Sabato 14 febbraio, ore 9, via Mosè Bianchi, Milano, sede del Pontificio Istituto Missioni Estere, meglio conosciuto come Pime, convegno sobriamente titolato: Il grido dell’Amazzonia. Ricchezza, drammi e sfide di una regione in crisi. Relatori: le giornaliste di “Avvenire” Lucia Capuzzi e Stefania Falasca, la docente di antropologia culturale dell’Università Cattolica Anna Casella Platrinieri, il missionario Omi padre Roberto Carrasco e il missionario Pime. Moderatore il giornalista di “Mondo e Missione” Giorgio Bernardelli.
Non la faccio molto lunga, la cronaca si risolve facilmente nell’elenco dei concetti ripetuti più e più volte con quei “ritmi ossessivi” che Franco Battiato ci spiegava essere “la chiave dei riti tribali”. Dunque, in una mattinata ho imparato che: l’Amazzonia è la culla della biodiversità, l’Amazzonia garantisce la vita del pianeta, l’Amazzonia è la terra dai forti colori, l’Amazzonia è come una donna stuprata, l’Amazzonia fa comprendere che la difesa della vita non è tanto salvare bambini e vecchi dalla morte di stato quanto sentire il respiro profondo della Madre Terra, l’Amazzonia è il laboratorio della liberazione dei poveri, l’Amazzonia è l’università a cielo aperto in cui imparare la tolleranza per ogni differenza, l’Amazzonia ci induce dolcemente ad abbandonare la nostra identità per poter parlare con gli indigeni, l’Amazzonia è la culla delle mille credenze e dei mille riti che la chiesa deve assumere in sé. Come si nota, non c’è traccia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ma non pretendevo neanche che andasse diversamente. Preferisco sempre che non vengano nominati invano in mia presenza, e di questo sono grato ai relatori.
Avevo deciso di ignorare l’incombente sinodo sull’Amazzonia e spiegherò a momento debito perché ho fatto un’eccezione. Qui serve invece una premessa al termine della quale i lettori potranno essere decimati dal dissenso per la franchezza, ma l’onestà la impone.
Se i pastori che sbranano gli agnelli vi scandalizzano, ma pensate che riportare indietro le lancette della storia li induca a ravvedersi. Se gli altari invertiti per adorare il mondo vi scandalizzano, ma siete convinti che basti girarli perché tutto torni come prima. Se il Vicario di Cristo che predica l’Anticristo vi scandalizza, ma ritenete che tutto si aggiusterebbe in un conclave opportunamente pilotato da una mafia buona avversa quella cattiva di San Gallo. Insomma, se siete bravi cattolici che “si scandalizzano, ma” questo romanzetto amazzonico non fa per voi.
Se la realissima e crudissima realtà non vi piace, ma la prendete a colpi di martello per farla entrare nei concetti di una teologia e negli articoli di un diritto canonico rassicuranti ed emollienti, lasciate perdere e leggete altro. Se impazzite su tomi di sacra teoria per spiegare a voi stessi, senza convincervi del tutto, come e qualmente la vera chiesa possa avere o non avere un falso papa, non abbiamo più niente da dirci. C’eravamo tanto amati, forse, ora non più.
Cronache alla mano bisogna avere il coraggio di constatare che ai nostri giorni non è all’opera il falso papa di una vera chiesa, ma il vero papa di una falsa chiesa. Lo so che una simile affermazione parrà teologicamente imperfetta, filosoficamente carente, canonicamente rozza. Vi avevo avvisato. Ma, purtroppo per voi e per me, descrive la realtà nuda e cruda, che se ne frega beffardamente della teologia, della filosofia e del diritto canonico. La realtà non è quella che piacerebbe a me, a voi o a chissà quanti altri cuoricini di buona volontà. La realtà è spietatamente quella che è: il mondo è antievangelizzato da una chiesa anticristica con un suo legittimo papa, il cui titolo non richiede il prefisso “anti” poiché nel suo regno non c’è alcun altro sovrano a cui debba opporsi. Liberatevi per un momento della terza narice cattocons, cattotrad e cattoquelchevoletevoi e vedrete che tutto torna e si spiega: i pastori che sbranano gli agnelli, gli altari invertiti, il Vicario che predica l’Anticristo e quanto ne discende, fino all’ultimo dei dettagli.
Prima di continuare, è d’obbligo una postilla alla premessa. Se un papa si fa nello spazio di pochi scrutini in un conclave ben confezionato, per fare una chiesa serve molto più tempo, e non bastano i decenni, non basta, con tutto il rispetto, un Vaticano Secondo. Non si passa dalle geometrie dei giardini vaticani al caos della Foresta Amazzonica nel torno di un concilio e di un postconcilio. La semente eretica dell’informe è vecchia di secoli, sparsa dal Nemico fin da quando Cristo ha fondato la sua Chiesa, l’unica vera, allo scopo di trasformare legioni di buoni cristiani in entusiasti seguaci dell’Antivangelo senza che neppure se ne accorgessero.
