L’ingloriosa fine dell’Ecclesia Dei
Con la Lettera motu proprio data «Circa la Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”», datata 17 gennaio 2019 e promulgata, tramite la sua pubblicazione su «L’Osservatore Romano», in data 19 gennaio 2019, Papa Francesco ha soppresso la Pontificia Commissione Ecclesia Dei, assegnandone i compiti alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Questo passo ha gettato nello sconcerto tanta parte del mondo cattolico cosiddetto «tradizionalista». Ma perché un così grande allarme?
La Pontificia Commissione Ecclesia Dei fu creata da Giovanni Paolo II con il Motu proprio «Ecclesia Dei» del 2 luglio 1988, due giorni dopo la consacrazione, da parte di Monsignor Marcel François Lefebvre (1905-1991), di quattro nuovi Vescovi, Monsignor Bernard Fellay, Monsignor Bernard Tissier de Mallerais, Monsignor Richard Williamson e Monsignor Alfonso de Galarreta, senza l’autorizzazione pontificia, consacrazione che porterà alla scomunica dello stesso presule francese, dei quattro Episcopi appena ordinati e di Monsignor Antônio de Castro Mayer (1904-1991), che vi aveva partecipato. È questo il momento più alto dello scontro tra la Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata da Monsignor Lefebvre nel 1970, e la Santa Sede. La suddetta Pontificia Commissione rappresenta il tentativo, da parte del Pontefice e delle massime autorità ecclesiali, di ricondurre tutta la “questione Lefebvre” sul piano disciplinare e giuridico-canonico.
L’Ecclesia Dei, come viene normalmente definita tale Commissione, ha, principalmente, il compito di condurre i colloqui con Fraternità Sacerdotale San Pio X e, al tempo stesso, di cercare di staccarne il maggior numero di membri possibile, riconducendoli all’obbedienza. È in quest’ottica che Giovanni Paolo II amplia gli indulti per la celebrazione del Santo Sacrificio della Messa, già iniziati con la Lettera motu proprio data «Quattuor abhinc annos» (1984).
I colloqui tra la Fraternità e la Santa Sede non sono mai cessati, anche se l’impostazione “romana” non è mai stata accettata da parte di Monsignor Lefebvre e dei suoi figli. Essi hanno sempre, giustamente, sostenuto che non si trattava, come non si tratta, di un problema disciplinare, canonico o veramente liturgico, senza nulla togliere all’importanza del rito della celebrazione del Santo Sacrificio della Messa ed alla gravità delle ferite inferte dal Novus Ordo Missae alla purezza della Fede cattolica, ma di un problema dottrinale, del quale tutte le altre questioni sono pura conseguenza.
L’Ecclesia Dei ha sortito alcuni effetti pratici, consentendo alla Santa Sede di riportare alcune “vittorie tattiche”, con la fuoriuscita dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X di alcuni sacerdoti, che hanno costituito società di vita apostolica, cui è stato concesso di celebrare la Messa di sempre, in cambio di una attenuazione delle loro critiche dottrinali al Concilio Vaticano II, ma non è riuscita nell’intento strategico di e/o ridurre al silenzio la creatura del presule francese, che, invece, ha continuato a crescere ed a diffondersi in tutto il mondo. Si potrebbe dire, parafrasando Carlo Collodi, che il martello scagliato da Pinocchio non è riuscito a schiacciare il Grillo parlante.
La demonizzazione della Fraternità e di ogni richiamo alla Tradizione ed il dilagare delle dottrine moderniste all’interno della Chiesa si accompagnano ad una crescente disaffezione dei cattolici dalla pratica religiosa, di cui sono, evidentemente, causa: più ci si sforza di seguire il mondo, nel tentativo di acquisire il consenso delle persone, quasi di comprarlo, più le persone si allontanano da un culto percepito, a ragione, come vuoto; l’odio e il disprezzo del mondo, fino alla persecuzione, anche cruenta, sono il prezzo della santità. «Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra»[1].
