Oggi, domenica 26 maggio, si chiudono le votazioni per eleggere il parlamento dell’Unione Europea. Ma che cosa sta accadendo tra la Chiesa cattolica e l’Europa? Nel continente che per secoli è stato il cuore della fede cristiana, la gran parte dei suoi abitanti sembra non essere più interessata a questa fede. E viceversa la Chiesa cattolica, retta da un papa argentino, sembra interessarsi sempre meno dell’Europa, guardando piuttosto all’America latina, all’Africa, all’Asia.
È da questo doppio “disinteresse” che prende spunto l’analisi che Sergio Belardinelli firma assieme ad Angelo Panebianco in questo saggio uscito alla vigilia delle elezioni:
Entrambi insegnano nell’università di Bologna, Panebianco scienza politica, Belardinelli sociologia dei processi culturali. Il primo è laico e il secondo cattolico, già protagonista di quel “Progetto culturale” che impegnò la Chiesa italiana negli anni di leadership del cardinale Camillo Ruini.
Entrambi condividono l’idea che la civiltà liberale è “il più importante dono dell’Europa moderna al mondo” e nello stesso tempo “il frutto maturo della tradizione cristiana”. Ma mentre Panebianco svolge la sua analisi sotto il profilo geopolitico, Belardinelli la svolge sotto il profilo culturale e religioso. Titola il suo saggio: “La Chiesa cattolica e l’Europa”. E ci offre riflessioni che toccano in pieno il presente e il futuro della Chiesa.
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Uno dei pensatori ai quali Belardinelli fa riferimento è il filosofo ebreo Leo Strauss (1899-1973), con la sua tesi dell’irriducibile antagonismo tra Gerusalemme e Atene, tra il polo della rivelazione e della fede e il polo della filosofia e della ragione. Antagonismo che tuttavia è per lui anche “il segreto della vitalità dell’Occidente”.
Ma il dramma dell’Europa di oggi – scrive Belardinelli – è che questo antagonismo tra Gerusalemme e Atene si è spento: “L’Europa che abbandona la Chiesa e la Chiesa che abbandona l’Europa rappresentano in modo paradigmatico lo svuotamento della ‘vitalità’ di entrambe le città”.
Per di più la Chiesa, nel suo attuale magistero, “sembra avvalorare gran parte degli stereotipi che sono tra i responsabili della crisi dell’Europa stessa”.
Belardinelli fa questo esempio:
“Ammettiamo pure che il magistero dei pontefici precedenti a papa Francesco sia stato troppo concentrato sui temi cosiddetti ‘non negoziabili’, come vita e famiglia. Ma siamo sicuri che il fatto di privilegiare ora altri temi, come l’ambientalismo, la critica del mercato capitalistico o il terzomondismo, sia da considerarsi un passo avanti? […] Ho l’impressione che la denuncia delle cause di questi mali che viene oggi dalla Chiesa sia troppo ‘umana’. È un po’ come se, additando il mercato e il liberismo come i principali responsabili – imputazioni peraltro assai opinabili –, venga edulcorata la tremenda, tragica, serietà del male che viene denunciato. Con la conseguenza che lo slancio profetico della denuncia si indebolisce proprio per il fatto di apparire troppo legato alle logiche del mondo, troppo politico e troppo poco escatologico”.
A giudizio di Belardinelli, oggi la Chiesa “dà spesso l’impressione di cadere in quel moralismo, assai di moda, al fondo del quale sembra stare una sorta di incapacità di distinguere tra religione, morale e politica”, la cui differenziazione è invece una delle più importanti conquiste della civiltà europea.
