ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 20 ottobre 2019

Conoscere la Verità

VERITA': SEGRETO DELLA FELICITA'

                                   
Ci si può bagnare due volte nella stessa acqua? Tutta l’esistenza umana non è che un tentativo di "Ritrovarsi" e quindi di risalire all’indietro la corrente del tempo, vincendone le leggi meccaniche e l’inesorabile automatismo 
di Francesco Lamendola  

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Tutti i problemi filosofici, psicologici, esistenziali, spirituali, morali, si possono in fondo riassumere in questa sola domanda: è possibile bagnarsi due volte nella stessa acqua? Perché in questa domanda è implicita l’altra, ancor più radicale e imperativa: è possibile per un essere umano, prima che il suo tempo sulla terra sia scaduto, ritrovarsi? Non, banalmente, trovarsi: perché tutti credono di sapere, credono di aver capito, che la vita umana sia quel percorso che ci è dato affinché noi possiamo trovare noi stessi. Se così fosse, avremmo a che fare con un problema, per così dire, di tipo essenzialmente spaziale: la vita sarebbe uno spazio che ci viene assegnato per trovare la strada che conduce dal punto A al punto B, laddove il punto A indica il nostro io inconsapevole e il punto B designa l’io consapevole di sé medesimo, e perciò divenuto adulto. Invece il problema è assai più complesso di così, anche perché non si tratta di trovarsi, ossia di realizzarsi, in un modo qualsiasi, secondo il nostro gusto e il nostro capriccio, bensì di trovarsi così come dobbiamo essere, così come siamo stati chiamati ad essere. 

Ma soprattutto si tratta di un problema spaziale e anche temporale, perché ha a che fare con la questione del tempo. Non possiamo disporre di un tempo illimitato; inoltre, non possiamo disporre di un tempo prevedibile e pianificabile, bensì di un tempo incerto, aleatorio, che in qualsiasi momento può esserci tolto, indipendentemente dalla strada che abbiamo fatto, tanto o poca, nella giusta direzione. Il tempo, peraltro, gioca su due piani differenti: da un lato c’è il lasso di tempo del quale possiamo disporre, ma che non sappiamo quale durata avrà; dall’altro c’è il rincorrersi del tempo alla ricerca di se stesso, perché, appunto, tutta l’esistenza umana non è che un tentativo di ritrovarsie quindi di risalire all’indietro la corrente del tempo, vincendone le leggi meccaniche e l’inesorabile automatismo. Il fattore spazio e il fattore tempo, poi, s’intrecciano e creano un livello ulteriore di complessità, come in una partita a scacchi della quale noi, che siamo i giocatori, non conosciamo tutte le mosse che sono possibili, e siamo obbligati a procedere con difficoltà, per tentativi ed errori.

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Tutti i problemi filosofici, psicologici, esistenziali, spirituali, morali, si possono riassumere in questa sola domanda: è possibile bagnarsi due volte nella stessa acqua: ovvero, è possibile per un essere umano, prima che il suo tempo sulla terra sia scaduto, "Ritrovarsi"?

In un certo senso, la questione se ci si possa immergere due volte nella stessa acqua si può rappresentare anche con un’altra immagine, quella di un fiume che risale dalla foce alla sorgente. È possibile che l’acqua di un fiume si riavvolga su se stessa e che la sua corrente, invece di procedere dall’alto al basso, proceda dal basso verso l’alto? Il fiume, rappresenta sempre la nostra esistenza: l’immagine dell’acqua che rifluisce all’indietro, verso il punto dal quale è scaturita, vuol rendere in maniera plastica il grande problema filosofico che si pone a chiunque voglia vivere in maniera consapevole: si tratta di capire se, e come,  ci sia consentito il ritrovarciInfatti, che ce ne rendiamo conto o no, tutta l’esistenza non è che un continuo viaggiare intorno al punto di partenza: non è che una nostalgia delle origini, una brama di ritrovare ciò da cui ci si è allontanati. La nostalgia dell’infanzia perduta che prova l’adulto è solo un aspetto, quello più visibile ed esteriore, di una questione molto più ampia e complessa, e che Platone ha tentato di renderci familiare con il mito della biga alata.

