Il Card. Newman si è opposto a un ecumenismo basato sul relativismo e sullo scetticismo
Un notevole contributo del Card. Gerhard L. Muller alla comprensione della attualissima figura del Card. John Henry Newman che oggi verrà elevato agli onori dell’altare.
Il contributo è ripreso da The Public Discourse nella mia traduzione.
John Henry Newman – giustamente considerato uno dei più importanti pensatori cristiani dell’era moderna – nacque il 21 febbraio 1801 nella città di Londra. L’arco della sua vita abbraccia quasi tutto il XIX secolo. Il divino e illustre leader anglicano del Movimento di Oxford fu ammesso in piena comunione con la Chiesa cattolica nel 1845 e morì l’11 agosto 1890 come cardinale nell’Oratorio di Birmingham, suo principale luogo di lavoro dal 1849.
Altrettanto notevoli sono le opere storiche, teologiche e spirituali di Newman. La maggior parte delle sue omelie appaiono in edizioni tedesche, molte delle quali vantano una profonda interpretazione dei misteri centrali del cristianesimo. La sua celebrità crebbe con il suo Un saggio in aiuto di una grammatica dell’assenso, che rispondeva alla domanda su come possiamo – con tutti i limiti del sapere umano – arrivare alla certezza dell’assenso della fede alla rivelazione storica di Dio.
Il suo lavoro sullo sviluppo del dogma è, possiamo dire, a dir poco geniale. In esso Newman sviluppò i principi per la continuità e l’identità storica della rivelazione nelle condizioni della conoscenza umana finita all’interno della Chiesa credente fondata da Cristo e preservata e partecipata sempre più profondamente nella verità dallo Spirito Santo. Le lezioni di Newman del 1851 sulla natura dell’università, tenute in occasione della fondazione dell’Università Cattolica di Dublino, dovrebbero essere della massima importanza per i dibattiti contemporanei sulla natura e lo scopo dell’università, l’educazione e la scienza, e la legittimità della teologia basata sulla rivelazione nelle scuole pubbliche.
L’Apologia Pro Vita Sua di Newman è cruciale per la sua biografia spirituale. In essa egli ripercorre la storia delle sue convinzioni religiose e si difende dalle accuse secondo cui i motivi della sua conversione erano insinceri. Con questo capolavoro letterario scritto in un inglese scintillante (che potremmo affiancare alle Confessioni di Agostino e ai Pensées di Blaise Pascal), Newman ha restituito onore al clero cattolico nell’Inghilterra protestante, caratterizzata da polemiche anticattoliche fin dalla riforma. Incoraggiati dalle polemiche illuministiche della Francia settecentesca, molti rimasero allora fermamente convinti che i sacerdoti e i religiosi cattolici non erano altro che ipocriti malvagi e agenti spietatamente anticattolici dell’anticristo seduto sulla cattedra del pontefice romano, per i quali ogni mezzo per placare la loro fame di potere è giustificato. Molti hanno vissuto e coltivato i pregiudizi della Chiesa cattolica antiscientifica e reazionaria e hanno visto nell’universalismo romano la nemesi dell’ideale dello Stato nazionale con i suoi obiettivi imperiali e coloniali. In questo contesto si potrebbe tollerare la Chiesa solo come Chiesa nazionale inglese; e i vescovi anglicani si mettono al servizio di un cristianesimo nazionale dilatato.
La pluralità delle comunità cristiane e l’unità visibile della Chiesa cattolica
Newman, stimato studioso e celebre predicatore universitario di Oxford, scoprì per suo conto l’instabilità biblica e storica dell’originario dogma protestante del papa come anticristo. Dopo questo, Newman non poteva più sottrarsi all’intuizione che essa era la Chiesa cattolica del papa romano (così disprezzato in Inghilterra) – e non la chiesa nazionale anglicana, che esisteva dal XVI secolo – che era in reale continuità con la Chiesa degli apostoli. Con la sua straordinaria conoscenza della Bibbia e dei padri della Chiesa non poteva sfuggire alla conclusione che la Chiesa cattolica si trova in piena continuità con la la dottrina e il sistema di governo della Chiesa degli apostoli, e che le accuse protestanti di corrompere la fede apostolica o di integrarla con elementi non biblici della dottrina ricadono piuttosto su se stessi. Nella sua Apologia Newman scrisse: “E per quanto mi conosco, la mia unica ragione fondamentale per contemplare un cambiamento è la mia profonda, costante convinzione che la nostra Chiesa è in scisma, e che la mia salvezza dipende dalla mia adesione alla Chiesa di Roma”.
Questa stessa concezione della Chiesa come confessione di fede trova espressione nel Concilio Vaticano II. La dichiarazione Dominus Iesus, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 6 agosto 2000, dice la stessa cosa, anche se è per lo più erroneamente interpretata perché in gran parte (da alcuni intenzionalmente) non letta. Per una buona ragione Newman ha respinto la teoria secondo cui la Chiesa anglicana traccia una via di mezzo tra cattolicesimo e protestantesimo; ha anche rifiutato [la posizione] secondo cui potremmo pragmaticamente accontentarci della frammentazione della cristianità con l’idea che ci sono diversi rami sull’unico albero della Chiesa. Eppure la pluralità delle comunità in questo momento non può essere considerata come una parziale realizzazione della Chiesa di Cristo; la Chiesa di Cristo è indivisibile. E l’indivisibilità – che si esprime visibilmente nell’unità di fede della Chiesa, nella sua vita sacramentale e nella sua costituzione apostolica – è legata inesorabilmente all’essenza della Chiesa. Lo scopo del movimento ecumenico non è, quindi, una fusione artificiale di confederazioni ecclesiali. È piuttosto il ripristino della piena comunione di fede e dei vescovi come successori degli apostoli, come è stato realizzato storicamente e continuamente fin dall’inizio nella Chiesa, che “è governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui” (Dominus Iesus 17).
Perché Newman si è opposto a un ecumenismo basato sul relativismo e sullo scetticismo? Perché non si è accontentato della seguente formula? (Ecco l’idea errata contro cui si è opposto, ndr:) “Noi tutti crediamo nello stesso Dio, e quindi l’insegnamento della Chiesa non ha importanza. La nostra conoscenza delle cose non è esatta. La religione è una questione di sentimento, e così la maggioranza di coloro che condividono gli stessi sentimenti determinano il modo in cui la Chiesa vive. Per l’unità ecumenica, basta un semplice senso di comunità e un rapporto sentimentale con ‘Gesù’ per rendere l’unità secondo i gusti della maggioranza. Se vi sentite uniti, anche voi potete celebrare insieme un banchetto eucaristico – anche se la dottrina vincolante della Chiesa o le comunità cristiane separate insegnano il contrario e riconoscono queste dottrine come rilevanti per la salvezza”.
Newman crede nella realtà di Dio, nel fatto di una rivelazione storica di sé in Gesù Cristo, e nella sua attuale presenza nella Chiesa che è, nei suoi elementi strutturali essenziali e nell’autorità apostolica dei suoi pastori, guidata dallo Spirito di Dio.
Chi prende sul serio l’incarnazione deve prendere sul serio anche la Chiesa come opera di Dio e guardarsi da ogni manipolazione da parte di gruppi di pressione ideologicamente ostinati. La Chiesa visibile è la concretizzazione della presenza incarnata della Parola di Dio in Gesù Cristo. Poiché Israele ha una storia di salvezza, poiché l’incarnazione è avvenuta, poiché Cristo ha veramente rinunciato alla sua vita sulla croce per la salvezza del mondo ed è realmente risorto – c’è anche l’obbligo concreto di obbedire fedelmente alla rivelazione, che rende presente la confessione di fede nella promessa di salvezza, nei sacramenti e nell’autorità ecclesiale dei successori degli apostoli nell’episcopato. È nel contesto di queste confessioni che Newman vuole essere compreso.
