Il vero insegnamento di Gesù sul giudicare e il non giudicare
“Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia distinguere il bene dal male” (1Re 3,5-15) Salomone chiede la capacità di discernere. Di riconoscere chi ha ragione e chi ha torto, dove sta il bene e dove sta il male.
Da sei anni a questa parte va di moda rispondere, a chi chiede ragione riguardo a pubblici scandali e peccati mortali: “chi sono io per giudicare??“. Abbiamo già fatto un video, qui con il testo scritto, per cercare di comprendere come deve comportarsi un battezzato, un sacerdote, un vescovo, ma anche un Papa, a riguardo di ciò:
«Non giudicate secondo l’apparenza, ma giudicate con giusto giudizio.» (Gv.7,24) «Si sta diffondendo un falso messaggio che porta con sé desolazione: la felicità non si ottiene nella via della libertà senza la verità, questo è egoismo». Spiegò Giovanni Paolo II in occasione dell’Incontro mondiale con le famiglie del 1997 a Rio de Janeiro.
Va da se, allora, che in quel più evangelico “non giudicare” significa più puramente che non devo giudicare le persone dalle apparenze o dai sentimenti, ma quanto agli atti che compiono, tutti noi compiamo, non solo possiamo giudicare (dal cui atto scaturisce poi l’esame della coscienza), ma è un dovere che rientra in quel discernimento che ci permette di scegliere fra ciò che è bene e ciò che è male. Diverso è “l’accanimento” contro il peccatore, da questo ci mette in guardia Gesù.
Nei Vangeli troviamo altre due occasioni in cui Gesù sembra esprimere un concetto diverso. Se in Giovanni sopra, come abbiamo letto, dice che dobbiamo giudicare “con giusto giudizio”, ora sembra contraddirsi: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37). Che cosa ci sta dicendo? Come mettere in pratica questa parola del Vangelo? Non è forse necessario giudicare, se non ci si vuole arrendere di fronte a ciò che non va? Gli apostoli Giacomo e Paolo, così diversi tra loro, sembrano dare il carico da undici, come si vuol dire. Giacomo scrive: «Chi sei tu che ti fai giudice del tuo prossimo?» (Gc.4,12). E Paolo: «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo?» (Rm.14,4).
Chiariamo subito che né Gesù né gli apostoli hanno cercato d’abolire i tribunali, loro stessi dimostrano di saper giudicare le condizioni in cui si trovano le persone. Il loro appello concerne la vita quotidiana in un rapporto stretto con il proprio prossimo. Se i discepoli scelti da Gesù cercano di mettercela tutta per obbedire alla missione loro affidata, continuano tuttavia a commettere errori dalle conseguenze più o meno gravi… per esempio il famoso “incidente di Antiochia” (Gal.2,11-14), un modo elegante per descrivere uno scontro avvenuto tra la colonna della chiesa Pietro e l’apostolo delle genti Paolo… Il messaggio da loro lanciato è, allora, di giudicare colui che – per sua negligenza, le sue debolezze o dimenticanze – causa dei torti o fallimenti ed è causa DELL’ERRORE. Certo noi abbiamo eccellenti ragioni per giudicare il nostro prossimo: è per il suo bene, affinché impari e progredisca… questa è anche la lezione offertaci da san Paolo, questo è stato fatto anche per noi prima della nostra conversione (cfr.Ef.2,1-7).
Gesù resta per tutti il Maestro perché conosce il cuore umano, non è soggetto a giudizi emotivi, sentimentali del momento, o delle mode, o di altre diavolerie dalle quali siamo costantemente tentati…. Dice: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo?» (Lc.6,41; Mt.7,1-6). Che cosa ci sta dicendo Gesù? Ci dice innanzi tutto di STARE ATTENTI perché, a causa delle nostre fragilità, difetti e vizi, possiamo servirci degli errori degli altri per rassicurarci delle nostre qualità, arrivare persino a compiacerci e dunque attenti alla SUPERBIA… Infatti, spesse volte, le ragioni per giudicare il prossimo lusingano il nostro amor proprio (vedi Luca 18,9-14).
Altro campanello d’allarme è la FALSA UMILTA’…. ossia, trovando nel prossimo un peccato grave e tacere per dispensarsi dall’affrontare il proprio peccare… La severità del giusto giudicare può, da una parte, nascondere una certa insicurezza, specialmente al confessionale quando, piuttosto che denunciare i propri errori, si cerca di giustificarli accusando gli altri, o la situazione di un dato momento. Dall’altra parte, invece, NON si giudicano i propri peccati, non si denunciano gli errori altrui per la paura d’essere giudicato. In entrambi i casi si sta sbagliando, ed è falsa umiltà.
