I vescovi del Lazio hanno deciso che per la Pentecoste - che si celebra domani - venga letta in tutte le chiese, durante le varie Messe del giorno, una lettera ai fedeli delle diocesi laziali sui migranti. Politicamente strumentale e quindi illegittima. Molti preti si interrogano se disubbidire a una violazione del genere: «Ho dato la vita per Cristo, non per un partito».
I vescovi del Lazio hanno deciso che per la Pentecoste – che si celebra domani - venga letta in tutte le chiese, durante le varie messe del giorno, una lettera ai fedeli delle diocesi laziali. Ve ne offriamo alcuni stralci, quelli più significativi. E poi cercheremo di commentare questo documento veramente singolare, che sembra collocarsi a metà strada fra una forma di autolesionismo e l’ingerenza partitica.
“Carissimi fedeli delle diocesi del Lazio, - questo è l’incipit - desideriamo offrirvi alcune riflessioni in occasione della solennità di Pentecoste che ci mostra l'icona dell'annunzio a Gerusalemme ascoltato in molte lingue: pensiamolo come il segno del pacifico e gioioso incontro fra i popoli che attualizza l'invito del Risorto ad annunciare la vita e l'amore. Purtroppo nei mesi trascorsi le tensioni sociali all'interno dei nostri territori, legate alla crescita preoccupante della povertà e delle diseguaglianze, hanno raggiunto livelli preoccupanti. Desideriamo essere accanto a tutti coloro che vivono in condizioni di povertà: giovani, anziani, famiglie, diversamente abili, disagiati psichici, disoccupati e lavoratori precari, vittime delle tante dipendenze dei nostri tempi”.
Ora le tensioni sociali a cui probabilmente i presuli fanno riferimento sono le proteste avvenute in alcuni quartieri di Roma per il collocamento di gruppi di Rom, e per l’attribuzione ad altre persone, sempre di quell’etnia, di case popolari. Non a caso nelle elezioni europee quei quartieri, che avevano storicamente votato PD o 5 Stelle, hanno visto una notevole crescita di Lega e Fratelli d’Italia (ma non di Casa Pound, che era stata accusata dai media di regime di capitalizzare la protesta).
“Sappiamo bene – continuano i vescovi - che in tutte queste dimensioni di sofferenza non c'è alcuna differenza: italiani o stranieri, tutti soffrono allo stesso modo. È proprio a costoro che va l'attenzione del cuore dei credenti e – vogliate crederlo – dell'opzione di fondo delle nostre preoccupazioni pastorali…Da certe affermazioni che appaiono essere "di moda" potrebbero nascere germi di intolleranza e di razzismo che, in quanto discepoli del Risorto, dobbiamo poter respingere con forza”.
Incitando a praticare l’accoglienza, la lettera esorta i fedeli: “Proviamo a vivere così la sfida dell'integrazione che l'ineluttabile fenomeno migratorio pone dinanzi al nostro cuore: non lasciamo che ci sovrasti una "paura che fa impazzire" come ha detto Papa Francesco, una paura che non coglie la realtà; riconosciamo che il male che attenta alla nostra sicurezza proviene di fatto da ogni parte e va combattuto attraverso la collaborazione di tutte le forze buone della società, sia italiane che straniere”. “Ineluttabile fenomeno migratorio”; è esattamente il contrario di quello che i vescovi africani hanno detto e scritto ancora di recente, in un messaggio collettivo alle loro comunità, e di cui evidentemente né i media cattolici, né la Santa Sede, né tanto meno i vescovi vogliono prendere atto. Perché? Ha ragione chi sospetta, e afferma, che ci siano interessi concreti anche da parte della Chiesa italiana, in questo afflato di accoglienza?