L’opinione comune che una confessione cristiana è come l’altra e che il vero cristianesimo si svolge solo all’interno dell’interiorità del cuore – al di là del credo, del dogma, del sacramento e dell’autorità magisteriale – appare oggi plausibile per un gran numero di cristiani. Ma è insostenibile alla luce delle affermazioni delle sacre scritture sulla rivelazione e sulla Chiesa. Poiché la Chiesa visibile, sacramentale e la comunità invisibile dei fedeli si appartengono indissolubilmente, Newman ha dovuto porsi la domanda: Quali tra le comunità cristiane visibili che si offrono ora possono giustamente rivendicare un’identità di confessione di fede e di continuità storica? Non ha inteso la sua conversione come un cambiamento da una confessione cristiana all’altra. Né aveva deciso di compiere questo passo perché, per esempio, la pietà cattolica avrebbe potuto attirarlo di più emotivamente, o perché una cultura cattolica di stile romantico avrebbe potuto essere più adatta a lui. Al contrario! L’aspetto esteriore della Chiesa cattolica avrebbe dovuto disgustare anche lui. Newman ha fatto il passo perché ha realizzato nella fede e nella coscienza l’identità completa della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica visibile. Questo non era di poco conto per la Chiesa anglicana. La sua conversione non è la causa del dolore di uno e il filo del successo di un altro. Newman appartiene a tutti i cristiani! Egli è uno dei testimoni più impressionanti dell’unità visibile della Chiesa, che Gesù stesso ha voluto e che costituisce così un punto di riferimento incrollabile dell’identità cristiana (Gv 17,22ss).
Newman: Apologeta del cristianesimo come religione rivelata
Newman visse nell’Ottocento, che ha posto le questioni di base decisive anche per il ventesimo secolo e che sanguineranno profondamente nel ventunesimo secolo. Queste domande riguardano la sfida fondamentale posta dalla filosofia dell’Illuminismo.
È in gioco il diritto all’esistenza del cristianesimo e l’onere della rivelazione storica come verità e fatto di fronte alla ragione umana. Nella critica della religione di Feuerbach, Marx, Nietzsche e Freud, l’apparente superamento della fede rivelata da parte della scienza moderna e la massiccia ostilità della Chiesa verso i regimi totalitari di Hitler e di Stalin sollevano sempre una sola domanda: Esiste Dio, e la sua Parola può essere la misura della nostra fede e della nostra coscienza?
Nel suo famoso discorso alla sua elevazione a cardinale (1879), Newman segnala due possibili atteggiamenti verso la rivelazione. Egli chiama uno l’atteggiamento liberale e scettico dell’agnosticismo e dell’ateismo. L’altro lo chiama atteggiamento dogmatico, cioè la disponibilità di base ad obbedire fedelmente alla Parola di Dio, che è rappresentata nella parola umana della confessione della Chiesa: “Il liberalismo nella religione è la dottrina secondo cui non c’è verità positiva nella religione, ma che un credo è buono come un altro, e questo è l’insegnamento che si sta rafforzando sempre più quotidianamente. È in contrasto con il riconoscimento di qualsiasi religione come vera. Insegna che tutti devono essere tollerati, perché è tutta una questione di opinione. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e un gusto; non è un fatto oggettivo, non miracoloso; ed è diritto di ogni individuo farle dire ciò che colpisce la sua fantasia”. Il pensiero dogmatico si oppone a questo. Riconosce il fatto della Parola di Dio rivelata comunicata agli uomini in Gesù Cristo. In contrasto con il senso meramente emotivo di una presenza impersonale del divino, la Parola di Dio incarnata è razionale e chiaramente esprimibile. Questo dimostra la confessione di fede della Chiesa. Nell’atto sacramentale dato alla Chiesa da Cristo, il Verbo fatto carne è di nuovo presente.
Questo confronto dei due possibili atteggiamenti degli uomini moderni verso l’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo non è, naturalmente, una questione di concetti di “liberale” e “dogmatico”, ma piuttosto della cosa da essi identificata.
Newman non ha preso di mira il liberalismo politico. Infatti, ha riconosciuto il punto di vista umano di molti dei suoi sostenitori. Dopo la fine delle guerre di religione in Europa e la devastazione causata dalla Rivoluzione francese e dalle campagne di espansione di Napoleone nel mondo, non rimaneva altra scelta che riorganizzare la società sui principi di libertà religiosa, tolleranza e uguaglianza di tutti davanti alla legge. Quindi, se la religione era affidata alla coscienza della verità dell’individuo, era ancora lontana dal diventare un affare privato o qualcosa di arbitrario. Al contrario, la sfida per gli individui a cercare la verità e ad affrontare il loro potere obbligatorio era aumentata enormemente dai tempi in cui i governanti europei potevano ancora determinare la religione dei loro sudditi. Per la verità, la libertà di religione moderna include più del diritto dell’individuo contro le pretese di potere dello Stato e contro le pressioni per conformarsi alla società. Decisiva per la piena realizzazione di questo diritto fondamentale è anche la dimensione comunitaria della questione della verità.
Ogni comunità religiosa deve poter determinare da sola quali siano e non siano gli elementi vincolanti o dogmatici della sua costituzione e le condizioni razionali e identificabili della loro validità.
A questo punto emerge il moderno conflitto tra l’aver fede e l’incredulità. In opposizione ai propri principi, il liberalismo esige la sua validità in modo totale ed esclusivo. La sua generosità e la sua presunta capacità di accoglienza verso tutti gli orientamenti religiosi spesso equivalgono ad una militante indifferenza alle rivendicazioni della Parola di Dio. Il liberalismo, come critica Newman, è un’altra forma di razionalismo:
Il liberalismo è dunque l’errore di sottoporre al giudizio umano quelle dottrine rivelate che sono nella loro natura oltre e indipendenti da esso, e di pretendere di determinare per motivi intrinseci che sono nella loro natura oltre e indipendenti da esso, e di pretendere di determinare per motivi intrinseci la verità e il valore delle proposizioni che riposano per la loro ricezione semplicemente sull’autorità esterna del Verbo divino (Apologia, 493).
Il liberalismo rivendica la sola validità dello scetticismo metafisico, anche se sotto i presupposti del liberalismo sono impossibili affermazioni metafisicamente valide e indubitabili. Il liberalismo si rivolge contro il libero diritto delle comunità religiose di determinare il contenuto e l’orizzonte di verità dei propri principi metafisici ed epistemologici. In contraddizione con un liberalismo di questo tipo, la giustificazione razionale dell’atto e del contenuto della fede divenne un tema della vita di Newman.
Anche in questo caso Newman è straordinariamente rilevante. La dichiarazione Dominus Iesus ha respinto la cosiddetta teoria pluralista della religione che relativizza Cristo e la Chiesa come inconciliabili con i fondamenti e la sostanza della fede cattolica. Questa teoria sull’uguaglianza e la somiglianza di diverse forme di mediazione e di diversi mediatori si basa sul relativismo epistemologico e sullo scetticismo. Si presume che ogni persona possa, con l’aiuto della sua religione e cultura ancestrale, superare il proprio egoismo per coinvolgere il prossimo e aprirsi alla realtà, che è sempre più grande di tutto ciò che noi nella nostra finitudine possiamo pensare o fare. Questa è la salvezza comunicata ad ogni persona con una mentalità religiosa, indipendentemente dal fatto che egli, di fronte all’orizzonte sempre più ampio della realtà, immagini Dio come un Dio personale o un numinosum impersonale (essenza o energia dinamica impersonale non originata, ndr), o che dopo la morte preveda una risurrezione personale o una resuscitazione biologica dei cadaveri, come unità con l’uno e tutto l’essere oppure null’altro oltre la coscienza personale.
Per Newman era chiaro che la confessione cristiana della volontà salvifica universale dell’unico Dio e dell’unicità della rivelazione di Gesù Cristo (cfr. 1 Timoteo 2, 4ss) non denigra le religioni precristiane assolutizzando una tradizione unica per l’Occidente cristiano. Chiunque sfatasse come non dimostrato e indimostrabile il dogma fondamentale dei relativisti, degli scettici metafisici e degli agnostici per i quali è impossibile una rivelazione storica di Dio, confesserà anche che Dio è già all’opera nella umana ricerca della verità e nel desiderio di salvezza di tutte le religioni. Così in Gesù Cristo “tutti gli uomini sono salvati e giungono alla conoscenza della verità” (1 Timoteo 2,4).