A due riprese Gesù parla dell’occhio «malato» o «cattivo» (Mt.6,23 e 20,15). Nomina così lo sguardo torbido per la gelosia. L’occhio malato spia, non scruta il cuore ma l’esteriorità, invidia e giudica il prossimo nel medesimo tempo. Quando ammiro il mio prossimo per le sue qualità ma, allo stesso tempo, subentra la gelosia, l’invidia, il mio occhio diventa cattivo. Non vedo più la realtà così com’è, e può anche succedermi di giudicare una persona per un male immaginario che, magari, non ha mai fatto, oppure giudico per vendetta, per antipatia, per odio.
Infatti, in altre occasioni, di fronte a un uditorio di mormoratori Gesù racconta le tre parabole dei perduti ritrovati (Lc.15,1-32), qui l’audio di una omelia di un sacerdote. Quale nuova idea di Dio ci viene a rivelare Gesù? Tra tutte le parabole sono indubbiamente le più sconvolgenti perché ci insegnano anzitutto che Dio ha premura del peccatore PENTITO e della grande gioia che prova nel “ritrovarlo”, recuperare ciò che sembrava essere perduto, Egli stesso afferma di non essere venuto per giudicare o per condannare, per applicare la Giustizia ci sarà il Giudizio particolare appena moriamo e il Giudizio Universale. Gesù sottolinea, nelle parabole, un Dio che non disdegna di affrontare le critiche dei farisei e degli ipocriti, degli invidiosi, dei vendicativi: il Padre, infatti, affronta l’ira del figlio maggiore con amore, con pace, senza scusarsi, senza condannarlo; Gesù affronta le critiche fino a farsi calunniare, critiche che si riproducono continuamente e quasi infallibilmente, spesso a causa delle invidie e gelosie, ma Dio si interessa anche di un solo perduto al quale, se veramente pentito, TUTTO viene perdonato…
San Paolo ammonisce, infatti, severamente: «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo?». Cosa significa? Il punto fondamentale del principio del “non giudicare” sta nel fatto che chi giudica il suo prossimo si eleva a maestro e usurpa, di fatto, il posto che compete SOLO a Dio: “Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio…” (1Cor.4,1-5). E’ per questo che NON dobbiamo giudicare le persone, perché finché c’è vita c’è speranza di salvezza per chiunque mentre, spesse volte, il nostro giudicare la persona, preclude ad essa ogni speranza, lo mette ai margini della comunità, lo esclude. Il giudizio estremo va solo nei casi estremi, come dimostra lo stesso san Paolo nel “caso dell’incestuoso“, peccatore impenitente, che egli giudicherà molto duramente, fino ad abbandonarlo nelle “mani di Satana” perché si ravveda, vedi qui. Un “potere” che può usare SOLO il Ministro di Dio, non un laico… e in casi estremi.
Altro punto che è ulteriore principio è che noi tutti siamo chiamati a «considerare gli altri superiori a se stesso» (Fil.2,3). Non si tratta di non tenersi in considerazione, ma di mettersi a servizio degli altri piuttosto che giudicarli: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc.17,7-10). Sulla Croce, Gesù morente, usa il giudizio e salva solo uno dei due Ladroni moribondi con Lui… non salva “tutti” indiscriminatamente, o incondizionatamente. E’ quel giudicare per recuperare il peccatore, spingendolo ad abbandonare il peccato. I farisei invece, che erano dei veri ipocriti, convivevano con i peccatori quando tornava loro comodo e si aggiustavano i peccati a seconda delle loro convenienze, ingannando il peccatore stesso sulla sua sorte ultima (vedi Mt.19).
Ma allora: possiamo giudicare, si o no? Rinunciare di giudicare non porta forse all’indifferenza e alla passività?
In una stessa frase, l’apostolo Paolo usa la parola giudicare con due significati diversi: «Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; pensate (giudicate) invece a non esser causa d’inciampo o di scandalo al fratello» (Rm.14,13). Nel primo caso significa di non sprecare il nostro tempo nel giudicarci tra di noi, nella comunità, nei rapporti tra fratelli, nella famiglia perché, questo “smettere, cessare” di giudicarsi reciprocamente non porta ad essere passivi nei confronti degli ERRORI DA DENUNCIARE, sempre in quella correzione fraterna essenziale, ma è una condizione fondamentale per intraprendere dei rapporti con l’altro, attraverso comportamenti giusti, usando la carità vera che è fatta di prudenza, pazienza, mansuetudine, mitezza…. Cominciare, infatti, dal giudicare se stessi per non essere la causa d’inciampo o di scandalo. E’ l’ordine impartito da Gesù con la famosa trave e la pagliuzza.
