Sconfiggere la rivoluzione culturale
Nella nostra società occidentale c’è davvero libertà di pensiero e parola? Ci sono persone che perdono il lavoro, che vengono arrestate, che sono bullizzate sui social mediaper le loro opinioni o stili di vita dissidenti rispetto a quelle del mainstream culturale. Molti altri tacciono o chinano il capoai dictat del Politically Correct per non perdere prestigio sociale o addirittura pagare in modo ancora più caro le loro opinioni difformi.
Basta vedere cosa sta succedendo in questi giorni per il Congresso Mondiale delle Famiglie in programma a Verona la prossima settimana: sugli organizzatori si è scatenato un uragano diffamatorio che ha dell’incredibile da parte dei “progressisti” mentre molti altri, pur non in disaccordo, fanno distinguo imbarazzanti tra “sostanza” e “modalità”. Molti tacciono e basta.
Rod Dreher, riflettendo su questi temi, fa un paragone azzeccato con la Rivoluzione Culturale tipica della Cina ma anche di altri regimi comunisti.
Propongo all’attenzione dei lettori di questo blog un articolo di Rod Dreher, nella mia traduzione.
Annarosa Rossetto
Un saluto dallo stato di New York, dove sto assistendo ad una conferenza al monastero e seminario Russo-Ortodosso. A cena ieri sera con alcuni partecipanti alla conferenza, stavo parlando delle mie idee per il mio prossimo libro. Come sapete voi lettori abituali, ho in programma di scrivere su come le persone che vivono qui, dopo essere cresciute sotto il comunismo sovietico e dell’Europa orientale, ora ci stiano mettendo in guardia sul totalitarismo emergente nella nostra cultura sempre più post-liberale. Molti di voi non erano entusiasti di considerarlo una recrudescenza del Socialismo perché parlo principalmente di cultura, non di economia politica.
Il fatto è che il socialismo non riguarda solo l’economia politica. È un modo di vedere il mondo. Uno dei miei amici professori Ortodossi qui alla conferenza ha detto che Dostoevskij, non un aristocratico, la vedeva così. Ho trovato questo stralcio ieri sera online, dove si capisce il pensiero di Dostoevskij sul socialismo :
La visione rousseauiana della natura umana su cui poggiava il socialismo utopico fu seriamente messa in discussione dall’esperienza di Dostoevscky nella prigionia in Siberia. La nozione teorica della bontà fondamentale degli esseri umani è stata ora testata contro la realtà della natura umana denudata. I rissaioli, i ladri e gli assassini impenitenti con cui trascorse quattro anni non erano solo vittime innocenti che avrebbero vissuto felicemente in fratellanza e armonia una volta liberati dalle istituzioni repressive. Di ritorno da dieci anni passati in Siberia Dostoevskij si imbatté in un socialismo che aveva assunto una forma molto più rivoluzionaria. Le sue osservazioni al riguardo, sia nella narrativa che nel giornalismo, nei successivi due decenni sono quasi uniformemente ostili. L’inimicizia – in gran parte teorica – tra il cristianesimo e il socialismo del defunto [Vissarion] Belinsky e della sua cerchia, era ormai diventata una realtà, e questa dottrina rivoluzionaria e ateistica il principale rivale del cristianesimo per i cuori e le menti della nuova generazione.La critica di Dostoevskij sul socialismo, quindi, inizia dal suo ateismo. Lasciando da parte la essenziale natura spirituale degli esseri umani, i socialisti possono preoccuparsi solo dei bisogni materiali dell’uomo. Come Dostoevskij scrisse nel suo quaderno nel 1863-1864: “I socialisti vogliono rigenerare gli esseri umani, per liberarli, presentandoli senza Dio e senza la famiglia. Concludono che, avendo cambiato forzatamente il modo economico in cui vivono gli esseri umani, raggiungeranno i loro obiettivi. Ma gli uomini non vengono trasformati da ragioni esterne , ma solo da cambiamenti morali. Nei suoi appunti per un articolo incompiuto, “Socialismo e Cristianesimo”, Dostoevskij scrisse che “i socialisti non vanno oltre la pancia”. Mancando di ogni base spirituale per una fratellanza tra gli uomini, i socialisti devono ricorrere alla costrizione per instaurarla. Il socialismo francese, scrisse nel 1877, “non è altro che una unione obbligatoria tra gli uomini”; o, come ha detto, più vividamente, sullo slogan del Cattolicesimo romano, che vedeva come condivisione degli obiettivi del socialismo, ” Fraternité ou la mort” (‘Sii mio fratello, o ti stacco la testa’). Queste due idee – che i problemi umani possano essere risolti con rimedi esclusivamente materiali, ma che questo non possa essere fatto senza costrizione – percorrono tutta la critica di Dostoevskij al socialismo.