Per Newman, dunque, il cristianesimo è la religione del futuro perché Dio, che una volta per tutte ha preso dimora nel nostro mondo nel suo Verbo fatto carne, è anche il futuro dell’umanità:
La Rivelazione inizia dove la Religione Naturale fallisce. La Religione della Natura è una semplice coazione, e ha bisogno di un complemento – può avere un solo complemento, e quello stesso complemento è il cristianesimo. La religione naturale si basa sul senso del peccato; riconosce la malattia, ma non può trovare il rimedio, lo fa, ma cerca. Questo rimedio, sia per la colpa che per l’impotenza morale, si trova nella dottrina centrale della Rivelazione, la Mediazione di Cristo……. Così il cristianesimo è il compimento della promessa fatta ad Abramo e delle rivelazioni mosaiche; così ha potuto occupare il mondo e conquistare, fin dal primo momento, ogni classe della società umana alla quale i suoi predicatori sono giunti, è per questo che la potenza romana e la moltitudine di religioni che ha abbracciato non potevano opporvisi; questo è il segreto della sua energia sostenuta, e dei suoi incessanti martirii; è per questo che oggi è così misteriosamente potente, nonostante i nuovi e temibili avversari che ne assediano il cammino. Ha con sé quel dono di arginare e guarire l’unica profonda ferita della natura umana, che si avvale per il suo successo più di un’enciclopedia completa di conoscenze scientifiche e di un’intera biblioteca di controversie, e quindi deve durare fino a quando la natura umana dura. È una verità viva che non potrà mai invecchiare.
Alcuni ne parlano come se si trattasse di una cosa storica, con riferimenti solo indiretti ai tempi moderni; io non posso permettere che sia una mera religione storica. Certamente ha i suoi fondamenti nel passato e nelle memorie gloriose, ma il suo potere è nel presente. Non è una questione noiosa di antiquariato; non la contempliamo nelle conclusioni tratte da documenti muti e da eventi morti, ma dalla fede esercitata in oggetti sempre vivi, dall’appropriazione e dall’uso di doni sempre ricorrenti.
La nostra comunione con essa è nell’invisibile, non nell’obsoleto. In questo stesso giorno i suoi riti e le sue ingiunzioni suscitano continuamente l’interposizione attiva di quell’Onnipotenza in cui la Religione ha avuto inizio molto tempo fa. Innanzitutto e soprattutto la Santa Messa, in cui Colui che una volta morì per noi sulla Croce, riporta e perpetua, con la sua letterale presenza in essa, quello stesso sacrificio che non può essere ripetuto. Poi, c’è l’ingresso vero e proprio di Sé, anima e corpo, e divinità, nell’anima e corpo di ogni adoratore che viene a Lui per il dono, un privilegio più intimo che se vivessimo con Lui durante il Suo lungo soggiorno passato sulla terra. E poi, inoltre, c’è la Sua personale dimora nelle nostre chiese, innalzando il servizio terreno in un assaggio del cielo. Tale è la professione del cristianesimo, e, ripeto, la sua stessa divinazione dei nostri bisogni è di per sé una prova che è davvero l’offerta di essi……”.
Il promesso Salvatore, l’Attesa delle nazioni, non ha fatto il suo lavoro a metà. . . . . . Ha creato una gerarchia visibile e una successione di sacramenti, per essere canali delle Sue misericordie…. . . In tutti questi modi Egli si porta davanti a noi…..nel mentre la natura umana stessa è ancora in vita e azione come mai lo è stata, così anche Lui vive, alla nostra immaginazione, con i suoi simboli visibili, come se fosse sulla terra, con un’efficacia pratica che anche i non credenti non possono negare, per essere il correttivo di quella natura, e la sua forza giorno per giorno, e che questo potere di perpetuare la sua immagine. . è una grande prova di come Egli adempie bene fino ad oggi quella Sovrana Missione che, fin dai primi inizi della storia del mondo, è stata in profezia a Lui assegnata (Apologia, 487-489).
Newman: Un modello di stabilità
Un altro parallelo al presente è l’episodio della vicenda Achilli, che gettò una nube scura sul 1851. Un domenicano che rompe i voti e apostatizza di nome Achilli, per la gioia del suo pubblico compiaciuto e critico per la Chiesa, aveva raccontato i crimini e le trasgressioni della Chiesa, senza omettere stereotipi o pregiudizi. Quando Newman si contrappose a questo approccio populista con eventi storici, fu accusato di diffamazione. Sebbene tutte le accuse si fosserovrivelate ingiustificate, il giudice condannò Newman a pagare una rovinosa multa, lo privò del diritto di parola e lo insultò come una figura completamente sordida.
Ancora oggi c’è cattivo sangue ed eruzioni di odio all’interno della Chiesa. In alcuni paesi come l’Olanda, la Svizzera, l’Austria e la Germania ci sono fazioni che danno per scontato ciò che c’è di peggio dei vescovi e del papa. Spesso teologi e sacerdoti che hanno perso la fede o hanno fallito nel celibato o i consigli evangelici guidano e si muovo per movimenti che chiedono la riforma della Chiesa e che tuttavia, consapevolmente o meno, si limitano alla divisione e alla distruzione.
Newman è un modello di stabilità tra le ostilità che nascono dall’esterno. Ma è anche un modello di resistenza spirituale al sospetto e alla diffidenza che sorgono nelle proprie file. Oggi chiamiamo questo “bullismo”. Per anni le personalità più alte all’interno della Chiesa hanno gettato una “nuvola di sospetto” su Newman. Newman non si è tirato indietro con dolore; sapeva che la Chiesa di Cristo è più che una dinamica di gruppo e una loro ondata di simpatia e antipatia che affiora sulla superficie della Chiesa. La Chiesa penetra nel mistero di Cristo. La Chiesa come sacramento significa essere accolti nella figliolanza di Cristo, il quale come capo fa della Chiesa il suo corpo, unendo i singoli credenti come comunità e trasmettendo ad essa tutti i carismi e i ministeri per compiere la sua missione di salvezza del mondo. E così l’umanità, tutta umana, non può distruggere la Chiesa; e non possiamo cedere alla disperazione.
Anche dopo tutte le difficoltà esterne e interne, l’ostilità, la resistenza e l’irritazione, papa Leone XIII eleva Newman alla posizione di cardinale. Ha onorato Newman per la sua fede profondamente radicata nella Chiesa e la sua disponibilità a servire con tutti i mirabili talenti del suo spirito, della sua umanità e della sua formazione del cuore della Chiesa. “Ero determinato ad onorare la Chiesa”, ha spiegato Leone XIII, “onorando Newman”.
Newman è senza dubbio un pensatore cristiano impressionante che, con la sua opera e la sua vita coinvolta in conflitti sulla legittimità del cristianesimo nella modernità, indica con sicurezza e coerenza il futuro dell’umanità. E questo non è altro che Dio in Gesù Cristo e nella sua Chiesa. Ma Newman non è stato solo un brillante teologo e poeta di talento, ma anche una grande uomo di preghiera; ha portato la situazione della Chiesa così come l’ha percepita e sofferta davanti a Dio nella preghiera. Sono necessari pochi commenti per mostrare quanto siano rilevanti queste parole:
O Dio,
il tempo è completamente assediato.
La causa di Cristo giace come in agonia.
Eppure, Cristo non ha mai camminato con più forza attraverso i secoli,
non è mai stato il suo avvento più estremo,
mai la sua vicinanza più sensibile,
mai il suo dovere più caro di adesso.
Così in questi lampi di eternità,
tra tempesta e tempesta,
lasciateci qui sotto a pregare:
O Dio,
Puoi illuminare nuovamento il buio,
Tu e tu da solo (*).
(*) Anche se questa poesia prende in prestito versi da Newman, non è sua. Essa deriva piuttosto da Gedanken und Gebete im Christuslicht di Johannes Dierkes (Paderborn: Junfermann, 1935), ma ben presto è stata attribuita erroneamente a Newman stesso.
Tradotto da Justin Shaun Coyle
Di Sabino Paciolla
Un notevole contributo del Card. Gerhard L. Muller alla comprensione della attualissima figura del Card. John Henry Newman che oggi verrà elevato agli onori dell’altare.
