ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 8 febbraio 2019

Il minimalismo mariologico

Il prof. Radaelli: “Scegli: ratzingeriano o cattolico?”



Prosegue la critica del prof. Enrico Maria Radaelli al pensiero teologico del teologo Joseph Ratzinger. In questo testo — estratto del libro Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo — in modo particolare ne viene esaminato il minimalismo mariologico.
I QUATTRO ARTICOLI A INTEGRAZIONE DEL LIBRO
(acquistabili IN VERSIONE CARTACEA , con il libro o senza, scrivendo all’Autore):
~ 1 ~ L’eresia – la grave eresia – del “Ratzingerismo”: Scegli: Ratzingeriano o Cattolico?
~ 2 ~ Per la dimostrazione della correttezza dell’analisi: Il “Ratzingerismo”.  Sfumature o reticenze? Cinque casi esemplari.
~ 4 ~ Come il “Ratzingerismo” cancella il parto virginale del Figlio di Dio: Amare Ratzinger:  io lo salvo. Voi lo “uccidete”.  Non fatelo. Ma anzi:  salviamolo tutti insieme.


Scegli: Ratzingeriano o Cattolico?
di Enrico Maria Radaelli
1.L’ERESIA – LA GRAVE ERESIA – DEL “RATZINGERISMO”, DI CUI LA QUESTIONE DEL PARTO VIRGINALE DI CRISTO È SOLO UN ASPETTO, E (VEDI QUI IL § 9) NEMMENO IL PIÙ GRAVE.
Una disputa è ragionevole quando i disputandi espongono secondo ragione i propri argomenti, considerano bene ciascuno le ragioni dell’altro, le valutano, quindi o le accettano e di conseguenza si silenziano, riconoscendo esplicitamente di essere in errore e ringraziando del chiarimento ricevuto, o dimostrano con valide controargomentazioni di avere effettivamente ben considerato quanto esposto dalla controparte, ma di poter opporre sensatamente ragioni ancor più puntuali, che solo in tal caso esternano, a lode e gloria della più santa verità.
Niente di tutto ciò sta avvenendo o è avvenuto nella presente disputa, chiamiamola così, innescata da un articolo dello scrivente, pubblicato su chiesaepostconcilioblogspot.com il 18-10-18, articolo estrapolato, nel suo nocciolo, dal mio recente studio critico sull’erronea, estremamente pericolosa e, in cinquanta anni, mai da nessuno né esaminata né tantomeno censurata teologia di Joseph Ratzinger, intitolato Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo (d’ora in poi Al cuorepro manuscripto, Aurea Domus, Milano 20-11-17).
L’articolo aveva per tema un concetto elaborato dal molto esimio Pastore ancora nel 1967, prospettato prima agli alunni del suo corso di Teologia dogmatica all’Università di Tubinga, poi nel libro che ne derivò, pubblicato in Germania col titolo Einführung in das Christentum: Vorlesungen über das apostolische Glaubensbekenntnis, (“Introduzione al cristianesimo: conferenze sul credo apostolico”), tradotto nelle edizioni italiane semplicemente in Introduzione al cristianesimo (d’ora in poi Introduzione).
Nel 2015 ritenni infatti opportuno scrivere Al cuore per mettere sull’avviso l’eminente Soggetto, e contestualmente tutti quei Pastori e fedeli che avrebbero potuto essere raggiunti dalla mia pubblicazione, dell’estrema pericolosità, ripeto, delle insane dottrine divulgate, mai ritrattate, anzi da lui direttamente confermate prima nel 2000 e poi ancora nel 2016, dottrine che si presentano gravemente offensive della maestà di Dio sia nel loro complesso che in ognuno degli undici svianti teologumeni che ho ritenuto di poter/dover rilevare nei suoi scritti.
Oltre a impegnarmi con la dovuta acribia sul fronte teologico e filosofico, in tutti questi anni mi sono adoperato affinché il duplice fine delle mie osservazioni, iniziate con la La Chiesa ribaltata (Gondolin, Verona 2014), e proseguite con Street Theology (Fede & Cultura, Verona 2016), venisse guadagnato evidenziando con la massima attenzione tutta la più sentita e necessaria caritas richiesta a una vera correctio filialis, qual è il genere letterario da intraprendere in questi casi, e tanto più nella fattispecie, sia per la sempre più veneranda età della Personalità coinvolta in primis, sia per la necessaria e altrettanto urgente diffusione pubblica della cosa, sia infine per il fatto che le problematiche sollevate non determinano simpliciter la verità o la falsità di una qualche teoria, ma la vita di tutti: di lui, della Chiesa, del mondo (oltre ovviamente a quella del sottoscritto).