Il punto è che c’è davvero molto “socialismo” in Qualsiasi Cosa Sia Questa Cosa Con Cui Abbiamo A Che Fare. I modelli di pensiero marxisti sono davvero efficienti nel demolire ciò che abbiamo, ma nella misura in cui nessuno crede più alla Rivoluzione, non offrono molto per sostituirla. Il teorico della politica Augusto Del Noce ha identificato un aspetto chiave di ciò di cui ci stiamo occupando ora quando ha scritto: “Il nuovo totalitarismo è molto diverso dalle forme più antiche perché è un totalitarismo della disintegrazione, prima ancora di essere un totalitarismo della dominazione. Domina disintegrando. “
Tuttavia, alcune recenti conversazioni offline mi hanno convinto che definire questo come socialismo confonda più che chiarire. Due punti che un amico ha fatto rendono la cosa chiara:
- Questo fenomeno non è guidato solo dallo Stato (e forse nemmeno principalmente dallo Stato), ma da attori privati, in particolare istituzioni educative e grandi multinazionali. Come fa ad essere socialismo?
- Se avessimo eletto repubblicani – membri del partito apparentemente anti-socialista – da ora fino all’eternità, e se lasciassimo invariato il mercato libero, questo non farebbe alcuna differenza significativa nel fermare l’avanzata di questa disintegrazione. Quindi, come possiamo francamente etichettarlo come socialismo?
Trovo che questi punti siano senza risposta. Magari non siete d’accordo.
Un lettore mi ha mandato un link all’ultima colonna di Peggy Noonan (articolo per abbonati). Dice che la nostra condizione negli Stati Uniti in questi giorni le ricorda la Rivoluzione Culturale della Cina, specialmente le “sessioni di lotta” in cui i giovani comunisti fanatici costringevano i presunti nemici della Rivoluzione a confessare pubblicamente i loro peccati (che fossero colpevoli o no). Noonan scrive:
Non voglio essere troppo drammatico, ma lo spirito della “sessione di lotta” è tornato ed è qui, in parte a causa di Internet, in parte a causa dell’estremismo della nostra politica, in parte perché più persone sono sole. “E’ meglio la discordia che la solitudine”, come diciamo noi Irlandesi, e lo sappiamo bene.L’aria è piena di accuse e umiliazioni. Abbiamo visto questo atteggiamento, come è noto, soprattutto nei campus, dove gli studenti contestano duramente, a volte anche violentemente, opinioni che vorrebbero mettere a tacere. I social media sono pieni di nugoli brulicanti di persone politicizzate e ideologicizzate. In un interessante allontanamento dalla tradizione democratica, non cercano di convincere la controparte. Si limitano a condannarla e a tentare di zittirla.Lo spirito della “sessione di lotta” è ovunque su Twitter . Ci sono account Twitter che si occupano di letteratura, dove i guerrieri della giustizia sociale ottengono anticipazioni di nuovi libri e li denunciano per “deviazionismo” – cioè come insensibili, razzisti, anti-LGBTQ. I libri alla vigilia della pubblicazione sono stati ritirati, a volte addirittura dagli autori stessi che si profondono in richieste di perdono. Tutti hanno paura. E ai persecutori non sono soddisfatti da una richiesta di perdono. E’ servita ad eccitarli e si aggirano in cerca di altre prede.
Ancora:
C’è una sensazione nell’aria, vero? Tutti notiamo pezzi della storia qua e là, in questo o quell’episodio spiacevole. Ma forse c’è un significato globale. E forse quel significato non è buono.
Leggendo questo, sono rimasto colpito: avevo in mente i “rossi” sbagliati! Ciò che gli ex dissidenti anti-comunisti che vivono qui stanno rilevando è il totalitarismo inerente a una nuova Rivoluzione Culturale, i cui contorni stiamo iniziando a intravvedere solo ora.
Il libro che sto per scrivere riguarda come resistere attraverso la Rivoluzione Culturale che stiamo vivendo noi ora. Ha molte caratteristiche in comune con il socialismo più duro, ma è anche significativamente diversa – tant’è che tentare di incolpare il socialismo vero e proprio è piuttosto problematico.
È indubbio che se i nostri socialisti americani arrivassero al potere, implementerebbero l’intera panoplia identitaria della sinistra politica, anche se questa non sarebbe la loro priorità principale. Ma Del Noce, di nuovo, è assolutamente corretto quando sottolinea che è un errore pensare che il totalitarismo richieda uno Stato di polizia. Può esistere anche nelle democrazie, diceva, perché il totalitarismo è una condizione in cui la politica invade tutta la vita.