Il contributo è ripreso da The Public Discourse nella mia traduzione.
John Henry Newman – giustamente considerato uno dei più importanti pensatori cristiani dell’era moderna – nacque il 21 febbraio 1801 nella città di Londra. L’arco della sua vita abbraccia quasi tutto il XIX secolo. Il divino e illustre leader anglicano del Movimento di Oxford fu ammesso in piena comunione con la Chiesa cattolica nel 1845 e morì l’11 agosto 1890 come cardinale nell’Oratorio di Birmingham, suo principale luogo di lavoro dal 1849.
Altrettanto notevoli sono le opere storiche, teologiche e spirituali di Newman. La maggior parte delle sue omelie appaiono in edizioni tedesche, molte delle quali vantano una profonda interpretazione dei misteri centrali del cristianesimo. La sua celebrità crebbe con il suo Un saggio in aiuto di una grammatica dell’assenso, che rispondeva alla domanda su come possiamo – con tutti i limiti del sapere umano – arrivare alla certezza dell’assenso della fede alla rivelazione storica di Dio.
Il suo lavoro sullo sviluppo del dogma è, possiamo dire, a dir poco geniale. In esso Newman sviluppò i principi per la continuità e l’identità storica della rivelazione nelle condizioni della conoscenza umana finita all’interno della Chiesa credente fondata da Cristo e preservata e partecipata sempre più profondamente nella verità dallo Spirito Santo. Le lezioni di Newman del 1851 sulla natura dell’università, tenute in occasione della fondazione dell’Università Cattolica di Dublino, dovrebbero essere della massima importanza per i dibattiti contemporanei sulla natura e lo scopo dell’università, l’educazione e la scienza, e la legittimità della teologia basata sulla rivelazione nelle scuole pubbliche.
L’Apologia Pro Vita Sua di Newman è cruciale per la sua biografia spirituale. In essa egli ripercorre la storia delle sue convinzioni religiose e si difende dalle accuse secondo cui i motivi della sua conversione erano insinceri. Con questo capolavoro letterario scritto in un inglese scintillante (che potremmo affiancare alle Confessioni di Agostino e ai Pensées di Blaise Pascal), Newman ha restituito onore al clero cattolico nell’Inghilterra protestante, caratterizzata da polemiche anticattoliche fin dalla riforma. Incoraggiati dalle polemiche illuministiche della Francia settecentesca, molti rimasero allora fermamente convinti che i sacerdoti e i religiosi cattolici non erano altro che ipocriti malvagi e agenti spietatamente anticattolici dell’anticristo seduto sulla cattedra del pontefice romano, per i quali ogni mezzo per placare la loro fame di potere è giustificato. Molti hanno vissuto e coltivato i pregiudizi della Chiesa cattolica antiscientifica e reazionaria e hanno visto nell’universalismo romano la nemesi dell’ideale dello Stato nazionale con i suoi obiettivi imperiali e coloniali. In questo contesto si potrebbe tollerare la Chiesa solo come Chiesa nazionale inglese; e i vescovi anglicani si mettono al servizio di un cristianesimo nazionale dilatato.
La pluralità delle comunità cristiane e l’unità visibile della Chiesa cattolica
Newman, stimato studioso e celebre predicatore universitario di Oxford, scoprì per suo conto l’instabilità biblica e storica dell’originario dogma protestante del papa come anticristo. Dopo questo, Newman non poteva più sottrarsi all’intuizione che essa era la Chiesa cattolica del papa romano (così disprezzato in Inghilterra) – e non la chiesa nazionale anglicana, che esisteva dal XVI secolo – che era in reale continuità con la Chiesa degli apostoli. Con la sua straordinaria conoscenza della Bibbia e dei padri della Chiesa non poteva sfuggire alla conclusione che la Chiesa cattolica si trova in piena continuità con la la dottrina e il sistema di governo della Chiesa degli apostoli, e che le accuse protestanti di corrompere la fede apostolica o di integrarla con elementi non biblici della dottrina ricadono piuttosto su se stessi. Nella sua Apologia Newman scrisse: “E per quanto mi conosco, la mia unica ragione fondamentale per contemplare un cambiamento è la mia profonda, costante convinzione che la nostra Chiesa è in scisma, e che la mia salvezza dipende dalla mia adesione alla Chiesa di Roma”.
Questa stessa concezione della Chiesa come confessione di fede trova espressione nel Concilio Vaticano II. La dichiarazione Dominus Iesus, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 6 agosto 2000, dice la stessa cosa, anche se è per lo più erroneamente interpretata perché in gran parte (da alcuni intenzionalmente) non letta. Per una buona ragione Newman ha respinto la teoria secondo cui la Chiesa anglicana traccia una via di mezzo tra cattolicesimo e protestantesimo; ha anche rifiutato [la posizione] secondo cui potremmo pragmaticamente accontentarci della frammentazione della cristianità con l’idea che ci sono diversi rami sull’unico albero della Chiesa. Eppure la pluralità delle comunità in questo momento non può essere considerata come una parziale realizzazione della Chiesa di Cristo; la Chiesa di Cristo è indivisibile. E l’indivisibilità – che si esprime visibilmente nell’unità di fede della Chiesa, nella sua vita sacramentale e nella sua costituzione apostolica – è legata inesorabilmente all’essenza della Chiesa. Lo scopo del movimento ecumenico non è, quindi, una fusione artificiale di confederazioni ecclesiali. È piuttosto il ripristino della piena comunione di fede e dei vescovi come successori degli apostoli, come è stato realizzato storicamente e continuamente fin dall’inizio nella Chiesa, che “è governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui” (Dominus Iesus 17).
Perché Newman si è opposto a un ecumenismo basato sul relativismo e sullo scetticismo? Perché non si è accontentato della seguente formula? (Ecco l’idea errata contro cui si è opposto, ndr:) “Noi tutti crediamo nello stesso Dio, e quindi l’insegnamento della Chiesa non ha importanza. La nostra conoscenza delle cose non è esatta. La religione è una questione di sentimento, e così la maggioranza di coloro che condividono gli stessi sentimenti determinano il modo in cui la Chiesa vive. Per l’unità ecumenica, basta un semplice senso di comunità e un rapporto sentimentale con ‘Gesù’ per rendere l’unità secondo i gusti della maggioranza. Se vi sentite uniti, anche voi potete celebrare insieme un banchetto eucaristico – anche se la dottrina vincolante della Chiesa o le comunità cristiane separate insegnano il contrario e riconoscono queste dottrine come rilevanti per la salvezza”.
Newman crede nella realtà di Dio, nel fatto di una rivelazione storica di sé in Gesù Cristo, e nella sua attuale presenza nella Chiesa che è, nei suoi elementi strutturali essenziali e nell’autorità apostolica dei suoi pastori, guidata dallo Spirito di Dio.
Chi prende sul serio l’incarnazione deve prendere sul serio anche la Chiesa come opera di Dio e guardarsi da ogni manipolazione da parte di gruppi di pressione ideologicamente ostinati. La Chiesa visibile è la concretizzazione della presenza incarnata della Parola di Dio in Gesù Cristo. Poiché Israele ha una storia di salvezza, poiché l’incarnazione è avvenuta, poiché Cristo ha veramente rinunciato alla sua vita sulla croce per la salvezza del mondo ed è realmente risorto – c’è anche l’obbligo concreto di obbedire fedelmente alla rivelazione, che rende presente la confessione di fede nella promessa di salvezza, nei sacramenti e nell’autorità ecclesiale dei successori degli apostoli nell’episcopato. È nel contesto di queste confessioni che Newman vuole essere compreso.
