Rassicuriamo subito i nostri lettori: come abbiamo sempre fatto non ci occupiamo di politica, il titolo non è nostro, ma de La Civiltà Cattolica che con questo titolo ha pubblicato un articolo di Mons. Jean-Claude Hollerich nel quaderno 4052 del 20 aprile scorso.
L’articolo è stato pubblicato considerando che le elezioni al Parlamento europeo possono essere un’opportunità per “una riflessione più profonda sull’Europa”. Quindi anche per LaCiviltà Cattolica non si tratta propriamente di fare politica. Tuttavia, nel riflettere sull’Europa, si può evitare di entrare nell’agone partitico, ma non si può evitare di parlare dell’aspetto politico, ed infatti è quello che fa l’Autore dell’articolo.
Parlare dell’aspetto politico significa esprimere giudizi sulla politica condotta in Europa dalle varie componenti e dalla stessa Europa istituzione, che l’Autore chiama “Unione Europea”.
Dopo aver presentato le iniziative che hanno condotto pian piano alla formazione dell’Unione Europea, l’Autore parla del raggiunto traguardo di una politica di “non contrapposizione, di collaborazione e di pace” e fa notare che l’Europa si impegna per il “multiculturalismo” e per rappresentare il “soft power” per gli accordi internazionali, fino a diventare oggi “un fattore di pace nella politica mondiale”.
Tuttavia, scrive l’Autore, è mancata una vera integrazione “paneuropea”, a causa della mancanza di vero dialogo tra le varie culture proprie dei diversi paesi europei; e porta ad esempio la migrazione proveniente dal mondo musulmano, sulla quale paesi come la Germania e la Francia hanno fatto l’abitudine, mentre altri paesi più orientali continuano a considerarla un pericolo. E’ mancato il “dialogo fra diverse narrazioni”, dice l’Autore.
Ed egli stesso dichiara che il quadro che ha presentato ha lo scopo di introdurre la problematica dell’“integrazione”.
Nel quadro presentato, l’Autore delinea il suo giudizio politico, basato sui suoi convincimenti personali che egli cerca di fare apparire come assunti universali.
Egli parte subito da quelle che ormai certo mondo cattolico, a rimorchio di Papa Bergoglio, chiama “paure”, che denuncia come irreali e inammissibili.
Le “paure”, dice l’Autore, conducono all’“ascesa dei populismi” e di conseguenza ad “una destabilizzazione delle nostre democrazie e a un indebolimento dell’Unione Europea”.
Un affondo non da poco, che però presenta un vistoso punto debole: l’Autore non spiega il significato del termine “populismi”, rivelando così che dà per scontato tale significato nel senso critico e dispregiativo che gli dà lo stesso Bergoglio, per non parlare di certe aree politiche europee che non ammettono che si possa porre in discussione l’attuale politica dell’Unione Europea.
Queste “paure”, dice l’Autore, finiscono col reclamare un’“identità europea «cristiana», pur declinandosi in desideri politici che si rivelano in netta contrapposizione con una prospettiva fondata sul Vangelo”.
L’affermazione è come una randellata e merita soffermarsi un po’.
Non c’è una minima premessa giustificativa a tale affermazione, essa è data come fosse una cosa scontata, ma è chiaro che non lo è, anche perché sostenere che certi desideri politici sarebbero in contrapposizione col Vangelo è una mera opinione dell’Autore che, nonostante la sua veste di Arcivescovo gesuita, non può considerarsi l’unica ammissibile.
E’ notorio che il Vangelo, e le prospettive di vita fondate su di esso, non sono appannaggio esclusivo dei Gesuiti, né dei religiosi in genere, ma appartengono al patrimonio religioso e culturale di tanti fedeli, quegli stessi che conservano il sensus fidei e che nei secoli hanno costituito la Cristianità.
Ma l’Autore sembra non avere dubbi che i desideri politici dei fedeli che “reclamano un’identità europea cristiana” si trovino in contrapposizione col Vangelo.
E qui non si capisce bene se egli vuole affermare che in contrapposizione al Vangelo sarebbe lo stesso “reclamare un’identità europea cristiana”. Se così fosse la cosa non sarebbe affatto accettabile, ma il dubbio rimane, perché l’Autore non porta a sostegno della sua tesi un minimo “desiderio politico” dello stesso genere, ma in accordo col Vangelo.
Il succo del discorso è che i populismi sarebbero pericolosi e falsamente cristiani; cosa che, nella prospettiva delle elezioni europee equivale a schierarsi, non solo politicamente, ma anche partiticamente, come dire: non votate i populisti, votate tutti gli altri, Arcivescovo di Lussemburgo dixit.
L’autore passa poi a considerare che le “paure” aumentano “in concomitanza col declino della pratica domenicale”. Il che ci sembra una vera e propria battuta, poiché è esattamente il rovescio che accade da oltre un secolo: più la pratica domenicale si affievolisce, più nascono e aumentano le titaniche certezze dell’uomo della strada, imbevuto di diritti e di libertà di comportamento che sono sempre più distanti dal vivere cristiano; certezze che conducono a respingere le “paure” come elementi di disturbo, fino all’assurdo di tacciare di poco cristianesimo coloro che si rifugiano nella pratica religiosa per essere aiutati dalla preghiera e dalla devozione a far fronte ai tanti pericoli che sentono di correre loro stessi, le loro famiglie e i loro figli… pericoli che altri, come in questo caso, chiamano “paure“.
Curioso che un Gesuita non si sia accorto che il mondo va da un bel po’ sempre peggio in concomitanza con un crescente allontanamento da Dio.
Ma il male dei populismi non finisce qui, dice l’Autore, perché viene attuato un “gioco infame per le nostre angosce”: “Per rimuovere le nostre paure ci vengono presentati nemici: i migranti, l’islam, gli ebrei ecc.”.
Davvero infami questi populisti! Come se i migranti e l’islam non esistessero e non rappresentassero ognuno a loro modo dei pericoli da cui guardarsi.
Si noti, in questa affermazione dell’Autore, l’astuzia di mettere gli Ebrei insieme ai migranti e all’Islam, così da permettere di additare gli obiettori come “antisemiti”, che è l’offesa di maggior presa in questa nostra società che per timore di essere richiamata alla sua antica natura cristiana si inventa “paure” come l’“antisemitismo”.
