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Patientes igitur estote et vos, et confirmate corda vestra: quoniam adventus Domini appropinquavit (Gc 5, 8).
Ogni giorno che passa, la venuta del Signore si fa più vicina. Per questo san Giacomo ci esorta ad essere pazienti come il contadino che attende il frutto della terra, rinsaldando i nostri cuori con la fiducia nelle promesse divine. È comprensibile che molti di noi siano logorati dall’attuale deriva ecclesiale e si sentano prossimi all’esasperazione: non è certo raro, purtroppo, udire in chiesa vere e proprie oscenità o assistere a pagliacciate indecorose, con preti che incitano alla depravazione o si lanciano in numeri da circo. Questo, tuttavia, non è un motivo sufficiente per cedere alla tentazione di imboccare scorciatoie che in realtà non conducono da nessuna parte, se non a separarsi dalla comunione visibile e a rinchiudersi in un ghetto che si attribuisce l’esclusività della salvezza.
Come già ho ribadito in altre occasioni, non è mia intenzione attaccare persone o istituzioni, ma ho a cuore unicamente il bene delle anime, desiderando metterle in guardia da quelle insidie che, non essendo così scoperte come quelle del modernismo, sono per certi versi ancor più pericolose, visto che si coprono dell’autorità della Tradizione. Il primo campanello d’allarme suona già di fronte alla pretesa di averne il monopolio, quasi che la continuità con essa si fosse interrotta dappertutto e si conservasse unicamente all’interno di questa o quella organizzazione. Tale punto di vista conduce inevitabilmente a mettere in dubbio la validità dei Sacramenti, creando così nei fedeli un tale senso di incertezza da gettarli tra le braccia di quanti si presentano come unici detentori sicuri dei mezzi di grazia; abbandonarli equivarrà allora a mettere a repentaglio la propria salvezza eterna e sarà quindi percepito come un’eventualità impensabile.
Una dinamica del genere ha un carattere potenzialmente settario e provoca di solito guasti spirituali difficilmente risanabili. Molte persone scivolano inavvertitamente in una forma di fanatismo che ha ben poco a che vedere con la virtù teologale della fede, sostituita da un surrogato intellettualistico: l’introiezione di un insieme di formule stereotipe mandate a memoria senza una reale adesione della coscienza né un’effettiva trasformazione interiore. L’approfondimento teologico si riduce a una forma di razionalismo che non lascia spazio alla vita mistica, guardata con sospetto e relegata in un limbo inaccessibile; in assenza di una vera riflessione sulla verità rivelata, l’insegnamento si risolve in un indottrinamento forzato, costruito su un sistema di teoremi che finiscono col trattare le realtà soprannaturali alla stregua di quelle del mondo fisico. Tale metodo, prevalendo di fatto sul contenuto, sa di modernità molto più di quanto non sembri a prima vista: è quella neoscolastica degenerata che ha tentato di contrastarla usando gli stessi mezzi e assorbendone lo spirito.
Oltre a inaridire la vita dell’anima, questo procedimento imprigiona l’adepto in una gabbia mentale da cui non potrà più uscire, se non per miracolo: anche la minima riserva riguardo a quanto appreso sarà inesorabilmente respinta a priori come una perniciosa espressione di modernismo. L’unico “vantaggio” di siffatta schiavitù intellettuale è la possibilità di piegare l’apparato argomentativo alla legittimazione delle proprie scelte sul piano morale: a forza di sofismi e di cavilli si riesce così a giustificare anche ciò che oggettivamente non è lecito e ripugna alla retta coscienza. Il fatto più grave ed emblematico è una situazione irregolare che dura da decenni, dando luogo a una struttura parallela. L’intero edificio si erge sulla debolissima base di un principio applicabile solo in casi eccezionali, eretto invece a fondamento permanente e universale di un’opera che è divenuta un fine in sé, ponendosi in alternativa ad una gerarchia che avrebbe deviato nella sua totalità.
Chiunque, a questo punto, può cogliere l’enorme potenziale dissolutore di un’impostazione del genere, sia per la Chiesa che per la fede. L’opera di Cristo sopravvivrebbe soltanto in una ristretta minoranza a cui tutti gli altri dovrebbero conformarsi, quasi che lo Spirito Santo si fosse ritirato. È innegabile che Dio abbia disposto per noi una prova apocalittica; ma possiamo forse ammettere che il Suo braccio si sia tanto accorciato? Chi conosce il Signore non può nemmeno pensare che abbia abbandonato al loro destino milioni e milioni di anime semplici e buone che non conoscono il mondo tradizionale, ma credono con sincerità di cuore. Insieme alla fede viva, poi, inevitabilmente viene meno anche la speranza: anziché confidare nella Provvidenza, pur facendo tutto il possibile per adempiere la volontà divina, si finisce col contare unicamente sulle proprie iniziative e strategie, come se Essa avesse cessato di dirigere la storia. Ma l’infallibile cartina di tornasole, in questo tipo di storture, è l’assenza di carità: l’amore per Dio è rimpiazzato da una sfilza di pratiche meccaniche, mentre il prossimo è sistematicamente vittima di un giudizio impietoso e inappellabile.
