Guerriglie vaticane. Salta la testa del comandante Giani
Alle 15 in punto di oggi 14 ottobre, la sala stampa vaticana ha dato notizia delle dimissioni di Domenico Giani, 57 anni, da comandante della gendarmeria pontificia, con il seguente comunicato, in italiano, in inglese e in spagnolo:
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COMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE
Lo scorso 2 ottobre alcuni organi di stampa hanno pubblicato una Disposizione di Servizio riservata, firmata dal Comandante del Corpo della Gendarmeria, dottor Domenico Giani, riguardante gli effetti di alcune limitazioni amministrative disposte nei confronti di personale della Santa Sede.
Tale pubblicazione è altamente lesiva sia della dignità delle persone coinvolte, sia della stessa immagine della Gendarmeria.
Volendo garantire la giusta serenità per il proseguimento delle indagini coordinate dal Promotore di Giustizia ed eseguite da personale del Corpo, non essendo emerso al momento l’autore materiale della divulgazione all’esterno della disposizione di servizio – riservata agli appartenenti al Corpo della Gendarmeria e della Guardia Svizzera Pontificia – il Comandante Giani, pur non avendo alcuna responsabilità soggettiva nella vicenda, ha rimesso il proprio mandato nelle mani del Santo Padre, in spirito di amore e fedeltà alla Chiesa ed al Successore di Pietro.
Nell’accogliere le dimissioni, il Santo Padre si è intrattenuto a lungo col Comandante Giani e gli ha espresso il proprio apprezzamento per questo gesto, riconoscendo in esso un’espressione di libertà e di sensibilità istituzionale, che torna ad onore della persona e del servizio prestato con umiltà e discrezione al Ministero Petrino e alla Santa Sede.
Papa Francesco ha voluto ricordare anche la sua ventennale, indiscussa, fedeltà e lealtà e ha sottolineato come, interpretando al meglio il proprio stile di testimonianza in ogni parte del mondo, il Comandante Giani abbia saputo costruire e garantire intorno al Pontefice un clima costante di naturalezza e sicurezza.
Nel salutare il dottor Domenico Giani, il Santo Padre lo ha anche ringraziato per l’alta competenza dimostrata nell’espletamento dei molteplici, delicati servizi, anche in ambito internazionale, e per il livello di indiscussa professionalità a cui ha portato il Corpo della Gendarmeria.
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La “Disposizione di Servizio riservata”, la cui pubblicazione da parte de L’Espresso ha portato 12 giorni dopo alle dimissioni del comandante Giani, è quella di cui ha dato conto il 2 ottobre questo post di Settimo Cielo:
Alle 15.07 di oggi la sala stampa vaticana ha inoltre diffuso la seguente intervista del comandante Giani, raccolta da Alessandro Gisotti, vicedirettore editoriale del dicastero per la comunicazione:
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GIANI: GRATO PER AVER POTUTO SERVIRE IL PAPA CON ONORE FINO ALL’ULTIMO
Un momento delicato, di grande prova personale, ma vissuto interiormente con serenità, incoraggiato dalla fiducia e dal sostegno del Santo Padre, della sua famiglia e di tanti collaboratori e persone che in vario modo in questi anni lo hanno conosciuto e ne hanno apprezzato le qualità umane e professionali. Domenico Giani, Comandante del Corpo della Gendarmeria, in un’intervista ai media vaticani, confida i sentimenti con cui lascia il servizio e sottolinea la gratitudine al Papa che ne ha riconosciuto l’onore, la lealtà e fedeltà nel suo lavoro quotidiano.
D. – Dopo 20 anni di servizio al Papa e alla Santa Sede alla guida del Corpo della Gendarmeria lascia in un momento delicato e sicuramente non facile per lei. Con quali sentimenti vive questo momento?
R. – Vivo questo momento difficile con la serenità interiore che, chi mi conosce, sa che ha contraddistinto il mio stile di vita anche di fronte a vicende dolorose. Ho dedicato 38 anni della mia vita al servizio delle istituzioni, prima in Italia, e poi per 20 anni in Vaticano, al Romano Pontefice. In questi anni ho speso tutte le mie energie per assicurare il servizio che mi era stato affidato. Ho cercato di farlo con abnegazione e professionalità ma sentendomi, come il Vangelo di due domenica fa ci ricorda, serenamente un “servo inutile” che ha fatto fino in fondo la sua piccola parte.