Al contrario, una Chiesa o, meglio, uomini di Chiesa, anche se occupano posti di vertice all’interno della gerarchia, quando si prostituiscono al mondo, vengono da questo schiacciati ed il mondo diviene strumento della giustizia divina. «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini»[2].
Accanto alla sempre più massiccia diserzione dalle pratiche religiose di strati sempre più vasti di fedeli cattolici, si assiste ad una delle maggiori crisi di vocazioni, sia sacerdotali che religiose, della storia della Chiesa. Parallelamente a ciò, nella progressiva secolarizzazione del mondo una volta cristiano, cresce la sete di Dio, proprio in parallelo al progressivo venir meno dell’attrattiva esercitata dal Modernismo e dal progressismo cattolico. Sempre di più le giovani generazioni o si allontanano dalla Fede e dalla Chiesa o si avvicinano a tutto ciò che, anche lontanamente, rassomiglia al Cattolicesimo di sempre. A rimanere ancorati ai miti rivoluzionari della deriva modernista rimangono, in misura crescente, le generazioni più anziane, forse in ricordo della loro giovinezza eversiva; questo fenomeno è particolarmente evidente nel clero, dove i giovani sacerdoti sono, in numero crescente, attratti dalla Tradizione.
Benedetto XVI, fin dalla sua elezione al soglio di Pietro (2005), resosi conto di ciò, cerca di ravvivare la vita della Chiesa, integrando e giustapponendo alla sua struttura, ormai quasi completamente impregnata di Modernismo, liturgia e pratiche tradizionali, come se queste potessero convivere insieme alle dottrine antropocentriche del Concilio Vaticano II, sforzandosi di interpretare i dettami dell’ultima Assise conciliare secondo quella che egli stesso ha definito l’«ermeneutica della riforma nella continuità»; ma lo stesso utilizzo del termine «ermeneutica»[3] tradisce la sua formazione hegeliana e storicista, incompatibile con il realismo[4] cattolico. Di qui la completa liberalizzazione della Messa di sempre, con il Motu proprio Summorum Pontificum (2007) e la revoca delle scomuniche ai vescovi consacrati da Monsignor Lefebvre (2009), adempiendo a due delle tre richieste fatte dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X, come presupposti necessari per la normalizzazione del suo status giuridico-canonico; la terza consisteva nell’avvio di colloqui dottrinali, tesi a verificare il superamento delle devianze moderniste, conseguite al Concilio Vaticano II.
Questo clima di ritrovata apertura delle Autorità ecclesiali alla Tradizione ha prodotto un rifiorire di iniziative e di gruppi di sacerdoti e di fedeli tesi alla riscoperta della Fede cattolica di sempre, in cui l’aspetto liturgico ha fatto la parte del leone, con un rifiorire di celebrazioni della Santa Messa di sempre, ed ha portato ad incrementare fortemente la crescita della Fraternità Sacerdotale San Pio X, sia dal punto di vista delle vocazioni che da quello della frequentazione dei suoi priorati e della pratica religiosa al loro interno da parte dei fedeli, sia in Italia che nel resto del mondo. Si è anche assistito, soprattutto nel nostro Paese, ad un forte ed articolato sviluppo della cultura cattolica di Tradizione.
Il ruolo dell’Ecclesia Dei è stato molto ampliato da Benedetto XVI, che ne ha fatto il garante dell’applicazione del Motu proprio Summorum Pontificum, ostacolato, invece, da fortissime resistenze, nella sua applicazione, da parte di svariati Vescovi.
Tutto questo, però, si è scontrato con un equivoco di fondo, che ha caratterizzato l’azione di Papa Ratzinger: se, da un lato, ha favorito un ritorno a pratiche più squisitamente cattoliche e ad una certa spiritualità più tradizionale, dall’altro, non era assolutamente disponibile a mettere in discussione le deviazioni dottrinali scaturite dal Concilio Vaticano II. Questo, ovviamente, ha portato molti, sul fronte della Tradizione, a rimanere amaramente disillusi e, sul fronte delle Autorità ecclesiali, Pontefice compreso, ha ingenerato timori e paure.
