Il suo accordo segreto con la Santa Sede il regime cinese lo applica anche così. Col bulldozer che scortato dalla polizia – vedi foto – rade al suolo il 4 aprile l’edificio di una parrocchia di Qianyang, che aveva al piano superiore una sala per la messa e al piano terra un ambulatorio gratuito per i poveri, gestito da suore.
La colpa del parroco e dei duemila fedeli di questa parrocchia “clandestina” è la stessa della diocesi di cui fanno parte, quella di Fengxiang, nello Shaanxi, l’unica diocesi in tutta la Cina nella quale nessun battezzato, dal vescovo all’ultimo dei fedeli, ha finora accettato di iscriversi all’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, lo strumento principe con cui il regime asservisce a sé la Chiesa in nome di una sua “indipendenza” da Roma che Benedetto XVI definì “inconciliabile” con la dottrina cattolica, nella lettera del 2007 ai cattolici cinesi tuttora dichiarata valida dal suo successore.
Ma non c’è solo la distruzione materiale di questo come di tanti altri edifici della Chiesa cattolica. Ciò che è più grave è il soffocamento programmatico di quella grossa porzione di Chiesa che non ha il riconoscimento ufficiale del governo cinese, ma neppure vuole sottostare al ricatto di essere ammessa nella legalità solo se accetta di iscriversi all’Associazione patriottica.
Il caso della diocesi di Mindong, nel Fujan, è forse il più istruttivo, se si vuol capire come le autorità di Pechino stanno mettendo in pratica l’accordo segreto firmato il 22 settembre scorso con la Santa Sede.
Curiosamente, proprio la diocesi di Mindong è quella che un anno fa era stata indicata come “stress test” per la buona riuscita dell’accordo tra Santa Sede e Cina, in un articolo di Gianni Valente, l’esperto di cose vaticane più letto e citato da papa Francesco.
Ma a giudicare da ciò che vi accade oggi, tale diocesi è piuttosto il “test” non della riuscita dell’accordo, ma del suo fallimento.
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Si avvicina la Pasqua, ma il vescovo che attualmente svolge nella diocesi di Mindong il ruolo di ausiliare, Vincenzo Guo Xijin, rischia seriamente d’essere impedito di celebrare sia la messa crismale, la mattina del giovedì santo, sia le liturgie del triduo successivo.
Anche lo scorso anno a Guo era stato impedito di celebrare i riti pasquali. E così nel 2017, quando alla vigilia della settimana santa fu sequestrato dalla polizia, per ricomparire venti giorni dopo.
Nei due anni passati, la punizione gli era stata comminata per il suo rifiuto di concelebrare i riti di Pasqua assieme al vescovo di sola nomina governativa e scomunicato Vincenzo Zhan Silu, insediato dal regime comunista nella sua stessa diocesi.
Poi però il 22 settembre 2018 è arrivato l’accordo tra la Santa Sede e la Cina sulla nomina dei vescovi, e Roma non solo ha revocato la scomunica a Zhan, ma ha convinto Guo a cedere a lui la guida della diocesi, accettando per sé il ruolo di semplice ausiliare, nonostante a Mindong ci sia una grossa sproporzione tra la Chiesa “clandestina” della quale Guo continua a far parte, forte di 80 mila fedeli, 57 sacerdoti, 200 suore, 300 laiche consacrate, centinaia di catechisti, e la Chiesa “ufficiale” dell’ex scomunicato Zhan, con poche migliaia di fedeli e una dozzina di preti.
Per sistemare in questo modo, a tutto vantaggio del regime cinese, l’assetto della diocesi di Mindong, si era recato da Roma in Cina, nel dicembre del 2017 e poi ancora nel dicembre del 2018, uno dei diplomatici vaticani più sperimentati in materia, Claudio Maria Celli.
La prima volta Guo aveva resistito, ma la seconda volta ha detto sì. Per ottenere la sua obbedienza, Celli gli disse che era papa Francesco in persona a chiedergli questo “sacrificio per l’unità della Chiesa cinese”.
Sta di fatto, però, che a fronte del passo indietro di Roma, le autorità di Pechino non si sono mosse di un millimetro. Alla revoca della scomunica a Zhan non è affatto corrisposto un riconoscimento ufficiale di Guo da parte del governo cinese. Egli continua a non essere riconosciuto come vescovo e a vivere, di conseguenza, nell’illegalità, alla mercé del regime, che in ogni momento può arrestarlo, sequestrarlo, impedirgli di celebrare.