D. – Nel comunicato diramato dalla Sala Stampa si sottolinea che lei si è dimesso pur non avendo “alcuna responsabilità soggettiva” nella vicenda…
R. – Gli eventi recentemente accaduti hanno generato un grave dolore al Santo Padre e questo mi ha profondamente colpito. Sono trascorsi 15 giorni dalla pubblicazione del documento che era stato inoltrato ad uso interno esclusivamente per Gendarmi e Guardie Svizzere. Come indicato nel comunicato della Sala Stampa del primo ottobre, è in corso un’indagine e le persone coinvolte sono state raggiunte da un provvedimento amministrativo. L’uscita di questo documento, pubblicato da alcuni organi di stampa, ha certamente calpestato la dignità di queste persone. Anche io come Comandante ho provato vergogna per quanto accaduto e per la sofferenza arrecata a queste persone. Per questo, avendo sempre detto e testimoniato di essere pronto a sacrificare la mia vita per difendere quella del Papa, con questo stesso spirito ho preso la decisione di rimettere il mio incarico per non ledere in alcun modo l’immagine e l’attività del Santo Padre. E questo, assumendomi quella “responsabilità oggettiva” che solo un Comandante può sentire.
D. – Il Papa ha sottolineato che sia le dimissioni che il servizio svolto in questi anni “fanno onore alla sua persona”. Quanto è importante questo per lei?
R. – Nel corso dei colloqui avuti con il Santo Padre in questi giorni, ho sempre avvertito quella paternità che ha contraddistinto lo speciale rapporto che ho avuto con lui, sin dall’inizio del Pontificato, e credo di poter dire che ciò era visibile a tutti. Ho avvertito sempre, in questi incontri, l’umana sofferenza del Santo Padre nella decisione condivisa. Il Papa, d’altronde, conosceva però anche alcune fatiche personali che ormai da mesi stavo portando e anche un desiderio di dedicare maggiore tempo alla mia famiglia, a mia moglie e ai miei figli. Sono dunque profondamente grato al Santo Padre perché il suo attestare la mia lealtà, l’onore e la fedeltà con cui ho svolto il mio servizio, mi aiuta ad affrontare con serenità il futuro e i nuovi impegni che potrò assumere, nell’ambito delle mie competenze, dopo questa esperienza straordinaria.
D. – In 20 anni alla Gendarmeria ha servito tre Pontefici. Per i media è “l’angelo custode” del Papa per il suo ruolo di protezione della persona del Santo Padre. Cosa si porta personalmente di questa esperienza unica?
R. – Ho avuto l’onore di servire tre Papi. Ricordo innanzitutto con grande commozione San Giovanni Paolo II che mi ha chiamato a servire in Vaticano e che ho accompagnato fino all’ultimo tratto della sua vita. Ho goduto e continuo a godere della stima e dell’affetto di Benedetto XVI al cui fianco ho affrontato delicatissime questioni ricevendo sempre il suo apprezzamento e la sua fiducia. Il Pontificato di Papa Francesco, per il suo stile improntato alla prossimità alla gente e alla spontaneità nei gesti, è stata un’ulteriore grande sfida con significativi e particolari momenti: ricordo in special modo il suo pellegrinaggio a Lampedusa, il viaggio apostolico in Brasile per la GMG e quello nella Repubblica Centrafricana. Se chiudo gli occhi, mi scorrono davanti infinite scene dei quasi 70 viaggi apostolici internazionali che ho seguito, di innumerevoli visite pastorali a Roma e in Italia e di tantissimi momenti privati con i tre Pontefici. Accanto a questo, mi piace ricordare che, sotto il mio Comando, la Gendarmeria ha sviluppato tutta una serie di attività caritative e di servizio agli ultimi come ci chiede il Vangelo.
D. – Cosa lascia come messaggio ai suoi uomini, al Corpo della Gendarmeria, che ha guidato in questi anni non facili?
R. – In occasione dell’ultima festa del Corpo, mi sono soffermato su alcune qualità che dovrebbero contraddistinguere i nostri uomini: disciplina, obbedienza, fraternità, carità e umanità. A questo desidero aggiungere l’unità nella fedeltà, nonostante alcune fisiologiche situazioni che mi hanno arrecato comprensibili dispiaceri. Il Corpo, come ho anche sottolineato in questi giorni al Santo Padre, è sano e ben preparato. Ho sempre cercato, insieme ai miei collaboratori, di formare persone che potessero essere buoni gendarmi e, con l’aiuto prezioso dei cappellani, anche dei buoni cristiani. Sono certo che chi subentra in questo delicato incarico troverà un terreno fertile, lo stesso che io ricevetti dal compianto Commendatore Cibin al quale dedico un deferente ricordo. Un ultimo pensiero, che è pieno della mia gratitudine e del mio amore, va a mia moglie Chiara e ai miei figli Luca e Laura. Hanno sostenuto una vita piena di soddisfazioni ma anche di grandi sacrifici e rinunce. La Provvidenza, cui faccio sempre riferimento, nonostante il momento di incertezza anche personale che sto vivendo, ci indicherà la strada che certamente è quella del Signore.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 14 ott
EPURAZIONI IN VATICANO: E LA SAGA CONTINUA… E SE FOSSE UNA MANOVRA PER TOGLIERE IL DOTTOR GIANI PER METTERE CHISSÀ CHI AL SUO POSTO?