E il nostro Gesuita ne conosce altre di astuzie, come quella che, secondo lui, le “paure” che gli stanno tanto a cuore “spesso glorificano il passato e frenano le dinamiche orientate verso l’avvenire”.
E così abbiamo scoperto che siamo al cospetto di un Arcivescovo Gesuita moderno che, al pari di altri suoi confratelli più celebri di lui, ama sminuire il passato e glorificare l’avvenire… terreno ovviamente. E subito ci viene in mente, non ce ne voglia il nostro Gesuita, il disastroso “sol dell’avvenire” di vermiglia memoria.
Fuor di metafora, è chiaro che l’Autore si rivela essere un cultore del progresso che porterà di certo al migliore dei mondi… peccato che tale progresso non è altro che il divenire mondano destinato ad auto-consumarsi, degenerare e morire, perché è chiaro ad ogni cattolico che la vera aspettativa dell’uomo è “la vita del mondo che verrà” e non certo l’impossibile perpetuarsi del mondo che c’è già; nel primo regna il Signore Gesù, che è Cristo, nel secondo regna il “Principe di questo mondo”, che è l’Anticristo.
Sorvoliamo sulla parte in cui l’Autore parla della necessità dell’“ordine”, sia perché si è dimenticato di ricordare che l’ordine vero è quello voluto da Dio, come Dio stesso l’ha voluto nella creazione e nelle creature; sia perché spiega che cosa intenda lui per ordine, in una frase conclusiva che vale la pena riportare per intero: “L’integrazione europea era all’inizio una promessa di un nuovo ordine, un ordine di pace. Per il cittadino europeo di oggi l’Unione non è più una promessa. Per molti giovani di oggi il concetto di ordine dipende dall’ordine nella loro vita individuale, che si riflette più nell’immaginario che nel reale. La volontà regolatrice dell’Unione Europea li disturba, ed essi non si rendono conto che l’ordine da loro vagheggiato è diretto dalle politiche del reale. Questo nuovo ordine dell’immaginario è il più grande rischio per una democrazia, per un cittadino che si impegna per la pace, la giustizia e l’ambiente”.
Ecco cosa sarebbe l’ordine per l’Autore: quello imposto dalla “volontà regolatrice dell’Unione Europea”. Il che ci sembra quanto meno esagerato, tranne che in un contesto in cui si vuole spingere gli Europei a votare alle prossime elezioni per i partiti che vogliono mantenere lo stato insoddisfacente ed euro-coercitivo che l’Unione Europea ha imposto finora. Insomma: vietato disturbare l’attuale Europa dei mercanti e dei finanzieri. Il che, per un Gesuita dovrebbe essere inaccettabile, ma pare invece che sia perfino lodevole.
E come s’era capito fin dall’inizio, ecco che l’Autore passa all’argomento chiave del suo intervento: “le migrazioni”.
“uno straniero che, per la sua differenza religiosa e culturale, appare come una minaccia per il nostro piccolo mondo. Le emozioni negative esplodono: l’altro non è più considerato come un’occasione di incontro, ma come colui che ci fa perdere la nostra identità.” E ci sono esempi negativi in cui “la popolazione autoctona non si sente più a casa”. Ma questo è non colpa dei migranti, dice l’Autore, ma di “mancanza di integrazione”.
E qui l’Autore tira fuori una considerazione che è quanto meno sospetta: nel leggerla ci siamo chiesti se leggevamo lo scritto di un uomo di Chiesa o di un propagandista ateo-marxista.
“Il mondo operaio era aperto alla condivisione e rifletteva così un atteggiamento profondamente cristiano.»
E questo dopo aver offerto al lettore il suggerimento che la “mancanza di integrazione” e le “divisioni” sarebbero il prodotto di “una politica puramente materialistica centrata sull’economia”.
Non ci confondiamo, abbiamo letto bene: il mondo operaio, cioè la cosiddetta “classe operaia”, inventato e utilizzato dal marxismo ateo e materialista sarebbe “profondamente cristiano”, mentre ci sarebbe un altro mondo, quello della politica puramente materialista centrata sull’economia, che sarebbe non cristiano.
Forse l’Autore dovrebbe chiarirsi meglio le idee e mettersi d’accordo con sé stesso: la politica puramente materialista centrata sull’economia è o non è la politica degli inventori della “classe operaia”? E insieme, è o non è la politica dell’economia di mercato e del cosiddetto capitalismo? Non si tratta di due politiche, infatti, ma di una stessa politica: fondata sul denaro e refrattaria al bene comune fondato sugli insegnamenti di Dio?
Si risente chiaramente l’influenza della predicazione vetero-marxista di Bergoglio e delle teorie catto-comuniste sviluppate da certi circoli gesuiti degli anni settanta e ottanta sotto le direttive dei gesuiti Padre Sorge e Padre Pintacuda; a cui l’Autore aggiunge di suo l’appunto che “Il sindacalismo era quindi spesso più universale delle nostre Chiese, che dopo il Vaticano II sono diventate Chiese nazionali”.
Così che la responsabilità della mancanza di dialogo e del rifiuto dell’accoglienza sarebbe delle Chiese nazionali nate dopo il Vaticano II, omologhe quindi dei nazionalismi che alimenterebbero i populismi.
Ma attenzione! In realtà non si tratta di un frutto del Vaticano II! Avverte l’Autore. Perché se la Chiesa nazionale aiuta a “cementare nell’immaginario cattolico lo Stato-nazione e ci fa perdere una parte della nostra vocazione universale” è perché “la liturgia nelle lingue nazionali ha dimenticato i valori di apertura e di dialogo del Concilio Vaticano II”.
Lapsus gesuitico: il vetero-marxismo e il catto-comunismo, nell’animo dell’Autore, coinciderebbero con i valori di apertura e di dialogo del Concilio Vaticano II; l’Autore non si sarà accorto di affermare una cosa vera che sta alla base dello sfaldamento della pratica religiosa cattolica degli ultimi sessant’anni. Quello stesso sfaldamento che ha interessato anche la dottrina cattolica e di conseguenza ha portato tanti uomini di Chiesa, papa in testa, a farsi promotori dell’immigrazione di massa volta a demolire quel che è rimasto dell’Europa cristiana.
Detto questo, ecco che l’Autore si aggroviglia su sé stesso e tira fuori dal suo bagaglio culturale la seguente considerazione: “La mancanza del rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II e un cattolicesimo basato sui riti potrebbero spiegare perché i populismi attirano anche un certo numero di cattolici praticanti. I riti sono un elemento di ordine nella vita quotidiana; i riti e l’ordine, considerati insieme, costituiscono un luogo con un passato immaginario che spesso pretende di rappresentare «l’Occidente cristiano»”.
