LE PAROLE DEL PAPA SULL’AMERICA, OSTILITÀ ANTICA.
LE TOPPE PEGGIO DEI BUCHI.
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, troll vari e passanti indaffarati, le sconcertanti parole del Pontefice regnante ieri sull’aereo, collegate all’offerta di un libro della servile Bergoglio Press Gang, che alimenta il mito del Grande Complotto contro il Papa (un modello da sempre usato in tutte le dittature di destra e sinistra, per nascondere fallimenti e comportamenti discutibili). Parole che hanno suscitato la curiosità e anche di più di molti. Fra questi, Super Ex e Giovanni Formicola, che ci hanno inviato qualche riflessione. Cominciamo da Super Ex. Quanto al rapporto di Jorge Mario Bergoglio con gli Stati Uniti, trovo incredibile che un uomo di media cultura non provi nella sua vita la curiosità intellettuale di visitare una volta almeno gli USA prima di arrivare alla vecchiaia. Eppure così è stato per lui. Incredibile.
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Sull’aereo Bergoglio ne ha detta una delle sue. Con l’arroganza che lo contraddistingue, ha attaccato non un governo (quello lo fa tutti i giorni, se non è un governo di sinistra), ma un intero popolo. Il suo scopo è chiaro: presentarsi come vittima di un complotto.
Lui, figlio del complotto della mafia di san Gallo, vittima dei cattivissimi americani!
Qualcosa non torna: anzitutto perché Carlo Maria Viganò, grande accusatore, non è americano e ha passato la gran parte della sua vita in Italia e in Vaticano.
Secondo: perché proprio dai cardinali americani, guidati dall’americano Donald Wuerl, Bergoglio ha preso voti decisivi per la sua elezione.
Terzo, perché i gesuiti americani, tra cui i maestri del suo amato padre James Martin, sono da 50 anni all’avanguardia del complotto modernista: cioè del lavoro sotterraneo volto a distruggere la Chiesa non più da fuori, come facevano i vecchi eretici, ma da dentro (come si fa, appunto, in un complotto).
Ma tralasciamo la vicenda ridicola del “complotto yankee”, e analizziamo brevemente il complesso rapporto tra Bergoglio e i giornalisti.
Ogni volta che sale sull’aereo, Bergoglio spara a zero a destra e a manca, davanti ad una platea di personaggi cui però manca il coraggio di fare, ogni volta, le domande scomode.
Deve esserci un patto: “domande scomode no, altrimenti chiudo tutto e voi rimanete senza ciccia per i vostri giornali!”
E se qualcuno riesce a rompere il muro di silenzio, la risposta dell’argentino è: leggete e giudicate voi! Davanti ad un documento che è stata una bomba mondiale, il dossier Viganò, Bergoglio per una sola volta nella sua vita non ha quasi fiatato: ha solo archiviato!
Accanto a lui, sull’aereo, Bergy si porta un giornalista, con l’incarico di intervenire se la risposta si rivela raffazzonata, ambigua, insultante.
Quello passato, l’americano Burke, ha dato le dimissioni, forse stanco di dover riformulare alcune frasi del loquace argentino, per renderle commestibili. Quello odierno, tale Matteo Bruni, ha già iniziato ad esercitarsi nello sport del salto mortale, arrivando a spiegare che l’attacco di Bergoglio agli “americani” (“per me è un onore se gli americani mi attaccano”) è invece una dichiarazione di simpatia, perché, udite udite sin dove può arrivare la disonestà intellettuale, “in un contesto informale, il Papa ha voluto dire che considera sempre un onore le critiche, particolarmente quando vengono da pensatori autorevoli, e in questo caso da una nazione importante”.
Chissà cosa ne pensano, di questa capacità di ascolto e di autocritica, i duecento professori universitari, certamente “pensatori autorevoli”, che hanno chiesto di fermare la distruzione del Giovanni Paolo II, bellamente ignorati dall’argentino.
Se il Burke o il Bruni di turno non riescono a mettere la toppa in tempo reale, Bergy non si preoccupa: può sempre stilare, ad un altro giornalista, nell’occasione successiva, l’elenco delle volte in cui, poverino, non è stato capito, non si è spiegato, è stato frainteso.