Se ascoltiamo bene tutto il brano, Gesù non invita a chiudere gli occhi e a lasciar correre il peccato. Infatti, subito dopo aver detto di non giudicare, continua: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due nella fossa?» (Lc.6,39). E allora il brano diventa più chiaro, se non viene estrapolato. Gesù desidera che i ciechi siano aiutati a trovare la strada. Ma denuncia le guide incapaci. Queste guide un po’ ridicole sono, secondo il contesto, coloro che giudicano e condannano, senza aver prima corretto se stessi. Ed è evidente che, rinunciare a giudicare “con giusto giudizio”, dopo aver tolto la trave dal proprio occhio (ossia la conversione, la confessione ed una vita in stato di grazia, coerente), è impossibile veder chiaro per portare altri sulla buona strada… Questo sta dicendo Gesù, e non di “non giudicare” e basta. Lo leggiamo quando afferma: “come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.” (Mt.7,4-5). La domanda che Gesù pone indica il passaggio primario e fondamentale atto PROPRIO A GIUDICARE IL FRATELLO PER AVVERTIRLO DELL’ERRORE, ma dopo essere usciti noi dall’errore e dal peccato.
Tanto è vero che subito dopo aggiunge, concludendo questo tema: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.” (v.6), le “cose sante” sono I SACRAMENTI; i “cani” (nello scenario tipico dei tempi di Gesù) sono I RANDAGI, sono i peccatori recidivi, gli scandalizzatori che NON vogliono pentirsi, capaci di ritornare per pretendere “le cose sante”; LE PERLE SONO LA PAROLA DI DIO, LE PREDICAZIONI dei Santi, IL MAGISTERO DELLA CHIESA… i “porci” sono gli impuri, magari belli fuori, ma sporchi dentro… gli ipocriti e dunque, è necessario giudicare lo stato delle cose come stanno, per evitare anche la profanazione stessa dei Sacramenti (e questo riguarda soprattutto i Sacerdoti, ma anche i Catechisti e chi ha responsabilità nella Chiesa), l’interpretazione corretta al testo è la lettura che fa la Chiesa: un monito ai missionari cristiani, ai parroci, ai catechisti a non predicare il vangelo a chicchessia… e quindi preparare bene il terreno dove seminare! Qui si può leggere la parabola del Seminatore, quale è il terreno buono sul quale seminare? (Mc.4,31-34 e che ci rimanda ad Isaia 55,10).
Del resto è sempre una parola dell’apostolo Paolo a farci capire la giusta misura: «Ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina» (2Tim.4,2).
In sostanza, come insegnano i Padri della Chiesa: “Non giudicare e non condannare nessuno, ma avvertili come veri fratelli, ammonisci il peccatore, porta la sana Dottrina” AVVERTIRE IL FRATELLO DELL’ERRORE E DEL PECCATO IN CUI VIVE, NON GIUDICARLO, MA ESORTARLO ALLA CONVERSIONE, questo è il senso dell’insegnamento del Cristo.
- Facciamo un esempio pratico: se dico a qualcuno della gayezza LGBT “Amico, stai sbagliando, l’atto che tu compi o difendi E’ PECCATO MORTALE”, e lui mi risponde: “Ma come ti permetti di giudicarmi?” – gli si risponde: “Amico mio, non sto giudicando le tue intenzioni o i motivi per cui lo fai, ma ciò che stai facendo, L’ATTO che difendi o compi è peccato mortale, punto”…
- Così per un divorziato-risposato che convive, o i conviventi stessi pretendessero l’Eucaristia: “No amico mio, il tuo stato e l’atto in cui vivi è peccato mortale” – e mi risponde: “Ma come ti permetti di giudicarmi?” – gli si risponde: “NO Amico, stai sbagliando, io non sto giudicando le tue intenzioni, ma l’atto che compi, lo stato in cui vivi è ADULTERIO, E’ PECCATO MORTALE… punto”.
Lo dicevamo sopra: «Non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore» (1Cor.4,5): San Paolo sta raccomandando il più grande ritegno nel giudizio. Allo stesso tempo infatti, chiede con insistenza di preoccuparsi degli altri, avvertirli: «Correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti» (1Tess.5,14). Per esperienza sapeva che riprendere senza giudicare poteva costare: «Per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi» (Atti 20,31).
Solo la VERA carità (sempre anche con una buona dose di prudenza) è capace di un simile servizio… e ce lo ricorda la Vergine Maria a Fatima, ai tre Pastorelli quando chiede loro di essere pronti a SACRIFICARSI E PREGARE PER SALVARE I PECCATORI. Nella parte finale del discorso di Matteo infatti (7,13-27), troviamo un ammonimento conclusivo di Gesù che invita a fare una scelta decisiva per entrare nel regno dei cieli: la porta stretta (7,13-14). La parola di Gesù non è solo qualcosa da comprendere e interpretare per gli altri, ma deve soprattutto diventare vita coerente nel discepolo, si legga anche qui. sulla vera SAPIENZA.
In un altra riflessione parleremo nuovamente di questo tema con altri elementi interessanti come il caso dell’adultera…. o di quel NON dare del PAZZO a nessuno, vedi qui.
Laudetur Jesus Christus, Ave Maria.
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