Chissà cosa ha voluto dire il nostro Gesuita, ma di certo ha detto che l’Occidente cristiano è cosa ben diversa da quello che pensano i cattolici che seguono i riti della Chiesa con una disposizione mentale informata dall’ordine. Evidentemente egli, dentro di sé, è più portato per il disordine, e lo dice anche, quando afferma che “Per uscire da questa impasse dobbiamo disfarci di ogni autoreferenzialità ecclesiale. Per questo papa Francesco ci invita a vivere il Vangelo nell’incontro con l’altro, con l’immigrato”.
Quindi, gesuiticamente e bergoglianamente parlando, il Vangelo non va vissuto nell’obbedienza agli insegnamenti e ai comandamenti di Nostro Signore, ma nell’incontro con l’immigrato. Questa nuova teologia è davvero sorprendente, e aiuta a far capire perché sempre meno cattolici seguono la S. Messa e accedono ai sacramenti.
Il fatto è che molti moderni uomini di Chiesa, con in testa i moderni Gesuiti, non hanno più idea di cosa sia realmente il cattolicesimo e di cosa significhi essere cattolici; come confessa candidamente i nostro Gesuita: “Venendo nei nostri Paesi, il migrante diventa nostro prossimo. L’amore per il prossimo ci chiede di pensare alla migrazione con gli occhi dei migranti: occhi che rivelano la loro paura, le loro preoccupazioni, la loro fame, il loro desiderio di sicurezza e il loro desiderio di stabilità economica”.
Ora, il termine “prossimo”, lungi dal designare chi si viene a trovare accanto a noi per un qualche motivo, lecito o illecito, designa esattamente chi è vicino a noi innanzi tutto spiritualmente e naturalmente. Sono nostro “prossimo” i nostri parenti, i nostri amici, i nostri conterranei, e lo sono secondo lo stesso ordine gerarchico; così che perché un qualunque nuovo arrivato occasionale arrivi a rientrare nel nostro “prossimo” è necessario che rientri prima in una di queste categorie, soprattutto in termini spirituali e naturali.
Quando Gesù comanda di amare il nostro prossimo come noi stessi, non ci invita a trattare così chiunque ci troviamo al fianco accidentalmente, ma quelli che ci sono “prossimi” per stirpe, lingua, costumi e credo religioso. Come potrebbe un credente nel vero Dio essere “prossimo” ad un credente in un falso dio o a un miscredente? Arrivare a considerare “prossimo” qualcuno di questi equivale a farsi beffe dell’insegnamento e del comando di Nostro Signore. Ma pare proprio che il nostro Gesuita non si faccia scrupoli, quello che è importante per lui è che noi Europei si accolga indiscriminatamente chiunque chi venga portato in casa nel quadro di quella che ormai è diventata una vera e propria invasione materiale, culturale e religiosa, e che tanti come il nostro si ostinano a chiamare semplicemente “migrazione”.
Conclusa la lezione – diseducativa – sull’immigrazione, l’Arcivescovo gesuita passa alla lezione sulla “identità”.
Cos’è l’identità? Non lo dice, ma dice che “la vera identità si costruisce nel dialogo permanente della nostra vita: dialogo con Dio e dialogo con gli uomini”.
Come dire che quando nasce un nostro figlio e cresce con l’educazione della famiglia, egli non avrebbe un’identità, ma dovrebbe costruirsela attraverso il dialogo con gli uomini. Quando qualche stolto come noi pensa di essere Italiano o Europeo, per stirpe, lingua, costumi e credo religioso, sbaglia! Ognuno di noi non avrebbe identità se prima non intrattiene un dialogo con gli uomini e ultimamente con i migranti.
E come si fa a calcare la mano su questo incredibile assunto? Così: “L’Europa, che sta perdendo la propria identità, si costruisce identitarismi, populismi, in cui la nazione non è più vissuta come comunità politica, ma diventa un fantasma del passato, uno spettro che trascina dietro di sé le vittime delle guerre dovute ai nazionalismi della storia”.
Un concentrato di astrusità utile a dire niente per colpire la sensibilità deviata del comune uomo moderno, figlio della cattiva educazione subita per mano dei nuovi preti della nuova Chiesa abortita dal Vaticano II: educazione non più alla sequela di Cristo, ma alla servile sequela del mondo.
«I populismi… costruiscono una falsa identità denunciando nemici che sono accusati di tutti i mali della società: ad esempio, i migranti o l’Unione Europea. … creano nuove uniformità, che sono l’anticamera dei totalitarismi”.
Ed eccoci al do: il totalitarismo; altro spauracchio buono per tutte le propagande europeiste, purché non si tocchi il totalitarismo europeista che ha voluto ridurre alla fame, compiaciuto, interi popoli europei.
Più propaganda elettorale di questa si muore!
E giù un’altra botta! Questa volta a favore di un cristianesimo progressista e non più cristiano.
“Un cristianesimo autoreferenziale rischia di veder emergere punti comuni con questa negazione della realtà e rischia di creare dinamiche che alla fine divoreranno il cristianesimo stesso.”
“…populismi che evocano una falsa realtà pseudo-religiosa e pseudo-mistica, che nega il centro della teologia occidentale, che è l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Perché l’amore non può esistere senza libertà, … Senza libertà la nostra fede non esiste”.
Oh! Novello San Paolo – alla rovescia -!
Sembra che neanche per un attimo il nostro Gesuita sia stato sfiorato dal pensiero che invece “senza la nostra fede la libertà non esiste”, come ci ha insegnato Nostro Signore Gesù Cristo: e sembra che il nostro Gesuita si chieda: Gesù Cristo, chi è costui?
Ah! Se avesse letto bene un po’ di Vangelo! Avrebbe imparato che «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv. 8, 31-32).
E invece no! Ha imparato il rovescio e pretende di farlo passare per dritto. Usando anche le contraddizioni: “…l’identità è importante. Si devono rispettare tutte le identità; al tempo stesso, però, si deve fare di tutto perché esse non siano chiuse, ma aperte, e divengano identità dialoganti”.
Che in altre parole, più realistiche, significa che ogni identità – che è importante - si deve perdere nel mare indefinito del dialogare, affogandovi!