Il che, per carità, avviene davvero qualche volta: Bergoglio, quando parla a braccio, dimostra di avere idee molto confuse, sintassi zoppicante, cultura teologica e filosofica pari allo zero, conoscenza della politica, sua principale passione, da bar…
Forse proprio per questo dei giornalisti acclamanti ha estremo bisogno: devono trasformare in oro il piombo, e si sa che è proprio la specialità di tanti.
Torniamo un attimo all’origine. Eletto da poco, Bergy chiama al telefono Eugenio Scalfari e lo convoca, per dirgli che cambierà la Chiesa
Fa subito capire che lui, il pastore con l’odore delle pecore, preferisce comunicare con dette pecore, tramite i media laici e potenti.
Per farlo sceglie il fondatore del giornale più anticattolico d’Italia; il giornalista che ha attaccato per 8 anni il suo predecessore, Benedetto XVI, e per decine di anni Giovanni Paolo II. Vedi per esempio qui.
Non è proprio una scelta illuminata e rispettosa! Ma è una scelta che oggi capiamo molto bene. Contiene un messaggio: “Caro Scalfari, sono il contrario dei miei predecessori. Aiutami a distruggere la Chiesa che tanto odio”!
E di seguito, ricordiamolo, le frasi ambigue che poi verranno in parte ritrattate, in parte no (“E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”); gli attacchi violenti agli altri papi (“I Capi della Chiesa spesso sono stati narcisi, lusingati e malamente eccitati dai loro cortigiani. La corte è la lebbra del papato”); le battute (“Io ho già detto che la Chiesa non si occuperà di politica”); l’autoincensamento (“Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare”)…
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Ed ecco la riflessione, molto più breve ma altrettanto ficcante, di Giovanni Formicola:
“Per me è un onore che mi attacchino gli americani”. Sul volo che lo porta in Mozambico, Francesco sorride mentre soppesa tra le mani un libro dalla copertina a stelle e strisce e il titolo eloquente: Comment l’Amérique veut changer de Pape, ovvero «Come l’America vuole cambiare Papa». Scritto dal giornalista Nicolas Senèze, del quotidiano cattolico La Croix, il libro esce oggi in Francia e ricostruisce le manovre condotte nell’ultimo anno dalla galassia dell’estrema destra cattolica Usa per cercare di spingere il Papa alle dimissioni e orientare un nuovo conclave.
L’autore ne ha regalato una copia a Bergoglio che lo considera con interesse, «ah eccolo, mi dicevano che ancora non si trovava», e poi lo consegna ai collaboratori perché glielo custodiscano, «questa è una bomba!». Quelle di Francesco sono esclamazioni, mentre cammina sereno in fondo all’aereo e saluta uno ad uno i giornalisti che lo seguono nel viaggio.
[…] di lì a un’ora il portavoce vaticano Matteo Bruni precisa: «In un contesto informale, il Papa ha voluto dire che considera sempre un onore le critiche, particolarmente quando vengono da pensatori autorevoli, e in questo caso da una nazione importante» (Corriere della Sera, 4 settembre 2019).
Senza parole.
Marco Tosatti
Il rapporto complicato di Francesco con gli Stati Uniti
Papa Francesco e Donald Trump (foto LaPresse)
Roma. “Per me è un onore se mi attaccano gli americani”, scrive l’agenzia Ansa riportando una battuta del Papa in alta quota, mentre sorvolava l’Africa raggiungendo il Mozambico (prima tappa di un viaggio che lo porterà anche in Madagascar e alle Isole Mauritius). Nicolas Seneze, inviato del giornale francese La Croix, gli ha donato un suo libro, dal titolo inequivocabile: Come l'America vuole cambiare Papa. Francesco, consegnando il volume ai collaboratori ha aggiunto: “Questo libro è una bomba”. Il direttore della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni, capendo subito le potenziali conseguenze della battuta, è immediatamente intervenuto, spiegando che “in un contesto informale il Papa voleva dire che considera sempre le critiche un onore, particolarmente quando provengono da importanti pensatori e, in questo caso, da una nazione importante”. Tutte cose che il Papa non ha detto, ma che evidentemente pensava. Vatican News, l’organo ufficiale, ha cercato di salvare il salvabile e dopo le notizie sui “sorrisi in spazi stretti” e le battute sugli ascensori – domenica Francesco è rimasto chiuso venticinque minuti in un ascensore a causa di calo di tensione – fa sapere che il libro “fotografa una realtà critica, ma proprio le ‘critiche’ sono considerate dal Papa ‘sempre un onore’”. Titolo del paragrafo: “Il pregio di un rilievo”. Seneze ha spiegato al Pontefice l’origine delle critiche rivolte contro la sua persona, critiche di destra provenienti da settori (e media) ben riconoscibili.