https://img.huffingtonpost.com/asset/5da20ef0210000b908acd244.jpeg?cache=AppsFKdg8y&ops=crop_10_592_2254_999,scalefit_630_noupscale |
Dopo la pubblicazione delle foto di addetti del Vaticano sospesi in seguito agli accertamenti su operazioni finanziarie sospette della Segreteria di Stato, ”è iniziata un’indagine, per volere del Santo Padre, sulla illecita diffusione di un documento ad uso interno delle forze di sicurezza della Santa Sede, la cui gravità, nelle parole di Papa Francesco, è paragonabile ad un peccato mortale, poiché lesivo della dignità delle persone e del principio della presunzione di innocenza”. Quanto riferito all’ANSA dal direttore della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni, conferma l’entità dell’ “incidente” dovuto all’uscita sui giornali dell’ordinanza, con tanto di foto segnaletiche, riguardante la sospensione e l’allontanamento dai loro posti di lavoro di cinque funzionari – quattro laici e un monsignore – interessati dai sequestri di carte e pc in Segreteria di Stato e all’Aif.
Una notizia che descrive tra l’altro l’irritazione del Papa per l’accaduto e che si aggiunge al clima di “veleni” che si respira in Vaticano. Un messaggio anonimo aveva infatti già preso di mira, con toni fortemente accusatori, il comandante della Gendarmeria vaticana Domenico Giani, incolpandolo di aver passato ai giornalisti il documento: l’sms inviato il 3 ottobre scorso, il giorno dopo l’uscita della notizia, da un numero di cellulare anonimo a prelati, funzionari vaticani e osservatori parlava di “buccia di banana” su cui Giani sarebbe scivolato, di superamento del “limite della decenza”, di “sete di potere e di affermazione dell’Io”, e lo invitava a meditare sul “male fatto a tutte le persone coinvolte”.
L’ordinanza portava la firma dello stesso Giani e la sua pubblicazione da parte dei media sarebbe all’origine della possibilità, secondo quanto ha scritto oggi il Corriere della Sera, che il capo della Gendarmeria lasci presto il suo incarico. Un’ipotesi che ha fatto sobbalzare non pochi in Vaticano, perché un suo allontanamento da parte del Papa vorrebbe dire l’uscita di scena di uno dei più stretti collaboratori operativi del Pontefice, il laico anche fisicamente a lui più vicino: l’uomo che impersona il vero “angelo custode” di Bergoglio, impegnato tra l’altro nella preparazione e nella sicurezza di tutti i suoi viaggi, tra i quali si ricorda quello difficilissimo nella Repubblica Centrafricana, quando lo stesso Giani dovette affrontare la contrarietà alla visita da parte dei Servizi segreti francesi.
Sia il contenuto del messaggio, però, sia molti mormorii nelle segrete stanze – oltre all’apertura dell’indagine per volere del Papa -, testimoniano di un clima di tensione che si è concentrato intorno alla figura di Giani e che l’“incidente” dell’avviso finito sui media ha acuito. Anche perché l’ordine firmato da Giani ha avuto tra i destinatari una personalità molto stimata e finora insospettabile come mons. Mauro Carlino, capo dell’Ufficio Informazione e Documentazione e per anni segretario personale del card. Angelo Becciu, prefetto per le Cause dei Santi ed ex sostituto della Segreteria di Stato. E non è un caso che all’indomani della pubblicazione, l’Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede, si è scagliato contro la “gogna mediatica” cui veniva sottoposi i coinvolti.
Dentro al Vaticano il clima è da resa dei conti: una situazione che si è determinata con la brusca cacciata del revisore generale Libero Milone e che è proseguita con le evoluzioni recenti delle denunce contro gli investimenti esteri milionari dell’Obolo di San Pietro, investigazione della quale non si conoscono ancora i capi d’accusa.
Giani si è trincerato in uno stretto silenzio, ma chi ha potuto parlare con lui lo descrive molto amareggiato, con la sensazione di pagare eventualmente per gli errori di altri – nessuno la accusa ovviamente di aver fatto lui la “soffiata” ai media -, rivendicando la sua fedeltà al Papa.