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La meta coincide con l’origine: è Dio; da Lui veniamo e a Lui ritorniamo, passando per due porte strette: la nascita e la morte, che è come una seconda nascita: la nascita alla vita nella dimensione dell’assoluto, fuori dal tempo e dallo spazio, fuori da tutto ciò che è inessenziale e impermanente. Il problema è che, nella vita terrena, tendiamo ad aggrapparci proprio a ciò che è inessenziale!

C’è qualcosa, in origine, che noi conosciamo, o meglio che conoscevamo, e poi abbiamo scordato; qualcosa di cui abbiamo fatto esperienza e che ci ha riempito l’anima di luce e di splendore, mentre poi ci siamo ritrovati per una selva oscura, incerti e smarriti, e costretti a vagare a casaccio, senza saper bene dove dirigere i nostri passi, ma con quell’ardente desiderio in fondo al cuore: talmente in fondo che molti, pur avendolo, non lo conoscono neppure. E non è neppure, si badi, il mito del buon selvaggio, di una innocenza e di una purezza originaria che poi la società ha corrotto; ma è, semmai, il riflesso di un altro mito, e qui la parola mito acquista tutt’altro spessore, il mito cristiano della Caduta. Ciascuno di noi reca entro di sé l’oscura coscienza di uno stato dell’essere completamente diverso da quello attuale: lo stato di Grazia, che consisteva nel vivere in piena conformità col progetto del Signore Iddio, uniformando la propria volontà alla Sua, o meglio annullando la propria per essere tutt’uno con la Sua.

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Il mito cristiano della Caduta? Ciascuno di noi reca entro di sé l’oscura coscienza di uno stato dell’essere completamente diverso da quello attuale: lo stato di Grazia!

In fondo al nostro essere, a volte ben nascosta, giace una intima, irriducibile, inestirpabile consapevolezza: che il nostro vero stato è lo stato di Grazia; che noi, creati da Dio per conoscerlo, amarlo e servirlo, abbiamo, o meglio avremmo, tutti gli strumenti necessari per realizzare il nostro destino; e che se non ci riusciamo, o se neppure ci proviamo, ciò dipende dal fatto che non siamo più in stato di Grazia, e che in tale perdita, in tale separazione, in tale intima tragedia, noi tutti, e non solo Adamo ed Eva, nostri lontani progenitori, abbiamo una precisa responsabilità. Perché una vita trascorsa senza neppure avvicinarsi a quel reintegro è veramente una vita sprecata: una tragedia senza redenzione, perché nulla può riscattarci da una simile eventualità. Eppure, finché il tempo a nostra disposizione non è scaduto, nulla è perduto: per quanto lontani possiamo esserci spinti dalla meta, nulla rende impossibile la felice conclusione del viaggio. Qui non vige, infatti, la logica delle faccende ordinarie, dove il tempo e le distanze sono elementi fissi, e se dobbiamo recarci dal punto A al punto B che distano, poniamo, tre settimane di cammino, sappiamo che non potremo mai farcela se ne abbiamo a disposizione una soltanto, o magari un giorno appena. Qui il tempo e lo spazio possono giocare a nostro favore, perché capire è trovare immediatamente la strada e porsi senz’altro in condizione di giungere alla meta. La meta coincide con l’origine: è Dioda Lui veniamo e a Lui ritorniamo, passando per due porte strette: la nascita e la morte, che è come una seconda nascita: la nascita alla vita nella dimensione dell’assoluto, fuori dal tempo e dallo spazio, fuori da tutto ciò che è inessenziale e impermanente. Il problema è che, nella vita terrena, tendiamo ad aggrapparci proprio a ciò che è inessenziale e impermanente, perché non capiamo che, con esso, non ci si procura i mezzi per entrare nell’assoluto, ma solo per navigare a vista nelle acque basse del relativo. La nostra vita terrena è affondata nel relativo, e tuttavia è in funzione dell’assoluto: per questo ci è data e per questo dobbiamo farne buon uso.