Vorrei che voi poteste vedere le mie e-mail o ascoltare le conversazioni personali che ho con accademici e persone coinvolte nella vita pubblica. Fanno dichiarazioni moderatamente critiche sul risveglio, ma mi chiedono di non renderli identificabili. Hanno paura. Vedono cosa succede ai dissidenti. Un amico mi ha detto questa settimana: “Sei fortunato, in un certo senso. Non sarai mai di nuovo assunto nella redazione di un giornale dopo le cose che hai scritto. Puoi dire quello che pensi. “
Sì, finché c’è The American Conservative (grazie, donatori). Ma se perdessi il lavoro anche qui? Non siamo in uno Stato che dice alle persone di non assumere quelle persone come me. Non serve. Il 60% dei datori di lavoro in questo sondaggio ha affermato di controllare i profili dei social media dei potenziali assunti e di tener conto di ciò che trovano nel prendere le loro decisioni. Pensate che la Cina sia l’unico paese con un sistema basato sulla reputazione sociale?
Un amico di DC mi ha raccontato questa settimana che era stato di recente ad una cena dove uno degli altri ospiti gli ha detto: “Essendo cresciuti nell’Unione Sovietica, i miei genitori mi hanno insegnato a non credere mai a ciò che sento dai media ed a stare molto attento a ciò che dico ad alta voce. Ora mi ritrovo a dire ai miei figli la stessa cosa”.
Questo è il nostro Paese. Questa è la nostra rivoluzione culturale. Questa è lo scenario per questo mio prossimo libro. Alla fine si autodistruggerà (spero), ma non a breve termine, e non prima di aver fatto un sacco di danni. Il nostro compito è combatterlo apertamente dove possiamo, ma potenziare anche la resistenza in noi stessi e nelle nostre comunità. Quasi esattamente un anno fa ho trascorso una delle serate più importanti della mia vita con la famiglia Benda a Praga. Qui c’è il mio resoconto di ciò che ho imparato lì. La lezione più importante: le stesse strategie che i Bendas hanno usato per sopportare il comunismo senza perdere l’uso della ragione o l’anima, sono le stesse che li stanno mantenendo solidamente radicati nella loro fede e nelle loro tradizioni ora, nella loro società capitalista post-comunista che è la più atea in Europa.
Quelle persone sanno come vivere. Hanno saggezza per tutti noi. Così fanno altri che sono passati attraverso il comunismo. Possono aiutarci a battere la Rivoluzione Culturale.
AGGIORNAMENTO: Theodore Dalrymple:
Nel mio studio sulle società comuniste, sono giunto alla conclusione che lo scopo della propaganda comunista non era quello di persuadere o convincere, né di informare, ma di umiliare; e quindi, meno corrispondeva alla realtà, meglio era. Quando le persone sono costrette a rimanere in silenzio mentre vengono loro raccontate le bugie più evidenti, o anche peggio, quando sono costrette a ripetere le bugie stesse, perdono una volta per tutte il loro senso di integrità. Assentire a menzogne plateali è cooperare con il male e, in un certo senso, diventare malvagi. La capacità di resistere a qualcosa viene quindi erosa e persino distrutta. Una società di impotenti bugiardi è facile da controllare. Penso che se esaminassimo tutto ciò che è “political correct”, ha lo stesso effetto ed è ciò che si vuole ottenere.
Fonte: The American Conservative
È guerra contro la famiglia, vescovi non reclutati
Quella di Verona si sta delineando come una guerra per distruggere la famiglia. Eppure i vescovi non si rendono conto che una guerra è stata dichiarata. San Giovanni Paolo II disse che "attorno alla famiglia e alla vita si svolge oggi la lotta fondamentale della dignità dell'uomo". E quando c'è una lotta bisogna combattere non auspicare buonismo.
La rivoluzione non è un pranzo di gala e la lotta contro la famiglia non si affronta con gli scappellotti da oratorio. Serve anzitutto la consapevolezza che la guerra è in atto. Ci sono santi che l’avevano capito.
E poi ci sono vescovi di oggi che si limitano ad auspicare che tutto a Verona «si svolga con argomenti di interesse comune». O altri, come il vescovo Bassetti che si raccomandano sulla famiglia «unione e non terreni di scontro». Invece lo scontro c’è, è in atto con ferocia e determinazione e gli episodi di questi ultimi giorni lo testimoniano.
Vogliamo aggiungere al catalogo i più recenti, dopo il boicottaggio degli alberghi? Un traduttore, che si fregia del titolo altisonante di Interprete di Che tempo che fa addirittura sta dando la caccia ai colleghi che si metteranno le cuffie nella tre giorni veronese. “Sarebbe fantastico che nessun interprete si prestasse a tradurre le scempiaggini di questa gente che si riunirà a Verona. Se così non fosse qualcuno mi dia i nomi di chi stava dentro le cabine”. Se un signor nessuno, ma comunque più protetto di altri professionalmente e pagato con soldi pubblici dalla Rai lancia dalla sua pagina Fb una caccia alle streghe di questo tenore, vuol dire che attaccare la famiglia è ormai diventato uno sport comodo e remunerativo.