E in effetti forse qualche problemino c’è, se i vescovi scrivono, bontà loro, che “Non intendiamo certo nascondere la presenza di molte problematiche legate al tema dell'accoglienza dei migranti, così come sappiamo di alcune istituzioni che pensavamo si occupassero di accoglienza, e che invece non hanno dato la testimonianza che ci si poteva aspettare”. Ma la colpa, naturalmente, viene subito scaricata non su chi ha promosso e favorito un’immigrazione senza controlli (leggi i governi precedenti, appoggiati tacitamente dalla Chiesa) ma su un esecutivo che tenta d porre un po’ d’ordine in una situazione resa disastrosa proprio da certe “anime belle”: “Desideriamo, tuttavia, ricordare che quando le norme diventano più rigide e restrittive e il riconoscimento dei diritti della persona è reso più complesso, aumentano esponenzialmente le situazioni difficili, la presenza dei clandestini, le persone allo sbando e si configura il rischio dell'aumento di situazioni illegali e di insicurezza sociale”. Capito il messaggio? Se la delinquenza praticata da una percentuale straordinaria di immigrati è alta, la colpa è di Salvini.
Il pistolotto finale è ai limiti dell’incredibile, in un Paese in cui il numero di poveri – indigeni, etnicamente italiani, locali è aumentato in maniera esponenziale. “Pertanto, carissime sorelle e carissimi fratelli, sentiamo il dovere di rivolgere a tutti voi un appello accorato affinché nelle nostre comunità non abbia alcun diritto la cultura dello scarto e del rifiuto, ma si affermi una cultura "nuova" fatta di incontro, di ricerca solidale del bene comune, di custodia dei beni della terra, di lotta condivisa alla povertà. Invochiamo per tutti noi il dono incessante dello Spirito, che converta i nostri cuori per renderli solleciti nel testimoniare un'accoglienza profondamente evangelica e la gioia della fraternità, frutto concreto della Pentecoste”.
Sembra che molti parroci – come peraltro sento – abbiano il buon senso di non leggere questo manifesto pro PD nel corso della messa. Anche perché correrebbero il rischio di avere dei fedeli che si alzano in piedi e ricordano loro che in chiesa non si fa politica, e non si leggono documenti partitici. Ci sono poi quelli che ricordano l’“ordo amoris” di agostiniana memoria; cioè una giusta e ragionevole gerarchia nell’amore verso il prossimo e nella carità. Sbaglia un padre che toglie il necessario ai figli per darlo ad estranei. Come aveva detto, con altre parole, il Ministro della Famiglia e delle disabilità, Lorenzo Fontana
“Migranti? Ci dicono che siamo cattivi cristiani. Però bisognerebbe anche guardare un po’ il Catechismo. C’è un passaggio da tener conto: «ama il prossimo tuo» cioè quello in tua prossimità. Quindi, prima di tutto cerchiamo di far star bene le nostre comunità”.
E ha continuato: “Se io amo le persone che arrivano dall’altra parte del mondo, però poi mi dimentico del disabile o della persona in difficoltà o del vicino di casa, sono un ipocrita. Quindi, come ha detto sempre Salvini, vanno aiutate le persone che effettivamente scappano dalla guerra, in particolar modo le donne e i bambini. Per quelle persone, grazie anche alle associazioni umanitarie, massima accoglienza e massimo aiuto. Ma quelli che vengono usati nella tratta degli schiavi vanno aiutati in un solo modo: bloccare la tratta degli schiavi e aiutarli sui loro territori”.
Pare che la lettera sia stata approvata “oralmente” dal Pontefice regnante. Un amico e collega ha ricevuto qualche commento da sacerdoti romani, che dimostrano, sembra, più buon senso e meno furore ideologico-partitico dei loro presuli. “In quanto sacerdote in cura d’anime mi trovo in forte difficoltà a diffonderlo, perché è un documento di contenuto politico ed io, leggendolo davanti ai fedeli riuniti per la Santa Messa, mi troverei a servizio di uno schieramento politico, mentre ho dato la vita per il Signore, non per un partito”. E un altro: “Da anni siamo inondati da messaggi papali ed episcopali per varie Giornate nazionali e internazionali, a somiglianza di quelle proposte da Onu e affini. Ora che si riduca anche la Pentecoste a occasione di tal genere mi sembra inammissibile, tanto più che il messaggio dei vescovi del Lazio è politicamente strumentale e quindi illegittimo”. Ci sembra che sia molto difficile dare loro torto.