IL CASO NELLA SANTA SEDE
Vaticano: si dimette Domenico Giani, capo della Gendarmeria
Le dimissioni accolte da papa Francesco. Giani: «Ho deciso di rimettere il mio incarico per non ledere in alcun modo l’immagine e l’attività del Santo Padre. E questo, assumendomi quella “responsabilità oggettiva” che solo un comandante può sentire»
Il Papa ha accettato le dimissioni del capo della gendarmeria Domenico Giani. Come anticipato dal Corriere della Sera, finisce dunque anticipatamente rispetto alla scadenza dell’incarico, il mandato del capo dei gendarmi. La decisione è stata presa dopo la fuga di notizie sull’inchiesta che ha coinvolto cinque dipendenti della Santa Sede e in particolare per la pubblicazione del bollettino di divieto di ingresso con le cinque foto. Una “soffiata” che lo stesso pontefice ha definito «un peccato mortale».
«Rimetto il mio incarico»
«Avendo sempre detto e testimoniato di essere pronto a sacrificare la mia vita per difendere quella del Papa, con questo stesso spirito ho preso la decisione di rimettere il mio incarico per non ledere in alcun modo l’immagine e l’attività del Santo Padre. E questo, assumendomi quella “responsabilità oggettiva” che solo un comandante può sentire», sono state le parole di Giani. Tutto è nato della «soffiata» intorno alle indagini sulle operazioni finanziarie e immobiliari della Segreteria di Stato: la «disposizione di servizio» firmata dal comandate della Gendarmeria Domenico Giani, con tanto di nomi e foto di cinque dipendenti vaticani «sospesi cautelativamente» il 2 ottobre, era stata pubblicata dopo poche ore dal settimanale L’Espresso e quindi su tutti i media. E così Giani ha spiegato ai media vaticani: «Sono trascorsi 15 giorni dalla pubblicazione del documento che era stato inoltrato ad uso interno esclusivamente per gendarmi e guardie svizzere. Come indicato nel comunicato della Sala Stampa del primo ottobre, è in corso un’indagine e le persone coinvolte sono state raggiunte da un provvedimento amministrativo. L’uscita di questo documento, pubblicato da alcuni organi di stampa, ha certamente calpestato la dignità di queste persone. Anche io come Comandante ho provato vergogna per quanto accaduto e per la sofferenza arrecata a queste persone». «Ho dedicato 38 anni della mia vita al servizio delle istituzioni, prima in Italia, e poi per 20 anni in Vaticano, al Romano Pontefice. In questi anni ho speso tutte le mie energie per assicurare il servizio che mi era stato affidato. Ho cercato di farlo con abnegazione e professionalità ma sentendomi, come il Vangelo di due domenica fa ci ricorda, serenamente un “servo inutile” che ha fatto fino in fondo la sua piccola parte».
Molti nemici interni
Del resto c’è chi sospetta che la diffusione del documento fosse un modo per colpire il comandante, vent’anni di servizio come «angelo custode» del Papa. L’aver condotto indagini e perquisizioni, in questi anni, ha procurato a Giani molti nemici interni. La stessa indagine sugli investimenti immobiliari nasce da uno scontro interno al Vaticano tra Ior e Segreteria di Stato. Anche il comunicato ufficiale della Santa Sede parla di responsabilità oggettiva: «Volendo garantire la giusta serenità per il proseguimento delle indagini coordinate dal Promotore di Giustizia ed eseguite da personale del Corpo, non essendo emerso al momento l’autore materiale della divulgazione all’esterno della disposizione di servizio - riservata agli appartenenti al Corpo della Gendarmeria e della Guardia Svizzera Pontificia – il Comandante Giani, pur non avendo alcuna responsabilità soggettiva nella vicenda, ha rimesso il proprio mandato nelle mani del Santo Padre, in spirito di amore e fedeltà alla Chiesa ed al Successore di Pietro».
Le accuse
Nella nota ufficiale diramata dalla sala stampa vaticana è scritto: «Volendo garantire la giusta serenità» per il proseguimento delle indagini coordinate dal Promotore di Giustizia ed eseguite dal Corpo della Gendarmeria, «non essendo emerso al momento l’autore materiale della divulgazione all’esterno della disposizione di servizio» - riservata agli appartenenti alla Gendarmeria e alla Guardia Svizzera - il comandante Domenico Giani, «pur non avendo alcuna responsabilità soggettiva nella vicenda», ha rimesso il proprio mandato nelle mani del Papa, che ha accolto le sue dimissioni. A Giani è stato contestato l’omesso controllo e la mancata individuazione della talpa, ma in realtà le sue dimissioni si inquadrano in una guerra interna che risale a svariati mesi fa e si è consumata sulla gestione di numerose inchieste delicate, dalla pedofilia alla scomparsa di Emanuela Orlandi, fino alla gestione del patrimonio e ai rapporti tra lo Ior e l’Antiriclaggio.
