Ribaltone o bipensiero?
Forse si ricorderà l’accordo tra Pd e Movimento 5 Stelle come il giorno in cui la decenza della politica italiana scese ancora più in basso, scavando un nuovo gradino nel baratro della totale irrilevanza degli ideali politici di fronte alla forza irresistibile delle poltrone. Ammesso, ovviamente, che Pd e Movimento 5 Stelle abbiano ancora ideali da sacrificare: il primo, ha ormai da tempo ammainato la bandiera rossa sostituendola con una di non meglio identificato colore (e comunque, meglio prima chiedere a siora Merkel e a sior paròn Soros quale colore preferiscono); il secondo, invece, non ha mai avuto un’idea da portare avanti al di fuori della lotta alla kasta, dell’honestà ad ogni costo e del no alle grandi opere.
Insomma: sembra davvero strano che due partiti così simili per assenza di ideali si siano tirati gli stracci fino all’altro ieri. E che stracci: il Pd era il partito di Bibbiano, di Renzi e della Boschi, il mostro con il quale il purissimo, illuminatissimo e onestissimo MoVimento non si sarebbe mai messo insieme. E i grillini erano incompetenti populisti, feccia con la quale gli snob della sinistra-al-caviale dell’illustre Partito Democratico non poteva nemmeno immaginare di mischiarsi. Anni luce lontani. Al centro, il premier Giuseppe Conte, super partes quando voleva lui ma di fatto creatura dei grillidi.
Ed ecco il colpo di scena: dopo l’harakiri di Salvini, Giuseppe Conte viene indicato per guidare una nuova maggioranza con linea totalmente opposta a quella perseguita fino a quel momento. Maggioranza che più di sinistra non si può (ammesso che il termine sinistra si possa ancora usare). Come giustificherà il cambio di casacca? Sarà un ottimo artificio retorico. In realtà, Conte non è assolutamente tenuto a giustificarlo: le cose sono così e non si discutono. O, se volete, le cose sono sempre state così: il Pd è sempre stato un partito ideologicamente vicino al Movimento e, d’altro canto, i grillini sono stati semmai dei “compagni che sbagliano”. Sembra bipensiero allo stato puro, quello che Orwell aveva incredibilmente previsto e anticipato. E, a tal proposito, potrebbe essere illuminante leggere alcune righe del romanzo 1984 per comprendere come, alla fin dei conti, l'Oceania non era mai stata in guerra con l'Eurasia. L'Oceania era sempre stata in guerra con l'Estasia. Il Movimento non era mai stato in guerra con il Pd. Il Pd non era mai stato oppositore del Movimento. Salvini, almeno, ha il merito di non aver chinato la testa e di non essere stato riprogrammato dal Grande Fratello mondiale. Per il quale egli aveva assunto i panni del perfido Goldstein, artefice di tutti i mali.
«Il sesto giorno della Settimana dell'Odio, dopo i cortei, i discorsi, le grida, i canti, gli striscioni, i manifesti, i film, i tableaux in cera, il rullio dei tamburi, gli squilli di tromba, il ritmo cadenzato dei passi in marcia, lo stridio dei cingoli dei carri armati, il rombo degli aerei che volavano in formazioni impressionanti, le salve dei fucili... dopo sei giorni di tutto ciò, quando fra mille fremiti il grande orgasmo stava per raggiungere il culmine e l'odio generale nei confronti dell'Eurasia si era mutato in un delirio così intenso che se la folla avesse potuto mettere le mani sui duemila criminali di guerra eurasiatici destinati a essere impiccati pubblicamente l'ultimo giorno delle manifestazioni li avrebbe certamente fatti a pezzi... proprio allora era stato annunciato che l'Oceania non era in guerra con l'Eurasia. L'Oceania era in guerra con l'Estasia. L'Eurasia era una nazione alleata. Naturalmente, nessuno ammise che si era verificato un cambiamento. Si venne semplicemente a sapere, in maniera repentina e in ogni angolo del Paese, che il nemico non era l'Eurasia ma l'Estasia. Quando ciò avvenne, Winston stava prendendo parte a una manifestazione in uno dei parchi del centro di Londra. […] Da una piattaforma drappeggiata di scarlatto un oratore del Partito Interno, un ometto minuto, con un paio di braccia troppo lunghe e una grossa testa calva su cui lottavano alcuni ciuffetti di capelli lisci e flosci, arringava la folla. […] Il discorso andava avanti da circa venti minuti, quando un messaggero salì in gran fretta sulla piattaforma e infilò un biglietto in mano all'oratore. Questi lo aprì e lo lesse senza smettere di parlare. Nulla cambiò nei suoi gesti e nel tono della voce. Tutt'a un tratto, però, i nomi erano diversi. Senza che venisse scambiata alcuna parola, la folla venne attraversata da un'onda d'intesa. Aveva capito. L'Oceania era in guerra con l'Estasia! Un attimo dopo ci fu uno sconvolgimento tremendo. I vessilli e i manifesti che ornavano la piazza erano completamente sbagliati! Su una buona metà di essi c'erano i volti sbagliati. Sabotaggio! Era tutta opera degli agenti di Goldstein! Seguì un tumultuoso intermezzo, durante il quale i manifesti furono strappati dai muri, mentre le bandiere venivano ridotte in brandelli e calpestate. Le Spie diedero prova di un'alacrità addirittura prodigiosa nell'arrampicarsi sui tetti per tagliare le file di bandierine che sventolavano dai comignoli. In due o tre minuti tutto era finito. L'oratore, con la mano ancora stretta attorno all'impugnatura del microfono, le spalle ricurve e la mano libera che ancora trinciava l'aria, aveva continuato a pronunciare imperterrito il suo discorso. Un altro minuto, e dalla folla si levarono nuovamente ferine grida di collera. L'Odio era proseguito esattamente come prima. Aveva solo mutato bersaglio».
di Giorgio Enrico Cavallo
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