L’opinione comune che una confessione cristiana è come l’altra e che il vero cristianesimo si svolge solo all’interno dell’interiorità del cuore – al di là del credo, del dogma, del sacramento e dell’autorità magisteriale – appare oggi plausibile per un gran numero di cristiani. Ma è insostenibile alla luce delle affermazioni delle sacre scritture sulla rivelazione e sulla Chiesa. Poiché la Chiesa visibile, sacramentale e la comunità invisibile dei fedeli si appartengono indissolubilmente, Newman ha dovuto porsi la domanda: Quali tra le comunità cristiane visibili che si offrono ora possono giustamente rivendicare un’identità di confessione di fede e di continuità storica? Non ha inteso la sua conversione come un cambiamento da una confessione cristiana all’altra. Né aveva deciso di compiere questo passo perché, per esempio, la pietà cattolica avrebbe potuto attirarlo di più emotivamente, o perché una cultura cattolica di stile romantico avrebbe potuto essere più adatta a lui. Al contrario! L’aspetto esteriore della Chiesa cattolica avrebbe dovuto disgustare anche lui. Newman ha fatto il passo perché ha realizzato nella fede e nella coscienza l’identità completa della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica visibile. Questo non era di poco conto per la Chiesa anglicana. La sua conversione non è la causa del dolore di uno e il filo del successo di un altro. Newman appartiene a tutti i cristiani! Egli è uno dei testimoni più impressionanti dell’unità visibile della Chiesa, che Gesù stesso ha voluto e che costituisce così un punto di riferimento incrollabile dell’identità cristiana (Gv 17,22ss).
Newman: Apologeta del cristianesimo come religione rivelata
Newman visse nell’Ottocento, che ha posto le questioni di base decisive anche per il ventesimo secolo e che sanguineranno profondamente nel ventunesimo secolo. Queste domande riguardano la sfida fondamentale posta dalla filosofia dell’Illuminismo.
È in gioco il diritto all’esistenza del cristianesimo e l’onere della rivelazione storica come verità e fatto di fronte alla ragione umana. Nella critica della religione di Feuerbach, Marx, Nietzsche e Freud, l’apparente superamento della fede rivelata da parte della scienza moderna e la massiccia ostilità della Chiesa verso i regimi totalitari di Hitler e di Stalin sollevano sempre una sola domanda: Esiste Dio, e la sua Parola può essere la misura della nostra fede e della nostra coscienza?
Nel suo famoso discorso alla sua elevazione a cardinale (1879), Newman segnala due possibili atteggiamenti verso la rivelazione. Egli chiama uno l’atteggiamento liberale e scettico dell’agnosticismo e dell’ateismo. L’altro lo chiama atteggiamento dogmatico, cioè la disponibilità di base ad obbedire fedelmente alla Parola di Dio, che è rappresentata nella parola umana della confessione della Chiesa: “Il liberalismo nella religione è la dottrina secondo cui non c’è verità positiva nella religione, ma che un credo è buono come un altro, e questo è l’insegnamento che si sta rafforzando sempre più quotidianamente. È in contrasto con il riconoscimento di qualsiasi religione come vera. Insegna che tutti devono essere tollerati, perché è tutta una questione di opinione. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e un gusto; non è un fatto oggettivo, non miracoloso; ed è diritto di ogni individuo farle dire ciò che colpisce la sua fantasia”. Il pensiero dogmatico si oppone a questo. Riconosce il fatto della Parola di Dio rivelata comunicata agli uomini in Gesù Cristo. In contrasto con il senso meramente emotivo di una presenza impersonale del divino, la Parola di Dio incarnata è razionale e chiaramente esprimibile. Questo dimostra la confessione di fede della Chiesa. Nell’atto sacramentale dato alla Chiesa da Cristo, il Verbo fatto carne è di nuovo presente.
Questo confronto dei due possibili atteggiamenti degli uomini moderni verso l’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo non è, naturalmente, una questione di concetti di “liberale” e “dogmatico”, ma piuttosto della cosa da essi identificata.
Newman non ha preso di mira il liberalismo politico. Infatti, ha riconosciuto il punto di vista umano di molti dei suoi sostenitori. Dopo la fine delle guerre di religione in Europa e la devastazione causata dalla Rivoluzione francese e dalle campagne di espansione di Napoleone nel mondo, non rimaneva altra scelta che riorganizzare la società sui principi di libertà religiosa, tolleranza e uguaglianza di tutti davanti alla legge. Quindi, se la religione era affidata alla coscienza della verità dell’individuo, era ancora lontana dal diventare un affare privato o qualcosa di arbitrario. Al contrario, la sfida per gli individui a cercare la verità e ad affrontare il loro potere obbligatorio era aumentata enormemente dai tempi in cui i governanti europei potevano ancora determinare la religione dei loro sudditi. Per la verità, la libertà di religione moderna include più del diritto dell’individuo contro le pretese di potere dello Stato e contro le pressioni per conformarsi alla società. Decisiva per la piena realizzazione di questo diritto fondamentale è anche la dimensione comunitaria della questione della verità.
Ogni comunità religiosa deve poter determinare da sola quali siano e non siano gli elementi vincolanti o dogmatici della sua costituzione e le condizioni razionali e identificabili della loro validità.
A questo punto emerge il moderno conflitto tra l’aver fede e l’incredulità. In opposizione ai propri principi, il liberalismo esige la sua validità in modo totale ed esclusivo. La sua generosità e la sua presunta capacità di accoglienza verso tutti gli orientamenti religiosi spesso equivalgono ad una militante indifferenza alle rivendicazioni della Parola di Dio. Il liberalismo, come critica Newman, è un’altra forma di razionalismo:
Il liberalismo è dunque l’errore di sottoporre al giudizio umano quelle dottrine rivelate che sono nella loro natura oltre e indipendenti da esso, e di pretendere di determinare per motivi intrinseci che sono nella loro natura oltre e indipendenti da esso, e di pretendere di determinare per motivi intrinseci la verità e il valore delle proposizioni che riposano per la loro ricezione semplicemente sull’autorità esterna del Verbo divino (Apologia, 493).
Il liberalismo rivendica la sola validità dello scetticismo metafisico, anche se sotto i presupposti del liberalismo sono impossibili affermazioni metafisicamente valide e indubitabili. Il liberalismo si rivolge contro il libero diritto delle comunità religiose di determinare il contenuto e l’orizzonte di verità dei propri principi metafisici ed epistemologici. In contraddizione con un liberalismo di questo tipo, la giustificazione razionale dell’atto e del contenuto della fede divenne un tema della vita di Newman.
Anche in questo caso Newman è straordinariamente rilevante. La dichiarazione Dominus Iesus ha respinto la cosiddetta teoria pluralista della religione che relativizza Cristo e la Chiesa come inconciliabili con i fondamenti e la sostanza della fede cattolica. Questa teoria sull’uguaglianza e la somiglianza di diverse forme di mediazione e di diversi mediatori si basa sul relativismo epistemologico e sullo scetticismo. Si presume che ogni persona possa, con l’aiuto della sua religione e cultura ancestrale, superare il proprio egoismo per coinvolgere il prossimo e aprirsi alla realtà, che è sempre più grande di tutto ciò che noi nella nostra finitudine possiamo pensare o fare. Questa è la salvezza comunicata ad ogni persona con una mentalità religiosa, indipendentemente dal fatto che egli, di fronte all’orizzonte sempre più ampio della realtà, immagini Dio come un Dio personale o un numinosum impersonale (essenza o energia dinamica impersonale non originata, ndr), o che dopo la morte preveda una risurrezione personale o una resuscitazione biologica dei cadaveri, come unità con l’uno e tutto l’essere oppure null’altro oltre la coscienza personale.
Per Newman era chiaro che la confessione cristiana della volontà salvifica universale dell’unico Dio e dell’unicità della rivelazione di Gesù Cristo (cfr. 1 Timoteo 2, 4ss) non denigra le religioni precristiane assolutizzando una tradizione unica per l’Occidente cristiano. Chiunque sfatasse come non dimostrato e indimostrabile il dogma fondamentale dei relativisti, degli scettici metafisici e degli agnostici per i quali è impossibile una rivelazione storica di Dio, confesserà anche che Dio è già all’opera nella umana ricerca della verità e nel desiderio di salvezza di tutte le religioni. Così in Gesù Cristo “tutti gli uomini sono salvati e giungono alla conoscenza della verità” (1 Timoteo 2,4).