Conscio che, ormai, la partita con i cosiddetti «tradizionalisti» si sarebbe dovuta giocare sul piano della dottrina, Benedetto XVI ha posto l’Ecclesia Dei sotto il diretto controllo della Congregazione per la dottrina della Fede, ponendone a capo il prefetto di quest’ultima, con la Lettera apostolica motu proprio data «Ecclesiae unitatem» (2 luglio 2009), proprio mentre revocava le scomuniche ai quattro Vescovi della Fraternità.
L’ascesa al soglio di Pietro di Papa Francesco (2013) ha assegnato una drastica svolta: egli incarna la lettura più intransigente ed estremistica del Modernismo, vale a dire quella nota come Teologia della Liberazione, che unisce il più coerente relativismo, sul piano filosofico e gnoseologico, con una lettura intramondana, economicistica e politica del Cristianesimo, con pesantissime venature marxiste. Tutta la sua azione di governo della Chiesa si è mostrata come tesa a colpire quel poco di cattolico che era rimasto all’interno delle sue strutture, soprattutto di vertice, oltre che a diffondere il più totale agnosticismo filosofico, teologico ed etico. In questa visione, ovviamente, i primi a dover essere eliminati erano e sono coloro che, pur anteponendo l’obbedienza ai superiori ed il mito dell’unità ai contenuti della Fede più indigesti per il mondo, hanno grosse difficoltà ad accettare una deriva così smaccata.
È ovvio che i “bonapartisti”[5] all’interno della Chiesa hanno, giustamente, tutto da temere da una tale “politica”. Per quanto concerne la questione specifica della soppressione dell’Ecclesia Dei, coloro che hanno maggiori difficoltà a resistere agli ingiusti comandi dell’Autorità ed ancora speravano di poter conservare i benefici della “primavera” ratzingeriana temono che tali benefici possano essere, da un momento all’altro, spazzati via, dopo tale decisione del regnante Pontefice.
Questa decisione, però, non è altro che il perfezionamento, con rigorosa coerenza, di quella presa da Benedetto XVI nel 2009.
Tutto il pontificato di Papa Francesco, ivi compresa la riforma di cui stiamo parlando, ha il grande pregio di porre fine all’equivoco ingenerato da Benedetto XVI: non è possibile continuare a lungo a mantenere le forme della Fede cattolica e, al tempo stesso, i contenuti dottrinali dell’eresia modernista; ad un certo punto questa contraddizione si deve sciogliere ed il regnante Pontefice lo sta facendo con la durezza e l’assoluta mancanza di diplomazia che lo contraddistinguono.
Ora, ancor più di ieri, apparirà chiaro chi è disposto, per amore di Nostro Signore Gesù Cristo e della purezza della Fede in Lui, a resistere e chi, per qualunque ragione, deciderà di piegarsi alle ingiuste pretese di un Vicario che sistematicamente tradisce il suo Signore.
[1] Gv 15,20.
[2] Mt 5,13.
[3] Per ermeneutica, il pensiero moderno intende la prevalenza dell’interpretazione, fatta partendo da dei presupposti dogmaticamente ritenuti indiscutibili e completamente estranei al testo esaminato, sull’analisi del significato del testo stesso. Di qui la contrapposizione con l’esegesi, che, invece, è l’analisi del testo. Paradossalmente, ma non troppo, per i seguaci della filosofia dell’ermeneutica si può comprendere il “vero” significato di un testo anche senza conoscerne il contenuto.
[4] Per realismo si intende l’approccio filosofico che vede l’assoluta prevalenza dell’oggetto da conoscere sul soggetto conoscente e la necessità, per quest’ultimo, di sottomettersi al primo per poterlo conoscere. Esponente sommo di questo approccio è, nell’antichità, Aristotele (384-322 a.C.), perfezionato, in età cristiana, da San Tommaso d’Aquino (1225-1274).
[5] Qui il termine viene usato nel senso di coloro che, pur accettando i principi di fondo della rivoluzione, danno loro una lettura “di destra”.
Carlo Manetti
https://www.europacristiana.com/lingloriosa-fine-dellecclesia-dei/
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