“Asia News”, l’autorevole agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere pubblicata anche in lingua cinese, ha dato notizia che più volte nei mesi scorsi le autorità cinesi hanno posto come condizione del riconoscimento di Guo la sua iscrizione all’Associazione patriottica, ma egli ha sempre rifiutato.
E lo stesso è accaduto con decine di preti “clandestini” della sua diocesi. Nessuno di essi ha finora accettato di sottoscrivere un documento nel quale si esige da loro di passare al servizio del nuovo vescovo Zhan, di obbedire alle leggi dello Stato, di iscriversi alle organizzazioni ufficiali, di sostenere il principio di “indipendenza” della Chiesa.
Oltre che vicepresidente dell’Associazione patriottica e della pseudo conferenza episcopale che riunisce i soli vescovi riconosciuti dal governo, Zhan è anche membro della Conferenza politica consultiva del popolo cinese, che ha tenuto la sua ultima sessione plenaria a Pechino ai primi di marzo. Rispondendo in quei giorni a un giornalista del “Sintao Daily” che gli domandava che cosa pensasse dell’obbligo fatto ai cattolici di iscriversi all’Associazione patriottica per far così scomparire la Chiesa “clandestina”, Zhan ha detto che questo è l’unico modo per far sì che “la Chiesa sia unita”.
Infatti è così che rischia di essere messo in pratica, in Cina, l’auspicio di papa Francesco di un processo di riconciliazione tra cattolici “ufficiali” e “non ufficiali”. Da Wenzhou, dall’Henan, dall’Hubei e da numerosi altri luoghi si ha notizia di continue pressioni in tal senso su vescovi e sacerdoti “clandestini”, in qualche caso con offerte di denaro. Pare essere caduta nel vuoto la timida riserva espressa in un’intervista a “L’Osservatore Romano” del 3 febbraio dal cardinale prefetto di “Propaganda fide” Fernando Filoni: “Spero di non dover più sentire o leggere di situazioni locali nelle quali si strumentalizza l’accordo al fine di costringere le persone a fare ciò a cui la stessa legge cinese non obbliga, come iscriversi all’Associazione patriottica”.
A pagina 2 di quella stessa edizione, il quotidiano della Santa sede ha anche pubblicato una nota ufficiale sulla Chiesa cattolica in Cina, con qualche informazione in più rispetto alle pochissime date in occasione della firma dell’accordo segreto. Ma prontamente contro l’apologia dell’accordo fatta dal cardinale Filoni sono arrivate le critiche – in cinese e in italiano, sul suo blog – del cardinale Joseph Zen Zekiun, vescovo emerito di Hong Kong.
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Il caso di Mindong non è affatto un caso isolato. E nemmeno il più grave. Alla fine di marzo, nella diocesi di Xuanhua, nella provincia dell’Hebei, la polizia ha arrestato e portato in un luogo sconosciuto il suo vescovo, Agostino Cui Tai. È stato l’ennesimo di una serie di arresti che da anni puniscono questo vescovo “non ufficiale”, questa volta tradito da un suo sacerdote, di nome Zhang Li, che l’ha denunciato alle autorità accusandolo di non obbedire alle nuove norme del Vaticano, che a suo dire obbligherebbero tutti i “clandestini” a rifluire nella Chiesa “ufficiale” sottostando alle sue condizioni.
Ma in Vaticano non c’è alcun segnale di reazione a queste pessime notizie sul dopo accordo. A metà marzo, alla vigilia della visita ufficiale in Italia del presidente cinese Xi Jinping, il gesuita Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica” e primo consigliere e ghostwriter di papa Francesco, ha pubblicato in pompa magna un libro dal titolo “La Chiesa in Cina. Un futuro da scrivere”, con l’entusiastica prefazione del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin.
Le autorità vaticane hanno anche fatto capire in più modi, in quei giorni, che le porte del Palazzo Apostolico erano aperte, apertissime, a una visita del presidente cinese al papa.
Ma la visita non c’è stata. Da Xi Jinping pare che non sia stata nemmeno presa in considerazione. Uno schiaffo in più alla Chiesa di Roma, anche questo incassato in silenzio.