Ed eccoci alla lezione sul “popolo”.
“Il popolo … è una comunità di persone che condividono la stessa cultura e sono chiamate insieme a operare per il bene comune”.
E allora? Se è così, perché non chiarire il significato della “stessa cultura”, che è l’insieme della stessa eredità dei padri, della stessa concezione del mondo e dello stesso credo religioso? E perché non chiarire il significato di “bene comune”, che è il perseguimento del bene materiale e dell’ordine sociale in vista del bene supremo dell’uomo che consiste nel meritarsi il Paradiso fuggendo il male del mondo e così evitando l’Inferno?
Perché? Perché quello che preme veramente all’Autore è affermare che il popolo “è composto da persone molto diverse [mica tanto!], che sono i soggetti dei diritti dell’uomo. E’ questo profondo rispetto per i diritti dell’uomo che distingue le sètte dalle religioni, i totalitarismi dalle democrazie”.
Se fossimo in televisione, a questo punto uscirebbe la scritta luminosa: «applausi!».
Diritti! Sempre e solo diritti! Ma com’è possibile che i nuovi preti della nuova Chiesa abbiano dimenticato che un uomo e un popolo non si caratterizzano per i soli diritti, ma soprattutto per i doveri che hanno verso loro stessi e le loro famiglie in aderenza ai loro doveri nei confronti di Dio loro Creatore! E invece, dimenticati i doveri verso Dio, questi nuovi preti sono diventati i cultori e i difensori dei “diritti dell’uomo”, di anticristiana memoria.
Ultimate le dissertazioni sul “popolo”, ecco che l’Autore passa alla lezione di “democrazia”. E ci voleva, perché non l’avevamo ancora capito che il nostro è un “cattolico democratico”!
Ma un “cattolico democratico” che si para il colpo: “Le forme di governo democratiche sono la migliore salvaguardia dei diritti dell’uomo. Ma i cambiamenti culturali non risparmiano le nostre democrazie parlamentari in Europa. I cittadini europei provano un crescente disagio nei confronti delle multinazionali e dei poteri finanziari. La crisi delle banche in Europa e l’arricchimento di una élite finanziaria sembrano mostrare una connivenza tra i poteri economici e le élites politiche”.
Colpo parato! Ma malamente, perché il crescente disagio degli Europei nei confronti dei poteri finanziari non si basa sul “sembra”, ma sulla lampante evidenza che i politici europei sono, non conniventi, ma ligi servitori del potere finanziario.
E stupisce che dopo aver ripetutamente parlato del materialismo economico, il nostro dimostri tanta arrendevolezza con i poteri finanziari! Forse perché non bisogna mai dispiacere troppo i veri padroni del mondo.
E circa il “sociale”, il nostro, dopo aver parlato di disoccupazione giovanile, se ne viene con un bel colpo di spazzola ai capi dell’Unione Europea: “Il piano Juncker dell’Unione Europea cerca di colmare le lacune nazionali nella creazione di posti di lavoro. Purtroppo non se ne parla abbastanza, e così l’Unione Europea viene vista come connivente con le élites finanziarie, che non comprendono più il mondo dei giovani disoccupati”.
Oh! Poveri burocrati europei, come sono mal capiti! C’è anche chi pensa che l’Unione Europea sia connivente con le élites finanziarie; cosa del tutto falsa!
E ha ragione il nostro Gesuita e insieme ha doppiamente torto nel farsi cicisbeo dei capi europei, perché l’Unione Europea non è connivente con i poteri finanziari, ma è del tutto in mano a tali poteri e a tali élites, che perseguono il disegno di schiavizzare i popoli europei, privandoli della loro identità, della loro cultura e della loro religione, per farne docili strumenti al servizio del Nuovo Ordine Mondiale che, pur essendo senza religione e senza Dio, è sostenuto da Bergoglio e dai “cattolici democratici” come il nostro Arcivescovo Gesuita.
E dopo aver dato il colpo al cerchio era necessario dare il colpo alla botte: “Il disagio è profondo in molti Paesi dell’Unione Europea. La paura di un degrado sociale è reale. Se l’Unione non riesce a mostrare ai giovani che il loro futuro le sta a cuore, essi diventeranno preda dei populismi”.
Ecco cosa preme veramente al nostro Gesuita, che i giovani non diventino preda dei populismi! Che nobile istanza! Ma caro Arcivescovo, non sarebbe meglio dire pane al pane e vino al vino, convenendo che questa mitica Unione Europea è come la sentina di tutte le disgrazie presenti e future dei popoli europei?
Ma passiamo all’“ambiente”, il tema tanto caro al papa argentino che invece di fare il cattolico e confermare i fratelli nella Fede, fa l’ecologista e sottoscrive le interessate proiezioni catastrofiche dei padroni del mondo, a cui preme dimostrare che l’uomo, lasciato a sé stesso senza la loro guida illuminata, finirà col distruggere il creato… come se l’avesse creato lui! Stolti che conducono altri stolti!
Ed ecco le chicche sfornate dal profondo pensiero del nostro Gesuita.
“I giovani scendono in piazza per manifestare a favore delle politiche ambientali e climatiche, e hanno ragione, perché la solidarietà è per sua natura intergenerazionale”.
“la voce dei poveri invoca una giustizia climatica” [!?].
“La Chiesa, con l’enciclica Laudato si’, si schiera apertamente a fianco dei giovani e cerca di mantenere viva la speranza e di lavorare affinché questa possa diventare concreta”.
E qui finiscono le lezioni e arriva la conclusione… e meno male, perché la disamina di questo manifesto di propaganda elettorale comporta una certa noia e una certa stanchezza.
“La politica europea deve collocare nuovamente l’uomo, con le sue aspirazioni e con le sue speranze, al centro dell’agire politico”. … Di Dio, manco a parlarne!
“Approfittiamo delle elezioni per il Parlamento europeo per costruire nuove fondamenta per l’Europa. Perché l’Unione Europea è a favore dell’uomo europeo ed è un fattore di pace nel mondo”. … Vota Antonio! Vota Antonio! Gridava Totò!
“Per la Chiesa, si tratta di accompagnare questi sogni e queste speranze” … In un’Europa senza Patria e senza Dio!
“… questo impegno è un’opportunità per la nuova evangelizzazione”… senza più Vangelo alla mano, ma col voto per il Nuovo Ordine Mondiale senza Dio!
