Ratzinger parla ancora e bacchetta gli a-teologi
Nuova uscita di Benedetto XVI sui commenti ricevuti alle sue note su Chiesa e abusi sessuali: “Chi mi critica non parla mai di Dio”. Così il Papa emerito liquida gli a-teologi della teologia modernista di oggi. Sono il frutto maturo e amaro di una lunga stagione teologica che ha scelto di non parlare più di Dio ma solo dell’uomo.
L’11 aprile 2019 Benedetto XVI pubblicava le sue Note su “La Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali” (LEGGI QUI IL DOSSIER DELLA NBQ). Lo faceva poco dopo la riunione di tutti i Presidenti delle Conferenze episcopali del mondo indetta da papa Francesco. Le riflessioni di Benedetto XVI si collocavano su un piano molto diverso da quelle emerse dalla riunione vaticana. Egli tornava indietro nel tempo quando, negli anni Sessanta, la Chiesa cattolica assistette al “collasso” della propria teologia morale. Era un collasso interno alla Chiesa e non provocato da attori esterni, ed era un collasso teologico, dovuto ad un nuovo modo di fare teologia che egli giudicava disastroso.
Il 27 agosto scorso, Benedetto è tornato sull’argomento. Lo ha fatto con una breve nota pubblicata sulla tedesca Herder Korrespondenz, la rivista che aveva ospitato diversi contributi a commento delle sue Note sulla Chiesa e gli abusi sessuali. Benedetto XVI ne ha chiesto la pubblicazione per dire che in moltissimi scritti a commento di quel suo intervento, e in particolare in quelli pubblicati sulla rivista tedesca, non si parla mai di Dio e quindi non si coglie il punto centrale delle sue osservazioni di allora, che volevano infatti mettere al centro della crisi la dimenticanza di Dio.
Nelle Note sugli abusi, Benedetto XVI aveva scritto che la nuova teologia, diversamente da quanto scritto nella Veritatis splendor da Giovanni Paolo II, sosteneva che la morale si gioca solo sul bilanciamento dei beni e che non esistono beni indisponibili, valori che non è mai lecito sacrificare e che stanno al di sopra della vita fisica, come i martiri hanno testimoniato. E concludeva “Dio è più grande della sopravvivenza fisica. Una vita che fosse acquistata a prezzo del rinnegamento di Dio, una vita basata su un’ultima menzogna, è una non-vita”. La nuova teologia morale al “collasso”, che ormai nega l’esistenza di azioni che sempre e in ogni circostanza devono essere considerata sbagliate (come l’aborto oppure l’adulterio), in pratica rinnega Dio, è una morale a-teologica, fino ad arrivare alla tesi secondo cui la Chiesa non ha e non può avere una propria morale. Dio spariva dall’orizzonte della morale e così spariva anche la morale.
“Un mondo senza Dio è un mondo senza senso” ove “non ci sarebbero più criteri del bene e del male”. “Una società nella quale Dio è assente – una società che non lo riconosce più e lo tratta come se non esistesse – è una società che perde il suo criterio”, “la società occidentale è una società nella quale Dio nella sfera pubblica è assente e per la quale non ha più nulla da dire”. E per questo è una società nella quale si perde il criterio e la misura dell’umano”. “Preferiamo non parlare di Dio” e “Dio è divenuto fatto privato di una minoranza”.
Frasi come quelle ora ricordate non potevano lasciare dubbi sul significato di quell’intervento di Benedetto XVI e di come esso andasse controcorrente rispetto alla secolarizzazione della teologia oggi imperante. Da qui il suo rammarico, che è anche la conferma di una diagnosi nefasta: i teologi non parlano più di Dio, professano una a-teologia. La morte di Dio è evidente sulla scena pubblica, la qual cosa deve ritenersi drammatica ma in fondo anche non nuova. Che la morte di Dio sia nella teologia cattolica desta ancora maggior dolore.
Nell’Instrumentum laboris del sinodo sull’Amazzonia di Dio si parla pochissimo. La recente e famosa intervista a La Stampa di papa Francesco parlava di mille problemi politici ma non faceva mai riferimento a Gesù Cristo. Nella Lettera dei presidenti delle Conferenze episcopali continentali per il vertice ONU di Katowice dell’ottobre scorso ci si riferiva alla “Madre Terra” ma non a Dio. La Dottrina sociale della Chiesa, che serve proprio a parlare di Dio in pubblico, è messa da parte e la pastorale sociale è uno strumento per risolvere in modo condiviso i problemi sociali assunti solo sul piano orizzontale.
Il punto fondamentale è teologico. Nella nota su Kerder Korrespondenz Benedetto dice che “Il fatto che il contributo di Aschmann trascuri il passaggio centrale della mia argomentazione proprio come la maggior parte delle reazioni di cui sono venuto a conoscenza mi mostra la gravità di una situazione in cui la parola Dio sembra spesso emarginata nella teologia”.
Si tratta del frutto maturo e amaro di una lunga stagione teologica che ha scelto di non parlare più di Dio ma solo dell’uomo, pensando che anche Dio ci parli solo nell’uomo. Che parli indirettamente all’umanità e non direttamente alla sua Chiesa. Per la teologia modernista prevalente oggi, il primo a praticare una a-teologia sarebbe Dio stesso. Ne consegue, per forza di cose, che anche la Chiesa non debba più parlare di Dio, ma della biodiversità o della società multireligiosa, ossia dell’uomo e dei suoi problemi.
Stefano Fontana
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