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In un altro suo recente intervento, in una conferenza del 28 febbraio alla Pontificia Università Gregoriana, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha accostato l’accordo con la Cina e quello siglato pochi anni fa tra la Santa Sede e il Vietnam, entrambi segreti.
“A volte – ha detto – le materie più delicate e importanti sono state regolate segretamente fra sovrani o fra capi di Stato, fondandosi esclusivamente sulla parola data”.
Quello con il Vietnam – ha proseguito – può essere definito un “gentlemen’s agreement”, cioè un “accordo informale tra due parti, la cui caratteristica essenziale è che la sua realizzazione si basa sull’onore, sulla buona fede e sul rispetto della parola data, e che non può essere difeso giudizialmente. Un caso concreto è rappresentato dal Vietnam, dove le nomine episcopali avvengono secondo una procedura concordata oralmente con il governo”
Mentre – ha detto ancora Parolin – “un caso ‘sui generis’ è l’accordo sulla nomina dei vescovi, firmato il 22 settembre 2018 tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese: un accordo internazionale fra due parti per le quali ancora non c’è un riconoscimento reciproco formale”.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 08 apr
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/04/08/pasqua-amara-in-cina-nella-partita-con-roma-stravince-pechino/
DISPACCI DALLA CINA. BANNON E LA CONCORRENZA FRA PECHINO E WASHINGTON. E L’ACCORDO VATICANO.
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il Maestro Aurelio Porfiri ci ha inviato i suoi dispacci, molto centrati sull’intervista che Steve Bannon ha concesso a Raymond Arroyo, di grande interesse. E poi una bellissima poesia di Li Po.
Bannon on China
Ho ascoltato una intervista all’ex stratega di Donald J. Trump, Steve Bannon, concessa a Raymond Arroyo per EWTN. Ora Bannon parla da americano e da cattolico, quindi le sue opinioni molto dure sull’avanzata della Cina, devono essere lette separatamente. Da americano infatti si preoccupa che la corazzata cinese possa relegare in un futuro non troppo lontano gli Stati Uniti ad un ruolo secondario nella scena mondiale. Opinione legittima, da americano, meno legittima quando si pensa alle aspirazioni di potenze come la Cina, che tendono ad allargare il loro campo di influenza. Cioè, posso immaginare che la Cina non debba sentirsi in colpa, per essersi messa in concorrenza con gli States. Gli analisti politici giudicano comunque la possibilità che la Cina possa sostituirsi agli Stati Uniti sulla scena mondiale come molto remota, visto che il gap esistente fra le due nazioni è ancora molto largo e il controllo delle rotte marittime, una delle chiavi del comando, è saldamente nelle mani degli Stati Uniti. Certo la Cina si allarga in Europa, anche grazie al ruolo infausto dell’Italia. Un’Italia stremata da una leadership politica e da un clima culturale che da decenni ha reso la nostra nazione ingovernabile e svendibile al miglior offerente.
Per le opinioni del Bannon cattolico, fortemente contrarie all’accordo riservato fra Cina e Vaticano, possiamo solo dire che esse non sono dissimili da quelle di molti osservatori dentro e fuori la Chiesa. Il problema vero non è tanto fare accordi con stati non democratici, cosa che è spesso necessaria, ma fare accordi di cui si sospetta fortemente che possano essere realmente applicati.