Marco Tosatti
Altri “dubia” sulla lettera dei vescovi del Lazio
Cari amici di Duc in altum, come ho anticipato due giorni fa, i vescovi delle diocesi del Lazio hanno inviato ai fedeli della regione una lettera che domenica prossima, in occasione della solennità della Pentecoste, dovrà esser letta in tutte le chiese.
Numerosi sacerdoti mi hanno fatto sapere di nutrire forti perplessità circa il documento, da loro giudicato di natura strettamente politica e dunque incompatibile con la richiesta che sia letto ai fedeli riuniti per le Sante Messe.
In proposito pubblico oggi l’intervento fattomi pervenire da un diacono (purtroppo costretto a firmarsi con pseudonimo per non subire ritorsioni), che a sua volta prende le distanze dai contenuti e dai toni della lettera dei vescovi, sottolineando la strumentalizzazione della Pentecoste operata nel documento.
A.M.V.
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Cari vescovi, siete forse ebbri di vino dolce?
Gentile Valli, tramite il suo blog, vorrei far pervenire ai vescovi delle diocesi del Lazio una mia breve e umile riflessione.
Cari vescovi, dopo aver letto la vostra Lettera ai fedeli delle diocesi laziali in occasione della solennità di Pentecoste, mi permetto un suggerimento: non usate immagini della scrittura per sostenere un discorso politico. Vi si ritorce contro!
Voi dite: “La solennità di Pentecoste ci mostra l’icona dell’annunzio a Gerusalemme ascoltato in molte lingue; pensiamolo come il segno del pacifico e gioioso incontro fra i popoli che attualizza l’invito del Risorto ad annunciare la vita e l’amore”, e da questa immagine partite per un invito all’accoglienza dei migranti, da qualunque paese, cultura, etnia provengano, e a vivere la sfida dell’integrazione che l’ineluttabile fenomeno migratorio pone dinanzi al nostro cuore.
In realtà gli Atti (2,5) ci dicono tutt’altro: “Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua”.
Insomma, riportando ai giorni nostri l’immagine dei giudei osservanti, si può dire che non si tratta di migranti. Potremmo paragonarli alla folla dei fedeli di ogni nazione radunata in piazza San Pietro per l’Angelus.
In quanto poi al discorso di Pietro, non è, come voi dite, attualizzazione dell’invito del Risorto ad annunciare la vita e l’amore, ma annuncio del kerigma.
L’apostolo Pietro parlò a tutti i presenti per annunciare: “Gesù di Nazaret che voi avete crocifisso e ucciso, Dio lo ha risuscitato”. “Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni”. “Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”
Se veramente desiderate essere accanto a tutti coloro che vivono in condizioni di povertà – da qualunque paese, cultura, etnia provengano – invitate le vostre comunità a un rinnovato spirito missionario che con le parole dell’apostolo Pietro chiami ogni uomo a “convertirsi e a farsi battezzare nel nome di Gesù Cristo”
È questo il modo più pieno di accogliere l’invito che fate nella lettera: “Invochiamo per tutti noi il dono incessante dello Spirito, che converta i nostri cuori per renderli solleciti nel testimoniare un’accoglienza profondamente evangelica e la gioia della fraternità, frutto concreto della Pentecoste.”
Infatti la vera e piena accoglienza e integrazione è descritta dal versetto finale dell’icona della Pentecoste: “Allora coloro che accolsero la parola di Pietro furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone”
Se invece, strumentalizzando la Scrittura, proponete un messaggio umano di solidarietà e irenismo non potrete sfuggire al giudizio: “Sono ebbri di vino dolce”
Dulos Acreios
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