In realtà l’esercizio delle virtù, in un contesto simile, risulta in ultima analisi superfluo, visto che la perfezione pare assicurata da una conformità meramente formale alla lettera della dottrina e alle norme del culto. Sebbene ci si prefigga di combattere la gnosi, si scivola così in un atteggiamento tipicamente gnostico: in definitiva, ci si salva da sé mediante una conoscenza iniziatica e l’osservanza di determinate pratiche. La grazia è ridotta a puro nome, lo sforzo di santificarsi viene eluso, l’unione con Dio ignorata. Le dispute prendono il posto della preghiera, mentre ci si illude di adempiere gli obblighi della carità con pubbliche crociate che lasciano ognuno com’è, se non un po’ più superbo e intransigente, offrendo in tal modo ulteriore materia ai detrattori. Ma questa non è la via percorsa dai Santi; non è la vera Tradizione, bensì una sua deformazione che avvelena le anime rendendole refrattarie all’autentica vita cristiana.
L’antidoto a tale intossicazione è la decisione di rientrare nel cuore. Non si tratta di un invito al sentimentalismo, ma di uno sprone ad accedere all’interiorità per rimettersi di fronte alla propria coscienza alla presenza di Dio. Dato che Egli abita nell’intimo del battezzato in stato di grazia, in questa discesa ci si ritrova davanti a sé stessi nella Sua luce, che svela anche ciò che preferiremmo non vedere. È un processo che richiede coraggio, umiltà e determinazione, ma non può essere aggirato da chi aspiri ad essere un buon cattolico: non è lecito nascondere un letamaio di cattivi sentimenti sotto un telo brillante di tradizionalismo. Per facilitare questa delicata operazione di ricognizione interiore, è quanto mai utile mettere il più possibile mente e cuore nella recitazione delle preghiere e nelle pratiche di pietà, sviluppare un dialogo personale con il Signore a partire dai Salmi o da orazioni approvate, meditare la Sacra Scrittura e gli scritti dei Santi, invocando spesso lo Spirito di verità perché metta a nudo le piaghe dell’anima, le medichi e le cauterizzi.
Cor mundum crea in me, Deus, et spiritum rectum innova in visceribus meis (Sal 50, 12): in questo mese dedicato al Sacro Cuore chiediamo insistentemente la grazia di essere trasformati nell’intimo con la nostra attiva collaborazione, in modo che l’onnipotenza divina possa ricreare in ciascuno di noi un cuore puro e rinnovare uno spirito retto. Chi ritrova il Dio vivente in sé fa la formidabile esperienza di un fuoco divorante che brucia le scorie dell’io e ne incenerisce l’orgoglio, ma dona poi un senso di incrollabile sicurezza che lo rende inespugnabile ad ogni prova della vita e ad ogni assalto del nemico. È di questo che abbiamo realmente bisogno per sostenere la prova attuale, non di scorciatoie che ci isolerebbero dalla corrente vitale di grazia che circola nel Corpo Mistico e irriga la mistica Città di Dio. Che si intenda della singola anima in grazia o della Chiesa intera, un fiume impetuoso la rallegra: Dio è in essa, non sarà mai scossa.
Fluminis impetus laetificat civitatem Dei […]. Deus in medio eius, non commovebitur (Sal 45, 5-6).
Pubblicato da Elia
http://lascuredielia.blogspot.com/
Ma guarda da che pulpito scende la predica!!!
RispondiEliminaProprio da chi recentemente aveva apertamente dichiarato che i seguaci della sua "parrocchia virtuale" hanno la certezza di essere salvati:
...soprattutto voi, cari fedeli della Parrocchia virtuale. Elevando l’ostia consacrata imploro il Signore di riversare su tutti – comprese le anime del Purgatorio – i torrenti di misericordia che sgorgano dal Suo Cuore trafitto, che tengo tra le mani, mentre all’elevazione del calice Gli chiedo di effondere su ognuno le grazie e i benefici del Suo Sangue prezioso. È l’atto più potente e necessario che io possa compiere – e sapere questo basta a colmarmi di pace e di forza, quand’anche non potessi fare nient’altro.
Vi confido che nella festa di Cristo Re, all’Hanc igitur, ho ricevuto l’intima certezza che il Signore mi accorda la salvezza di tutti coloro che sono con me “sulla barca”: «Dio ti ha fatto grazia di tutti i tuoi compagni di navigazione» (At 27, 24)
http://lascuredielia.blogspot.com/2018/12/innoalla-provvidenza-ildogma-della.html?m=1#comment-form
Detto in altri termini, tutti i fedeli della sua parrocchia virtuale (la scure di Elia) saranno salvati grazie all'attaccamento al loro blogger-maestro spirituale, il quale lo assicura avendolo ricevuto come rivelazione privata nientemeno che durante il Canone della Messa Tradizionale!
Wow!!