Tutto ciò non si è fatto perché ci si creda investiti da una qualche missio divina, per niente, ma solo perché c’è la banale ma oggettiva e inaggirabile necessità, ben fissata da Ez 33,7-9 (v. qui il § 11) davanti agli occhi di ogni cristiano – e, chiusi o aperti che li tenga, essa è sempre lì –: di non incorrere, per aver salva la vita, in quella “omissione di soccorso”, diciamo così, già segnalata a p. 353 di Al cuore e poi ancora nell’articolo Amare Ratzinger, pubblicato in Aurea Domus il 15-12-18.
Come a suo tempo Atanasio contro Ario, certo anche oggi Dio non lascerà solo il professore mons. Antonio Livi a difendere, come subito si impegnò a fare il ben noto e apprezzato Filosofo di Prato, la mia analisi critica sulla teologia della eminente Personalità ecclesiastica coinvolta, con importante, immediata e viva presa di posizione (e comunque ora si prega e si invita a pregare tutti affinché il Signore conceda al Decano emerito della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense ancora lungo tempo tra noi, che si ha tuttora ancora molto bisogno della sua rara finezza religiosa e intellettuale): avendo egli letto bene il mio saggio, si espresse subito e nettamente a suo favore nell’articolo L’eresia al potere pubblicato il 2-1-18 sul blog di Sandro Magister Settimo Cielo, e io lo ringrazio ancora una volta per essermi stato a fianco così coraggiosamente in questa delicata ma necessaria presa di posizione dottrinale, e sono certo che a lui si uniranno presto tutte quelle personalità cattoliche, ecclesiastiche e laiche, che ancora riconoscono nella Norma normans, come precisamente indicato dalle Sacre Scritture (Gal 1,8), l’unica via da tenere per avere la vita, raccogliendo intorno ad essa Pastori, teologi, vescovi e cardinali, e si confida anche più su, perché davanti a quella che mons. Livi ritenne di dover definire « eresia al potere », e che di fatto è una ben elaborata ed ereticale reductio ad nihilum del Mistero della Redenzione, solo una straordinaria e papale locutio ex cathedra può salvare la Chiesa.
Né si perde la speranza che mons. Georg Gänswein, Segretario personale del Gran Vegliardo, pur sollecitato più volte da chi scrive fin dal novembre 2017 a far prendere anche succintamente visione al suo esimio Superiore, e nei modi più rispettosi e gentili, della realtà tutta e completamente ereticale della dottrina da quegli insegnata da cinquant’anni, e, avendone da lui ricevuto il più perentorio diniego, faccia cadere un ostruzionismo che, alla luce di detto Ez 33,7-9, per il suo Superiore e per lui stesso potrebbe rivelarsi, temo, piuttosto nocivo, e non dico altro. O non pensa Sua Eccellenza che così mal perseverando, proprio chi nega l’esistenza di certi luoghi di castigo e chi così maldestramente lo “copre”, potrebbero ritrovarsi un giorno proprio in quegli abissi troppo leggermente negati?
2.UNA QUESTIONE PRELIMINARE: IL LINGUAGGIO USATO DAL PROF. RATZINGER NEL SUO INTRODUZIONE AL CRISTIANESIMO È UN LINGUAGGIO CATTOLICO O È UN LINGUAGGIO ERETICO?
Entriamo ora nel merito della disputa. Ci si felicita con i propri critici, in primis, per aver potuto riscontrare in essi l’onestà intellettuale di riconoscere che la prosa usata dal loro Maestro in Introduzione « non manca di oscurità e tende ad esser involuta », sicché, con l’ « esegesi confusa » che ne deriva, succede che « egli finisce … coll’oscurare anche ogni legittimo aspetto “fisico” nella nascita del Signore o a renderlo poco comprensibile ».
E qual è il risultato di questo linguaggio che gli stessi apologeti del suo Autore riconoscono oscuro, involuto, confuso e poco comprensibile? È quello che merita un’arte del parlare, o retorica, che Romano Amerio, v. Iota unum, §§ 48-50, inchiodava come uno studiato idioma fatto di un certo lessico ben elaborato e codificato, utilizzato dai neoterici – così il celebre filosofo definiva i modernisti – per restare nel vago, dire e non dire, tutt’al più trattenendosi nell’equivocità, in territori cioè dove si può attribuire alle parole, come senza pudore spiegava il celebre domenicano olandese p. Edward Schillebeeckx, che quarant’anni fa faceva garrire al vento per tutta la Chiesa le dottrine più moderniste, sia un significato cattolicamente ma solo vagamente corretto, sia un significato decisamente eretico.