“… potremo incontrare Dio solo nel mondo reale”. … E’ vero, ma il mondo reale non è quello dell’Unione Europea che rifiuta la realtà delle radici cristiane dell’Europa!
di Belvecchio
L’articolo è stato pubblicato considerando che le elezioni al Parlamento europeo possono essere un’opportunità per “una riflessione più profonda sull’Europa”. Quindi anche per LaCiviltà Cattolica non si tratta propriamente di fare politica. Tuttavia, nel riflettere sull’Europa, si può evitare di entrare nell’agone partitico, ma non si può evitare di parlare dell’aspetto politico, ed infatti è quello che fa l’Autore dell’articolo.
Parlare dell’aspetto politico significa esprimere giudizi sulla politica condotta in Europa dalle varie componenti e dalla stessa Europa istituzione, che l’Autore chiama “Unione Europea”.
Dopo aver presentato le iniziative che hanno condotto pian piano alla formazione dell’Unione Europea, l’Autore parla del raggiunto traguardo di una politica di “non contrapposizione, di collaborazione e di pace” e fa notare che l’Europa si impegna per il “multiculturalismo” e per rappresentare il “soft power” per gli accordi internazionali, fino a diventare oggi “un fattore di pace nella politica mondiale”.
Tuttavia, scrive l’Autore, è mancata una vera integrazione “paneuropea”, a causa della mancanza di vero dialogo tra le varie culture proprie dei diversi paesi europei; e porta ad esempio la migrazione proveniente dal mondo musulmano, sulla quale paesi come la Germania e la Francia hanno fatto l’abitudine, mentre altri paesi più orientali continuano a considerarla un pericolo. E’ mancato il “dialogo fra diverse narrazioni”, dice l’Autore.
Ed egli stesso dichiara che il quadro che ha presentato ha lo scopo di introdurre la problematica dell’“integrazione”.
Nel quadro presentato, l’Autore delinea il suo giudizio politico, basato sui suoi convincimenti personali che egli cerca di fare apparire come assunti universali.
Egli parte subito da quelle che ormai certo mondo cattolico, a rimorchio di Papa Bergoglio, chiama “paure”, che denuncia come irreali e inammissibili.
Le “paure”, dice l’Autore, conducono all’“ascesa dei populismi” e di conseguenza ad “una destabilizzazione delle nostre democrazie e a un indebolimento dell’Unione Europea”.
Un affondo non da poco, che però presenta un vistoso punto debole: l’Autore non spiega il significato del termine “populismi”, rivelando così che dà per scontato tale significato nel senso critico e dispregiativo che gli dà lo stesso Bergoglio, per non parlare di certe aree politiche europee che non ammettono che si possa porre in discussione l’attuale politica dell’Unione Europea.
Queste “paure”, dice l’Autore, finiscono col reclamare un’“identità europea «cristiana», pur declinandosi in desideri politici che si rivelano in netta contrapposizione con una prospettiva fondata sul Vangelo”.
L’affermazione è come una randellata e merita soffermarsi un po’.
Non c’è una minima premessa giustificativa a tale affermazione, essa è data come fosse una cosa scontata, ma è chiaro che non lo è, anche perché sostenere che certi desideri politici sarebbero in contrapposizione col Vangelo è una mera opinione dell’Autore che, nonostante la sua veste di Arcivescovo gesuita, non può considerarsi l’unica ammissibile.
E’ notorio che il Vangelo, e le prospettive di vita fondate su di esso, non sono appannaggio esclusivo dei Gesuiti, né dei religiosi in genere, ma appartengono al patrimonio religioso e culturale di tanti fedeli, quegli stessi che conservano il sensus fidei e che nei secoli hanno costituito la Cristianità.
Ma l’Autore sembra non avere dubbi che i desideri politici dei fedeli che “reclamano un’identità europea cristiana” si trovino in contrapposizione col Vangelo.
E qui non si capisce bene se egli vuole affermare che in contrapposizione al Vangelo sarebbe lo stesso “reclamare un’identità europea cristiana”. Se così fosse la cosa non sarebbe affatto accettabile, ma il dubbio rimane, perché l’Autore non porta a sostegno della sua tesi un minimo “desiderio politico” dello stesso genere, ma in accordo col Vangelo.
Il succo del discorso è che i populismi sarebbero pericolosi e falsamente cristiani; cosa che, nella prospettiva delle elezioni europee equivale a schierarsi, non solo politicamente, ma anche partiticamente, come dire: non votate i populisti, votate tutti gli altri, Arcivescovo di Lussemburgo dixit.
L’autore passa poi a considerare che le “paure” aumentano “in concomitanza col declino della pratica domenicale”. Il che ci sembra una vera e propria battuta, poiché è esattamente il rovescio che accade da oltre un secolo: più la pratica domenicale si affievolisce, più nascono e aumentano le titaniche certezze dell’uomo della strada, imbevuto di diritti e di libertà di comportamento che sono sempre più distanti dal vivere cristiano; certezze che conducono a respingere le “paure” come elementi di disturbo, fino all’assurdo di tacciare di poco cristianesimo coloro che si rifugiano nella pratica religiosa per essere aiutati dalla preghiera e dalla devozione a far fronte ai tanti pericoli che sentono di correre loro stessi, le loro famiglie e i loro figli… pericoli che altri, come in questo caso, chiamano “paure“.
Curioso che un Gesuita non si sia accorto che il mondo va da un bel po’ sempre peggio in concomitanza con un crescente allontanamento da Dio.
Ma il male dei populismi non finisce qui, dice l’Autore, perché viene attuato un “gioco infame per le nostre angosce”: “Per rimuovere le nostre paure ci vengono presentati nemici: i migranti, l’islam, gli ebrei ecc.”.
Davvero infami questi populisti! Come se i migranti e l’islam non esistessero e non rappresentassero ognuno a loro modo dei pericoli da cui guardarsi.
Si noti, in questa affermazione dell’Autore, l’astuzia di mettere gli Ebrei insieme ai migranti e all’Islam, così da permettere di additare gli obiettori come “antisemiti”, che è l’offesa di maggior presa in questa nostra società che per timore di essere richiamata alla sua antica natura cristiana si inventa “paure” come l’“antisemitismo”.
E il nostro Gesuita ne conosce altre di astuzie, come quella che, secondo lui, le “paure” che gli stanno tanto a cuore “spesso glorificano il passato e frenano le dinamiche orientate verso l’avvenire”.