Elise Harris, su “Crux Now” dice che l’accordo fra Cina e Vaticano ha un pedigree tutto vaticano: “Fin dall’inizio, l’accordo di Papa Francesco con la Cina sulla nomina dei vescovi ha attirato l’attenzione dei critici che lo vedono come una catastrofe di lunga durata per i cattolici gettati “sotto un treno”. Più recentemente, un alto funzionario degli Stati Uniti ha intimato che da quando l’accordo è stato firmato lo scorso settembre, è anche peggiorata la persecuzione religiosa in Cina. Ancora altri dissidenti dall’accordo obiettano che i suoi termini rimangono segreti. Sei mesi più tardi, tutto ciò che sappiamo ufficialmente è che esiste un accordo, ma questo è poco prezioso non sapendo ciò che contiene. Qualunque sia la politica della Cina di Francesco, tuttavia, ecco la cosa: non è solo la sua, ma una strategia papale di vecchia data per avere a che fare con regimi comunisti ostili ed è risalente almeno all’era di San Paolo VI” (mia traduzione). Tutto vero, ma proprio questo è il problema, visto che la Fin dall’inizio, l’accordo di Papa Francesco con la Cina sulla nomina dei vescovi ha attirato l’attenzione dei critici che lo vedono come una catastrofe di lunga durata per i cattolici gettati “sotto un treno”. Più recentemente, un alto funzionario degli Stati Uniti ha intimato che da quando l’accordo è stato firmato lo scorso settembre, è anche peggiorata la persecuzione religiosa in Cina. Ancora altri dissidenti dall’accordo obiettano che i suoi termini rimangono segreti. Sei mesi più tardi, tutto ciò che sappiamo ufficialmente è che esiste un accordo, ma questo è poco prezioso non sapendo ciò che contiene. Qualunque sia la politica sulla Cina di Francesco, tuttavia, ecco la cosa: non è solo la sua, ma una strategia papale di vecchia data per avere a che fare con regimi comunisti ostili ed è risalente almeno all’era di San Paolo VI” (mia traduzione). Ma proprio questo è il problema, in quanto l’efficacia dell’Ostpolitik applicata ai regimi comunisti dell’Europa dell’Est specialmente sotto l’azione diplomatica del Cardinale Agostino Casaroli, che serviva sotto il Pontificato di Paolo VI, non trova tutti d’accordo. Anzi.
Pensatori
In un romanzo di Tommaso Pincio chiamato “Cinacittà”, un racconto distopico su i cinesi che quasi si appropriano di Roma, c’è questo periodo: “Basta fare mente locale: quanti grandi pensatori hanno partorito i cinesi in cinquemila anni di storia? Uno solo, Confucio. E dire che non sono affatto stupidi. È solo che prima di impegnarsi in qualcosa si domandano sempre che vantaggio gli porterà”. Ora questa affermazione, detta come paradosso, non è poi vera: i cinesi hanno prodotto un numero enorme di grandi pensatori, oltre a Confucio, grandi filosofi, artisti e scrittori. Ma vero è che sono molto calcolatori, in fondo non un difetto in quanto considerare bene a cosa ci porteranno certe azioni è una buona abitudine. Ma io credo sia bene tenere questo aspetto ben presente.
Questo ci fa anche capire perché, malgrado sembrava il Vaticano fosse molto disponibile, il presidente Xi non ha incontrato il Papa. Probabilmente la valutazione da parte cinese era che questo incontro allo stato attuale non era per nulla conveniente.
Chi sta sopra il cielo?
Questa poesia di Li Po, grande poeta cinese dell’ottavo secolo, è stata ritrovata incisa in una trave di un monastero buddista:
Bivacco notturno al monastero sui monti
Allungo la mano, afferro le costellazioni
Non oso parlare ad alta voce
Ho paura di svegliare chi sta sopra il cielo.
Penso che questa poesia racchiuda uno dei temi importanti del pensiero cinese, quell’interrogarsi su chi sta sopra il cielo. Troviamo un concetto simile in Confucio: “Confucio disse: «Desidero non parlare». Zigong obiettò: «Ma se il Maestro non parla, che cosa potranno tramandare i suoi discepoli?». Confucio disse: «Che il cielo forse parla? Le quattro stagioni seguono il loro corso e tutti gli esseri sono procreati. Che il cielo parla?»”. Trovo riportata nel web questa frase di Confucio: “Non abbiamo ancora imparato a conoscere la vita, come potremo conoscere la morte?”. Il rapporto con il soprannaturale nella cultura tradizionale sembra quasi di cauta, ma non ostile, diffidenza.
Viaggiatore
Il mio scrittore cinese preferito è Lin Yutang (1895-1976), che alla fine della sua vita si convertì al cristianesimo (o meglio ritornò al cristianesimo). I suoi libri sono una delizia e posso dire di averne letti molti. C’è una frase molto carina che voglio riportare: “Un buon viaggiatore è colui che non sa dove sta andando”. C’è un articolo delizioso di Lin Yutang che parla di come ordinare i libri in una biblioteca e qui anche si ritrova questo concetto espresso nella frase, il gusto per il piacere della scoperta imprevista. Certo nella vita dobbiamo essere pronti ad accettare rischi nel nostro viaggio se sappiamo che le nostre scarpe sono solide e resistenti.
Marco Tosatti
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