Si aggiungano a ciò, in Introduzione, tutti quegli espedienti (offerti sempre dalla retorica) che rilevo nel mio studio, cui rimando per prenderne piena conoscenza, espedienti utilizzati con estrema accortezza dal fine Teologo, e si perverrà agli esiti di sviante e fuorviante oscurità riconosciuta anche dai miei confutatori. Solo per metà, è vero, ma siamo già a buon punto.
Ma come mai costoro possono permettersi di rilevare il linguaggio improprio, pericoloso, non scientifico, dunque in ultimo sconveniente, in un lavoro che però vorrebbe divulgare proprio una teologia cattolica, ossia che dovrebbe dare la vita, e tutto ciò non può rilevarlo invece chi fa emergere l’atroce erroneità dei concetti nascosti in quel medesimo lavoro?
E si noti che chi viene censurato è proprio l’unico ad aver segnalato all’eminentissimo Autore dei testi su cui erano indirizzati i suoi rilievi, che la prima vittima delle improprietà linguistico-dottrinali era proprio lui: l’Autore di quelle improprietà.
Sta di fatto che si pone un ben strano discrimine, per il quale alcuni possono dire ciò che ad altri è negato. Ma in una disputa, almeno tra cattolici, ovvero in una disputa che dovrebbe porsi secondo ragione, i termini utilizzabili dagli uni non dovrebbero essere indifferentemente utilizzabili anche dagli altri?
In ogni caso, come è ben dimostrato in Al cuore, il cui numero di lettori è inversamente proporzionale all’attenzione che dovrebbe suscitare, sarà fatta chiarezza anche sul linguaggio absconditus di Introduzione, se ancora servono a qualcosa gli studi gnoseologico-estetici compiuti a suo tempo da chi scrive e le cui conclusioni ci permettono di accertare che ogni pensiero ha un volto tutto e solo suo, studi per i quali poi il professor Livi lo volle ospitare nei suoi corsi di Logica e Gnoseologia alla Lateranense, settore linguistico-estetico, e studi le cui origini teoretiche vanno individuate strettamente nel complesso per così dire “estetico” tomistico-trinitario, e lì solo annoverate, misero Umberto Eco: con tutti i suoi studi, non l’aveva capito.
Una cosa è certa: il professor Ratzinger ascrive la figliolanza divina di Gesù esclusivamente a quello che lui chiama « un processo avvenuto … nell’eternità di Dio », e per lui il punto da tenere è proprio questo: che tale ‘figliolanza divina’ « non è un fatto biologico, bensì ontologico; non è un processo avvenuto nel tempo, bensì nell’eternità di Dio » (Introduzione, pp. 265-6).
Ora, sarebbe utile notare, nello studiatissimo linguaggio del Professore di Dogmatica all’università di Tubinga, una particolarità davvero speciale: che quel Teologo che più avanti nel libro non si farà scrupolo di albergare tra i suoi maestri di riferimento due stelle del luteranesimo come Bultmann e von Harnack, portatori massimi delle ereticali categorie rispettivamente del “Cristo della fede” e del “Gesù della storia”, nelle pagine in cui illustra le questioni inerenti il Mistero dell’Incarnazione di nostro Signore utilizza solo ed esclusivamente il nome ‘Gesù’, e non mai il nome ‘Cristo’, né mai i due nomi insieme.
Scelta precisa, inequivocabile, limpidissima: “Io – dice il Teologo tra le righe, ma con chiarezza palmare – sto parlando esclusivamente della natura umana del Figlio di Dio, sto parlando precisamente dell’uomo partorito da Maria, la figlia di Anna e Gioacchino. Non sto parlando di ‘Cristo’, del Messia che viene dal Cielo, del Figlio di Dio, e dunque non sto affatto parlando della natura divina che il nome ‘Cristo’ di per sé significa”.
Questa particolarità lessicale del Professore neoterico di Tubinga ha una sua portata teologica notevole, perché se essa viene accostata a quei fraseggi che in un primo studio paiono oscuri, confusi e nebbiosi, improvvisamente li mette a fuoco, li rende espliciti e limpidi come di più non potrebbero.

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