E così abbiamo scoperto che siamo al cospetto di un Arcivescovo Gesuita moderno che, al pari di altri suoi confratelli più celebri di lui, ama sminuire il passato e glorificare l’avvenire… terreno ovviamente. E subito ci viene in mente, non ce ne voglia il nostro Gesuita, il disastroso “sol dell’avvenire” di vermiglia memoria.
Fuor di metafora, è chiaro che l’Autore si rivela essere un cultore del progresso che porterà di certo al migliore dei mondi… peccato che tale progresso non è altro che il divenire mondano destinato ad auto-consumarsi, degenerare e morire, perché è chiaro ad ogni cattolico che la vera aspettativa dell’uomo è “la vita del mondo che verrà” e non certo l’impossibile perpetuarsi del mondo che c’è già; nel primo regna il Signore Gesù, che è Cristo, nel secondo regna il “Principe di questo mondo”, che è l’Anticristo.
Sorvoliamo sulla parte in cui l’Autore parla della necessità dell’“ordine”, sia perché si è dimenticato di ricordare che l’ordine vero è quello voluto da Dio, come Dio stesso l’ha voluto nella creazione e nelle creature; sia perché spiega che cosa intenda lui per ordine, in una frase conclusiva che vale la pena riportare per intero: “L’integrazione europea era all’inizio una promessa di un nuovo ordine, un ordine di pace. Per il cittadino europeo di oggi l’Unione non è più una promessa. Per molti giovani di oggi il concetto di ordine dipende dall’ordine nella loro vita individuale, che si riflette più nell’immaginario che nel reale. La volontà regolatrice dell’Unione Europea li disturba, ed essi non si rendono conto che l’ordine da loro vagheggiato è diretto dalle politiche del reale. Questo nuovo ordine dell’immaginario è il più grande rischio per una democrazia, per un cittadino che si impegna per la pace, la giustizia e l’ambiente”.
Ecco cosa sarebbe l’ordine per l’Autore: quello imposto dalla “volontà regolatrice dell’Unione Europea”. Il che ci sembra quanto meno esagerato, tranne che in un contesto in cui si vuole spingere gli Europei a votare alle prossime elezioni per i partiti che vogliono mantenere lo stato insoddisfacente ed euro-coercitivo che l’Unione Europea ha imposto finora. Insomma: vietato disturbare l’attuale Europa dei mercanti e dei finanzieri. Il che, per un Gesuita dovrebbe essere inaccettabile, ma pare invece che sia perfino lodevole.
E come s’era capito fin dall’inizio, ecco che l’Autore passa all’argomento chiave del suo intervento: “le migrazioni”.
“uno straniero che, per la sua differenza religiosa e culturale, appare come una minaccia per il nostro piccolo mondo. Le emozioni negative esplodono: l’altro non è più considerato come un’occasione di incontro, ma come colui che ci fa perdere la nostra identità.” E ci sono esempi negativi in cui “la popolazione autoctona non si sente più a casa”. Ma questo è non colpa dei migranti, dice l’Autore, ma di “mancanza di integrazione”.
E qui l’Autore tira fuori una considerazione che è quanto meno sospetta: nel leggerla ci siamo chiesti se leggevamo lo scritto di un uomo di Chiesa o di un propagandista ateo-marxista.
“Il mondo operaio era aperto alla condivisione e rifletteva così un atteggiamento profondamente cristiano.»
E questo dopo aver offerto al lettore il suggerimento che la “mancanza di integrazione” e le “divisioni” sarebbero il prodotto di “una politica puramente materialistica centrata sull’economia”.
Non ci confondiamo, abbiamo letto bene: il mondo operaio, cioè la cosiddetta “classe operaia”, inventato e utilizzato dal marxismo ateo e materialista sarebbe “profondamente cristiano”, mentre ci sarebbe un altro mondo, quello della politica puramente materialista centrata sull’economia, che sarebbe non cristiano.
Forse l’Autore dovrebbe chiarirsi meglio le idee e mettersi d’accordo con sé stesso: la politica puramente materialista centrata sull’economia è o non è la politica degli inventori della “classe operaia”? E insieme, è o non è la politica dell’economia di mercato e del cosiddetto capitalismo? Non si tratta di due politiche, infatti, ma di una stessa politica: fondata sul denaro e refrattaria al bene comune fondato sugli insegnamenti di Dio?
Si risente chiaramente l’influenza della predicazione vetero-marxista di Bergoglio e delle teorie catto-comuniste sviluppate da certi circoli gesuiti degli anni settanta e ottanta sotto le direttive dei gesuiti Padre Sorge e Padre Pintacuda; a cui l’Autore aggiunge di suo l’appunto che “Il sindacalismo era quindi spesso più universale delle nostre Chiese, che dopo il Vaticano II sono diventate Chiese nazionali”.
Così che la responsabilità della mancanza di dialogo e del rifiuto dell’accoglienza sarebbe delle Chiese nazionali nate dopo il Vaticano II, omologhe quindi dei nazionalismi che alimenterebbero i populismi.
Ma attenzione! In realtà non si tratta di un frutto del Vaticano II! Avverte l’Autore. Perché se la Chiesa nazionale aiuta a “cementare nell’immaginario cattolico lo Stato-nazione e ci fa perdere una parte della nostra vocazione universale” è perché “la liturgia nelle lingue nazionali ha dimenticato i valori di apertura e di dialogo del Concilio Vaticano II”.
Lapsus gesuitico: il vetero-marxismo e il catto-comunismo, nell’animo dell’Autore, coinciderebbero con i valori di apertura e di dialogo del Concilio Vaticano II; l’Autore non si sarà accorto di affermare una cosa vera che sta alla base dello sfaldamento della pratica religiosa cattolica degli ultimi sessant’anni. Quello stesso sfaldamento che ha interessato anche la dottrina cattolica e di conseguenza ha portato tanti uomini di Chiesa, papa in testa, a farsi promotori dell’immigrazione di massa volta a demolire quel che è rimasto dell’Europa cristiana.
Detto questo, ecco che l’Autore si aggroviglia su sé stesso e tira fuori dal suo bagaglio culturale la seguente considerazione: “La mancanza del rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II e un cattolicesimo basato sui riti potrebbero spiegare perché i populismi attirano anche un certo numero di cattolici praticanti. I riti sono un elemento di ordine nella vita quotidiana; i riti e l’ordine, considerati insieme, costituiscono un luogo con un passato immaginario che spesso pretende di rappresentare «l’Occidente cristiano»”.