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 Un dono soprannaturale? Trovare il senso della propria vita equivale a ritrovarsi, perché nelle creature di Dio c’è già il seme della verità, dato che esse vengono dall’Amore e dalla Sapienza divina!

Conoscere Dio è la stessa cosa che conoscere la Verità: la nostra vita è, o dovrebbe essere, la ricerca della verità. Per farlo, ci sono due strade, che non si escludono a vicenda, semmai si integrano e si completano: quella della ragione e quella della fede. Con la ragione si può giungere a dimostrare l’impermanenza del mondo e l’esistenza necessaria di Dio, nonché quella di un piano sapientemente ordinato al bene di tutte le cose che esistono. Perché mai Dio le avrebbe create, se non per condurle al massimo grado di bene? Se così non fosse, questa sarebbe una grave imperfezione nel piano divino, e dunque Dio non sarebbe Dio, ma un mediocre demiurgo che non sa, non può o non vuole condurre ogni cosa verso il fine migliore per essa. Il bene dell’uomo, come afferma Aristotele, è realizzare se stesso in quanto essere razionale; ma, come abbiamo detto, non per mezzo di una realizzazione qualsiasi, bensì con la realizzazione che consiste nell’uniformarsi pienamente e incondizionatamente al piano divino. E poiché il sommo Vero è anche il sommo Bene, ne consegue che, votandoci interamente alla verità, operiamo anche per la nostra felicità: perché là dove c’è la verità, c’è il bene, e dove c’è il bene si è felici; mentre nessuna felicità è possibile quando si è lontani dal bene e lontani dal vero. Nella menzogna e nel male non si trova alcuna felicità, ma solo una sua diabolica contraffazione: si trova l’illusione di essere felici, cui necessariamente fa seguito la più amara delle disillusioni. Evidentemente, il fine dell’uomo non è realizzarsi in quanto animale dotato di sensi e appetiti: questo equivarrebbe, per lui, a una degradazione, poiché ciò che vi è di più perfetto, nella sua natura, è la facoltà razionale e non questa o quella facoltà animale, che egli condivide con i bruti. E poiché la realizzazione implica la felicità, se ne deve concludere che l’uomo è felice quando riesce a realizzarsi in ciò che vi è di più perfetto in lui e non in ciò che vi è d’inferiore. Soddisfare gli appetiti dei sensi, rimpinzarsi di cibo, concedesi ogni sorta di piacere sessuale, procurarsi una casa lussuosa, degli abiti costosi e dei gioielli o del denaro, occupare posizioni di potere, specie se facendo ricorso alla menzogna, all’adulazione, all’inganno o alla violenza, non sono cose degne dell’uomo e non recano la felicità, ma lo stordimento e l’abietta assuefazione alle cose grossolane, alla voluttà bestiale. Chi brama ciò e chi si ritiene infelice se non riesce ad averlo, tradisce la natura umana in quel che ha di più ammirevole: la facoltà razionale, che aspira alla verità nell’ordine superiore dell’esistenza. Ecco perché non servono denaro, né potere, né sregolati piaceri sensuali, per essere realmente felici, anzi sono d’impedimento: perché trattengono l’anima nelle dimensioni inferiori, dominate dagli istinti e non dalla ragione.

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Conoscere Dio è la stessa cosa che conoscere la Verità: la nostra vita è, o dovrebbe essere, la ricerca della verità. San Tommaso d’Aquino, fu un genio filosofico di prima grandezza, che adoperava la sua ragione non per affermare se stesso, ma per aprirsi la strada verso Dio, col Suo aiuto, e così mostrò la strada anche a tanti altri!

Ci si può bagnare due volte nella stessa acqua?

di Francesco Lamendola

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