E porta quest’altro esempio:
“Quando la Chiesa cattolica si fa portatrice di un messaggio di accoglienza a salvaguardia della dignità di ogni uomo, a prescindere dalle sue appartenenze religiose o culturali, implicitamente difende la migliore identità dell’Europa. Ma il fatto che lo faccia senza guardare alle conseguenze che potrebbe avere sui Paesi europei un flusso migratorio fuori controllo indica un deficit di realismo politico certamente preoccupante, […] non compensato da nessun’altra parte, né dalle istituzioni europee, né dagli Stati nazionali. […] L’Europa appare così come un continente alla deriva, dimentico di sé, proprio nel momento in cui sulla scena geopolitica si muove un protagonista per il quale pluralismo e libertà non sono affatto scontati: l’islam. Sono islamici i Paesi dai quali proviene la maggior parte dei disperati che bussano alle nostre porte; è di matrice islamica il terrorismo che in questi anni ha insanguinato le principali capitai europee; sono islamici i Paesi che non tollerano la presenza di Israele nel mondo arabo; in poche parole, è l’islam a fare da catalizzatore dei principali problemi del nostro tempo”.
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Un altro pensatore al quale Belardinelli fa riferimento è il sociologo e filosofo tedesco Niklas Luhmann (1927-1998), del quale dice che “ha ragione da vendere” quando sostiene, “se vogliamo prendere sul serio la secolarizzazione”, che “religione, politica, scienza, economia, in una parola, tutti i sistemi sociali, si specializzino sempre di più nella propria funzione”.
Per la Chiesa cattolica “ciò comporta una serie di conseguenze che toccano la sua dimensione organizzativa, pastorale, nonché teologico-dottrinale”.
Essa, ad esempio, “farebbe bene a tenere distinti coloro che cercano Dio da coloro che cercano un’identità o una sponda religiosa per rilanciare la propria diffidenza nei confronti dell’economia di mercato”, oppure per “produrre effetti sociali, politici o economici di qualsiasi tipo”.
Scrive Belardinelli:
“L’utilità sociale della fede nel Dio di Abramo e di Gesù Cristo non si discute. Come insegnano i classici della sociologia, da Max Weber a Niklas Luhmann, le principali forme culturali dell’Occidente – stato di diritto, economia di mercato, scienza e tecnica – hanno nella religione ebraico.cristiana le loro condizioni di possibilità. A guardar bene, tuttavia, bisogna riconoscere che tutti questi vantaggi sono accessori; sono cioè vantaggi che la fede, senza sminuire in alcun modo la loro importanza, è stata in grado di produrre semplicemente perché è stata in grado di tener vivo nella società il senso di qualcosa che, valendo per se stesso, li ha offerti in sovrappiù, ossia il senso di Dio”.
Da ciò consegue che ”la società secolare, per quanto la cosa possa sembrare sorprendente, ha urgente bisogno che da qualche parte ci sia qualcuno che parli di Dio con una lingua che non sia troppo mondana. […] Ma di quale Dio si deve parlare? Con Pascal è senz’altro opportuno uscire dalla prospettiva ingiusta del ‘Dio dei filosofi’ ed entrare in quella del ‘Dio di Abramo e di Gesù Cristo’. Tuttavia non mi sembra ragionevole che questo Dio che è amore e misericordia venga concepito addirittura in contrasto con ‘l’essere perfettissimo, creatore e signore del cielo e della terra’, come si recitava nel catechismo. […] Un Dio che non sia onnipotente e non abbia creato il mondo non può essere Dio. Come hanno ben compreso Leo Strauss e Joseph Ratzinger, tanto per fare due nomi significativi, il mondo ha senso soltanto perché è stato creato da Dio. […] Ma affinché questo Dio torni a essere un concetto generativo di forme di vita ecclesiali e sociali, c’è bisogno soprattutto di fede”.
Colpisce questa citazione di Ratzinger nel pieno di un discorso su Dio che è anche il cuore di quegli “Appunti” pubblicati in aprile dal papa emerito che tratteggiano la sua visione dell’attuale crisi della Chiesa cattolica.