Chissà cosa ha voluto dire il nostro Gesuita, ma di certo ha detto che l’Occidente cristiano è cosa ben diversa da quello che pensano i cattolici che seguono i riti della Chiesa con una disposizione mentale informata dall’ordine. Evidentemente egli, dentro di sé, è più portato per il disordine, e lo dice anche, quando afferma che “Per uscire da questa impasse dobbiamo disfarci di ogni autoreferenzialità ecclesiale. Per questo papa Francesco ci invita a vivere il Vangelo nell’incontro con l’altro, con l’immigrato”.
Quindi, gesuiticamente e bergoglianamente parlando, il Vangelo non va vissuto nell’obbedienza agli insegnamenti e ai comandamenti di Nostro Signore, ma nell’incontro con l’immigrato. Questa nuova teologia è davvero sorprendente, e aiuta a far capire perché sempre meno cattolici seguono la S. Messa e accedono ai sacramenti.
Il fatto è che molti moderni uomini di Chiesa, con in testa i moderni Gesuiti, non hanno più idea di cosa sia realmente il cattolicesimo e di cosa significhi essere cattolici; come confessa candidamente i nostro Gesuita: “Venendo nei nostri Paesi, il migrante diventa nostro prossimo. L’amore per il prossimo ci chiede di pensare alla migrazione con gli occhi dei migranti: occhi che rivelano la loro paura, le loro preoccupazioni, la loro fame, il loro desiderio di sicurezza e il loro desiderio di stabilità economica”.
Ora, il termine “prossimo”, lungi dal designare chi si viene a trovare accanto a noi per un qualche motivo, lecito o illecito, designa esattamente chi è vicino a noi innanzi tutto spiritualmente e naturalmente. Sono nostro “prossimo” i nostri parenti, i nostri amici, i nostri conterranei, e lo sono secondo lo stesso ordine gerarchico; così che perché un qualunque nuovo arrivato occasionale arrivi a rientrare nel nostro “prossimo” è necessario che rientri prima in una di queste categorie, soprattutto in termini spirituali e naturali.
Quando Gesù comanda di amare il nostro prossimo come noi stessi, non ci invita a trattare così chiunque ci troviamo al fianco accidentalmente, ma quelli che ci sono “prossimi” per stirpe, lingua, costumi e credo religioso. Come potrebbe un credente nel vero Dio essere “prossimo” ad un credente in un falso dio o a un miscredente? Arrivare a considerare “prossimo” qualcuno di questi equivale a farsi beffe dell’insegnamento e del comando di Nostro Signore. Ma pare proprio che il nostro Gesuita non si faccia scrupoli, quello che è importante per lui è che noi Europei si accolga indiscriminatamente chiunque chi venga portato in casa nel quadro di quella che ormai è diventata una vera e propria invasione materiale, culturale e religiosa, e che tanti come il nostro si ostinano a chiamare semplicemente “migrazione”.
Conclusa la lezione – diseducativa – sull’immigrazione, l’Arcivescovo gesuita passa alla lezione sulla “identità”.
Cos’è l’identità? Non lo dice, ma dice che “la vera identità si costruisce nel dialogo permanente della nostra vita: dialogo con Dio e dialogo con gli uomini”.
Come dire che quando nasce un nostro figlio e cresce con l’educazione della famiglia, egli non avrebbe un’identità, ma dovrebbe costruirsela attraverso il dialogo con gli uomini. Quando qualche stolto come noi pensa di essere Italiano o Europeo, per stirpe, lingua, costumi e credo religioso, sbaglia! Ognuno di noi non avrebbe identità se prima non intrattiene un dialogo con gli uomini e ultimamente con i migranti.
E come si fa a calcare la mano su questo incredibile assunto? Così: “L’Europa, che sta perdendo la propria identità, si costruisce identitarismi, populismi, in cui la nazione non è più vissuta come comunità politica, ma diventa un fantasma del passato, uno spettro che trascina dietro di sé le vittime delle guerre dovute ai nazionalismi della storia”.
Un concentrato di astrusità utile a dire niente per colpire la sensibilità deviata del comune uomo moderno, figlio della cattiva educazione subita per mano dei nuovi preti della nuova Chiesa abortita dal Vaticano II: educazione non più alla sequela di Cristo, ma alla servile sequela del mondo.
«I populismi… costruiscono una falsa identità denunciando nemici che sono accusati di tutti i mali della società: ad esempio, i migranti o l’Unione Europea. … creano nuove uniformità, che sono l’anticamera dei totalitarismi”.
Ed eccoci al do: il totalitarismo; altro spauracchio buono per tutte le propagande europeiste, purché non si tocchi il totalitarismo europeista che ha voluto ridurre alla fame, compiaciuto, interi popoli europei.
Più propaganda elettorale di questa si muore!
E giù un’altra botta! Questa volta a favore di un cristianesimo progressista e non più cristiano.
“Un cristianesimo autoreferenziale rischia di veder emergere punti comuni con questa negazione della realtà e rischia di creare dinamiche che alla fine divoreranno il cristianesimo stesso.”
“…populismi che evocano una falsa realtà pseudo-religiosa e pseudo-mistica, che nega il centro della teologia occidentale, che è l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Perché l’amore non può esistere senza libertà, … Senza libertà la nostra fede non esiste”.
Oh! Novello San Paolo – alla rovescia -!
Sembra che neanche per un attimo il nostro Gesuita sia stato sfiorato dal pensiero che invece “senza la nostra fede la libertà non esiste”, come ci ha insegnato Nostro Signore Gesù Cristo: e sembra che il nostro Gesuita si chieda: Gesù Cristo, chi è costui?
Ah! Se avesse letto bene un po’ di Vangelo! Avrebbe imparato che «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv. 8, 31-32).
E invece no! Ha imparato il rovescio e pretende di farlo passare per dritto. Usando anche le contraddizioni: “…l’identità è importante. Si devono rispettare tutte le identità; al tempo stesso, però, si deve fare di tutto perché esse non siano chiuse, ma aperte, e divengano identità dialoganti”.
Che in altre parole, più realistiche, significa che ogni identità – che è importante - si deve perdere nel mare indefinito del dialogare, affogandovi!
Ed eccoci alla lezione sul “popolo”.
“Il popolo … è una comunità di persone che condividono la stessa cultura e sono chiamate insieme a operare per il bene comune”.