Questo, un vescovo, un comandante in capo lo deve denunciare. Non deve limitarsi soltanto ad auspicare che non si litighi, perché la posta in gioco è la dignità dell’uomo, non è il trofeo del torneo di palla avvelenata della festa di fine oratorio.
Ma dalle parole dei vescovi – pochi – che sono intervenuti si percepisce comunque una sorta di fastidio non tanto per le reazioni sguaiate e liberticide delle Boldrini e delle Cirinnà, ma proprio nei confronti degli organizzatori del Congresso. Il segretario di Stato, Cardinale Parolin prende le distanze dal metodo anche se l’unico metodo che abbiamo visto all’opera è stato quello comunisteggiante degli oppositori arrivati come abbiamo visto persino alla caccia alle streghe. Il metodo degli organizzatori, tra cui Toni Brandi e Jacopo Coghe, in realtà l’abbiamo visto all’opera mentre incassavano con perfetta letizia tutto e contemporanemente replicavano punto su punto alle falsità sul conto dei relatori internazionali, svillaneggiati da un Paese che dovrebbe ospitarli invece li ha presi a pesci in faccia. Una volta eravamo almeno maestri di ospitalità, noi italiani.
Il vescovo di Verona Zenti invece ci sarà. Onore al merito. Nell’intervista rilasciata alla Stampa si limita a auspicare che tutto si svolga in un clima di “grande libertà espressiva, con argomenti di interesse comune e si elaborino itinerari culturali, sociali e legislativi capaci di focalizzare l’insieme delle criticità e delle prospettive sulla realtà famiglia istituzione”.
Finalmente arriva anche il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il vescovo Gualtiero Bassetti che, intervistato dal Giornale, ha detto che “la famiglia non è terreno di scontro, ma ha bisogno di politiche strutturali”. Sarebbe bello fosse così, purtroppo invece lo scontro è in atto e bisogna soltanto capire chi ha dichiarato guerra. Ma dalle frasi successive sembra che il capo dei vescovi italiani non abbia alcuna voglia di chiedersi chi sia l’aggressore. “Il vero problema – ha detto a Stefano Filippi - come mi sembra evidente anche nel caso dell’appuntamento di Verona, è che trasformiamo la famiglia in un’occasione di scontro e non di incontro. Da una parte chi la usa per legittimare le discriminazioni e le divisioni, dall’altra chi la considera ormai superata e retrograda”.
A questo punto verrebbe da chiedere a sua eccellenza da che parte stanno gli organizzatori? Sono forse tra coloro che legittimano le discriminazioni quando ribadiscono che la famiglia si basa sul matrimonio tra maschio e femmina? Dunque, il messaggio che passa è che comunque gli organizzatori del Congresso un po’ di colpe ne hanno. Infatti Palazzo Chigi ha inviato la diffida ad utilizzare il logo del governo, ma questo ai vescovi deve sembrare un messaggio unificante, mentre Regioni come il Friuli Venezia Giulia hanno deciso di essere presenti con un delegato.
E’ chiaro che finché non si riconoscerà che lo scontro sulla famiglia è in atto, che la guerra è al massimo del suo clangore, nessun intervento di alti prelati volto alla pace potrà essere utile. Perché se non si riesce a vedere che la guerra è in corso, anche gli appelli cadranno nel vuoto sommersi dalla retorica buonista di un paternalistico “fate i bravi, se potete”. E poi perché la pace si ottiene dopo aver combattuto. Se non si combatte al massimo si chiede un armistizio, o una resa, ma non certo una pace.
Sull’altro versante della barricata intanto, non stanno a guardare. A Milano alcuni studenti di Azione universitaria sono stati letteralmente sloggiati da antagonisti di Milano mentre all’interno di un bar parlavano di aborto. Sloggiati senza tanti complimenti tanto che il barista che ospitava l’evento si è sentito in dovere di dissociarsi dalle idee di questi “studenti fascisti”. Colonizzazione ideologica pura e asservimento totale al potere conformista. Di fronte a questo è legittimo ammettere che è in atto una lotta all’ultimo sangue o dobbiamo continuare ad auspicare che tutto si svolga dentro i confini del bon ton e dell’unità?
Che abisso rispetto alla consapevolezza di un Papa come Giovanni Paolo II che sull’attacco alla famiglia aveva le idee decisamente più chiare. Non aveva paura a chiamare il nemico con il suo nome e la situazione presente una lotta. Come quando disse che “attorno alla famiglia e alla vita si svolge oggi la lotta fondamentale della dignità dell'uomo”. Infatti lottava con i denti. Adesso ci si limita ad auspicare…
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