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di Fiorenza Sarzanini
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La partita che ha portato alle dimissioni Domenico Giani comincia il 1° ottobre scorso quando la sala stampa vaticana dirama la notizia sugli accertamenti svolti su investimenti finanziari e immobiliari. Nella nota si legge: «Questa mattina sono state eseguite, presso alcuni Uffici della I° Sezione della Segreteria di Stato e dell’Autorità di Informazione Finanziaria dello Stato, attività di acquisizione di documenti e apparati elettronici. L’operazione, autorizzata con decreto del Promotore di Giustizia del Tribunale, Gian Piero Milano e dell’Aggiunto Alessandro Diddi, e di cui erano debitamente informati i Superiori, si ricollega alle denunce presentate agli inizi della scorsa estate dall’Istituto per le Opere di Religione e dall’Ufficio del Revisore Generale, riguardanti operazioni finanziarie compiute nel tempo». Poco dopo filtrano i nomi dei coinvolti. Sono monsignor Mauro Carlino, capo dell’Ufficio informazione e Documentazione della Santa Sede; il direttore dell’Aif — l’autorità antiriciclaggio — Tommaso Di Ruzza; due funzionari, Vincenzo Mauriello e Fabrizio Tirabassi; un’impiegata dell’amministrazione, Caterina Sansone. Tutti devono chiarire la natura di alcuni investimenti, compreso un palazzo acquistato a Londra, nella lussuosa Sloane Avenue per oltre 200 milioni di euro.
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Il giorno dopo L’Espresso pubblica l’immagine di un bollettino firmato da Giani che dispone il divieto di ingresso dei cinque all’interno della città del vaticano. La “disposizione” contiene le foto dei cinque, la loro identità, la carica a nota interna firmata da Giani con le foto dei cinque, la comunicazione sulla loro «sospensione dal servizio». «I suddetti — è scritto nel dispositivo — potranno accedere nello Stato esclusivamente per recarsi presso la Direzione Sanità ed Igiene per i servizi connessi, ovvero se autorizzati dalla magistratura vaticana. Monsignor Mauro Carlino continuerà a risiedere presso la Domus Sanctae Marthae».
La «talpa»
Venerdì scorso cominciano a filtrare le indiscrezioni sulla sostituzione del comandante e la notizia viene anticipata sul Corriere. Il pomeriggio papa Francesco definisce la fuga di notizie <un peccato mortale>. Il direttore della sala stampa Matteo Bruni dichiara: Dopo la pubblicazione delle foto di addetti del Vaticano sospesi in seguito agli accertamenti su operazioni finanziarie sospette della Segreteria di Stato, «è iniziata un’indagine, per volere del Santo Padre, sulla illecita diffusione di un documento ad uso interno delle forze di sicurezza della Santa Sede, la cui gravità, nelle parole di Papa Francesco, è paragonabile ad un peccato mortale, poiché lesivo della dignità delle persone e del principio della presunzione di innocenza». L’inchiesta del promotore Roberto Zannotti si concentra sulla “talpa”. Nessuno crede possa essere Giani, ma al comandante viene addebitato l’omesso controllo e la mancata individuazione di chi ha fatto filtrare la notizia. Domenica mattina Giani incontra papa Francesco e concorda l’uscita. Poi convoca i gendarmi per il commiato. Manifesta <amarezza> per quanto accasduto, ribadisce di aver sempre <agito con correttezza>.
Le dimissioni
Oggi alle 15 viene diramata una nuova nota della sala stampa vaticana per confermare che il papa ha accolto le dimissioni di Giani. «Nell’accogliere le dimissioni, il Santo Padre si è intrattenuto a lungo col Comandante Giani e gli ha espresso il proprio apprezzamento per questo gesto, riconoscendo in esso un’espressione di libertà e di sensibilità istituzionale, che torna ad onore della persona e del servizio prestato con umiltà e discrezione al Ministero Petrino e alla Santa Sede».
https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/19_ottobre_14/domenico-giani-scandalo-vaticano-cosa-successo-palazzo-londra-foto-segnaletiche-l-addio-f61ae522-ee94-11e9-9f60-b6a35d70d218.shtml
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