E allora? Se è così, perché non chiarire il significato della “stessa cultura”, che è l’insieme della stessa eredità dei padri, della stessa concezione del mondo e dello stesso credo religioso? E perché non chiarire il significato di “bene comune”, che è il perseguimento del bene materiale e dell’ordine sociale in vista del bene supremo dell’uomo che consiste nel meritarsi il Paradiso fuggendo il male del mondo e così evitando l’Inferno?
Perché? Perché quello che preme veramente all’Autore è affermare che il popolo “è composto da persone molto diverse [mica tanto!], che sono i soggetti dei diritti dell’uomo. E’ questo profondo rispetto per i diritti dell’uomo che distingue le sètte dalle religioni, i totalitarismi dalle democrazie”.
Se fossimo in televisione, a questo punto uscirebbe la scritta luminosa: «applausi!».
Diritti! Sempre e solo diritti! Ma com’è possibile che i nuovi preti della nuova Chiesa abbiano dimenticato che un uomo e un popolo non si caratterizzano per i soli diritti, ma soprattutto per i doveri che hanno verso loro stessi e le loro famiglie in aderenza ai loro doveri nei confronti di Dio loro Creatore! E invece, dimenticati i doveri verso Dio, questi nuovi preti sono diventati i cultori e i difensori dei “diritti dell’uomo”, di anticristiana memoria.
Ultimate le dissertazioni sul “popolo”, ecco che l’Autore passa alla lezione di “democrazia”. E ci voleva, perché non l’avevamo ancora capito che il nostro è un “cattolico democratico”!
Ma un “cattolico democratico” che si para il colpo: “Le forme di governo democratiche sono la migliore salvaguardia dei diritti dell’uomo. Ma i cambiamenti culturali non risparmiano le nostre democrazie parlamentari in Europa. I cittadini europei provano un crescente disagio nei confronti delle multinazionali e dei poteri finanziari. La crisi delle banche in Europa e l’arricchimento di una élite finanziaria sembrano mostrare una connivenza tra i poteri economici e le élites politiche”.
Colpo parato! Ma malamente, perché il crescente disagio degli Europei nei confronti dei poteri finanziari non si basa sul “sembra”, ma sulla lampante evidenza che i politici europei sono, non conniventi, ma ligi servitori del potere finanziario.
E stupisce che dopo aver ripetutamente parlato del materialismo economico, il nostro dimostri tanta arrendevolezza con i poteri finanziari! Forse perché non bisogna mai dispiacere troppo i veri padroni del mondo.
E circa il “sociale”, il nostro, dopo aver parlato di disoccupazione giovanile, se ne viene con un bel colpo di spazzola ai capi dell’Unione Europea: “Il piano Juncker dell’Unione Europea cerca di colmare le lacune nazionali nella creazione di posti di lavoro. Purtroppo non se ne parla abbastanza, e così l’Unione Europea viene vista come connivente con le élites finanziarie, che non comprendono più il mondo dei giovani disoccupati”.
Oh! Poveri burocrati europei, come sono mal capiti! C’è anche chi pensa che l’Unione Europea sia connivente con le élites finanziarie; cosa del tutto falsa!
E ha ragione il nostro Gesuita e insieme ha doppiamente torto nel farsi cicisbeo dei capi europei, perché l’Unione Europea non è connivente con i poteri finanziari, ma è del tutto in mano a tali poteri e a tali élites, che perseguono il disegno di schiavizzare i popoli europei, privandoli della loro identità, della loro cultura e della loro religione, per farne docili strumenti al servizio del Nuovo Ordine Mondiale che, pur essendo senza religione e senza Dio, è sostenuto da Bergoglio e dai “cattolici democratici” come il nostro Arcivescovo Gesuita.
E dopo aver dato il colpo al cerchio era necessario dare il colpo alla botte: “Il disagio è profondo in molti Paesi dell’Unione Europea. La paura di un degrado sociale è reale. Se l’Unione non riesce a mostrare ai giovani che il loro futuro le sta a cuore, essi diventeranno preda dei populismi”.
Ecco cosa preme veramente al nostro Gesuita, che i giovani non diventino preda dei populismi! Che nobile istanza! Ma caro Arcivescovo, non sarebbe meglio dire pane al pane e vino al vino, convenendo che questa mitica Unione Europea è come la sentina di tutte le disgrazie presenti e future dei popoli europei?
Ma passiamo all’“ambiente”, il tema tanto caro al papa argentino che invece di fare il cattolico e confermare i fratelli nella Fede, fa l’ecologista e sottoscrive le interessate proiezioni catastrofiche dei padroni del mondo, a cui preme dimostrare che l’uomo, lasciato a sé stesso senza la loro guida illuminata, finirà col distruggere il creato… come se l’avesse creato lui! Stolti che conducono altri stolti!
Ed ecco le chicche sfornate dal profondo pensiero del nostro Gesuita.
“I giovani scendono in piazza per manifestare a favore delle politiche ambientali e climatiche, e hanno ragione, perché la solidarietà è per sua natura intergenerazionale”.
“la voce dei poveri invoca una giustizia climatica” [!?].
“La Chiesa, con l’enciclica Laudato si’, si schiera apertamente a fianco dei giovani e cerca di mantenere viva la speranza e di lavorare affinché questa possa diventare concreta”.
E qui finiscono le lezioni e arriva la conclusione… e meno male, perché la disamina di questo manifesto di propaganda elettorale comporta una certa noia e una certa stanchezza.
“La politica europea deve collocare nuovamente l’uomo, con le sue aspirazioni e con le sue speranze, al centro dell’agire politico”. … Di Dio, manco a parlarne!
“Approfittiamo delle elezioni per il Parlamento europeo per costruire nuove fondamenta per l’Europa. Perché l’Unione Europea è a favore dell’uomo europeo ed è un fattore di pace nel mondo”. … Vota Antonio! Vota Antonio! Gridava Totò!
“Per la Chiesa, si tratta di accompagnare questi sogni e queste speranze” … In un’Europa senza Patria e senza Dio!
“… questo impegno è un’opportunità per la nuova evangelizzazione”… senza più Vangelo alla mano, ma col voto per il Nuovo Ordine Mondiale senza Dio!
“… potremo incontrare Dio solo nel mondo reale”. … E’ vero, ma il mondo reale non è quello dell’Unione Europea che rifiuta la realtà delle radici cristiane dell’Europa!
di Belvecchio
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