Oggi nella Chiesa c’è una forte contrapposizione tra coloro che sono spesso accusati di essere cripto-scismatici o sedevacantisti e coloro che possiamo definire ultramontani, cioè coloro che parlano come se (anche se non ci credono) il Papa non possa sbagliare mai. Matthew Schmitz, in questo articolo pubblicato sul Catholic Herald, spiega come siano irragionevoli le due posizioni.
Ecco l’articolo nella mia traduzione.
Nel XIX secolo, un gruppo di cattolici cercò di resistere ai poteri laici insistendo sull’autorità del papa, che risiedeva “sopra le montagne”. Questi “ultramontani” avevano ragione a sottolineare l’autorità del papa, ma col tempo le loro polemiche sono diventare anguste ed estreme.
Per ottenere un vantaggio retorico sui loro nemici, parlavano come se ogni parola del papa fosse vera e vincolante, ogni atto al di sopra di ogni rimprovero. Come osservò San John Henry Newman, divennero “una fazione aggressiva e insolente”.
Gli ultramontani andarono ben oltre la dottrina dell’infallibilità papale proclamata al Vaticano I. Contrariamente a quanto molti credono, questa dottrina è accuratamente circoscritta. Significa che il Papa non chiederà mai ai cattolici di credere a ciò che è falso. Non significa che ogni volta che il Papa fa una dichiarazione forte, i cattolici la ritengono corretta. Il Papa parla infallibilmente solo quando parla in un certo modo su certe questioni.
Il Sedevacantismo è il lato oscuro dell’ultramontanismo. Come gli ultramontani, i sedevacantisti rifiutano di ammettere che il papa possa commettere gravi errori; essi differiscono solo nelle conclusioni a cui questo rifiuto li porta. Quando vengono presentate le prove che un papa ha agito male, gli ultramontani negano che ciò che il papa ha fatto sia sbagliato. I Sedevacantisti, a cui vengono presentate le stesse prove, negano che colui che ha sbagliato sia il papa.
Come mostrano la storia e le scritture, i papi possono e fanno gravi errori, anche se mai quelli che contrastano con le affermazioni della Chiesa sull’infallibilità papale. Basti pensare alla carriera del primo papa, San Pietro. Cristo stesso rimproverò Pietro – “Va’ dietro a me, Satana!” – e Pietro continuò ancora a negarlo. In un’occasione successiva, Paolo, che era subordinato a Pietro, tuttavia “gli si oppose a viso aperto, perché evidentemente aveva torto”. San Tommaso spiegò l’idoneità dell’azione di Paolo, dicendo che Paolo “si oppose a Pietro nell’esercizio dell’autorità, non nella sua autorità di governare”. L’Aquinate riteneva che la critica fosse necessaria, nonostante ogni timore di scandalo, perché “dove il pericolo è imminente, la verità deve essere predicata apertamente e l’opposto non deve mai essere perdonato per paura di scandalizzare gli altri”. Paolo sapeva che era possibile, anche necessario, dire che Pietro aveva agito male, senza mettere in discussione l’autorità di Pietro.
Forse le nostre attuali controversie sono una sorta di nervoso ritiro dagli altipiani ultramontani della Chiesa. Dall’ultima parte del XIX secolo, la Chiesa è stata benedetta da una serie di papi insolitamente santi e brillanti. In questo periodo, la Chiesa potrebbe essersi aspettata troppo dai successori di San Pietro. Le aspettative sono ora così alte che nemmeno Pietro ha potuto corrisponderle. Twitter avrebbe una giornata campale con la sua negazione di Cristo. Alcuni luminari dei social media dichiarerebbero che la cattedra di Pietro è vuota, mentre altri spiegherebbero che Pietro ha detto qualcosa di incontestabilmente vero.
I cattolici conservatori, quelli che hanno sostenuto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, sono particolarmente inclini alla delusione. Giovanni Paolo II ha testimoniato la verità di Cristo contro le menzogne della tirannia sovietica. Ha commesso gravi errori, in particolare nella sua disattenzione agli abusi sessuali, ma pochi uomini hanno presentato al mondo un’immagine così completa dell’eccellenza umana. E’ stato allo stesso tempo studioso, statista, sportivo e santo. Benedetto XVI è stato a suo modo non meno impressionante. Non è stato solo Vescovo di Roma, ma una delle più grandi menti del suo tempo. Nulla di simile si potrebbe dire della maggior parte dei papi, ma ciò non li squalifica dall’ufficio.
In vari punti, Benedetto XVI ha messo in discussione le nozioni esasperate di autorità papale. Alla domanda se lo Spirito Santo sceglie il Papa, ha detto di no. Dopo tutto, “Ci sono troppi casi contrari di papi che lo Spirito Santo ovviamente non avrebbe scelto!” Forse sperava che le sue dimissioni avrebbero diminuito la tendenza di alcuni cattolici a considerare il papa in termini ultramontani. Qualunque cosa si pensi delle sue dimissioni, sarebbe un’eredità encomiabile. Molto meno gradita sarebbe una Chiesa divisa tra cripto-sedevacantisti e papalisti estremi uniti dalla convinzione che un papa legittimo non possa sbagliare veramente.
Forme di sedevacantismo più o meno esplicito rimarranno nella Chiesa finché i cattolici si aggrapperanno a un’idea esagerata di infallibilità papale, che va oltre (e mina) la fede cattolica. Il papa è il vicario di Cristo, non il suo sostituto. Respingendo le critiche al Papa con effusioni ultramontane si rafforzerà il cripto-sedevacantismo, piuttosto che indebolirlo. Il modo più sicuro per fermare le critiche esagerate al Papa è fermare le lodi esagerate.
Matthew Schmitz e senior editor al magazine First Things
Di Sabino Paciolla
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