Al di là dell’incidente – perché di questo si tratta, al di là delle ovvie e massicce dosi di edulcorante sparse dopo l’uscita papale – si conferma un problema (enorme) tra Francesco e gli Stati Uniti d’America. Un problema evidente fin dal 2013, come peraltro confermava il maestro di Bergoglio, padre Juan Carlos Scannone, “non si tratta di avere riserve sugli Stati Uniti in quanto tali, ma sugli Stati Uniti in quanto potenza egemonica. Il Papa non appoggia l’egemonia, da qualunque parte essa venga. Preferisce un mondo multipolare”. Stati Uniti che dopo sei anni di pontificato restano poco propensi a essere ridotti a faccia del poliedro così caro al Papa argentino. E poco hanno potuto sia i potenti discorsi tenuti da Francesco durante la sua visita in terra americana nel 2015, sia il massiccio ricambio nella compagine episcopale, disarmando il più possibile la vecchia guardia dei guerrieri conservatori e sostituendola con profili più in linea con l’agenda oggi ufficiale. Nonostante la discontinuità manifesta, concretizzatasi in porpore date (Cupich, Tobin) e negate (Chaput, Gomez), il chicco per ora ha dato poco frutto. Neppure la decapitazione simbolica del fu cardinale liberal Theodore McCarrick, decisa e portata a termine da Francesco, gli ha fatto guadagnare consenso tra le file del solido conservatorismo cattolico d’oltreoceano. Sono due mondi che non si capiscono. Lo storico Massimo Faggioli, scuola progressista, lo diceva al Foglio qualche anno fa: “I suoi rapporti con il mondo anglosassone sono molto limitati. E’ un problema culturale, ha avuto pochissimi rapporti con quella realtà. E poi è un latinoamericano, il che comporta una certa quantità di antiamericanismo. Negli Stati Uniti questo si sa bene, solo che non si può accusare esplicitamente il Pontefice di essere anti yankee. E’ una questione latente”. E non ancora risolta.
Davvero il Santo Padre ritiene possibile possibile essere cristiani e induisti al contempo?
Sapienza divina che ti fai trovare da coloro che ti cercano (Proverbi 8,17), io nelle parole del Papa ti cerco ma non ti trovo. Ad esempio non trovo nessuna logica nel messaggio al popolo di Maurizio, l’arcipelago africano popolato in maggioranza da induisti, prossima meta di un viaggio pontificio. All’inizio Papa Francesco dice che il popolo mauriziano si è “formato dall’incontro di diverse etnie, e quindi gode della ricchezza di varie tradizioni culturali e anche religiose”. Insomma il solito indifferentismo, “empietà di uomini deliranti” secondo Papa Leone XII, “perversa opinione” secondo Papa Gregorio XVI.
Poi dice qualcosa di cristiano: “Il Signore mi conceda di annunciarvi il Vangelo così che tutti possiate comprenderlo e accoglierlo”. Queste ultime, Sapienza divina, mi sembrano parole giuste quanto incoerenti: se davvero la molteplicità dei culti arricchisce (spiritualmente parlando, immagino), convertire i non cristiani al Vangelo significa (sempre spiritualmente) impoverire. A meno che il Santo Padre non ritenga ereticamente, gesuiticamente possibile aderire a più religioni ed essere magari cristiani e induisti al contempo, pregare la Vergine Maria e subito dopo, come vide fare il poeta Giuseppe Conte alle vecchie mauriziane, versare “olio odoroso sulla superficie nera di piccoli lingam” (i falli del dio della distruzione Shiva, sorta di vibratori cosmici).
di Camillo Langone
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