Diletto dell’anima mia
«Àlzati, illùminati, Gerusalemme, poiché è venuta la tua luce e la gloria del Signore è sorta sopra di te». La tragedia del popolo ebraico – ma anche la sua soluzione – è tutta in questo versetto: la sua luce è venuta duemila anni fa e la gloria del Signore si è manifestata su di esso, ma, eccetto quella parte di Israele che la riconobbe e accolse quindi la chiamata divina a risorgere mediante la fede in Cristo, ottenendo così ciò che Dio gli aveva promesso, la maggioranza seguì i suoi capi nel rifiuto del Messia e nel rinnegamento della fede, designato in latino con il termine perfidia (che non ha, evidentemente, lo stesso significato che in italiano). Da allora il popolo eletto, depositario della prima alleanza e rivelazione, pazientemente educato da Adonai nel corso di due millenni, dotato di una religiosità viscerale che intride ogni aspetto e momento della vita, si è privato dell’unione con il suo Dio, della quale conserva tuttavia un’inestinguibile nostalgia, alternantesi – come spesso accade nell’animo di chi per sua colpa ha perso l’oggetto del suo amore – a un’irriducibile antagonismo che lo spinge continuamente a sfidare Lui e a detestare quanti invece Lo possiedono.
Quest’inguaribile rimpianto trova sfogo in una struggente preghiera della loro tradizione (Yedid nefesh): «Diletto dell’anima, Padre di misericordia, attira il tuo servo alla tua volontà. Egli correrà come una gazzella per prostrarsi davanti alla Tua maestà. Il Tuo amore è per lui più dolce di un favo stillante e di ogni delizia». Alla luce della paternità divina rivelata da Gesù Cristo, questo canto può essere rettamente inteso come una richiesta della grazia necessaria per volgersi a Dio e adorarlo con tutto sé stessi; in questa chiave cristiana, quindi, esso potrebbe pure essere assunto nella nostra vita spirituale. Il problema è che – come sistematicamente si fa da cinquant’anni a questa parte – certi testi proposti alla pietà o allo studio dei cattolici possono sottendere visioni diametralmente opposte. Quello che stiamo considerando, in effetti, appartiene alla tradizione cabalistica, che è gnosi allo stato puro. Fatta salva la buona fede degli ebrei che credono e pregano sinceramente, il padre che intendono taluni rabbini non è certo quello rivelato dal Messia, ma una “luce” vitale le cui scintille sarebbero disperse nel mondo, prigioniere della materia, e che l’uomo pio, il khassîd, dovrebbe liberare con la propria opera illuminata.
Dopo la caduta delle origini, che avrebbe frantumato l’unità primordiale dell’universo (concepito come emanazione panteistica della luce) e quella dell’umanità (contenuta tutta nell’anima collettiva di Adamo), la missione di Israele sarebbe quella di rettificare il mondo in preparazione della sua palingenesi, nella quale dovrebbero sopravvivere solo il popolo eletto e i giusti fra le nazioni al suo servizio, mentre i suoi nemici storici dovrebbero reincarnarsi per poter essere annientati. Nell’èra messianica, a cui sarà ammessa unicamente un’umanità selezionata in grado di parteciparvi, l’uomo dovrebbe ritrovare la condizione che Adamo avrebbe avuto prima del peccato, con un immortale corpo di luce, affrancato dalla vile necessità di nutrirsi e di riprodursi, e in uno stato di connessione permanente con il “divino” nonché con gli universi spirituali paralleli (o – diremo meglio – con il mondo demoniaco), ai quali i sapienti hanno accesso fin d’ora e dai quali derivano i loro poteri di conoscenza e di “guarigione” (dicesi: occultismo o spiritismo).
Tali aberrazioni rabbiniche, in realtà, discendono direttamente dalle dottrine farisaiche, espressamente condannate dal Salvatore: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini, perché così voi non vi entrate e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci» (Mt 23, 13); di conseguenza «vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare» (Mt 21, 43). Storicamente questo passaggio avvenne quando la Chiesa formata dalla parte fedele di Israele, che con il Battesimo era entrata nella nuova ed eterna alleanza, accolse nel suo seno i pagani convertiti; quella parte che seguì invece gli insegnamenti dei rabbini, poi raccolti nel Talmud, decadde dalle promesse e, alienando i propri privilegi, si escluse da sé dall’èra messianica, iniziata il giorno di Pentecoste.