Per Newman, dunque, il cristianesimo è la religione del futuro perché Dio, che una volta per tutte ha preso dimora nel nostro mondo nel suo Verbo fatto carne, è anche il futuro dell’umanità:
La Rivelazione inizia dove la Religione Naturale fallisce. La Religione della Natura è una semplice coazione, e ha bisogno di un complemento – può avere un solo complemento, e quello stesso complemento è il cristianesimo. La religione naturale si basa sul senso del peccato; riconosce la malattia, ma non può trovare il rimedio, lo fa, ma cerca. Questo rimedio, sia per la colpa che per l’impotenza morale, si trova nella dottrina centrale della Rivelazione, la Mediazione di Cristo……. Così il cristianesimo è il compimento della promessa fatta ad Abramo e delle rivelazioni mosaiche; così ha potuto occupare il mondo e conquistare, fin dal primo momento, ogni classe della società umana alla quale i suoi predicatori sono giunti, è per questo che la potenza romana e la moltitudine di religioni che ha abbracciato non potevano opporvisi; questo è il segreto della sua energia sostenuta, e dei suoi incessanti martirii; è per questo che oggi è così misteriosamente potente, nonostante i nuovi e temibili avversari che ne assediano il cammino. Ha con sé quel dono di arginare e guarire l’unica profonda ferita della natura umana, che si avvale per il suo successo più di un’enciclopedia completa di conoscenze scientifiche e di un’intera biblioteca di controversie, e quindi deve durare fino a quando la natura umana dura. È una verità viva che non potrà mai invecchiare.Alcuni ne parlano come se si trattasse di una cosa storica, con riferimenti solo indiretti ai tempi moderni; io non posso permettere che sia una mera religione storica. Certamente ha i suoi fondamenti nel passato e nelle memorie gloriose, ma il suo potere è nel presente. Non è una questione noiosa di antiquariato; non la contempliamo nelle conclusioni tratte da documenti muti e da eventi morti, ma dalla fede esercitata in oggetti sempre vivi, dall’appropriazione e dall’uso di doni sempre ricorrenti.La nostra comunione con essa è nell’invisibile, non nell’obsoleto. In questo stesso giorno i suoi riti e le sue ingiunzioni suscitano continuamente l’interposizione attiva di quell’Onnipotenza in cui la Religione ha avuto inizio molto tempo fa. Innanzitutto e soprattutto la Santa Messa, in cui Colui che una volta morì per noi sulla Croce, riporta e perpetua, con la sua letterale presenza in essa, quello stesso sacrificio che non può essere ripetuto. Poi, c’è l’ingresso vero e proprio di Sé, anima e corpo, e divinità, nell’anima e corpo di ogni adoratore che viene a Lui per il dono, un privilegio più intimo che se vivessimo con Lui durante il Suo lungo soggiorno passato sulla terra. E poi, inoltre, c’è la Sua personale dimora nelle nostre chiese, innalzando il servizio terreno in un assaggio del cielo. Tale è la professione del cristianesimo, e, ripeto, la sua stessa divinazione dei nostri bisogni è di per sé una prova che è davvero l’offerta di essi……”.Il promesso Salvatore, l’Attesa delle nazioni, non ha fatto il suo lavoro a metà. . . . . . Ha creato una gerarchia visibile e una successione di sacramenti, per essere canali delle Sue misericordie…. . . In tutti questi modi Egli si porta davanti a noi…..nel mentre la natura umana stessa è ancora in vita e azione come mai lo è stata, così anche Lui vive, alla nostra immaginazione, con i suoi simboli visibili, come se fosse sulla terra, con un’efficacia pratica che anche i non credenti non possono negare, per essere il correttivo di quella natura, e la sua forza giorno per giorno, e che questo potere di perpetuare la sua immagine. . è una grande prova di come Egli adempie bene fino ad oggi quella Sovrana Missione che, fin dai primi inizi della storia del mondo, è stata in profezia a Lui assegnata (Apologia, 487-489).
Newman: Un modello di stabilità
Un altro parallelo al presente è l’episodio della vicenda Achilli, che gettò una nube scura sul 1851. Un domenicano che rompe i voti e apostatizza di nome Achilli, per la gioia del suo pubblico compiaciuto e critico per la Chiesa, aveva raccontato i crimini e le trasgressioni della Chiesa, senza omettere stereotipi o pregiudizi. Quando Newman si contrappose a questo approccio populista con eventi storici, fu accusato di diffamazione. Sebbene tutte le accuse si fosserovrivelate ingiustificate, il giudice condannò Newman a pagare una rovinosa multa, lo privò del diritto di parola e lo insultò come una figura completamente sordida.
Ancora oggi c’è cattivo sangue ed eruzioni di odio all’interno della Chiesa. In alcuni paesi come l’Olanda, la Svizzera, l’Austria e la Germania ci sono fazioni che danno per scontato ciò che c’è di peggio dei vescovi e del papa. Spesso teologi e sacerdoti che hanno perso la fede o hanno fallito nel celibato o i consigli evangelici guidano e si muovo per movimenti che chiedono la riforma della Chiesa e che tuttavia, consapevolmente o meno, si limitano alla divisione e alla distruzione.
Newman è un modello di stabilità tra le ostilità che nascono dall’esterno. Ma è anche un modello di resistenza spirituale al sospetto e alla diffidenza che sorgono nelle proprie file. Oggi chiamiamo questo “bullismo”. Per anni le personalità più alte all’interno della Chiesa hanno gettato una “nuvola di sospetto” su Newman. Newman non si è tirato indietro con dolore; sapeva che la Chiesa di Cristo è più che una dinamica di gruppo e una loro ondata di simpatia e antipatia che affiora sulla superficie della Chiesa. La Chiesa penetra nel mistero di Cristo. La Chiesa come sacramento significa essere accolti nella figliolanza di Cristo, il quale come capo fa della Chiesa il suo corpo, unendo i singoli credenti come comunità e trasmettendo ad essa tutti i carismi e i ministeri per compiere la sua missione di salvezza del mondo. E così l’umanità, tutta umana, non può distruggere la Chiesa; e non possiamo cedere alla disperazione.
Anche dopo tutte le difficoltà esterne e interne, l’ostilità, la resistenza e l’irritazione, papa Leone XIII eleva Newman alla posizione di cardinale. Ha onorato Newman per la sua fede profondamente radicata nella Chiesa e la sua disponibilità a servire con tutti i mirabili talenti del suo spirito, della sua umanità e della sua formazione del cuore della Chiesa. “Ero determinato ad onorare la Chiesa”, ha spiegato Leone XIII, “onorando Newman”.
Newman è senza dubbio un pensatore cristiano impressionante che, con la sua opera e la sua vita coinvolta in conflitti sulla legittimità del cristianesimo nella modernità, indica con sicurezza e coerenza il futuro dell’umanità. E questo non è altro che Dio in Gesù Cristo e nella sua Chiesa. Ma Newman non è stato solo un brillante teologo e poeta di talento, ma anche una grande uomo di preghiera; ha portato la situazione della Chiesa così come l’ha percepita e sofferta davanti a Dio nella preghiera. Sono necessari pochi commenti per mostrare quanto siano rilevanti queste parole:
O Dio,il tempo è completamente assediato.La causa di Cristo giace come in agonia.Eppure, Cristo non ha mai camminato con più forza attraverso i secoli,non è mai stato il suo avvento più estremo,mai la sua vicinanza più sensibile,mai il suo dovere più caro di adesso.Così in questi lampi di eternità,tra tempesta e tempesta,lasciateci qui sotto a pregare:O Dio,Puoi illuminare nuovamento il buio,Tu e tu da solo (*).
(*) Anche se questa poesia prende in prestito versi da Newman, non è sua. Essa deriva piuttosto da Gedanken und Gebete im Christuslicht di Johannes Dierkes (Paderborn: Junfermann, 1935), ma ben presto è stata attribuita erroneamente a Newman stesso.
Tradotto da Justin Shaun Coyle
Di Sabino Paciolla
SUPER EX CITA NEWMAN: PERCHÉ È GIUSTO RESISTERE AL PAPA.
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, anche Super Ex ha voluto essere presente nel giorno in cui John Henry Newman sale agli altari. E lo fa con una riflessione molto interessante, sulla legittimità o meno di opporsi a un papa, quando questi sia in contrasto con il Vangelo e con il magistero. Buona lettura.
