesso, avevano tentato di colpire in ogni modo Viganò, colpevole ai loro occhi di volere stravolgere gli equilibri all'interno del Vaticano.
Brianzolo, classe 1962, il monsignore chiamato da Francesco per riformare il sistema dei media per creare nuove sinergie nel corso dell'incontro con il Papa non ha usato mezzi termini: «È bene che io mi faccia da parte, per il bene della riforma. Il problema adesso sono io». E Francesco, dopo alcune resistenze, alla fine ha accettato, a patto però che Viganò rimanesse in Vaticano, all'interno della Segreteria per la comunicazione, con un ruolo di «assessore», un incarico nuovo di zecca, cucito su misura dal Papa per il suo stretto collaboratore, per dare una mano al nuovo Prefetto che sarà nominato nelle prossime settimane. «In questi ultimi giorni», aveva scritto il prelato al Papa lo scorso 19 marzo, «si sono sollevate molte polemiche circa il mio operato che, al di là delle intenzioni, destabilizza il complesso e grande lavoro di riforma che Lei mi ha affidato nel giugno del 2015 e che vede ora, grazie al contributo di moltissime persone a partire dal personale, compiere il tratto finale». Poi la richiesta dell'ormai Prefetto emerito, ribadita anche a voce al Santo padre: «Nel rispetto delle persone che con me hanno lavorato in questi anni e per evitare che la mia persona possa in qualche modo ritardare, danneggiare o addirittura bloccare quanto già stabilito, le chiedo di accogliere il mio desiderio di farmi in disparte, rendendomi, se lei lo desidera, disponibile a collaborare in altre modalità».
Un chiaro segnale per il Papa: se la riforma deve andare avanti, è bene che io adesso mi faccia da parte. E così, ieri, Francesco, ha preso carta e penna e ha scritto una lettera al monsignore in cui accetta «non senza qualche fatica» le sue dimissioni, manifestandogli al contempo la sua stima e il suo affetto.
«Le chiedo», ha scritto il Papa ieri a Viganò, «di proseguire restando presso il Dicastero per potere dare il suo contributo umano e professionale al nuovo Prefetto e al progetto di riforma voluto dal Consiglio dei cardinali, da me approvato e regolarmente condiviso. Riforma ormai giunta al tratto conclusivo con l'imminente fusione dell'Osservatore Romano all'interno dell'unico sistema comunicativo della Santa Sede e l'accorpamento della Tipografia vaticana. La riforma della Chiesa non è anzitutto un problema di organigrammi quanto piuttosto l'acquisizione di uno spirito di servizio». Un messaggio del Papa che, confermando la sua fiducia nei confronti di monsignore Viganò, non lascia alcun dubbio: la riforma dei media andrà comunque avanti, se il tentativo era quello di bloccare la rivoluzione in corso, così non sarà.
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/si-dimette-vigan-portavoce-papa-censur-critiche-ratzinger-1507842.html
PS – Non mi occupo di monsignor Viganò.
Alcuni lettori vogliono da me un commento sulle dimissioni di Viganò, che nella foga di compiacere El Chapo ha sostanzialmnente falsificato una lettera – critica – di Ratzinger facendola apparire favorevole a El Chapo. Rispondo che in genere non mi occupo di crimine organizzato, nemmeno quando il ganster, maldestro, sbaglia mira e si spara sull’alluce. Marco Tosatti, Socci e Sandro Magister dicono meglio di me tutto quel che c’è da dire della farsesca , ridicola e alquanto delinquenziale vicenda. Posto qui questo commento solo per notare come l‘irresponsabilità generale e la cecità che stanno mostrando i vertici europei, ha contagiato il potere insediato in Vaticano.
Aggiungo che Radio Radicale ormai dedica ore di trasmissione a difesa di “Francisco” e di Viganò. Ovviamente, è la stessa Radio Radicale che ogni mattina legge religiosamente, sul Washington Post e New York Times, sul Wall Street Journal e La Monde, e approvandole, le false informazioni diffuse dalle centrali della propaganda bellica che ha ordinato di dipingere Putin come il nuovo Hitler.
tratto da:
ROMANA VULNERATUS CURIA SU VIGANÒ, RICCARDI E LA POTENZA DI SANT’EGIDIO
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, l’intervista che il prof. Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio e ministro nel governo Monti
ha rilasciato all’Espresso in tema di Chiesa italiana ed elezioni oltre che in
Pezzo Grosso ha suscitato qualche emozione e reazione anche Romana Vulneratus Curia (RVC per brevità) che ce ne ha scritto, senza tralasciare un accenno allo scandalo Viganò che come sappiamo si è arricchito di nuovi affascinanti e gesuitici sviluppi. E Romana Vulneratus Curia, per la sua lunga e dolorosa frequentazione degli ambienti clericali in genere sa di che cosa parla…Ecco a voi la sua lettera.
“Scusi Tosatti, le dimissioni di mons. Viganò e la implicita vittoria contro gli Anti-Ratz mi fanno molto piacere, ma non mi soddisfano pienamente. Forse sono un giustizialista non misericordioso, ma i tempi sono caldi e stretti. C’è un’altra persona – gruppo di potere, che preoccupa molti osservatori cattolici e non, ben più di un dilettante come Viganò (le cui dimissioni, mi vien detto, faranno stappare champagne all’Osservatore Romano, Radio Vaticana e TV 2000) ed è Andrea Riccardi con la sua Sant’Egidio, su cui, mi vien detto, vi sono anche “attenzioni” da parte della nuova America di Trump. Questa nuova America è incuriosita dalla massa di risorse di cui dispone e dal potere che ha ed esercita sulle nunziature dei paesi africani, che sembrano piuttosto “influenzati” da Sant’Egidio & Co. Perché non si comincia, per esempio, a fare trasparenza? Perché non si pubblicano i loro bilanci certificati da external auditor, con il rigore di un Milone, per esempio? E’ passato inosservato quello che ha scritto questo signor “Pezzo Grosso” sul suo Stilum Curiae, la settimana scorsa? Per l’ex ministro del “provvidenziale” governo Monti, la sconfitta della nostra Chiesa è dovuta al risultato delle ultime elezioni dove trionfano 5Stelle e Lega. Le conseguenze di questa vittoria, per Riccardi, sono drammatiche per la Chiesa, perché, oltre alla fine del PD, non si farà lo jus soli, si fermerà l’afflusso di immigrati, risulterà più difficile l’integrazione europea (quella voluta dai radicalcomunisti Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, non quella voluta dai leader cattolici quali De Gasperi, Adenauer, Schumann..). Ora la riflessione (fatta da “Pezzo Grosso” su Stilum Curiae ), non va lasciata cadere. Riccardi con la sua intervista citata, sull’Espresso, lamenta la sconfitta di una Chiesa che si occupa di immigrazione, jus soli e di Europa (dirigista), probabilmente a guida luterana. Non di una Chiesa che si occupa del Vangelo, di Dio Padre e Figlio, di Maria Intercedente e di evangelizzazione. Pertanto chiedo che il prof. Riccardi, oltre a pubblicare i bilanci, certificati da Milone, di Sant’Egidio, si ritiri con il suo mons. Paglia, al monastero di Bose. Così potrà sostituire Enzo Bianchi, fin troppo occupato a fare meditazioni sulla Quaresima nelle varie diocesi italiane, invitato dai nostri Vescovi (cattolici ?)”.
RVC
MARCO TOSATTI
http://www.marcotosatti.com/2018/03/22/romana-vulneratus-curia-su-vigano-riccardi-e-la-potenza-di-santegidio/