Ma non è un “parlare di Dio”, quello invocato da Belardinelli, che comporterebbe un estraniazione della Chiesa dal mondo. Anzi:
“Ciò implica una chiara consapevolezza, […] nonché la fiducia che sia proprio lo specifico della religione, ossia il discorso su Dio e la fede quale suo ‘medium’ privilegiato, a produrre quel ‘rumore ambientale’, come lo chiama Luhmann, che riesca a farsi sentire anche sugli altri sistemi sociali, costringendoli a tenerne conto. […] Proprio perché si specializza nella propria funzione, che è quella di parlare di Dio, rinunciando a perseguire direttamente scopi di tipo politico, la religione potrebbe scoprirsi politicamente molto più urticante e rilevante di quanto lo sia nella sua versione di ‘religione civile’”.
Di questa conflittualità la Chiesa non deve avere alcun timore, conclude Belardinelli. Perché, come diceva Strauss, “sta proprio in questa conflittualità il segreto della ‘vitalità’ dell’Europa e della cultura occidentale”.
Mentre al contrario “sta nella stanchezza sia della politica sia della religione il vero problema dell’Europa di oggi”.
Settimo Cielo di Sandro Magister 26 mag
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/05/26/europa-al-voto-ma-anche-la-chiesa-deve-decidere-sul-suo-futuro/
La sinistra arruola il Papa, ma lui gela i compagni sull'aborto
L'Espresso sceglie Bergoglio come simbolo dell'anti-salvinismo, ma il papa, in questi anni, si è distanziato parecchio dai valori della sinistra
L'Espresso sceglie Bergoglio come simbolo dell'anti-salvinismo, ma il papa, in questi anni, si è distanziato parecchio dai valori della sinistra
È il papa della Chiesa cattolica, lo stesso uomo che, nel corso della giornata di ieri, si è scagliato contro l'aborto, l'eugenetica, la "cultura dello scarto" e persino le "finalità selettive" dell'amniocentesi, ma per qualcuno è un simbolo dell'anti-salvinismo.
È sufficiente dare un occhio alla copertina dell'ultimo numero dell'Espresso. Certo, è il pontefice della pastorale sui migranti, quello che guarda più alle periferie economico-esistenziali del mondo che ai centri tradizionali dell'Europa cristiano-cattolica, ma almeno qualche passaggio della pastorale di Jorge Mario Bergolio sembra essere sfuggito all'universo mediatico progressista.
Partiamo da qualche semplice appunto. Forse a sinistra non hanno mai avuto modo d'ascoltare il pensiero del pontefice argentino sulla "colonizzazione ideologica", che per il Santo Padre è il frutto consequenziale di quella che viene chiamata "ideologia gender". Forse a sinistra non erano troppo attenti, quando l'ex arcivescovo di Buenos Aires ha dichiarato quanto segue - era il gennaio del 2018 - : "In seguito ai sommovimenti sociali del Sessantotto, l’interpretazione di alcuni diritti è andata progressivamente modificandosi, così da includere una molteplicità di nuovi diritti, non di rado in contrapposizione tra loro". È la medesima posizione di Joseph Ratzinger: contraria all'emersione dei "nuovi diritti" e declinata in opposizione all'avanzata del realtivismo valoriale. Magari sono finiti nel dimenticatoio pure gli attacchi scagliati da parte laicista quando, poco dopo l'elezione al soglio di Pietro, i laicisti si interessarono di quello che il cardinale "venuto dalla fine del mondo" aveva messo in campo in precedenza: dalle presunte radici peroniste al "passato di destra". Forse, ancora, non ci si ricorda delle critiche al conservatorismo geopolitico, quello che guarderebbe con troppo favore a Vladimir Putin e agli ortodossi di Mosca.
Il papa, nessun papa, è arruolabile. La fortuna e il tempismo hanno voluto che proprio ieri Bergoglio tuonasse ancora una volta contro certe distorsioni, almeno rispetto alla dottrina cattolica, caldeggiate dai pro choice in bioetica, rendendo ancora più chiaro un concetto, quello della non arruolabilità, che dovrebbe essere scontato.
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