§§§
Il nuovo santo, il cardinal J. H. Newman, ci parla. Prendiamo in mano la sua Lettera al duca di Norfolk. Coscienza e libertà (Paoline), e immaginiamola scritta ai pochi cardinali che oggi si oppongo alla distruzione sistematica della Chiesa, guidata da Bergoglio:
1) “Indubbiamente ci sono azioni di papi alle quali nessuno amerebbe aver avuto parte“, non solo per motivi morali, ma persino dottrinali, al punto che la Santa Sede non è stata sempre “lo strumento più attivo dell’infallibilità: vedi il caso della crisi ariana“; “Fu forse Pietro infallibile, quando ad Antiochia Paolo gli si oppose a viso aperto? O fu infallibile san Vittore allorché separò dalla sua comunione le chiese dell’Asia, o Liberio quando, egualmente, scomunicò sant’Atanasio?…“.
2) Nella medesima lettera Newman cita due autorità, il cardinale Torquemada e san Roberto Bellarmino.
Secondo il primo “se il papa ordinasse qualcosa contro la Sacra Scrittura, gli articoli di fede, la verità dei sacramenti, i comandamenti della legge naturale o divina, egli non deve essere obbedito e non bisogna curarsi dei suoi ordini“; per il secondo “per resistere e per difendere se stessi non è richiesta alcuna autorità… quindi come è lecito resistere al papa se assale una persona, è altrettanto lecito resistergli se assale le anime… e tanto più se tenta di distruggere la Chiesa. E’ lecito resistergli, affermo, col non fare quello che comanda e impedendo l’esecuzione dei suoi progetti” .
Newman cita altresì gli Atti degli Apostoli: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” e l’arcivescovo Kenrick: “Il suo potere [del papa] gli venne conferito per edificare non per distruggere. Se egli se ne serve per sete di dominio -quod absit!- difficilmente troverà popoli che gli siano obbedienti”.
Conclude Newman che come cattolico egli non deve “obbedienza assoluta” nè alla Regina nè al Papa.
Cristo viene prima del papa: il Vangelo e la Chiesa non sono suoi!
Qualcuno lo ricordi a Bergoglio!
Marco Tosatti
DEL POZZO: NEWMAN, IL SANTO CONTRO OGNI RELATIVISMO
Cari Stilumcuriali, Luca Del Pozzo ci ha inviato una sua personale riflessione su John Henry Newman, che oggi sarà elevato agli onori degli altari. Buona lettura.
§§§
Tra coloro che oggi in S. Pietro saranno elevati agli onori degli altari spicca senza dubbio la figura del beato John Henry Newman. L’occasione è quanto mai propizia per sfatare uno dei più colossali abbagli della storia della teologia moderna. Si dà il caso infatti che il grande apologeta convertitosi dall’anglicanesimo al cattolicesimo nonché autore del famoso “brindisi alla coscienza” della Lettera al Duca di Norfolk- “Se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al Papa” – sia tuttora ostaggio di quegli ambienti sedicenti cattolici che hanno fatto di Newman l’araldo della libertà di coscienza contro ogni forma di autorità, in primis quella del magistero. Peccato che le cose stiano diversamente, e che la coscienza di cui parlava Newman fosse (è) sideralmente lontana dalla quella visione soggettivista e relativista che oggi (ma non da oggi) va per la maggiore. Lo spiegò da par suo il compianto card. Caffarra in un memorabile intervento preparato per un convegno proprio su Newman (che non riuscì a fare perchè scomparve poche settimane prima, ma che fu poi recuperato e reso pubblico grazie a quei benemeriti di Tempi, ndr). Due sono i pilastri su cui si regge la dottrina di Newman sulla coscienza: il cosiddetto “principio dogmatico” e il rapporto naturale della coscienza morale con Dio. Principi, spiegava il card. Caffarra, che fanno sì che la coscienza morale “…non è la capacità di decidere, sia pure dopo serio discernimento ciò che è bene/male. È la capacità di giudicare e dire al soggetto ciò che è bene/male, alla luce di una Verità che le è superiore. Pertanto il primo assioma della dottrina sulla coscienza non è: «Segui sempre la tua coscienza», ma: «Ricerca la verità circa il bene/male»”. Come si vede, una visione diametralmente opposta a quella della modernità che storicamente si è imposta, e che ha coinciso con la comparsa sul proscenio della storia di un uomo che ha inteso sé stesso come ab-soluto, cioè sciolto da ogni legame e in grado di autodeterminarsi. Un uomo che rinnegando Dio ha elevato a valore e programma di vita ciò che per la dottrina cattolica è il peccato per eccellenza, il peccato all’orgine di ogni altro peccato ossia il farsi dio di sè stessi decidendo da soli ciò che è bene e ciò che è male, descritto nel racconto bliblico della caduta (Gen 3) che lungi dall’essere una favoletta per bamboccioni creduloni, come sostiene certa teologia all’amatriciana, è la fotografia esatta di ciò che è la situazione dell’uomo. Al contrario per Newman la coscienza è coincidenza tra “moral sense” e “sense of duty”, ossia – spiegava Caffarra – “luce circa ciò che è bene/male e, al contempo, guida della nostra vita quotidiana, delle nostre scelte”. E senza che vi sia nessuna contrapposizione, come vorrebbero i protestanti anonimi già cattolici, con il magistero della Chiesa. Entrambi infatti hanno come referente ultimo la legge divina, la luce della divina Verità. In questa dinamica compito del Papa, che del magistero è il primo servitore, è di aiutare la coscienza ad ascoltare la voce della Verità che Dio ha impresso in ogni uomo. Detto altrimenti: essendo l’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio, per Newman ciò comporta che ogni persona è dotata di coscienza morale, cioè ogni persona è in grado di giudicare se le sue azioni sono in accordo o meno con la Verità inscritta nel suo essere profondo. Perché tuttavia questa facoltà possa essere esercitata occorre un aiuto esterno: “Il bambino – commentava Caffarra – ha una naturale capacità di parlare, ma è necessario l’intervento esterno di un altro perché la naturale capacità funzioni. La madre non impone nulla dall’esterno, ma porta a compimento una capacità già presente nel bambino. Analogamente avviene nel rapporto coscienza morale-magistero del Papa. Quest’ultimo, sul piano morale, non impone nulla dall’esterno. Impedisce che l’uomo cada nella peggiore amnesia, quella del bene e del male…”. Ecco spiegato il senso vero e profondo del famoso “brindisi”, che pone la dottrina della coscienza morale di Newman nel solco della migliore tradizione cattolica. Dottrina la cui eco è rintracciabile, ad esempio, nel magistero di S. Giovanni Paolo II, che al tema della libertà e della coscienza dedicò una serie di catechesi di straordinaria bellezza tenute nell’estate del 1983 durante l’Anno Santo straordinario della Redenzione, dalle quali emerge in maniera vivida la consonanza con le tesi di Newman (anche questa è comunione dei santi). Il tema era, appunto, la Redenzione. O meglio, gli effetti della Redenzione sulla vita morale dell’uomo. Il che portò Wojtyla ad affrontare la questione della libertà e della coscienza. Punto di partenza, la domanda su come debba vivere l’uomo redento da Cristo. Posto che la Redenzione pone l’uomo in uno stato di vita completamente diverso da prima, come si manifesta in concreto l’opera redentrice di Cristo nella vita di tutti i giorni? La risposta è presto detta: seguendo la legge di Dio. Che nell’ottica paolina a cui il Papa si rifà vuol dire non aderire a degli obblighi esteriori quanto piuttosto compiere la volontà di Dio nella propria vita. “Questo progetto creativo di Dio – disse il Papa nell’udienza del 27 luglio 1983 – in quanto conosciuto e partecipato dall’uomo, è ciò che noi chiamiamo legge morale”. Che quindi lungi dall’essere un qualcosa che si contrappone alla libertà, è esattamente “…ciò che garantisce la libertà, ciò che fa sì che essa sia vera, non una maschera di libertà: il potere di realizzare il proprio essere personale secondo verità”. Ora che posto occupa in tale ottica la coscienza? O se si preferisce, come conciliare libertà dell’uomo e adesione alla legge/volontà di Dio? La risposta a questa domanda sta in due, straordinarie catechesi tenute dal santo Papa polacco 17 e 24 agosto