Questo triste e colpevole indurimento è efficacemente descritto da san Gregorio Magno: «In tutti i segni che furono mostrati, o alla nascita del Signore, o alla sua morte, dobbiamo considerare quanto grande fu la durezza nel cuore di certi giudei, che non lo riconobbero né mediante il dono della profezia, né mediante i miracoli. Tutti gli elementi, effettivamente, attestarono la venuta del loro Autore. Per dire qualcosa di essi alla maniera umana, i cieli riconobbero che Costui era Dio perché subito inviarono una stella. Il mare lo riconobbe perché si offrì ad essere calcato sotto i suoi piedi. La terra lo riconobbe perché alla sua morte tremò. Il sole lo riconobbe perché nascose i raggi della sua luce. Le pietre e le pareti lo riconobbero perché al momento della sua morte si spaccarono. Gli inferi lo riconobbero perché restituirono coloro che custodivano morti. E tuttavia Colui che tutti gli elementi privi di ragione percepirono quale Signore, i cuori dei giudei increduli ancora non lo riconoscono affatto Dio e, più duri dei sassi, non vogliono aprirsi alla conversione» (Homiliae in Evangelia, 10).
La vera luce non è quella di Lucifero (il dio dell’universo della cabala), ma quella di Gesù Cristo. La soluzione della tragedia ebraica sta tutta qui: riconoscere il Messia e lasciarsi illuminare da Lui. Chi rende culto al diavolo sa benissimo che Dio esiste, ma pretende che anche Satana sia un “dio” alla pari con Lui, anzi il “dio” veramente buono e benefattore degli uomini in contrapposizione a quello geloso e severo della tradizione cristiana, che dovrebbe essere neutralizzato eliminando quanti l’ossequiano o pervertendo la loro religione in senso gnostico. Come vedete, è evidentissimo che non adoriamo affatto lo stesso Dio, né possiamo avere alcun dialogo o intesa con chi vuole deliberatamente distruggerci o, se va bene, renderci suoi schiavi. Alla luce del falso messianismo giudaico fin qui abbozzato appare chiaro, altresì, che il conflitto in Medio Oriente ha profonde radici ideologiche ed è umanamente insolubile, finché gli ebrei non si convertano. La ricostituzione dello Stato di Israele non è altro che la premessa di una presunta èra messianica in cui tutti gli uomini dovranno andare a Gerusalemme ad adorare il loro “dio” nel tempio ricostruito, se vorranno esser lasciati in vita, nella grande battaglia finale, per far loro da servi…
Chi rimanesse scettico di fronte a tali affermazioni, può consultare direttamente le fonti dell’attuale giudaismo cabalistico (cioè del giudaismo ufficiale). Per un cattolico fedele, ad ogni modo, rimane fuor di dubbio che la conversione a Cristo è l’unica via di salvezza e che non ne esiste una parallela per gli ebrei; ogni asserzione in questo senso è decisamente eretica. La sola modalità straordinaria di salvazione che, in virtù dell’universale volontà salvifica del Creatore, possiamo ammettere come estensione di quella ordinaria a favore di quanti, senza loro colpa, non conoscono il Salvatore è il desiderio, almeno implicito, del Battesimo, desiderio che Dio conosce e può accettare come merito sufficiente per evitare l’Inferno e ottenere il Paradiso, ma sempre in considerazione dell’opera redentrice di Gesù, unico titolo di riconciliazione con il vero Padre di misericordia per tutti gli uomini, senza eccezione. Chiediamo dunque, a favore del popolo ebraico, l’intercessione del fariseo folgorato dalla luce di Cristo, l’apostolo Paolo, come pure quella di convertiti più recenti, come i fratelli Ratisbonne, Edith Stein, il rabbino Zolli… Questi sono fra i più sublimi miracoli della grazia, ma sono possibili anche oggi – e sono necessari perché il Messia ritorni nella gloria.
Pubblicato da Elia
http://lascuredielia.blogspot.com/2019/01/diletto-dellanimamia-surge-illuminare.html
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