di Aurelio Porfiri
Mi hanno colpito, nel corso degli anni, alcune dichiarazioni di esponenti delle alte gerarchie ecclesiastiche che si sono scagliate, senza se e senza ma, contro i privilegi della politica. Bene, mi sono detto, è bene far sentire chiaramente che coloro che approfittano di una condizione sociale particolare per perseguire vantaggi esclusivamente personali, vanno denunciati chiaramente, senza esitazioni. Sono ovviamente sicuro che lo stesso senso di giustizia dovrebbe essere posseduto da Eminenze ed Eccellenze varie, quando si tratta di fare i conti in casa propria.
Anche qui, come ampiamente detto, non mancano i privilegi vari che in parte sono anche il riflesso di una situazione storica. Quindi, pur comprendendo che la lunga storia del nostro paese con la Chiesa Cattolica offre un senso all’esistenza di certe situazioni, nondimeno questo senso non le giustifica, non le rende giuste. Se ci si autogiustificasse, questo non farebbe che rendere accettabili anche le giustificazioni dei politici che, se da una parte possono essere accettabili, dall’altra sanno tanto di difesa della famosa “casta”. Nessuno si sogna di contestare il fatto che alla Chiesa appartiene un patrimonio immobiliare immenso. Sappiamo cosa è significato per il nostro paese la presenza della Chiesa cattolica e in larga parte dobbiamo essere grati per quello che il cattolicesimo ci ha lasciato in eredità. Detto questo, non è giusto chiudere gli occhi quando certi confini vengono valicati.
Come già detto in precedenza (e anche qui), questo è un fenomeno tipico del clericalismo, inteso nella sua accezione più ampia e non limitato al mondo ecclesiastico: quello di ergersi a baluardo morale ma senza fare i conti con la propria stretta adererenza a certi principi, servendosi come scappatoia di giustificazioni varie e alcune volte, c’è da dirlo, ben congegnate. Per rimanere alla nostra Chiesa Cattolica, talvolta ho l’impressione che si voglia presentare al mondo esterno come una cittadella assediata, come se il segreto su certi comportamenti deplorevoli dei membri del clero servisse a proteggerla dai nemici del mondo esterno. Certamente la Chiesa ha nemici al di fuori di se stessa, ma il comportamento or ora descritto crea non pochi nemici al suo interno, persone che hanno avuto una formazione cattolica e che poi non ne vogliono più sapere perché scandalizzati dal livello di protezione che alcuni godono solo in funzione dell’abito che portano. Hans Urs von Balthasar diceva in un bel libro che bisogna “Abbattere i bastioni”. Certo, questa è una immagine che mi sembra molto indovinata per il discorso che andiamo facendo. Cerchiamo di essere chiari: possiamo predicare bene e razzolare male, perché a volte la nostra capacità e virtù è al di sotto di quello che professiamo. Se sono un medico posso dire che bere troppo fa male, ma io non mi trattengo da bere qualche bicchierino in più. Devo smettere di predicare bene perché razzolo male? No, fino a che non mi pongo io come esempio e modello. Fino a che non dico che bisogna non bere molto vino come faccio io e poi mi comporto come mi comporto. Allora sono ipocrita. Tempo fa ho fatto un articolo polemizzando con Vladimir Luxuria che diceva che era un’ipocrisia che alcuni politici partecipassero ai family day quando la loro vita familiare era irregolare secondo la morale cattolica. Che dire delle polemiche contro Matteo Salvini e Giorgia Meloni per la loro partecipazione al Congresso della famiglia a Verona, visto che la loro situazione personale non è conforme all’idea della famiglia tradizionale? Ma se loro non predicano loro stessi ma un principio a cui poi sono stati infedeli, io non ci vedo contraddizione. I principi sono oggettivi, al di fuori di noi.
Posso testimoniare per alcune conversazioni che ho avuto negli anni con esponenti alti e bassi della gerarchia ecclesiastica, che veramente quasi nessuno di loro manca di consapevolezza per quello che riguarda la gravità del fenomeno del clericalismo. Onestamente riconoscono che un certo sistema di protezioni varie non è altro che dannoso alla dignità della vocazione sacerdotale. E devo anche dire, con altrettanta onestà, che ci sono sacerdoti che si sforzano di interpretare la loro vocazione come servizio, non come essere servito. E non a caso questi sacerdoti sono tra i più amati dai fedeli che si affidano a loro. Qui, in effetti, bisognerebbe fare alcune osservazioni “profane” (ma non “profananti”) sulla vocazione al sacerdozio e sull’accesso al sacerdozio di troppi che probabilmente non avrebbero mai dovuto diventare sacerdoti. Questo è un discorso che ci porterà lontano e che si affronterà in seguito. Basti dire qui che è giusto fare i conti in tasca al vicino se pensiamo che faccia qualcosa di sbagliato ma,
a maggior ragione, facciamoli anche in quella nostra.
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