di quell’anno. Due perle di sapienza la cui lettura e meditazione andrebbe imposta in tutti i seminari dell’orbe cattolico (e in tanti altri posti, ma lasciamo stare). Allo stesso modo per cui ogni uomo ha innato una sorta di senso estetico che lo porta a dire “questo è bello, questo è brutto”, esiste anche un “senso morale”, dice il Papa, che ci fa dire “questo è giusto, questo è sbagliato”. Ma sulla base di cosa, cioè di quali criteri? Il Papa qui cita un brano della Dignitatis Humanae (alla cui elaborazione, come è noto, lo stesso Wojtyla contribuì non poco) del Vaticano II, che in sostanza dice due cose: 1) norma suprema dell’agire morale è la legge di Dio; 2) l’uomo coglie gli imperativi della legge divina mediante la sua coscienza che è tenuto a seguire per arrivare a Dio, suo fine. Arriviamo al punto: “la coscienza morale – dice Wojtyla – non è un giudice autonomo delle nostre azioni. Essa desume i criteri dei suoi giudizi da quella «legge divina, eterna, oggettiva e universale»…di cui parla il testo conciliare”. Per questo, prosegue Wojtyla, il Concilio ha detto che “l’uomo, nella sua coscienza, è «solo con Dio». Si noti: il testo non si limita ad affermare: «è solo», ma aggiunge: «con Dio». La coscienza morale non chiude l’uomo dentro una invalicabile e impenetrabile solitudine, ma lo apre alla chiamata, alla voce di Dio”. Chiarito che la coscienza morale può solo discernere, ascoltando Dio che parla, ma non decidere ciò che è bene e ciò che è male, Wojtyla va dritto al passaggio successivo: la coscienza non è infallibile e, anzi, può sbagliare. Per questo è un qualcosa che va maneggiato con estrema cura. Il Papa lo dice a chiare note: “Non è sufficiente dire all’uomo: «Segui sempre la tua coscienza». E’ necessario aggiungere subito e sempre: «Chiediti se la tua coscienza dice il vero o il falso, e cerca instancabilmente di conoscere la verità»”. E’ necessario insomma che la coscienza sia opportunamente formata, il che richiede l’assidua frequentazione della dottrina della Chiesa (quando questa è “sana”, ci permettiamo di aggiungere, il che non sempre è scontato). Ma, dice ancora il Papa, quando parliamo di formazione della coscienza c’è un problema per così dire, a monte, che dev’essere risolto. Problema che nell’ottica del pontefice è una vera e propria “malattia mortale” che va sotto il nome di “indifferenza verso la verità”. “Come potremmo, infatti, – si chiede Wojtyla – essere preoccupati che la verità abiti nella nostra coscienza, se riteniamo che l’essere nella verità non sia un valore di importanza decisiva per l’uomo?”. Se insomma tutto è relativo; se bene e male non hanno un connotato oggettivo ma soggettivo; se vero e falso è una questione di gusti personali; se ciò che conta è fare ciò che uno pensa senza badare se quello che pensa sia giusto o sbagliato, o ritenere più importante cercare la verità che trovarla dal momento che la verità non è mai raggiungibile, col risultato di confondere “il rispetto dovuto ad ogni persona, qualunque siano le idee che professa, con la negazione dell’esistenza di una verità obiettiva”: chiaro che in questa prospettiva non ha alcun senso preoccuparsi di formare la propria coscienza. Col risultato di ritrovarsi, prima o poi, a “confondere la fedeltà alla propria coscienza con l’adesione a una qualsiasi opinione personale o della maggioranza”. Ecco dunque il primo passo, il punto di partenza nel percorso di formazione di ogni coscienza: l’amore alla verità, perché “non si trova la verità se non la si ama; non si conosce la verità, se non si vuole conoscerla”. Non basta conoscere la legge morale per saper discernere, nelle scelte di tutti i giorni, ciò che è bene e ciò che male; è necessario che l’uomo sia come “sintonizzato”, se mi si passa il termine, sulla stessa lunghezza d’onda di Dio in modo da poter percepire, “quasi per una forma di istinto spirituale”, dice Wojtyla, da che parte sta il bene e sapersi orientare di conseguenza. Tornando a Newman, e per concludere: nessuna presunta contrapposizione, nessun irriducibile contrasto quanto piuttosto piena sinergia tra coscienza e magistero, ciò che mette al riparo la prima – ovviamente se ben formata – dal cadere vittima dei tanti ciarlatani e falsi profeti che, ieri come oggi, fuori sembrano pecore ma dentro sono lupi rapaci. Anche per questo suona più che appropriata la definizione di ”Agostino della Chiesa moderna” data dallo stesso card. Caffarra al futuro santo. Direi che un brindisi, stavolta a Newman, ci sta proprio tutto.
Luca Del Pozzo
P.S. per una singolare quanto provvidenziale coincidenza la seconda lettura dell’Ufficio di ieri proponeva questo bellissimo testo di S.Vincenzo Lérins sullo sviluppo del dogma, com’è noto tema anch’esso centrale nella riflessione di Newman, ma soprattutto di grande attualità visti i sommovimenti in atto nella Chiesa. Chi ha orecchie per intendere, intenda.
Dal «Primo Commonitorio» di san Vincenzo di Lerins, sacerdote (Cap. 23; PL 50, 667-668)
Lo sviluppo del dogma
Qualcuno forse potrà domandarsi: non vi sarà mai alcun progresso della religione nella Chiesa di Cristo? Vi sarà certamente e anche molto grande. Chi infatti può esser talmente nemico degli uomini e ostile a Dio da volerlo impedire? Bisognerà tuttavia stare bene attenti che si tratti di un vero progresso della fede e non di un cambiamento. Il vero progresso avviene mediante lo sviluppo interno. Il cambiamento invece si ha quando una dottrina si trasforma in un’altra.
È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa. Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto. La religione delle anime segue la stessa legge che regola la vita dei corpi. Questi infatti, pur crescendo e sviluppandosi con l’andare degli anni, rimangono i medesimi di prima. Vi è certamente molta differenza fra il fiore della giovinezza e la messe della vecchiaia, ma sono gli stessi adolescenti di una volta quelli che diventano vecchi. Si cambia quindi l’età e la condizione, ma resta sempre il solo medesimo individuo. Unica e identica resta la natura, unica e identica la persona.
Le membra del lattante sono piccole, più grandi invece quelle del giovane. Però sono le stesse. Le membra dell’uomo adulto non hanno più le proporzioni di quelle del bambino. Tuttavia quelle che esistono in età più matura esistevano già, come tutti sanno, nell’embrione, sicché quanto a parti del corpo, niente di nuovo si riscontra negli adulti che non sia stato già presente nei fanciulli, sia pure allo stato embrionale.
Non vi è alcun dubbio in proposito. Questa è la vera e autentica legge del progresso organico. Questo è l’ordine meraviglioso disposto dalla natura per ogni crescita. Nell’età matura si dispiega e si sviluppa in forme sempre più ampie tutto quello che la sapienza del creatore aveva formato in antecedenza nel corpicciuolo del piccolo.
Se coll’andar del tempo la specie umana si cambiasse talmente da avere una struttura diversa oppure si arricchisse di qualche membro oltre a quelli ordinari di prima, oppure ne perdesse qualcuno, ne verrebbe di conseguenza che tutto l’organismo ne risulterebbe profondamente alterato o menomato. In ogni caso non sarebbe più lo stesso.
Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età. È necessario però che resti sempre assolutamente intatto e inalterato.
I nostri antenati hanno seminato già dai primi tempi nel campo della Chiesa il seme della fede. Sarebbe assurdo e incredibile che noi, loro figli, invece della genuina verità del frumento, raccogliessimo il frutto della frode cioè dell’errore della zizzania.
È anzi giusto e del tutto logico escludere ogni contraddizione tra il prima e il dopo. Noi mietiamo quello stesso frumento di verità che fu seminato e che crebbe fino alla maturazione.
Poiché dunque c’è qualcosa della primitiva seminagione che può ancora svilupparsi con l’andar del tempo, anche oggi essa può essere oggetto di felice e fruttuosa coltivazione.
Marco Tosatti
13 Ottobre 2019 4 Commenti --
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.