Poiché il Nemico è un provetto giardiniere, ha selezionato una semente capace di far crescere per ogni epoca la pianta giusta. Ormai, ne ha suscitate così tante da formare una foresta che ha oscurato il Cielo agli sguardi degli uomini. Oggi la chiamano Foresta Amazzonica: il pantheon da cui è stato bandito il Dio Uno e Trino per fare luogo alle divinità di ogni razza e colore. Qui, e solo qui, all’unisono con il pulsare della Biodiversità, batte il cuore del vero papa della falsa chiesa, pontefice massimo della Divinodiversità. Qui, e solo qui, potranno essere evocati i mille e mille spiriti colorati che completano il ritratto del Cristo Cosmico ingiustamente sottratto per venti secoli all’adorazione degli ignari fedeli. Qui, e solo qui, nei riti di sottomissione a Pachamama troverà compimento la salvezza dell’umanità minacciata dall’implosione del pianeta.
In questa selva oscura, fiore tra i fiori, spunta ora il sinodo della regione Pan-Amazzonica, in scena dal 6 al 27 ottobre con il titolo Amazzonia: Nuovi Cammini per la Chiesa e per una Ecologia Integrale. Se pensate che in qualche modo sia possibile intervenire nel dibattito portando anche solo qualche piccola correzione, fatevene una ragione, i giochi sono fatti da tempo. Sono persino ammirevoli i dotti censori dell’Instrumentum Laboris che detta le linee guida dell’assemblea. Ammirevoli, ma inefficaci perché, forse attratti dal vago sentore veteroromano della dicitura latina, si sono gettati su un falso bersaglio, messo lì allo scopo di mostrare quanto le critiche siano vecchie e fuori tema.
Nel pantheon della Foresta Amazzonica si adorano altre divinità, si celebrano altri riti, si elaborano altre cosmologie, si teorizzano altre teologie, si trasmettono altre dottrine, si praticano altre morali, si parlano altre lingue. E la Foresta Amazzonica, con le sue divinità, i suoi riti, le sue cosmologie, le sue teologie, le sue dottrine, le sue morali e le sue lingue non si estende solo sui canonici nove Paesi sudamericani: è già qui, a oscurare il nostro Cielo tirando fuori dai bravi cattolici l’indio che c’è in loro da chissà quante generazioni.
Il vero bersaglio sarebbe la falsa chiesa che si è sostituita a quella Vera. Ma è così grande, globale, da essere invisibile. Il Corpo Mistico della Chiesa Amazzonica è un’entità sostanzialmente inattaccabile poiché la maggior parte dei suoi membri ne fa parte senza esserne completamente cosciente, tralci di una vite diabolica illusi di appartenere ancora alla vigna del Signore. Cosicché la Gerarchia Amazzonica, con il vigore e l’ardore dei tempi apostolici, affonda il suo Antivangelo nelle anime dei fedeli come rovente lama infernale nel burro.
È il pensiero di queste povere anime che mi ha mosso a dire qualcosa in proposito, anche se so che servirà a pochissimo, se non a nulla. Ma non ci avrei messo testa se la zia Marinella, in cima ai suoi settant’anni da cattolica, apostolica e romana non avesse preso a preoccuparsi seriamente per le sorti dell’Amazzonia facendole circolare per WhatsApp tra parenti e amici. Il chilometrico appello di padre vattelapesca che tanto ha intenerito il cuore della zia Marinella e lo zelo apostolico con cui lei trasmette il Nuovo Verbo la dicono più lunga di tutti i documenti preparatori e definitivi di qualsiasi sinodo o concilio. E quante zie Marinelle ci sono in giro per l’orbe? E quanti padre vattelapesca le adescano dalle loro scrivanie nell’Urbe?
Così, mi sono sciroppato il convegno del Pime, uno dei tanti dispensati Urbi et Orbi in questi tempi. Quanto ho imparato l’ho già detto. Ho tenuto da parte un solo concetto che merita due righe di commento: l’Amazzonia ci insegna a mettere da parte il pensiero “aristotelico-cartesiano”. Confesso che questa definizione di una qualsiasi filosofia occidentale non l’avevo mai sentita e mi fa anche un po’ ribrezzo. Non nutro un gran trasporto per Aristotele, ma mi pare che accompagnarlo con Cartesio non gli renda giustizia. Eppure non c’è stato relatore che non abbia ribadito, con ritmo ossessivo da rito tribale, il suo ostracismo al pensiero “aristotelico-cartesiano”. Per la verità, la docente di antropologia culturale, una sola volta, si è lasciata sfuggire un fiotto di ostilità al pensiero aristotelico-tomista. Ma si è subito ripresa dicendo che, no, tutto sommato San Tommaso può anche essere risparmiato perché “ha detto cose interessanti sulla divinità”.
Personalmente, penso che fior di cristiani siano andati in Paradiso prima della comparsa di San Tommaso e tanti altri fior di cristiani vi siano andati e vi andranno anche dopo senza un rigo dell’Aquinate tra le mani. Ma non è questo il punto. Il fatto è che nella Chiesa Amazzonica, culla della Biodiversità e della Divinodiversità, non c’è posto per una sola idea difforme al Nuovo Credo. Quando i suoi apostoli parlano di pensiero “aristotelico-cartesiano”, intendono senza alcuna sfumatura e senza alcuna approssimazione “tutto ciò che non è Amazzonico”. Con una definizione intellettualmente truffaldina viene gettato l’anatema su tutto ciò che nei cuori e nelle menti degli uomini è germogliato al contatto con il Vangelo di Cristo, dai Padri apostolici ai nostri giorni. Per questo la loro chiesa, che ha un suo vero e legittimo papa, è necessariamente falsa.
Alessandro Gnocchi Settembre 20, 2019
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